La Rivoluzione scientifica: luoghi e forme della conoscenza. I cabinets

Storia della Scienza (2002)

La Rivoluzione scientifica: luoghi e forme della conoscenza. I cabinets

Krzysztof Pomian

I cabinets

Dal XVI al XVIII sec., il cultore di storia naturale esercita la sua attività generalmente in un cabinet, tra collezioni di vegetali, di resti animali e di oggetti inanimati, raccolti in superficie e sotto terra. Soltanto a partire dall'inizio del XIX sec., chi pratica una scienza naturale già costituita o che va costituendosi come disciplina lavora prevalentemente in laboratori nei quali le collezioni hanno lasciato il posto agli strumenti di osservazione e di misura.

Tuttavia non è solamente il laboratorio, con i suoi strumenti, a ridurre l'importanza dei cabinets e delle collezioni. Già dal XVI sec., alcuni naturalisti operano negli orti botanici (d'altronde la tradizione di raccogliere e coltivare piante a fini di studio è molto antica); ma a partire dal XIX sec. si afferma l'idea che un naturalista debba studiare le piante, gli animali e le rocce in situ, se non recandosi in paesi lontano, almeno esplorando le regioni in cui risiede. I campioni accumulati svolgeranno d'ora in poi soltanto un ruolo di secondo piano. Il peso del cabinet diminuisce con l'aumentare di quello della ricerca sul campo e le collezioni perdono la loro importanza a vantaggio dei biotopi e delle facies geologiche.

Naturalmente affermazioni così nette e generali vanno modulate secondo i paesi e, all'interno di ciascuno di essi, secondo le città, le regioni e le categorie sociali, nonché secondo le diverse discipline o aree di indagine e addirittura secondo il tipo di oggetti studiati, dal momento che il processo di transizione non segue un ritmo uniforme. Ma la tendenza generale appare indubbiamente quella descritta.

Essa fu una conseguenza dei continui rivolgimenti che, tra il XVI e il XIX sec., interessarono e, alla lunga, trasformarono la produzione, il contenuto, la trasmissione e lo statuto del sapere. Semplificando, è possibile descrivere questa prima Rivoluzione scientifica in pochi punti.

Inizialmente assimilata alla percezione e soprattutto alla visione, la conoscenza è progressivamente identificata con l'osservazione, vale a dire con l'esame condotto utilizzando strumenti ideati per cogliere ciò che altrimenti sarebbe rimasto inaccessibile. La curiosità dei ricercatori, inizialmente esuberante, illimitata e indisciplinata, è sempre più assoggettata a un insieme di regole, guidata da questionari e vincolata a un metodo; anche il ricorso alla visione, per quanto continui a essere una modalità riconosciuta della conoscenza, si modifica in base ai medesimi parametri.

I dati della conoscenza non sono più esclusivamente qualitativi; in seguito alla diversificazione dell'armamentario di strumenti di misura e all'ampliamento del campo accessibile all'osservazione, si moltiplicano le formule che hanno come oggetto le grandezze. L'idea di una Natura completamente imprevedibile e quindi concepita come un insieme di singolarità, se non addirittura di meraviglie, privo di qualsiasi legame intrinseco, cede a poco a poco il passo a quella di una Natura unificata dai molteplici rapporti tra le sue componenti e soggetta a una serie di regolarità e persino ad alcune leggi. Allo stesso tempo, l'antica descrizione del mondo inizia a essere criticata e smantellata, mentre si tenta di elaborare una nuova concezione stabile, coerente, intelligibile e in grado di includere tutti i dati della conoscenza che si vanno rapidamente accumulando.

Tra il XVI e il XIX sec., infine, si sviluppano congiuntamente la specializzazione e la professionalizzazione della pratica scientifica, grazie alla creazione di istituzioni permanenti ‒ orti botanici, serragli, biblioteche, musei, osservatori e laboratori ‒ e a iniziative di carattere temporaneo come, per esempio, le spedizioni organizzate per esplorare contrade lontane o per inventariare il territorio dei singoli Stati. Il prestigio della scienza aumenta, così come le aspettative nei confronti dei suoi possibili sviluppi. Nel XVIII sec. la scienza costituisce un'occasione di svago per la parte più colta, facoltosa e influente del pubblico e un tema di conversazione nei salotti. Le istituzioni militari si rivolgono alla scienza per ottenere materiali in grado di offrire prestazioni più elevate, mentre quelle civili vi cercano consigli, ricette e invenzioni. Lo scienziato diventa un personaggio celebre e importante, e a volte, seppure in casi eccezionali (soprattutto quello di Newton), oggetto di venerazione.

Che ruolo svolsero le collezioni di oggetti naturali nella prima Rivoluzione scientifica? Sono state utilizzate solo come magazzini in cui i naturalisti potevano trovare materiale per i loro studi o hanno prodotto anche effetti cognitivi specifici che hanno favorito lo sviluppo del sapere? In questo capitolo si tenterà di dimostrare che vi è più di un motivo per schierarsi a favore della seconda ipotesi. A tal fine, si cercherà di mettere in luce l'importanza delle collezioni di storia naturale nel processo di trasformazione della concezione della Natura, di individuare le questioni che esse hanno permesso di sollevare, e di indicare i risultati ottenuti dal loro studio. Infine, si tenterà di capire perché, per quanto riguarda la Natura, gli effetti di promozione della conoscenza attraverso le collezioni si siano progressivamente esauriti, determinandone la marginalizzazione: da strumento insostituibile di indagine e di scoperta, le collezioni finiscono, in ultima analisi, per ridursi al ruolo di accessori destinati a essere utilizzati più nel campo della didattica che in quello dell'euristica.

L'Italia

Nel 1543 fu creato l'Orto botanico di Pisa e, due anni più tardi, quello di Padova, entrambi legati alle rispettive università e destinati all'insegnamento dei 'semplici', vale a dire delle piante medicinali. Queste iniziative furono intraprese in due contesti politici apparentemente molto diversi, eppure non privi di affinità. La creazione dell'Orto botanico di Pisa inaugurava in qualche modo la serie di iniziative volte a legittimare e a consolidare il potere ancora recente e contestato di Cosimo de' Medici, divenuto duca di Firenze nel 1537; tra queste, ricorderemo l'arricchimento delle collezioni familiari di antichità ‒ statue, bronzetti, pietre incise, vasi in pietra dura, monete ‒, la creazione di una collezione di ritratti di uomini illustri, copia di quelli raccolti a Como da Paolo Giovio, e di una collezione di quadri e sculture moderni. L'Orto botanico di Padova, invece, può essere considerato un'ulteriore testimonianza degli sforzi intrapresi dalla Serenissima per ridare lustro alla sua fama dopo la terribile disfatta di Agnadello (1509) e altre sconfitte militari. Questa iniziativa, infatti, è preceduta, nel 1525, dall'installazione di alcune sculture antiche lasciate alla Repubblica dal cardinale Domenico Grimani in una sala del Palazzo Ducale; nel 1528, dall'istituzione dell'Ufficio dei riformatori dello Studio di Padova; nel 1537, dalla decisione di intraprendere la costruzione di un edificio in cui ospitare la Biblioteca Marciana, creata a partire dalla donazione effettuata dal cardinal Bessarione nel 1468 e destinata a costituire il nucleo di una biblioteca aperta al pubblico.

In entrambi i casi le motivazioni erano politiche: creando i giardini dei semplici si riteneva di adottare una misura che, favorendo il miglioramento della formazione dei medici e dei farmacisti, avrebbe consentito di proteggere in modo più efficace la salute pubblica, rinsaldando l'attaccamento dei sudditi al loro principe. Ma le conseguenze di queste iniziative si rivelarono più profonde e durevoli di quanto non si pensasse. Gli orti botanici creati a Pisa e a Padova rappresentavano un nuovo tipo di collezione, diversa anche nei criteri dai giardini ornamentali e dai giardini dei semplici, così come erano conosciuti da secoli. L'orto botanico si differenzia per la sua natura di istituzione pubblica destinata all'insegnamento che, lungi dal limitarsi alle piante medicinali già conosciute, ha il compito di accrescere sempre più il numero delle specie coltivate, per ampliare l'armamentario dei nuovi rimedi. Ciò obbliga a ricercare, descrivere, classificare nuove piante, sia nei territori circostanti sia in regioni lontane, e a studiarne le proprietà e le eventuali possibilità di utilizzo.

