La seconda rivoluzione scientifica: fisica e chimica. Cosmologie

Storia della Scienza (2004)

La seconda rivoluzione scientifica: fisica e chimica. Cosmologie

Norriss S. Hetherington

Cosmologie

All'inizio del XX sec. vi era un accordo generale sul fatto che l'Universo fosse statico; per descriverlo sia Albert Einstein (1879-1955) sia l'astronomo danese Willem de Sitter (1872-1934) elaborarono soluzioni statiche delle equazioni di campo di Einstein. Ben presto, però, nuove osservazioni effettuate dagli astronomi americani Harlow Shapley (1885-1972) ed Edwin P. Hubble (1889-1953) costrinsero gli astronomi ad abbandonare i modelli statici a favore di un Universo in espansione, e durante gli anni Trenta l'astrofisico belga Georges édouard Lemaître (1894-1966) sviluppò un modello relativistico di tale espansione. Negli anni Quaranta il fisico russo George Gamow (1904-1968) introdusse la fisica nucleare nello studio della cosmologia. La teoria del big bang fu messa in discussione, per breve tempo, durante gli anni Cinquanta dalla teoria dello stato stazionario, mentre negli anni Ottanta venne modificata con la teoria inflazionaria.

Modelli relativistici

I primi modelli cosmologici statici furono il risultato di numerosi incontri avvenuti nel 1916 tra Einstein e de Sitter; le critiche di quest'ultimo spinsero Einstein a prendere in considerazione una prospettiva cosmologica nell'ambito della relatività generale, e ciò, a sua volta, stimolò de Sitter a escogitare un nuovo modello cosmologico relativistico alternativo, compatibile con le equazioni di campo einsteiniane. Le soluzioni di Einstein alle sue equazioni di campo includevano la materia e non contemplavano alcun moto sistematico. La soluzione di de Sitter prevedeva che la frequenza della luce decrescesse al crescere della distanza dall'origine delle coordinate; il che avrebbe suscitato l'impressione che gli oggetti più distanti si allontanassero con maggiore velocità, anche se si doveva considerare tale allontanamento soltanto apparente. Il modello inoltre non avrebbe potuto includere la materia, se si fosse richiesto che esso si mantenesse stabile.

Per rendere statico il proprio modello, Einstein aveva dovuto aggiungere alle sue equazioni una costante non nulla per il resto non necessaria, una 'mano invisibile' in grado di impedire quel collasso gravitazionale a cui, secondo quanto previsto dalla relatività generale, l'Universo altrimenti sarebbe andato incontro. Einstein ammise in seguito che questo "termine ipotetico aggiunto alle equazioni di campo" non era "richiesto dalla teoria in sé, né appariva naturale dal punto di vista teorico". Era però necessario al fine di soddisfare la concezione che Einstein aveva della realtà fisica; egli scrisse a de Sitter che l'idea dell'espansione lo irritava, poiché implicava che l'Universo avesse avuto un inizio, il che gli appariva 'senza senso'.

Uno dei primi a proporre un Universo non statico e in espansione fu il meteorologo russo Aleksandr Aleksandrovič Friedmann (1888-1925), che sarebbe stato considerato in seguito esempio della grande scienza sovietica, anche se la sua produzione scientifica fu, prima, ostacolata dalle difficili condizioni della Russia rivoluzionaria all'inizio degli anni Venti e, in seguito, interrotta dalla morte prematura a causa di una febbre tifoide. Nel 1922 Friedmann pubblicò sull'importante rivista "Zeitschrift für Physik" l'articolo Über die Krümmung des Raumes (Sulla curvatura dello spazio), in cui prendeva in considerazione la possibilità di un Universo non stazionario. In un primo momento Einstein dubitò della validità del lavoro di Friedmann, ma ben presto lo accettò come possibile soluzione matematica delle proprie equazioni di campo. Scrisse comunque che difficilmente "si può attribuire [all'Universo non statico di Friedmann] un significato fisico", anche se cancellò poi la frase prima di inviare la nota alla rivista per la pubblicazione. Friedmann diede seguito al suo primo lavoro con un secondo, nel 1924, in cui aggiungeva la possibilità che lo spazio avesse una curvatura negativa.

Il primo articolo di Friedmann apparve nella rassegna annuale di lavori scientifici di argomento astronomico "Astronomischer Jahresbericht" sotto il titolo Die Relativitätstheorie (Teoria della relatività), senza che un sommario anticipasse che vi fosse esposto un nuovo modello cosmologico; il secondo lavoro non fu nemmeno menzionato. Nel 1923, un mutamento della politica editoriale comportò l'esclusione degli articoli sulla teoria della relatività, considerati privi di interesse astronomico: un ristretto gruppo di teorici avrebbe potuto ritenere utile portare avanti la teoria della relatività, ma non altrettanto gli astronomi. Affinché un modello cosmologico potesse sperare di acquistare seguaci tra gli studiosi di astronomia, dalle speculazioni teoriche astratte si sarebbero dovute ricavare implicazioni osservative concrete.

La proposta successiva di un Universo non statico apparve nel 1927, in un articolo in cui si studiava un Universo omogeneo con massa costante e raggio crescente, che dava conto delle velocità radiali delle nebulose extragalattiche. L'articolo, pubblicato negli "Annales de la Société Scientifique de Bruxelles", passò del tutto inosservato. L'autore, Lemaître, aveva studiato da ingegnere civile, prestato servizio nell'esercito belga durante la Prima guerra mondiale, conseguito un dottorato in fisica nel 1920 ed era stato ordinato sacerdote nel 1923. Nel 1927 divenne professore di astrofisica presso l'Università di Louvain; dal 1960 fino alla morte fu presidente della Pontificia Accademia delle Scienze.

Rifiuto dei modelli statici

Mentre cominciavano ad apparire modelli di Universo in espansione, nuove osservazioni contraddicevano i modelli statici. Nel 1927, una nuova stima della massa della nostra Galassia costrinse de Sitter a riesaminare e rigettare la sua precedente ipotesi, secondo cui la densità media di materia nello spazio era nulla; neppure il modello statico di Einstein sarebbe uscito indenne dalle nuove osservazioni. Nel 1929 l'astronomo Hubble pubblicò il famoso articolo, A relation between distance and radial velocity among extragalactic nebulae, in cui stabiliva per le nebulose a spirale una relazione empirica tra velocità e distanza.

L'elemento fondamentale che consentiva la misurazione delle distanze era la relazione periodo-luminosità delle stelle variabili, stabilita poco prima del 1920 dall'astronomo americano Shapley, dell'Osservatorio di Monte Wilson in California: più lungo è il periodo tra i massimi successivi di luminosità, maggiore è la luminosità. In tal modo, una volta calibrata questa relazione su stelle vicine di cui si conosca la luminosità intrinseca, è possibile ricavare dai periodi osservati le distanze di stelle Cefeidi più lontane. Shapley ricavò quindi le distanze degli ammassi globulari che contenevano stelle Cefeidi e, ipotizzando che tali ammassi formassero lo scheletro della Galassia, di quest'ultima determinò contorno e dimensioni, stabilendo anche la posizione al suo interno del nostro Sistema solare. Shapley concluse che la nostra Galassia è di circa due ordini di grandezza maggiore rispetto a quanto si fosse creduto in precedenza e che il Sole è lontano dal suo centro.

Shapley assunse la direzione dell'Osservatorio dell'Harvard College nel 1921, affidando a Hubble il compito di portare avanti, a Monte Wilson, le misurazioni di distanza delle nebulose a spirale sulla base della relazione periodo-luminosità. Nel 1925, Hubble aveva ormai dimostrato che le nebulose a spirale erano universi-isola indipendenti, esterni alla nostra Galassia. Egli non aveva mai manifestato interesse per i modelli cosmologici relativistici, ma nel 1928 si recò nei Paesi Bassi per il Congresso dell'Unione astronomica internazionale, occasione in cui probabilmente ebbe modo di parlare con de Sitter. Tornò a Monte Wilson deciso a verificare la previsione di de Sitter riguardante il fatto che al crescere delle distanze si dovessero osservare spostamenti maggiori verso il rosso, e da questo studio ebbe origine il famoso articolo del 1929, considerato oggi come la prima prova decisiva dell'espansione dell'Universo.

Modelli di Universo in espansione

Anche se la previsione di de Sitter sull'esistenza di una relazione apparente tra velocità e distanza era servita a instradare la ricerca di Hubble, gli spostamenti spettrali che questi osservava erano interpretati in generale come veri e propri spostamenti Doppler in un Universo non statico in espansione, e non come causati dalla diminuzione della frequenza della luce al crescere della distanza. Hubble comunque non fece esplicita menzione del modello statico di Einstein, né della sua incompatibilità con la relazione empirica distanza-velocità.