Questo portò quasi automaticamente alla formazione di biblioteche annesse agli orti botanici, in cui erano conservate opere relative alla conoscenza dei medicamenti e delle piante, collezioni di immagini, create per registrare i differenti aspetti delle piante a seconda delle fasi del loro ciclo vitale o del periodo dell'anno, e collezioni di piante secche, raccolte in erbari. Soprattutto, sia a Pisa sia a Padova, si decise di arricchire gli orti botanici di collezioni di oggetti provenienti dalla terra ‒ minerali, fossili e manufatti preistorici, che non sempre si riusciva a identificare ‒, di esemplari zoologici o, per la precisione, delle parti degli animali che era possibile conservare, di oggetti esotici e persino di oggetti antichi e quadri moderni. A Pisa questo progetto fu realizzato, mentre a Padova non ebbe alcun seguito. Su questa strada si era ormai stabilito un preciso legame tra gli orti botanici e i cabinets di storia naturale.

Sulla scia degli orti botanici, alcuni privati iniziarono a creare, a partire dalla seconda metà del XVI sec., cabinets di genere analogo. Tra questi i più noti furono quelli allestiti da Ulisse Aldrovandi (1522-1605) a Bologna, da Francesco Calzolari (1522-1609) a Verona, da Michele Mercati (1541-1593) in Vaticano, da Ferrante Imperato (1550-1625) a Napoli e da Filippo Costa (1550?-1587) a Mantova. Giuseppe Olmi (1991, 1992, 1993) e Paula Findlen (1994) hanno messo in luce in modo molto efficace la specificità di questo gruppo di collezionisti interamente composto da farmacisti e medici che avevano seguito gli studi universitari e che erano interessati alla botanica; Aldrovandi e Calzolari avevano studiato sotto la guida di Luca Ghini presso l'Orto botanico di Pisa e il primo era stato incaricato della direzione dell'Orto botanico di Bologna; similmente Mercati aveva diretto l'Orto botanico del Vaticano. Questi studiosi si conoscevano, intrattenevano rapporti epistolari, si scambiavano visite e pezzi da collezione e a volte compivano insieme escursioni alla ricerca di erbe. A eccezione di Calzolari inoltre, questi ricercatori hanno scritto lavori basati sulle loro collezioni, alcuni dati alle stampe nel corso della loro attività, altri pubblicati postumi. Possono quindi essere legittimamente considerati rappresentanti di un nuovo ruolo sociale in via di professionalizzazione, quello del naturalista, il dotto che si dedica allo studio della Natura. La tendenza, emersa nella loro epoca, si concluderà, dopo diverse vicissitudini, solo due secoli più tardi.

Queste osservazioni possono essere estese, con alcune varianti, al caso di due veneziani, Pier Antonio Michiel (1510-1576) e Giacomo Contarini (1536-1595) che si distinguono, tuttavia, per la loro posizione sociale: entrambi, infatti, appartenevano al patriziato veneziano. Il primo era interessato esclusivamente alla botanica e aveva creato un celebre giardino che ospitava piante provenienti da tutte le regioni del mondo già molto prima della creazione degli orti botanici di Pisa e di Padova. Michiel, del resto, partecipò all'organizzazione del giardino di Padova e si può dire che questo sia stato il suo unico incarico pubblico. Era in corrispondenza con molti altri botanici e, in particolare, con Ghini e Aldrovandi, e alla sua morte lasciò un'opera di botanica che fu data alle stampe solo nel XX secolo. Contarini, invece, oltre ad avere creato un giardino botanico, possedeva una collezione di strumenti 'matematici e meccanici' e di minerali, in cui figuravano anche alcune statue antiche. Dal nostro punto di vista, tuttavia, è interessante osservare soprattutto che Contarini si serviva della sua collezione per i suoi impegni nei campi dell'architettura, della fortificazione e dell'ingegneria navale e che era in relazione con Galilei e con gli ambienti eruditi di Venezia e di Padova.

Al nuovo ruolo sociale in via di formazione del naturalista corrisponde un nuovo tipo di collezione: cabinets specializzati, in cui gli oggetti naturali occupano una posizione dominante, se non esclusiva. È questa, in effetti, la caratteristica distintiva di tutti i cabinets creati dagli studiosi menzionati e da tale prospettiva questi si distinguono da altri due tipi di collezioni, per certi versi analoghe: la collezione umanista che prosegue, modificandola, la tradizione di quella antiquaria, e la camera delle meraviglie, la Kunst und Wunderkammer. Questi due tipi di collezioni servirono da modello perché già esistevano da molto tempo ‒ la prima da due secoli, e la seconda da cento anni ‒ e godevano entrambe di grande prestigio sia grazie al valore di quanto conservato, sia per la posizione sociale dei loro proprietari. La prima aveva come oggetto specifico le antichità (una delle sue varianti tendeva a privilegiare le opere d'arte e le iscrizioni, mentre l'altra, diffusa soprattutto a partire dal XVI sec., le monete e ogni sorta di piccoli oggetti). Nella seconda, invece, erano raccolti soprattutto i prodotti naturali e i manufatti che apparivano straordinari, insoliti o almeno rari sia per i materiali di cui erano costituiti, quasi sempre preziosi (oro, argento, bronzo, avorio, pietre dure, ecc.) o esotici (noci di cocco, corallo, piume, uova di struzzo, corno di rinoceronte, ecc.), sia per il loro aspetto esteriore che doveva colpire, attrarre lo sguardo e suscitare stupore, destando così grande ammirazione per l'autore di tali meraviglie e, di riflesso, per colui che era riuscito a procurarsele, riunirle e metterle in mostra.

Le differenze di contenuto rinviavano a funzioni diverse. Tra queste ricorderemo ancora quella di favorire la socializzazione: le collezioni private, infatti, davano spunto a riunioni ed erano tema di conversazione, suscitavano scambi di opinioni, di lettere e di oggetti, e consentivano ai loro proprietari di ottenere una certa considerazione nel loro ambiente, se non di divenire celebri a livello cittadino o nazionale, all'interno della Repubblica delle Lettere o dell'intera Europa; costituivano quindi strumenti di promozione sociale. Quanto ai differenti aspetti delle collezioni, essi variavano a seconda del rango dei collezionisti, dei loro interessi tradotti nel contenuto dei diversi cabinets, degli atteggiamenti adottati nei confronti degli oggetti raccolti ‒ studio, diletto, ostentazione ‒ e, infine, a seconda delle aspettative di coloro che si recavano a osservare ciò che i collezionisti erano riusciti ad accumulare e a raccogliere.

Sia le collezioni umaniste sia quelle antiquarie avevano una triplice finalità: estetica, educativa e cognitiva. Estetica, in quanto, essendo considerate esemplari, vale a dire materializzazioni del bello, le opere ivi esposte suscitavano in chi sapeva guardarle un piacere ineguagliabile. Educativa, perché queste opere dovevano far nascere nei Moderni il desiderio di imitare gli Antichi in tutti i campi, da quello delle arti a quello del sapere e delle virtù civiche. Cognitiva, perché gli oggetti antichi, a qualsiasi genere appartenessero, consentivano a chi sapeva decifrarne il messaggio una migliore comprensione dei testi antichi, mettendo in rapporto le parole con le cose. Inoltre, esse permettevano di ricostruire l'esatto svolgimento degli avvenimenti verificatisi nell'epoca da cui provenivano, la loro ubicazione, l'identità dei loro attori, così come le credenze, i costumi e le istituzioni degli Antichi. Se le collezioni umaniste si proponevano prevalentemente scopi dilettevoli ed educativi, è soprattutto attraverso le collezioni antiquarie che alcuni episodi del lontano passato divennero gradualmente, a partire dal XV sec., oggetti di conoscenza. In questa prospettiva, tre secoli più tardi, serviranno da modello ai cabinets di storia naturale.

Le camere delle meraviglie si proponevano finalità sia apologetiche sia ludiche, benché queste ultime spesso finissero per assumere una certa prevalenza. Dovevano incantare e distrarre proprietari e visitatori mettendoli di fronte a cose fino ad allora mai viste, singolari, difficili da fabbricare o da reperire, molto costose e non facilmente comprensibili, preferibilmente in grande quantità e dei generi più diversi. Inoltre tutti quegli oggetti dovevano elevare i pensieri degli uni e degli altri verso le illimitate capacità produttive della Natura e ancora più in alto, verso il Creatore dell'Universo e di tutti i prodigi in esso riscontrabili. Ciò non esclude una certa funzione cognitiva di cui tra breve metteremo in luce la specificità.