Nel 1930 non era ormai più possibile considerare come fisicamente accettabili né il modello di Universo di Einstein né quello di de Sitter: il primo andava scartato a causa della relazione distanza-velocità; il secondo per la materia presente nell'Universo. Nel gennaio del 1930, l'astronomo inglese Arthur S. Eddington (1882-1944) pose l'accento sul fatto che i suoi colleghi si erano limitati fino a quel momento a ricercare soluzioni statiche. Nel leggere questa osservazione, Lemaître, che aveva studiato con Eddington tra il 1923 e il 1924, decise di inviargli una copia del proprio articolo sull'Universo in espansione; Eddington vi riconobbe immediatamente la soluzione del dilemma originato dal fatto che le osservazioni sperimentali portavano a escludere tanto il modello di Einstein di Universo statico, quanto quello di de Sitter. L'articolo di Lemaître forniva una soluzione 'straordinariamente completa' dei vari problemi connessi alle cosmologie di Einstein e de Sitter, il quale tesseva le lodi dell''ingegnosa soluzione' di Lemaître.

Prima del 1930, la cosmologia relativistica era un argomento prevalentemente matematico, con scarsi apporti dell'astronomia osservativa e della fisica. Negli anni Trenta, Lemaître ricorse sia alla teoria quantistica sia alla relatività e fece del suo Universo 'a fuoco d'artificio' una delle prime teorie cosmologiche che incorporavano i processi fisici. Estrapolata nel passato, l'espansione implicava un Universo primordiale più denso e un'origine del tempo; Lemaître ipotizzò che l'Universo avesse avuto origine da un atomo primordiale enormemente denso, una sorta di 'uovo cosmico' sottoposto a qualche tipo di evento esplosivo. In questo scenario, il numero di quanti distinti sarebbe stato sempre crescente, a partire da un inizio in cui vi era un solo quanto primordiale, o uovo cosmico, un unico atomo d'immenso peso atomico; la radiazione cosmica sarebbe stata il residuo della disintegrazione dell'atomo primordiale, le stelle avrebbero avuto origine dal superatomo e l'espansione dello spazio avrebbe portato alla separazione delle stelle in galassie. L'ipotesi di Lemaître fu considerata un jeu d'esprit di brillante ingegnosità, più un modello matematico che un modello fisico realistico, i cui aspetti fisici furono in gran parte ignorati durante gli anni Trenta. Per molti astronomi inoltre era difficile accettare l'idea radicale di una creazione dell'Universo in un istante posto a distanza temporale finita nel passato.

Lemaître era ben consapevole del fatto che qualsiasi discussione sull'inizio dell'Universo avrebbe sollevato il problema della Creazione. Nel 1931 egli scrisse (cancellando però la frase prima della pubblicazione): "Penso che chiunque creda in un Ente supremo, al quale si debba ogni esistenza e ogni azione, creda anche che Dio sia essenzialmente nascosto, e che potrebbe vedere con favore il modo in cui la fisica attuale ci fornisce un velo sotto il quale rimane celata la Creazione". Probabilmente Lemaître considerò la frase poco appropriata per un articolo scientifico. Molti anni dopo, nel 1958, egli sostenne nuovamente che scienza e teologia sono campi separati e che la sua cosmologia si collocava al di fuori di qualsiasi argomento metafisico o religioso.

I processi nucleari

Lemaître non si interessò molto alle cosmologie ispirate da Gamow, colui che introdusse la fisica nucleare nella teoria cosmologica negli anni Quaranta. Gamow aveva frequentato l'Università di Leningrado, presso la quale aveva seguito le lezioni di Friedmann sulla cosmologia; egli completò la sua istruzione in fisica quantistica presso l'Università di Gottinga e il Cavendish Laboratory a Cambridge. Di ritorno in Unione Sovietica, dopo il 1931, si tenne lontano dalla vita pubblica e dalla politica, ma ciononostante qualcuno lo descrisse ai funzionari di partito locali come indisciplinato e bohémien. Nel 1933 gli fu permesso di partecipare a un congresso scientifico fuori della Russia, nella quale non fece più ritorno.

Già nel 1935 Gamow ipotizzò che il neutrone, scoperto nel 1932, potesse svolgere un ruolo sia nella sintesi degli elementi sia nella produzione di energia nelle stelle. Un congresso da lui organizzato nel 1938 valse a stimolare il fisico Hans Bethe, dell'Università di Cornell, a collaborare fondendo la conoscenza che egli aveva dell'interno del nucleo con quella che Gamow possedeva della struttura interna delle stelle. In pochi mesi Bethe elaborò in dettaglio la propria teoria del ciclo protone-protone, in cui quattro protoni potevano trasformarsi in un nucleo di elio, ed elaborò anche un ciclo CN, durante il quale il carbonio si trasforma in azoto passando attraverso la cattura di quattro protoni in successione. Questo lavoro valse a Bethe il premio Nobel per la fisica nel 1967.

Bethe era convinto che nelle condizioni esistenti la sintesi degli elementi più pesanti non fosse possibile all'interno delle stelle. Gamow pensò che gli elementi chimici potessero essersi generati dalla rottura di un atomo primordiale molto denso, come quello proposto da Lemaître. Gli elementi avrebbero forse potuto essere frammenti di fissione tenuti insieme dai neutroni liberi, abbondanti nel primo Universo; coaguli successivi avrebbero potuto dar luogo agli elementi più pesanti. I progressi compiuti in fisica nucleare durante la Seconda guerra mondiale, e immediatamente dopo, resero possibili calcoli quantitativi sulla formazione degli elementi in una sfera di fuoco primordiale. Dati tratti da uno studio sulla sezione d'urto di cattura neutronica, non coperti da segreto, portarono a prevedere che l'abbondanza cosmica degli elementi decrescesse al crescere del numero atomico.

Gamow si era riproposto di spiegare le abbondanze cosmiche degli elementi in base alle leggi della fisica, come risultato delle reazioni termonucleari in una fase primordiale densa ed estremamente calda di un Universo in espansione. Ipotizzò che la materia fosse inizialmente costituita di soli protoni, neutroni ed elettroni, immersi in un mare di radiazione ad alta energia, e che l'espansione e il raffreddamento dell'Universo avessero avuto inizio da valori elevatissimi di densità e di temperatura. Via via che mediante il decadimento dei neutroni si rendevano disponibili i protoni, si sarebbero costituiti nuovi elementi per cattura neutronica; ulteriori processi di decadimento β avrebbero mantenuto stabile il prodotto della nucleosintesi. Utilizzando alcuni dei primi calcolatori elettronici digitali, lo studente di Gamow, Ralph Alpher, effettuò calcoli dettagliati sulla nucleosintesi primordiale e sulle abbondanze relative delle specie atomiche, riuscendo in particolare a spiegare le proporzioni, o abbondanze relative, di idrogeno ed elio nell'Universo: circa un quarto della massa era dovuta all'elio, all'idrogeno la maggior parte del resto.

La tesi di dottorato di Alpher, completata nel 1948, ebbe vasta risonanza, per motivi non solamente scientifici: non passarono inosservati né il contrasto tra alcuni argomenti trattati, come la creazione dell'Universo e le armi distruttive nucleari, né l'intrusione della scienza nell'indagine sull'opera creatrice di Dio, al punto che ci fu chi scrisse ad Alpher promettendo di pregare per la sua anima e la sua redenzione.

Il modello basato sulla sequenza di catture neutroniche, anche se spiegava con successo la conversione dell'idrogeno in elio, non permetteva di giustificare l'esistenza di elementi di peso atomico maggiore; poiché nuclei stabili con pesi atomici 5 e 8 non esistono in Natura, non è possibile formare nuclei più pesanti aggiungendo all'4He un nucleone o un altro nucleo di elio. Per questo motivo, la formazione degli elementi pesanti avrebbe dovuto avvenire non nella nucleosintesi primordiale mediante una serie di catture neutroniche, ma successivamente, attraverso processi all'interno delle stelle. Una soluzione fu suggerita da Edwin Salpeter. Nato a Vienna e rifugiatosi con i genitori ebrei in Australia, dopo la Seconda guerra mondiale Salpeter studiò in Inghilterra, per poi raggiungere Bethe a Cornell, dove dimostrò che all'interno di una stella due nuclei di 4He potevano generare 8Be instabile che, combinandosi con altro 4He, avrebbe dato luogo al 12C, stabile.

L'astronomo inglese Fred Hoyle (1915-2001) notò che la reazione era possibile grazie all'esistenza, per il 12C, di un livello energetico stabile poco al di sopra dei livelli energetici dei nuclei di berillio ed elio, e tale da includere sia le energie di questi sia l'energia cinetica dell'urto. Le misurazioni dei livelli energetici previsti da Hoyle, effettuate in seguito al California Institute of Technology da William A. Fowler (1911-1995), avviarono la descrizione teorica della formazione degli elementi pesanti. L'apice di tale linea di ricerca, a seguito della disponibilità di dati più accurati sulle sezioni d'urto nucleari, fu nel 1957 il famoso articolo sulla nucleosintesi B2FH, dal nome degli autori Hoyle, Fowler e gli astronomi inglesi Geoffrey e Margaret Burbridge. Il solo Fowler avrebbe poi ricevuto il premio Nobel per la fisica nel 1983, malgrado fosse Hoyle a guidare il gruppo di ricerca.