Nel frattempo, passeremo all'analisi dei cabinets di storia naturale che a volte non è facile distinguere dalle camere delle meraviglie. Quando erano utilizzati per effettuare ricerche erudite attestate da pubblicazioni o resoconti, essi avevano uno scopo prevalentemente cognitivo: in questi casi, infatti, erano strumenti per descrivere la Natura e i suoi regni o per lo studio dei suoi singoli prodotti. Ma non era questo l'unico tipo di cabinet esistente. Nel creare cabinets di storia naturale, i principi spesso si proponevano, come dimostra il caso dei Medici, non tanto di far progredire la conoscenza della Natura, quanto di distrarsi e di ammirare l'onnipotenza divina. Tuttavia, nel corso del XVI e del XVII sec., anche i cabinets di coloro che si dedicavano alla ricerca si proponevano spesso finalità di carattere ludico.

La ragione di ciò è evidente. I proprietari tentavano di attrarre visitatori di alto rango, di stupirli e distrarli in modo da acquisire una fama e un prestigio che in seguito avrebbero potuto tradursi in aiuti per la raccolta degli oggetti da collezionare, in finanziamenti per le pubblicazioni, in incarichi o prebende. Il peso di questi calcoli tuttavia non deve essere sopravvalutato. Sembra più importante, infatti, l'immersione sia dei proprietari dei cabinets di storia naturale sia dei visitatori, indipendentemente dal loro rango e dalle loro occupazioni, nell'universo mentale della curiosità, che privilegia soprattutto ciò che è meraviglioso, singolare, eccezionale o esotico. In questo caso la finalità cognitiva non si contrappone a quella ludica. Dal momento che è questa idea della conoscenza che informa il contenuto e l'organizzazione dei cabinets di storia naturale della seconda metà del XVI sec., appare evidente che la linea di demarcazione che li separa dalle camere delle meraviglie sia ben lungi dall'essere nettamente definita. E la subordinazione dello studio della Natura alla ricerca dei segni inscritti da Dio nel corso e nell'apparenza visibile dei fenomeni naturali rende ancora più difficile operare una distinzione, poiché tendeva anch'essa a privilegiare mostri, prodigi e tutto ciò che si discostava dalla normalità. Soltanto nel XVIII sec. il cabinet di storia naturale spezzerà i legami che lo univano alla camera delle meraviglie.

Il lavoro dei naturalisti italiani della seconda metà del XVI sec. fu proseguito dall'Accademia dei Lincei, fondata a Roma dal principe Federico Cesi (1585-1630). Alle attività dell'Accademia contribuì, insieme a Imperato, simbolo della continuità, e a Galilei, incarnazione della nuova fisica, uno dei più grandi collezionisti dell'epoca, Cassiano Dal Pozzo (1583-1657). Sia Cesi sia Dal Pozzo possedevano ricchi cabinets nei quali erano raccolti non solo oggetti antichi e opere d'arte moderne, ma anche oggetti naturali. Se Cesi era un vero e proprio naturalista e si serviva del cabinet per alimentare le sue ricerche, Dal Pozzo diede invece prova, come il suo amico Nicolas-Claude Fabri de Peiresc (1580-1637) in Francia, di una curiosità enciclopedica accompagnata da una forte inclinazione per l'arte e l'Antichità. Oltre alle sue lettere, anche alcune grandi raccolte di disegni, che aveva commissionato e finanziato, e in cui sono rappresentati prodotti della Natura, testimoniano l'interesse per gli studi naturalistici.

L'Accademia dei Lincei cessò le sue attività nel 1630. L'influenza intellettuale dell'Orto botanico di Pisa era in declino già da molti anni, per la precisione dal 1583, quando Andrea Cesalpino, un altro allievo di Ghini, si dimise dall'incarico di prefetto, per poi partire, nove anni più tardi, alla volta di Roma. Padova conservò più a lungo la sua importanza, non tanto grazie al suo orto botanico quanto all'insegnamento della medicina e della filosofia. Prima della fine del XVII sec., tuttavia, in questa città non si registra la presenza di alcun cabinet di storia naturale che abbia dato luogo a ricerche di qualsiasi tipo.

Quanto ai cabinets esistenti in altre città italiane, ricorderemo quelli di Manfredo Settala (1600-1680) a Milano, di Ferdinando Cospi (1606-1686) a Bologna, e di Lodovico Moscardo (1611-1681) a Verona; questi erano molto vicini per contenuto alle camere delle meraviglie e non diedero luogo a nessun lavoro di carattere scientifico. Le pubblicazioni di cui furono oggetto, infatti, erano volte non tanto a presentare i risultati dello studio degli oggetti raccolti, del resto decisamente eterocliti, quanto a magnificare i loro proprietari e a suscitare un senso di stupore religioso per le meraviglie della Creazione. Analogamente, il museo fondato nel 1650 da Athanasius Kircher presso il Collegio Romano può essere considerato una grande camera delle meraviglie in cui le curiosità egiziane, ritenute ricche di significati esoterici, occupavano una posizione molto più importante di quella riservata ai prodotti della Natura. Questa situazione in parte cambiò con il successore di Kircher, Filippo Buonanni, senza tuttavia che il Musaeum Kircherianum si trasformasse in un vero e proprio luogo di ricerca. A partire dalla fine del XVI sec., il centro dello studio della storia naturale si trasferì dall'Italia alle Province Unite.

Le Province Unite

Nel 1587, l'Università di Leida si impegnò nella creazione di un orto botanico, la cui direzione fu affidata a Charles de L'Écluse, un celebre botanico che trasformò questa istituzione in un importante centro di ricerca sulle piante. L'orto botanico di Leida ospitava anche animali vivi e impagliati e, prima del 1610, fu creato al suo interno un cabinet di storia naturale che conteneva un gran numero di oggetti che provenivano da regioni tropicali e una collezione di esemplari anatomici. Anche ad Amsterdam, che a sua volta possedeva il suo orto botanico, esistevano cabinets di genere analogo, come, del resto, a Utrecht e probabilmente in altre città olandesi. Tuttavia le Province Unite divennero un grande centro di studio della storia naturale soprattutto per il fascino che questa disciplina esercitava su larghi strati della popolazione, alimentato (a eccezione dell'episodio di carattere speculativo della mania dei tulipani) principalmente dai rapporti con i possedimenti d'oltremare.

Sin dal 1596, gli Olandesi erano presenti nella regione corrispondente all'attuale Indonesia. Nel 1602 nacque la Compagnia delle Indie Orientali e nel 1621 la Compagnia delle Indie Occidentali. Dopo un primo tentativo fallito nel 1624, gli Olandesi si stabilirono tra il 1630 e il 1644 in Brasile (di cui resterà loro solo il Suriname). Nel 1652 intrapresero la colonizzazione dell'Africa del Sud ed entrarono in relazione con il Giappone. Certo, la facilità nell'acquisizione di oggetti esotici non è sufficiente a spiegare un interesse tanto diffuso per la storia naturale. La Spagna e il Portogallo, che possedevano territori ben più vasti di quelli delle Province Unite, non conobbero fenomeni analoghi. Ma si trattava di paesi aristocratici e cattolici, mentre le Province Unite erano oligarchiche e calviniste. Un numero relativamente alto di persone era direttamente interessato all'attività della Compagnia delle Indie Orientali, i cui dipendenti erano ancora più numerosi. Inoltre, in base alla mentalità dominante, si tendeva a ritenere che la saggezza divina si manifestasse nelle operazioni regolari così come nei più umili prodotti della Natura, e a presentare lo studio di quest'ultima come un complemento del culto divino; nell'ambito del cattolicesimo invece, questo punto di vista si affermò solo nei primi decenni del XVIII secolo.

L'azione di questi due fattori consente di spiegare il grande interesse mostrato dagli Olandesi per i prodotti esotici, a cui corrispose un'offerta di uguali proporzioni. Essi giungevano nelle Province Unite per essere venduti all'asta, dopo aver viaggiato come zavorra sulle navi che facevano ritorno dalle Indie o nei bagagli dei marinai e degli impiegati delle compagnie che rientravano nella metropoli. Coloro che risiedevano nelle colonie li inviavano ai membri delle loro famiglie e, nei casi di pezzi di particolare valore, alle sedi delle Compagnie che li mettevano in mostra; i membri delle spedizioni militari e scientifiche li raccoglievano e li portavano con loro in patria. Così, nelle Province Unite del secolo d'oro, i cabinets di storia naturale si contavano a decine; gli Olandesi inoltre ne crearono molti anche nelle colonie: alla fine del XVII sec. ne esistevano circa venti nella sola Indonesia.