Gamow aveva indicato la via per stabilire una connessione tra la cosmologia e la fisica nucleare, lavoro continuato poi da Hoyle, ma l'argomento sembrava esercitare scarsa attrattiva sia sugli astronomi sia sugli scienziati che lavoravano ai misteri relativi alla matematica della cosmologia relativistica; cosicché, di fatto, per un decennio fu condotta scarsa attività di ricerca in tale campo. Non suscitò alcun interesse neppure la previsione di Alpher e di Robert Hermann, che lavorava presso il Johns Hopkins Laboratory di fisica applicata di cui Gamow era consulente, secondo la quale i residui della radiazione primordiale sarebbero ancora esistiti sotto forma di radiazione di fondo cosmico a bassissima temperatura. I due studiosi effettuarono alcuni calcoli per stimare l'intensità della radiazione primordiale, su cui nessuno però condusse ricerche sperimentali.

Nel 1950 Hoyle coniò l'espressione big bang per l'Universo in espansione di Gamow, dando a questa locuzione un'accezione negativa. Hoyle preferiva infatti la teoria dello stato stazionario, nella concezione e nello sviluppo della quale aveva svolto un ruolo di primo piano insieme a Hermann Bondi e Thomas Gold. Bondi, austriaco di nascita, aveva studiato matematica a Cambridge; per un breve periodo nel 1940 fu internato, in quanto straniero appartenente a un paese nemico, insieme a Gold, un fisico anch'egli austriaco. I due lavorarono ai progetti di ricerca sul radar insieme a Hoyle durante la Seconda guerra mondiale. L'idea di base di Hoyle, Bondi e Gold prevedeva un Universo in espansione, la cui densità però non cambiava nel tempo a causa della continua creazione di nuova materia. Dal punto di vista teorico, un Universo di questo tipo aveva un vantaggio fondamentale rispetto all'Universo in espansione tipico del big bang per il quale, verificandosi la condizione di densità variabile, sarebbero potute cambiare anche le leggi fisiche e sarebbe stato impossibile estrapolare all'indietro, dal presente fino alla sua origine ultradensa, la storia dell'Universo.

La filosofia della scienza di Karl Popper (1902-1994) classificava come scientifica una teoria secondo la misura in cui questa è falsificabile; il che rendeva la teoria dello stato stazionario più scientifica del big bang. La teoria dello stato stazionario, inoltre, godette rispetto al big bang di un immediato, anche se momentaneo, vantaggio: estrapolando l'attuale tasso di espansione fino al big bang iniziale, fu calcolata nel 1948 un'età dell'Universo inferiore a quella stimata per il Sistema solare; l'età non costituiva invece alcun problema nel caso dello stato stazionario. La difficoltà fu infine superata da osservazioni più accurate, ma nel 1948 la teoria del big bang fu messa in crisi.

Le discussioni sulla teoria dello stato stazionario erano in gran parte di natura filosofica, con scarso riferimento alle osservazioni, e nel dibattito entrarono anche questioni di carattere politico e religioso. Papa Pio XII affermò, nel 1952, che la teoria del big bang confermava l'idea di un Creatore trascendente ed era in armonia con i dogmi del cristianesimo; il suo discorso, ampiamente pubblicizzato, associò inoltre la teoria dello stato stazionario all'ateismo. Hoyle accettò la connessione stabilita da Pio XII tra la cosmologia del big bang e i dogmi del cristianesimo e la considerò un'ulteriore ragione per rigettare la teoria del big bang, che intese come un processo irrazionale che travalicava l'ambito scientifico.

Avvenimenti ulteriori

Al contrario degli astronomi inglesi, che ponevano l'enfasi sulla forza o sulla debolezza che le contrapposte teorie cosmologiche mostravano sotto l'aspetto filosofico, gli astronomi americani adottarono un approccio pragmatico, in base al quale la contesa tra le teorie del big bang e dello stato stazionario poteva essere risolta mediante verifiche sperimentali, tra cui quella riguardante l'età delle galassie: nell'Universo dello stato stazionario, a causa della creazione continua di materia, vi sarebbe stata una mescolanza di galassie vecchie e giovani, mentre nell'Universo del big bang, in cui la creazione avveniva soltanto all'inizio, le galassie sarebbero solamente invecchiate con il trascorrere del tempo. Osservare galassie sempre più lontane equivale, data la velocità finita della luce, a guardarle nel passato, e alcune osservazioni documentate nel 1948 lasciavano intendere che le galassie più lontane fossero anche le più giovani. Bondi e Gold riesaminarono criticamente i dati sull'età delle galassie e dimostrarono, nel 1954, che le conclusioni precedenti erano errate. Il criterio dell'età delle galassie avrebbe potuto in linea di principio discriminare tra le due teorie rivali, ma nella pratica così non fu. Un'altra verifica possibile riguardava il tasso di espansione dell'Universo, che nel caso del big bang prevedibilmente sarebbe diminuito e avrebbe dato luogo a velocità di allontanamento reciproco molto più grandi per le galassie più distanti, e quindi più antiche, mentre sarebbe rimasto costante nell'Universo dello stato stazionario, nel quale la velocità di allontanamento tra le galassie sarebbe stata proporzionale alla loro distanza. I dati provenienti dall'Osservatorio di Monte Wilson sembravano favorire la teoria del big bang, ma certamente non abbastanza da fornire la prova definitiva.

Una sfida più impegnativa per la teoria dello stato stazionario provenne dalla radioastronomia, scienza allora nascente. Le conoscenze alla base delle tecniche proprie della radioastronomia progredirono molto durante la Seconda guerra mondiale, in particolar modo in Inghilterra, specialmente grazie agli studi sul radar; i programmi di ricerca sviluppati a Cambridge, a Manchester, ma anche a Sidney dominarono il campo della radioastronomia per il decennio successivo. Il progetto di Cambridge era guidato da Martin Ryle (1918-1984), che ricevette il premio Nobel per la fisica nel 1974 per i suoi contributi alla radioastronomia. Nel 1951 Ryle credeva che le radiosorgenti fossero poste all'interno della nostra Galassia, e che non rivestissero quindi alcun interesse per la cosmologia, ma negli anni immediatamente successivi si convinse che la maggior parte delle radiosorgenti che andava osservando fossero in realtà extragalattiche e che le proprie misurazioni potessero essere utili per verificare i modelli cosmologici.

La rassegna nella quale Ryle, nel 1955, riferì riguardo a quasi duemila radiosorgenti sembrava contraddire la teoria dello stato stazionario, poiché il grafico che riportava il numero di radiosorgenti la cui intensità era maggiore di un valore stabilito, in funzione di questo valore minimo di intensità, aveva una pendenza diversa da quella prevista dalla teoria. Ryle ne concluse che i dati erano coerenti con l'ipotesi di un Universo in evoluzione, ma che non sembrava esistere modo alcuno di spiegare le osservazioni in termini della teoria dello stato stazionario. L'interpretazione dei dati suggerita da Ryle non fu immune però da critiche, dovute a ulteriori osservazioni: i radioastronomi di Sidney trovarono una pendenza differente da quella di Ryle per lo stesso grafico. Sebbene, a causa delle incertezze di misura, le loro osservazioni non risultassero diverse dalle previsioni della teoria dello stato stazionario tanto da rigettarla, entro i primi anni Sessanta l'incertezza nei dati fu ridotta e la conclusione fu nettamente a sfavore della teoria dello stato stazionario. Bondi, Gold e Hoyle furono costretti a enunciare ipotesi ad hoc per spiegare i conteggi delle radiosorgenti, ottenendo però scarso successo tra gli astronomi. Hoyle riteneva, non del tutto a torto, che Ryle fosse motivato dal desiderio non tanto di conoscere come realmente stessero le cose, quanto di demolire la teoria dello stato stazionario. Come molti altri astronomi sperimentali, Ryle non aveva grande considerazione per i cosmologi teorici. Nel discutere la possibilità di esplorare regioni lontane dell'Universo con la radioastronomia, egli concluse che "anche se non riuscissimo mai a effettuare davvero misure abbastanza precise da confutare una qualsiasi teoria cosmologica, la minaccia potrà scoraggiare un'eccessiva mancanza di responsabilità [da parte dei cosmologi, che] sono sempre vissuti in una condizione felice che ha consentito loro di postulare teorie che non avevano alcuna possibilità di essere confutate" (Kragh 1996, p. 309).

Il colpo di grazia per la teoria dello stato stazionario, almeno secondo la maggior parte degli astronomi, se non per Hoyle, fu dato nel 1965 con la scoperta della radiazione di fondo cosmico prevista da Alpher e Hermann nel 1948. A quell'epoca vi era stata però pochissima comunicazione tra i fisici nucleari, gli astrofisici sperimentali e i cosmologi teorici; il fatto che Alpher e Hermann lavorassero in un laboratorio dedicato alla ricerca industriale poteva inoltre aver ridotto la loro visibilità all'interno della comunità di ricerca universitaria. D'altra parte, essi stessi non si erano preoccupati di verificare sperimentalmente la loro previsione, che in ogni caso era tutt'altro che certa e sarebbe stata modificata da calcoli successivi: Alpher e Hermann erano interessati principalmente alla fisica, e non all'astronomia o alla cosmologia. È anche vero, però, che le strumentazioni disponibili alla fine degli anni Quaranta non avrebbero consentito di rilevare una temperatura molto al di sotto dei 20 K, mentre essi prevedevano una temperatura del fondo di 5 K.