Nell'Italia della seconda metà del XVI sec., i rari cabinets di storia naturale allora esistenti appartenevano a coloro che si dedicavano alla pratica delle scienze naturali. Cento anni più tardi, nelle Province Unite, ci si trova in presenza di una situazione completamente diversa: il possesso di un cabinet non è più legato alla storia naturale, ma a un fenomeno sociale e culturale, a una moda. Le Province Unite aprono la strada che sarà imboccata pochi anni più tardi dall'Inghilterra, dalla Francia a partire dal 1730 e, verso la metà del XVIII sec., dall'Italia e dagli altri paesi europei. Questa moda favorisce lo studio della storia naturale perché crea un pubblico che, grazie alle visite ai cabinets e alla lettura delle pubblicazioni a essi dedicate, inizia a interessarsi a questa disciplina; un pubblico all'interno del quale i naturalisti potevano trovare mecenati in grado di accoglierli, di mettere a loro disposizione pezzi rari o difficilmente reperibili, di finanziare le ricerche o la stampa dei loro lavori. Il borgomastro di Delft, Hendrik d'Acquet, un grande collezionista di oggetti naturali, contribuì insieme a Simon Schijnvoet ‒ funzionario del municipio di Amsterdam, collezionista di antichità, di monete e di oggetti naturali ‒ a finanziare la pubblicazione del D'Amboinsche Rariteitkamer (Gabinetto di rarità di Ambon, 1705) di Georg Everhard Rumpf, su cui torneremo più avanti. George Clifford, mercante e banchiere, borgomastro di Amsterdam e proprietario di un cabinet di oggetti naturali, di un orto botanico e di un serraglio, ospitò tra il 1735 e il 1738 il giovane Linneo (Carl von Linné), appena giunto nelle Province Unite dalla Svezia, e partecipò al finanziamento della pubblicazione dei suoi lavori. Ma si potrebbero menzionare molti altri casi simili.

Il primo esempio di utilizzazione del cabinet come luogo di studio è quello offerto da Bernardus Paludanus (Berent ten Broeke), che era amico di Imperato e aveva ottenuto il titolo di dottore in medicina presso l'Università di Padova: in questo caso l'ispirazione italiana è evidente. Nel corso dei suoi viaggi attraverso l'Europa, la Siria e l'Egitto, Paludanus mise insieme un'importante collezione di oggetti naturali, in cui figuravano diversi manufatti e, in particolare, un certo numero di pezzi etnografici e alcune rarità, il cui catalogo fu dato alle stampe nel 1603-1604. Questa collezione conservò la sua fama anche dopo la morte dell'artefice. Nel 1651 fu acquistata dal duca Federico III Schleswig-Holstein e incorporata nella sua Kunstkammer per poi entrare a far parte, nel 1751, delle collezioni reali di Copenaghen.

Così, nelle Province Unite, non tutti i proprietari dei cabinets di storia naturale erano naturalisti, ma ogni naturalista possedeva o utilizzava un cabinet, considerato uno strumento indispensabile per la ricerca. Menzioneremo a titolo di esempio il caso di Jan Swammerdam (1637-1680) e del suo cabinet di preparati anatomici ed entomologici, che il granduca di Toscana tentò invano di acquistare. Dal nostro punto di vista, la parte più interessante di questo cabinet è indubbiamente quella entomologica, perché è il risultato della raccolta di insetti a cui Swammerdam si era dedicato a Saumur, a Parigi e nei suoi dintorni, a Leida e nei pressi di Amsterdam, in vista della pubblicazione della sua Historia insectorum generalis (1669). La collezione illustra, più chiaramente di qualsiasi altra, l'importanza della convinzione che la saggezza di Dio può essere ammirata in ogni cosa, persino in creature vili come gli insetti, fino ad allora considerati indegni di uno studio scientifico. Infatti, come dimostra Swammerdam, appurato che gli insetti, contrariamente a un'opinione allora molto diffusa, non nascevano per generazione spontanea, erano dotati di una struttura anatomica e non si sviluppavano per metamorfosi, ma per epigenesi, allora si doveva giungere alla conclusione che tutto il regno animale fosse retto dalle stesse leggi. Così, sostituendo il vicino al lontano, il comune al raro, la regola all'eccezione, Swammerdam annuncia i cambiamenti che interverranno, nel corso del XVIII sec., nel campo della storia naturale e, in particolare, nel contenuto e nell'organizzazione dei cabinets.

Un altro esempio è quello di Frederik Ruysch (1638-1731), farmacista, medico e insegnante di anatomia ad Amsterdam. La sua eccezionale abilità nella pratica dell'iniezione del vetriolo nei vasi sanguigni, che dava luogo alla coagulazione del sangue, gli permise di creare un'enorme collezione di preparati anatomici che occupava ben cinque stanze della sua residenza e suscitava una grande ammirazione nei visitatori sia per il suo aspetto teatrale ‒ gli scheletri dei bambini erano disposti in modo da formare una sorta di vanitas tridimensionale ‒ sia per il suo interesse scientifico. Come sottolineò Fontenelle nel suo elogio di Ruysch, questo studioso riuscì a rendere accessibili all'osservazione, a occhio nudo o con il microscopio, i vasi fino ad allora rimasti invisibili; inoltre, riuscì ad assicurare la conservazione dei suoi preparati. Ruysch ha descritto la sua collezione in varie opere, fra cui il Musaeum anatomicum Ruyschianum (1691) che ha avuto complessivamente tre edizioni. Dopo averla venduta allo zar Pietro I nel 1717, egli ricompose una collezione di analogo contenuto, che fu smembrata alla sua morte con una vendita pubblica. La maggior parte della collezione fu acquistata da Augusto II, elettore di Sassonia e re di Polonia (dopo il 1697), che l'affidò all'Università di Wittenberg.

Ricorderemo, infine, anche se al nostro elenco potrebbero essere aggiunti molti altri esempi, il caso di Rumpf, funzionario della Compagnia delle Indie Orientali nell'isola di Ambon, in cui trascorse gran parte della sua vita e creò un cabinet di prodotti naturali che nel 1682 fu acquistato dal granduca di Toscana Cosimo III. Nonostante una serie di traversie personali, tra cui la perdita della vista, Rumpf riuscì a comporre due grandi opere che furono date alle stampe solo dopo la sua morte: il D'Amboinsche Rariteitkamer (1705), diviso in tre libri (dedicati ai crostacei, ai molluschi e ai metalli, minerali, gemme e curiosità), e i sette volumi del Het Amboinsche Kruid-boek (Erbario di Ambon, 1741-1755), in cui sono descritte milleduecento specie di piante, oltre a molti minerali e insetti.

Nel XVII e nel XVIII sec., per designare le collezioni gli Olandesi ricorrevano in generale alla parola kabinet; l'uso del termine musaeum, assai frequente a quel tempo in Italia, è decisamente più raro. Nei titoli dei cataloghi delle vendite all'asta appare del resto molto spesso la parola rariteiten, accompagnata da epiteti come extraordinaire, curieuse, schoone. In tali casi, occorre valutare queste definizioni con la massima cautela: esse, infatti, spesso erano solo slogan pubblicitari. Bisognava inoltre spiegare che il cabinet messo in vendita conteneva prodotti naturali esotici effettivamente molto rari in Europa e, in alcuni casi, anche nelle loro regioni di provenienza. Rumpf osserva per esempio che il Nautilus tenuis et legitimus era raro anche nelle Indie, dove poteva essere acquistato solo a un prezzo molto elevato.

La caratteristica distintiva dei cabinets olandesi di storia naturale del XVII e del XVIII sec. è rappresentata ‒ e insistiamo su questo punto ‒ dalla posizione di primo piano che, tra gli oggetti raccolti, assunsero i prodotti provenienti da altri continenti, in generale dalle regioni tropicali. Non sempre i collezionisti ne conoscevano l'esatta provenienza e l'aspetto originale. Rumpf attribuiva ai suoi compatrioti l'opinione secondo cui le buccine e altre vere e proprie curiosità potevano essere facilmente trovate sulle spiagge o nel mare, tanto che era sufficiente limitarsi a raccoglierle. Nel D'Amboinsche Rariteitkamer, quindi, un intero capitolo è dedicato alla descrizione dei modi con cui catturare diversi tipi di crostacei e molluschi, dei pericoli a cui ci si espone nel condurre queste ricerche e delle operazioni lunghe e difficili necessarie a procurarsi un bel pezzo da collezione.