Le misurazioni furono effettuate, più tardi e in modo inaspettato, da Arno Penzias e Robert Wilson; il primo, nato a Monaco, era un rifugiato ebreo; il secondo, nato negli Stati Uniti, aveva studiato al Caltech. Nel 1963 stavano lavorando insieme presso i Bell Telephone Laboratories, su un'antenna originariamente pensata per raccogliere i segnali radio di rimbalzo da un enorme pallone, Echo, in orbita intorno alla Terra, e in seguito impiegata come dispositivo di supporto per Telstar, un satellite attivo per comunicazioni. Nel frattempo, però, in Europa fu completata con successo una stazione per comunicazioni satellitari e così Penzias e Wilson furono incoraggiati a riconvertire l'antenna per utilizzarla in radioastronomia; i due si resero presto conto che ciò che avevano in precedenza interpretato come rumore era in realtà radiazione di origine cosmica.

Robert H. Dicke (1916-1977), della Princeton University, venne a conoscenza della misura e ne diede nel 1965 l'interpretazione corretta in termini di radiazione cosmica di fondo. Egli non era a conoscenza delle previsioni di Alpher e Hermann e giunse quindi indipendentemente a prendere in considerazione la radiazione cosmica di fondo. Prima di conoscere i risultati di Penzias e Wilson, Dicke aveva suggerito a un suo vecchio studente, James Peebles, di calcolare il valore della temperatura della radiazione cosmica di fondo. Fu solamente in seguito a questo che la previsione di Alpher e Hermann venne recuperata e rivalutata.

Penzias e Wilson nutrivano sentimenti contrastanti sulle ricadute teoriche derivanti dalla loro scoperta della radiazione cosmica di fondo. Wilson, che aveva studiato cosmologia con Hoyle, avrebbe ricordato in seguito: "Mi piaceva molto l'Universo dello stato stazionario, e dal punto di vista filosofico in qualche modo ancora mi piace. Penso che io e Arno ritenessimo entrambi che fosse bello disporre di una spiegazione, ma che avrebbero ben potuto essercene altre" (ibidem, p. 350). Pochi astrofisici condividevano però il cauto atteggiamento di Wilson. Ansiosi di seppellire la teoria dello stato stazionario, già messa a dura prova dall'analisi delle radiosorgenti, equipararono rapidamente le misure di Penzias e Wilson alla morte della teoria dello stato stazionario.

Il modello inflazionario

Nel 1970 la cosmologia vedeva accresciuto il proprio carattere di scienza sperimentale, poiché controversie e diatribe che la riguardavano erano risolte su basi empiriche. D'altra parte, malgrado la strumentazione notevolmente perfezionata, e in qualche caso innovativa, al centro della cosmologia rimanevano alcune importanti questioni filosofiche, che avrebbero svolto un ruolo chiave nel suo sviluppo successivo più importante, quello della teoria dell'Universo inflazionario. La teoria standard del big bang, sebbene a partire dal 1965 fosse ampiamente accettata come in generale corretta, non era considerata ancora completa: se da una parte non era in disaccordo con alcun dato sperimentale, dall'altra non era in grado di prevedere taluni importanti dati osservativi. La teoria della 'inflazione' (da inflation, nel significato di 'gonfiamento'), in cui si ha una espansione esponenziale breve e improvvisa nei primissimi istanti di evoluzione dell'Universo, è invece in grado di spiegare una maggiore quantità di osservazioni rispetto alla teoria standard del big bang. Trascorsi questi istanti iniziali, peraltro, la teoria inflazionaria si fonde con quella del big bang.

Il fisico americano delle particelle Alan Guth propose per primo, nel 1979, la teoria dell'Universo inflazionario. Egli aveva tratto ispirazione da una lezione di Dicke sul problema della densità di materia nell'Universo: la teoria standard del big bang non spiega il motivo per cui essa assuma il valore osservato. In riferimento all'espansione dell'Universo, si introduce una 'densità critica di massa', definita in modo tale che, se la densità effettiva è maggiore di questo parametro, l'attrazione gravitazionale è abbastanza grande da arrestare alla fine l'espansione dell'Universo, che collasserà in un big crunch; se invece la densità è minore di quella critica, l'Universo continuerà a espandersi in un big freeze. Il fatto che la densità attuale sia prossima a quella critica implica che la densità di massa fin dall'inizio dovesse essere incredibilmente vicina a quella critica. Infatti, nei primi 10−35 secondi dopo il big bang, il rapporto tra la densità effettiva e quella critica avrebbe dovuto essere uguale a 1 con una precisione di 49 cifre decimali! È chiaro che è possibile introdurre espressamente tale numero nella teoria, ma sul piano estetico è più soddisfacente che sia la teoria a generarlo. Nel modello inflazionario, durante il periodo di rapidissima espansione iniziale, il rapporto tra densità e densità critica è spinto fortemente verso uno, indipendentemente dal valore assunto in origine. Guth, con la propria teoria, risparmiava quindi ai cosmologi la necessità di assumere per la densità iniziale un valore estremamente vicino a quello critico.