Questo tipo di nozioni probabilmente si trasmetteva oralmente tra i collezionisti e in particolar modo tra quelli che risiedevano ai tropici, in tempi precedenti alla pubblicazione del libro di Rumpf. Parallelamente, molto prima che fosse dato alle stampe questo testo ‒ le cui descrizioni ancora oggi stupiscono gli specialisti per la loro precisione e i comuni lettori per la loro bellezza ‒, si accumulò con ogni probabilità, soprattutto tra i naturalisti residenti nei possedimenti d'oltremare, un insieme di conoscenze sul comportamento degli animali nel loro habitat di origine. Tali conoscenze produssero notevoli progressi cognitivi; contribuirono, infatti, efficacemente a privare della loro aura fiabesca gli esemplari della flora e soprattutto le parti degli animali più facilmente conservabili importate dai tropici, inducendo così i contemporanei a considerarli normali prodotti naturali, paragonabili a quelli che si trovavano in Europa.

L'afflusso nelle Province Unite di grandi quantità di oggetti esotici consentì ai naturalisti di studiare numerosi esemplari della flora, della fauna e del regno minerale sino ad allora sconosciuti, finendo per modificare lo statuto stesso di questi oggetti. Nell'Italia del XVI sec. dove, in effetti, tali oggetti erano molto rari, essi rientravano nel novero delle singolarità, delle curiosità, dei casi unici che non potevano essere ricondotti a categorie ben definite, e sembravano essere quindi il prodotto di una Natura esuberante, imprevedibile, capace di tutto e del contrario di tutto, oggetto di una curiosità altrettanto esuberante, imprevedibile e illimitata. Nelle Province Unite, la familiarità acquisita dagli studiosi ‒ se non dal grande pubblico ‒ con gli oggetti esotici non solo relativizzò e rese più restrittivi i criteri stessi della valutazione di ciò che era raro, ma agì più in profondità mettendo in discussione l'eurocentrismo spontaneo e inconscio dei naturalisti, la loro tendenza a scorgere nel consueto una norma a cui andava ricondotto tutto ciò che proveniva da altri continenti per valutarne le eventuali difformità e quindi il grado di eccentricità. Grazie a questa familiarità si fece a poco a poco strada la convinzione secondo cui i prodotti esotici, lungi dall'essere delle singolarità, erano generati da una Natura che ai tropici operava in base agli stessi principî dei climi temperati.

La familiarità con una grande varietà di prodotti esotici, sia nelle Province Unite sia nei loro paesi di origine, ebbe pure un'altra conseguenza. Nel XVI sec., anche in paesi diversi dall'Italia, ci si richiamava costantemente agli autori antichi, un atteggiamento in un primo tempo tutt'altro che ingiustificato, dal momento che i loro scritti arricchivano le conoscenze allora disponibili. È dedicandosi personalmente alla raccolta sul campo che i naturalisti italiani iniziarono a imbattersi in prodotti naturali non descritti dagli Antichi. A riprova di ciò, sarà sufficiente menzionare il titolo di un libro redatto da un modesto farmacista veneziano, Antonio Donati: Trattato de' semplici, pietre e pesci marini, che nascono nel lido di Venezia, la maggior parte non conosciuti da Teofrasto, Dioscoride, Plinio, Galeno ed altri scrittori (1631).

Così se in alcune circostanze, dopo tutto sempre più frequenti, gli Italiani iniziarono a scoprire le lacune degli autori antichi, gli Olandesi attivi ai tropici si trovarono, invece, in una situazione in cui non potevano fare affidamento che su sé stessi, dal momento che le conoscenze libresche non erano un valido aiuto per comprendere gli aspetti inusuali della Natura che avevano davanti agli occhi. Tuttavia nell'Olanda del XVII sec., il rispetto per l'autorità dei grandi autori, soprattutto antichi, non era meno profondo di quello mostrato nei loro confronti negli altri paesi europei. Rumpf fu insignito del titolo di Plinius Indicus, un riconoscimento di cui era molto orgoglioso, e quando se ne presentava l'occasione citava Aristotele, Plinio e Dioscuride, così come Averroè, Avicenna e alcuni autori moderni. Queste occasioni erano però molto rare perché, nella maggior parte dei casi, Rumpf ebbe a che fare con prodotti naturali ignoti sia agli Antichi sia ai Moderni, o riguardo ai quali questi ultimi avevano espresso opinioni erronee.

Quando l'oggetto esaminato lo consentiva, Rumpf tentava di instaurare analogie tra ciò che osservava ad Ambon e nei suoi dintorni e quanto si ricordava di aver visto in Europa, ma non gli capitò frequentemente di imbattersi in questo tipo di oggetti. Egli era dunque condannato, per così dire, ad affidarsi alla propria capacità di guardare con attenzione e descrivere gli oggetti come se nessuno prima di lui si fosse dedicato a questo compito; di fatto, nella maggior parte dei casi, le cose stavano proprio così. Il suo esempio dimostra anche, in modo inoppugnabile, come i naturalisti, spinti dai loro stessi oggetti di studio, fossero costretti a mettere da parte le loro conoscenze erudite, e come, parallelamente, una Natura che si dimostrava lontana dalla cultura tradizionale dotta o da quella 'volgare' finisse conseguentemente per essere identificata sempre di più con ciò che si poteva cogliere attraverso i sensi, in particolare con la vista, e (aggiungiamo, lasciandoci alle spalle l'esempio di Rumpf) con ciò che si poteva osservare grazie ai telescopi e ai microscopi.

Francia, Inghilterra, Europa

Nei primi decenni del XVIII sec., parallelamente alla trasposizione nel campo della storia naturale dei procedimenti introdotti nella fisica da Galilei, Descartes, Newton e Leibniz, e all'emergere dell'influenza inglese, iniziarono a manifestarsi in Francia i primi sintomi della diffusione tra il pubblico del gusto per gli oggetti naturali e soprattutto per le conchiglie. Nell'aprile del 1727, il "Mercure de France" pubblicò il Projet pour l'établissement d'un cabinet curieux et d'un laboratoire di un certo Guyot (conosciuto oggi soltanto per il suo incarico di presidente del deposito del sale di Versailles). Nel giugno dello stesso anno, sulle pagine della medesima rivista apparve la Lettre sur le choix et l'arrangement d'un cabinet curieux di Antoine-Joseph Dezallier d'Argenville, autore che aveva già acquisito una certa notorietà grazie al suo Traité sur les jardins (1709). Questo articolo, ancora fedele, e non soltanto nel titolo, allo spirito dei cabinets di curiosità, annunciava tuttavia l'emergere di alcune nuove tendenze.

Dieci anni più tardi, Edme-François Gersaint (1694-1750), il mercante di opere d'arte e di curiosità più noto sulla piazza di Parigi, pubblicò un catalogo in cui erano descritte le conchiglie di cui era entrato in possesso in Olanda e che intendeva mettere in vendita; si tratta del primo esempio di catalogo di questo tipo in francese (1736). L'opera dimostra la diffusione in Francia di un profondo interesse per la storia naturale e soprattutto per le conchiglie: in una copia annotata giunta fino a noi figura una lista di ben venti acquirenti. Nel 1742, Dezallier d'Argenville pubblicò l'Histoire naturelle éclaircie dans deux de ses parties principales, la lithologie et la conchyliologie; la rapidità con cui si giunse a dare alle stampe una nuova edizione di quest'opera (1755) può essere considerata un'ulteriore prova della diffusione della moda della storia naturale nella capitale francese. A quel tempo l'influenza di Parigi era sentita in tutta l'Europa: in Spagna e in Italia (benché nel caso di quest'ultima la sua influenza, soprattutto per quanto riguardava le scienze, spesso interferisse con quella dell'Inghilterra), nelle corti principesche, nelle città e nelle università tedesche (anche se queste ultime, a partire dagli anni Settanta del XVIII sec., iniziarono sempre più frequentemente a guardare verso l'Inghilterra), nelle monarchie scandinave, in Polonia e in Russia.

Nella seconda metà del XVIII sec. si registra, dai vertici della scala sociale fino agli strati superiori della borghesia, l'emergere di una vera e propria passione per la storia naturale che favorì la formazione di un pubblico interessato all'acquisto dei libri dei naturalisti e dei poligrafi, molti dei quali esplicitamente destinati ai collezionisti. Ci limiteremo a menzionare tre esempi. Nel 1763, nel dare alle stampe il suo Dictionnaire universel des fossiles, Élie Bertrand sottolineò la sua utilità: "per coloro che visitano i cabinets di curiosità, per coloro che li creano, per coloro che li organizzano, così come per quelli che studiano e contemplano le opere della natura al solo fine di conoscerla, ammirarla e venerare il suo grande Autore" (I, pp. IX-X). Un anno più tardi fu pubblicato il Dictionnaire raisonné universel d'histoire naturelle di Jacques-Christophe Valmont de Bomare che all'inizio del secolo successivo avrebbe già conosciuto cinque edizioni, passando dai cinque volumi in ottavo della prima ai quindici volumi dello stesso formato dell'ultima. Segnaleremo inoltre la pubblicazione di una serie di opere, come, per esempio, il Manuel du naturaliste. Ouvrage utile aux voyageurs et à ceux qui visitent les cabinets d'histoire naturelle et de curiosités di Henri-Gabriel Duchesne e Pierre-Joseph Macquer, che, tra il 1770 e il 1797, conobbe tre edizioni, diventando quattro volte più voluminoso. Questi sono soltanto alcuni esempi di una letteratura molto più vasta, che consentono tuttavia di farsi un'idea della domanda degli appassionati di storia naturale e dell'insieme di opere pubblicate per soddisfarla. Non ci si accontentava però di leggere libri dedicati a questo tema. Erano molto seguiti anche i corsi di storia naturale, tra cui ricorderemo quelli pubblici e gratuiti che si tenevano presso il Jardin des Plantes e quelli a pagamento curati dai naturalisti, di cui sembra che Valmont de Bomare sia stato l'iniziatore, ma che in seguito saranno organizzati anche in altri paesi, e persino in città prive di un'università, come Verona. Ci si recava in massa a vedere le esperienze e le dimostrazioni, a visitare gli orti botanici o, nei casi in cui era possibile, i serragli. Molti si diedero alla raccolta di erbe influenzati da Jean-Jacques Rousseau che, dopo aver letto Linneo, aveva lanciato la moda della botanica. E, soprattutto, si iniziò a collezionare i prodotti naturali, fino a contendersi l'acquisto dei pezzi rari, i cui prezzi di conseguenza salirono vertiginosamente.

L'interesse per la storia naturale non è mai stato soltanto un prodotto della curiosità individuale. Come abbiamo visto, sin dalla seconda metà del XVI sec., i suoi antichi legami con l'agricoltura e la farmacopea, così come la nuova prospettiva di acclimatare le piante e gli animali scoperti in altri continenti, per poterne trarre un profitto, avevano indotto i governi a interessarsi a questa disciplina. è però soprattutto a partire dagli ultimi decenni del XVII sec. che si iniziò sempre più frequentemente a pensare alla storia naturale in termini di utilità pubblica, sia dal punto di vista dell'apologetica religiosa, sia da quello dello sviluppo delle conoscenze utili in campo economico e militare. Questa tendenza è attestata dalla moltiplicazione in diversi paesi di cabinets di oggetti naturali creati non da singoli individui, ma da istituzioni.

La Royal Society di Londra, che sin dai primi anni della sua attività aveva iniziato a raccogliere collezioni, nel 1666 acquistò un cabinet di prodotti naturali rari e quindici anni più tardi diede alle stampe il primo catalogo del suo musaeum. L'Academia Scientiarum Imperialis Petropolitana (Accademia delle Scienze di San Pietroburgo), invece, al momento della sua fondazione (1725) ricevette in dono dallo Stato il cabinet che lo zar Pietro I aveva creato a partire dal 1697. Le università, che in alcuni casi avevano favorito la creazione di cabinets (come a Pisa e Padova) e in altri avevano creato cabinets al loro interno (come a Leida), in seguito svolsero un ruolo di secondo piano, almeno fino al 1683, anno in cui Elias Ashmole donò all'Università di Oxford le collezioni ereditate dalla famiglia Tradescant, per fondare l'Ashmolean Museum, una schola naturalis historiae dotata di una officina chimica; grazie alla voce Musaeum della Cyclopaedia di Ephraim Chambers (1728), tradotta nell'Encyclopédie, nella seconda metà del XVIII sec. il museo divenne celebre in tutti i paesi europei. Nel 1714, l'Università di Bologna fondò, su iniziativa di Luigi Ferdinando Marsili, l'Istituto delle scienze, descritto in termini ditirambici dai viaggiatori del tempo, che includeva una vasta sezione dedicata alla storia naturale; l'esempio di Bologna fu seguito, anche se in scala ridotta, da molte altre università. Nel 1733, per esempio, Antonio Vallisnieri jr donò le collezioni di suo padre all'Università di Padova, ottenendo in cambio una cattedra e l'incarico di custode del cabinet destinato a conservarle.

Nel corso del XVIII sec. i cabinets di storia naturale, sull'esempio degli orti botanici creati verso la metà del XVI sec. in Toscana e a Venezia, entrarono a far parte della sfera degli interessi del principe, vale a dire divennero affari di Stato. Questa tendenza è attestata da due eventi significativi.

Fondato a Parigi nel 1635, il Jardin royal des plantes médicinales fu aperto solo cinque anni più tardi; nel XVIII sec., il nome di questa istituzione si trasformò a poco a poco, ma non senza ragione, in quello di Jardin royal des plantes. In origine, l'orto botanico di Parigi ospitava non solo una collezione di piante, sistematicamente arricchita dai botanici inviati in missione in America, in Cina, in India e in Egitto, ma anche una serie di corsi di botanica, di chimica e di anatomia destinati a integrare gli insegnamenti impartiti presso la Facoltà di medicina. Vi si svolgevano, inoltre, attività di ricerca; a partire dalla fondazione dell'Académie des Sciences (1666), i professori del Jardin Royal ne divennero generalmente membri così come, verso la fine del XVII sec., quasi tutti i sovrintendenti.

Nominato sovrintendente del Jardin du Roi nel 1739, il conte di Buffon, Georges-Louis Leclerc, assumeva la guida di un'istituzione divenuta già, grazie a Joseph Pitton de Tournefort e ad Antoine e Bernard de Jussieu, uno dei più importanti centri per lo studio della botanica, ma non ancora in grado di far fronte al crescente interesse per la storia naturale. Sembra che il suo cabinet, creato nel 1729, fosse "una pittoresca accozzaglia di oggetti disparati, ammucchiati in due stanze, dove autentici tesori giacevano accanto a inverosimili 'curiosità'" (Laissus 1986a, pp. 296-297).

Come attesta nel 1800 Georges Cuvier, nel 1745 Buffon fece assegnare l'incarico di custode e di dimostratore del Jardin du Roi al suo amico Louis-Jean-Marie Daubenton, che,

in pochi anni, ne trasformò completamente il volto. I minerali, i frutti, i legni e le conchiglie furono riuniti ed esposti nel più bell'ordine. Ci si impegnò a scoprire e a perfezionare i metodi di conservazione delle diverse parti degli organismi viventi; le spoglie inanimate dei quadrupedi e degli uccelli riacquistarono un'apparenza di vita, e presentando all'osservatore i minimi dettagli dei loro caratteri, provocando, al tempo stesso, lo stupore dei curiosi per la varietà delle loro forme e lo splendore dei loro colori. (Eloge historique de Daubenton, p. 19)

Daubenton tentò, del resto, di procurarsi tutti i prodotti naturali esistenti e fece eseguire un gran numero di preparati anatomici. Inoltre lavorò assiduamente sulla disposizione degli oggetti nel cabinet: "sperimentava tutti gli ordini possibili, finché non avesse trovato quello che non turbava né la vista né i rapporti naturali" (ibidem).