Un altro dato osservativo che attendeva una spiegazione era il rapporto tra il numero di fotoni e quello di protoni e neutroni nell'Universo. Lo scienziato russo Andrej Sacharov (1921-1989) avanzò per primo un'ipotesi, sulla base della teoria di grande unificazione della fisica delle particelle elementari. Il suo suggerimento fu sviluppato in maggior dettaglio da Motohiko Yoshimura in Giappone e da Steven Weinberg negli Stati Uniti. Ulteriori sviluppi delle teorie di grande unificazione saranno necessari per spiegare il rapporto tra i fotoni, i protoni e i neutroni, ma almeno si è consapevoli del fatto che esiste la possibilità di una spiegazione.

Il modello standard di big bang non è in grado di chiarire, inoltre, il motivo per cui la radiazione cosmica di fondo a microonde risulti quasi perfettamente uniforme nello spazio, e più in generale in che modo l'Universo in espansione sia diventato così omogeneo su larga scala. Infatti, nonostante non siano potuti avvenire scambi di energia su distanze maggiori di quella massima che la luce aveva percorso dal big bang, la radiazione cosmica di fondo è omogenea su scale molto più grandi di tale 'distanza-orizzonte'. Secondo la teoria inflazionaria l'Universo, nella fase precedente all'inflazione, era più piccolo della distanza-orizzonte, e avrebbe quindi potuto rendere omogenea la propria temperatura.

Questa spiegazione solleva però un altro problema, ossia come si sono create le piccole disuniformità iniziali, necessarie affinché la materia si aggreghi in stelle e galassie. Una spiegazione possibile è che l'inflazione possa aver agito sulle fluttuazioni quantistiche formando increspature nello spazio-tempo. Quando la NASA approvò nel 1982 i finanziamenti destinati al satellite COBE (cosmic background explorer satellite), George Smoot, un fisico americano delle particelle, propose di cercare nella radiazione di fondo cosmico le piccole deviazioni dall'uniformità previste dalla teoria inflazionaria. Alla fine l'esperimento coinvolse più di un migliaio di persone e costò oltre 160 milioni di dollari. Dopo un decennio di lavoro, Smoot annunciò nel 1992 quella che Stephen Hawking definì, forse esagerando un po', la scoperta scientifica più importante del secolo, se non di tutti i tempi. Le increspature nella trama dello spazio-tempo dimostravano che la materia non era distribuita uniformemente, ma che conteneva i 'semi' da cui avrebbe potuto svilupparsi un Universo complesso. Queste increspature nella radiazione di fondo, vecchie di quindici miliardi di anni, erano inoltre della dimensione prevista.

I risultati di laboratorio hanno confermato le linee generali della cosmologia del big bang. Nel primo microsecondo, quando la sfera di fuoco dell'Universo in esplosione aveva un diametro di pochi chilometri, i quark e gli elettroni fluttuavano liberamente in un brodo primordiale incredibilmente caldo e denso. Con il procedere dell'espansione e del raffreddamento i quark si legarono e formarono protoni e neutroni. Nel 2000 i fisici del CERN, utilizzando l'acceleratore di particelle nei dintorni di Ginevra, hanno rivelato possibili tracce di un plasma di quark-gluoni, il brodo primordiale. L'anno successivo i fisici del Relativistic Heavy Ion Collider (RHIC), presso il Brookhaven National Laboratory a New York, hanno raggiunto risultati più sicuri a favore della creazione del plasma quark-gluoni, anche se hanno dovuto impiegare altri due anni per analizzare i dati, prima di poter annunciare la loro scoperta.

All'inizio del XXI sec., il legame tra la fisica delle particelle e la cosmologia, così tenue e scarsamente considerato ai tempi in cui Gamow fu il pioniere di questo nuovo filone verso la metà del XX sec. è, ormai, ampiamente consolidato. I fisici delle particelle si rivolgono sempre di più alla cosmologia per ricavare informazioni sul comportamento della materia in condizioni estreme, come quelle dominanti nell'Universo primordiale caratterizzato da energie irraggiungibili con gli acceleratori, il potenziamento dei quali è peraltro limitato dalla scarsità dei finanziamenti pubblici. Dal canto loro, i cosmologi si sono resi conto del fatto che è possibile spiegare aspetti importanti della cosmologia come conseguenze naturali delle nuove teorie delle particelle elementari: la fisica delle particelle fa sempre più da guida alla cosmologia.

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