Tutto induce a credere che le affermazioni di Cuvier non fossero esagerate. Nel 1751, nella voce Cabinet d'histoire naturelle dell'Encyclopédie Didevot constatava che quello del Jardin du Roi esercitava una forte attrattiva sui visitatori:

Vengono a visitarlo persone di tutti i ceti e di tutte le nazioni […]. Accoglie un numero compreso tra milleduecento e millecinquecento visitatori tutte le settimane; accedervi è facile; tutti possono entrare liberamente per divertirsi o istruirsi. Le produzioni della natura vi sono esposte senza trucchi e senza accorgimenti diversi da quelli che il buon gusto, l'eleganza e la conoscenza degli oggetti devono suggerire; si risponde con cortesia alle domande che riguardano la storia naturale. (p. 490)

Naturalmente, bisogna tener conto anche degli intenti autopromozionali dell'autore. Resta il fatto che il cabinet di storia naturale del Jardin des Plantes, divenuto, grazie a Daubenton, il più importante museo di Parigi, fu descritto in termini elogiativi dai visitatori stranieri. Thomas Pennant, che lo aveva visitato nel 1765, scriveva:

Ho visto […] il Cabinet del Re sotto la guida del signor Daubenton: ǧ costituito da tre stanze piene di animali in eccellente stato di conservazione. Nei cassetti che si trovano dietro le bacheche vi sono i contenitori dei fossili. Il signor Daubenton mi ha condotto negli appartamenti situati al piano inferiore, nel primo dei quali sono esposti scheletri di tutte le dimensioni, da quello dell'elefante a quello del toporagno. Il secondo ospita fossili e minerali e il terzo prodotti vegetali. Sul pavimento vi sono le pelli di due antilopi […]. (Tour on the continent, 1765, p. 11)

Dieci anni più tardi, la signora Hester Lynch Thrale, che si riferisce a questo cabinet chiamandolo "King's Museum", pur osservando che gli uccelli delle collezioni londinesi erano meglio preservati, descrive le pietre preziose, gli uccelli esotici e gli insetti in esso contenuti. Sembra che in seguito la situazione si sia progressivamente deteriorata ma, fino alla Rivoluzione, il cabinet di storia naturale del re seguitò ad accogliere un gran numero di visitatori.

Il secondo evento a cui si accennava si verificò a Londra, poco dopo la creazione del cabinet pubblico di storia naturale di Parigi. Medico e appassionato di storia naturale, Sir Hans Sloane da giovane aveva stretto amicizia con il fisico Robert Boyle e con il botanico John Ray e, inoltre, aveva seguito i corsi tenuti al Jardin du Roi da Tournefort e dall'anatomista Joseph-Guichard Duverney. Nel 1685, Sloane entrò a far parte della Royal Society e, nel 1687, si recò in Giamaica, dove lavorò per due anni come medico del nuovo governatore. Rientrato a Londra, si dedicò con successo alla pratica della medicina, rivestendo la carica di presidente della Royal Society dal 1727 al 1741. Nel corso di tutta la vita Sloane aveva collezionato oggetti, fino a mettere insieme uno dei più grandi e ricchi cabinets europei, che includeva una biblioteca, un gran numero di monete, di oggetti antichi, di stampe e di disegni, e soprattutto ogni sorta di prodotti naturali ‒ resti umani, di vertebrati, di invertebrati, di insetti, di minerali, di fossili e di piante ‒, per un totale di molte centinaia, se non migliaia, di pezzi. A giudicare dalle testimonianze dei contemporanei, sembra che sia gli studiosi stranieri sia i curiosi potessero facilmente avere accesso a questo cabinet.

Nell'ultima versione del suo testamento, Sloane nominò più di cinquanta esecutori testamentari, incaricandoli di proporre al re l'acquisto della sua collezione per la somma di 20.000 sterline, vale a dire per meno di un quarto del suo effettivo valore. Nel caso in cui la transazione non fosse stata portata a termine entro l'anno, l'acquisto della collezione doveva essere proposto alle Accademie delle Scienze di San Pietroburgo, di Parigi, di Berlino e di Madrid, di cui Sloane era stato membro; ogni accademia disponeva di un anno per giungere a una decisione. In caso di rifiuto generalizzato, gli esecutori dovevano vendere la collezione al più presto e alle migliori condizioni possibili. Un codicillo redatto nel 1739 e riproposto in forma diversa dieci anni più tardi giustificava, attraverso una serie di argomenti religiosi, il desiderio di Sloane di assicurare la conservazione di tutta la collezione e di garantirne l'accessibilità al pubblico anche dopo la sua morte. L'ultima stesura di questo testo merita di essere citata per esteso, poiché mette in luce il significato religioso allora attribuito allo studio della Natura, a sua volta direttamente legato a un approccio utilitaristico:

Avendo mostrato sin dalla giovinezza una forte inclinazione per lo studio delle piante e di tutti gli altri prodotti della Natura; e avendo raccolto nel corso di molti anni con grande fatica e spesa qualsiasi cosa rara o curiosa reperibile nel nostro paese o in paesi stranieri; ed essendo profondamente convinto che niente tende a elevare le nostre idee più del potere, della saggezza, della bontà, della provvidenza e delle altre perfezioni di Dio, e che niente contribuisce al conforto e al benessere delle sue creature più dell'ampliamento della conoscenza delle opere della Natura, dichiaro di volere e desiderare, per la promozione di questi nobili scopi, per la gloria di Dio e per il bene degli uomini, che la mia collezione in tutte le sue parti possa essere, se è possibile, mantenuta insieme e preservata nella sua integrità […] e che la stessa possa essere di tanto in tanto visitata e osservata da tutte le persone desiderose di vederla ed esaminarla, nel rispetto degli statuti, delle direttive, delle regole e degli ordini che promulgherò […]. (Caygill 1994, p. 47)

L'11 gennaio del 1753 Sloane morì e sedici giorni più tardi si riunirono per la prima volta gli esecutori testamentari. Il 19 marzo dello stesso anno, dopo una serie di trattative riservate, nel parlamento inglese si aprì un dibattito sull'avvenire della collezione Sloane; al termine della discussione fu approvata una mozione secondo cui "l'onore e l'interesse di questo paese richiederebbero l'accettazione del lascito di Sir Hans Sloane". Sullo slancio di questa iniziativa, si decise inoltre di comprare la collezione di manoscritti di Edward Harley e di risolvere il problema del finanziamento di queste spese attraverso l'organizzazione di una lotteria. Non sappiamo chi suggerì di chiamare l'istituzione che avrebbe ospitato queste collezioni 'The British Museum', né in quale occasione. In ogni caso, questo nome appare già nel titolo dell'atto firmato dal re il 7 giugno 1753, che le conferiva un'esistenza ufficiale, stabilendo le norme che ne avrebbero regolato le attività per più di due secoli. Non erano ancora trascorsi cinque mesi dalla morte di Sloane.

Così, all'inizio degli anni Cinquanta del XVIII sec., le due più grandi capitali europee furono dotate dalle autorità supreme dei loro rispettivi Stati di cabinets pubblici di storia naturale; in origine, infatti, era proprio questa la funzione del British Museum. L'esempio di Parigi e di Londra fu ben presto seguito da altre città. Nel 1755, il cabinet di storia naturale di Dresda, che da quasi trent'anni occupava una posizione particolare all'interno delle collezioni reali sassoni, fu presentato a un pubblico cosmopolita e quindi francofono. Nel 1764, il Palatinato compì un'operazione analoga, pubblicando la descrizione del cabinet di Mannheim. Nel 1771, a Madrid fu fondato il cabinet reale di storia naturale. A Firenze, il riordinamento delle collezioni dei Medici, passate agli Asburgo-Lorena che dal 1737 regnavano sul Granducato di Toscana, diede luogo nel 1775 alla creazione di un cabinet di fisica e storia naturale, di cui, nel corso dello stesso anno, fu dato alle stampe un catalogo. Questi dati non costituiscono che un elenco parziale.

Tali iniziative erano rappresentative del cambiamento di posizione della scienza all'interno della cultura, un processo iniziato tra il 1680 e il 1720 che, come hanno dimostrato le indagini di Margaret C. Jacob (1976, 1988), appare inseparabile tanto dalla diffusione della fisica newtoniana, quanto dalla teologia elaborata per completarla. Il completamento teologico era volto a svelare la presenza divina sia nell'intima struttura sia nell'articolazione globale dei fenomeni naturali, che divenivano intelligibili soltanto a condizione di fare appello all'onnipotenza e all'infinita saggezza del Creatore dell'Universo. Questo nuovo atteggiamento nei confronti della scienza e della Natura si trasmise dall'Inghilterra al Continente attraverso le Province Unite, dove i giornali e le edizioni in lingua francese erano un veicolo privilegiato della sua diffusione e dove i naturalisti, proprio come i loro colleghi inglesi, costituivano un esempio di armoniosa fusione di rigore scientifico e profonda religiosità.

È in questo quadro che la storia naturale fu elevata al rango di disciplina filosofica: essa, infatti, divenne il terreno in cui la visione teista del mondo e il libero pensiero, se non il materialismo nelle sue diverse forme, finirono per scontrarsi. Se questo dibattito coinvolgeva gli individui e le confessioni, gli Stati avevano altre preoccupazioni, ben più prosaiche. La necessità di uscire vittoriosi dai conflitti che in pace e in guerra li opponevano ai loro rivali, li spinse a innescare un processo di secolarizzazione della politica; un sintomo di ciò può essere ravvisato nel rilievo accordato al principio di utilità e, in particolare, alla scoperta di nuove risorse naturali così come alla ricerca di metodi più efficaci di sfruttamento di quelle già conosciute. La promozione della storia naturale da parte delle burocrazie statali non è che una delle conseguenze della nuova importanza ormai riconosciuta all'economia, sanzionata sul piano concettuale dalla Kameralistik tedesca e dalla fisiocrazia francese.

Grazie al crescente rilievo accordato alla storia naturale, un numero sempre maggiore di naturalisti poté avvalersi di opportunità fino ad allora impensabili. Essi furono assunti dalle amministrazioni statali per lavorare all'interno dei giardini botanici e dei cabinets, come insegnanti o in qualità di funzionari, con il compito di migliorare ‒ mettendo a profitto le loro conoscenze ‒ l'agricoltura, la silvicoltura, l'allevamento, il rendimento delle miniere, nonché di ricercare nuovi minerali e di sviluppare le tecniche metallurgiche. I naturalisti inoltre iniziarono a ricevere uno stipendio dalle accademie delle scienze, a ricavare utili e a ottenere riconoscimenti, spesso convertibili in moneta, dalla pubblicazione dei loro lavori e dalla partecipazione a grandi imprese editoriali. Naturalmente questa situazione favorì l'aumento del numero di coloro che potevano dedicarsi esclusivamente o prevalentemente ai lavori di ricerca, determinando così l'innalzarsi del livello di specializzazione e di competenza tecnica.

Il 'cabinet' come strumento scientifico

Nel corso del periodo compreso tra il XVI sec., che vide la nascita dei cabinets di storia naturale italiani, e il XVIII sec., durante il quale essi si diffusero in tutti gli strati colti e agiati delle società europee, il contenuto dei cabinets subì un profondo cambiamento. In un primo momento, questo processo fu determinato ‒ è necessario insistere su questo punto ‒ dal massiccio e costante afflusso di prodotti esotici, provenienti soprattutto dalle regioni tropicali, la cui esplorazione proseguì nel corso di tutto il XVIII sec. e, in particolare, dall'area dell'Oceano Pacifico ‒ da cui le spedizioni britanniche e francesi riportarono oggetti e resoconti che ebbero un forte impatto sulla cultura europea ‒ dall'America Meridionale, dalle Indie e, anche se in misura molto ridotta, dall'Africa subsahariana. Nel XVIII sec., giunsero anche prodotti esotici provenienti dalle regioni settentrionali e orientali: dal Canada, dalla Lapponia, dalla Siberia, dove un mammut e un rinoceronte furono rinvenuti perfettamente conservati nel ghiaccio, come dalla penisola della Camciatca e dalla Cina.

Gli oggetti raccolti dai membri delle spedizioni scientifiche entravano quasi sempre a far parte delle collezioni dei cabinets posseduti o gestiti dalle società erudite, benché, a volte, circolassero in forma di doni o merci. Infatti tali oggetti erano raccolti non solo dai ricercatori, ma anche dai marinai, dai commercianti e dai viaggiatori, che finivano per metterli in vendita. Comunque la maggior parte dei prodotti esotici era conservata nei grandi cabinets, quasi sempre situati nelle capitali o nelle città universitarie dei paesi impegnati nella colonizzazione o nel commercio d'oltremare. Fu uno sviluppo completamente diverso che impresse una svolta decisiva al cambiamento del contenuto dei cabinets, favorendo, al tempo stesso, la loro diffusione anche nelle piccole città e a volte persino tra i curati e i pastori dei borghi agricoli.

In effetti, a partire dalla fine del XVII sec., si scoprì gradualmente che per studiare la Natura non era necessario intraprendere lunghi viaggi per mare, ma poteva essere sufficiente raccogliere, descrivere, denominare e classificare i prodotti naturali che si trovavano anche in luoghi raggiungibili nel corso di una passeggiata nei campi o di un'escursione, perlustrando foreste e montagne, stagni e corsi d'acqua. Ciò vale soprattutto per le piante, di cui si scoprirono esemplari sconosciuti erborizzando nei dintorni dei propri luoghi di residenza; così, nel corso del secolo, si registrò un aumento del numero delle pubblicazioni in cui era inventariata la flora di un dato sito, di una determinata regione o dei dintorni di una città.

Le stesse osservazioni possono essere applicate al caso degli insetti che, a partire dagli anni Trenta del XVIII sec., suscitarono un crescente interesse, in parte alimentato dai Mémoires di René-Antoine Ferchault de Réaumur (1683-1757). Come ha sottolineato Henri Daudin (1926), nel XVIII sec. l'entomologia era l'unica branca della zoologia ad aver raggiunto un livello comparabile a quello della botanica, perché si avvaleva di efficaci metodi di raccolta e conservazione di organismi animali interi, grazie ai quali questi potevano essere studiati allo stesso modo delle piante. Degli uccelli, i cabinets conservavano soltanto becchi, piume, artigli e scheletri; gli sforzi compiuti da Réaumur per elaborare tecniche capaci di mantenere integri gli organismi, in modo da formare una collezione che favorisse il progresso dell'ornitologia, in fin dei conti si rivelarono vani: gli esemplari raccolti dallo studioso, infatti, erano ridotti in polvere già al momento della sua morte. Analoghe difficoltà presentava la conservazione di mammiferi e rettili, di cui i cabinets custodivano in genere soltanto le parti dure (ossa, corna, denti e scaglie); talvolta erano utilizzati esemplari impagliati, che presto sarebbero stati assaliti dalle tarme. La situazione non cambiava per gli invertebrati acquatici, rappresentati soltanto da conchiglie e carapaci. Dunque si spiega il tacito privilegio accordato alle collezioni di insetti che, peraltro, a volte esercitavano un certo fascino anche per i loro colori, come nel caso delle farfalle ‒ molto ricercate dai curiosi della Natura che disponevano di modeste risorse finanziarie ‒ o delle conchiglie, soprattutto esotiche, che mandavano in estasi gli appassionati in grado di acquistarle.

Lo spostamento dell'attenzione da ciò che era straordinario a ciò che era comune, dall'esotico al vicino, condizionò anche l'interesse per gli oggetti che provenivano dal suolo come le rocce, i minerali e i fossili; tale interesse crebbe costantemente nel corso di tutto il XVIII secolo. I collezionisti erano orgogliosi di possedere esemplari particolarmente belli e ben conservati e seguitarono a cercare cristalli e gemme, che incantavano per le forme straordinarie, per il loro splendore e per i loro colori. Tuttavia molti iniziarono a collezionare anche esemplari di rocce privi di caratteristiche spettacolari, ma che potevano rivelarsi utili o potevano contribuire al progresso delle conoscenze. L'interesse per i minerali nel senso ampio del termine, come era accaduto nel caso delle piante e degli insetti, favorì lo studio della Natura nelle sue manifestazioni più comuni, contribuendo a istituire cabinets anche dove in precedenza nessuno avrebbe pensato di crearne.

Il cambiamento del contenuto dei cabinets riguarda sia quelli degli appassionati di storia naturale sia quelli degli specialisti, che si distinguevano nettamente dai primi soprattutto per la quantità degli oggetti che raccoglievano. A eccezione dei membri dell'aristocrazia, dell'alta finanza e del patriziato urbano, che spesso avevano al loro servizio un naturalista, gli appassionati possedevano in genere cabinets più piccoli rispetto ai professionisti dello studio della Natura, che accumulavano prodotti naturali, soprattutto esotici, in grandi quantità e che potevano procurarseli in molti modi, per esempio partecipando alle spedizioni. È indicativo quanto scrive Michel Adanson che, dopo aver trascorso cinque anni (dal 1749 al 1754) in Senegal dedicandosi allo studio della flora locale e degli invertebrati, pubblica la sua testimonianza nel Cours d'histoire naturelle fait en 1772:

In storia naturale per eseguire efficaci dimostrazioni, bisogna essere in grado di far vedere gli oggetti di cui si descrivono le qualità. Un lavoro ininterrotto di sedici, diciotto ore al giorno per trent'anni, sin dall'età di quattordici anni, mi ha permesso di mettere insieme una collezione unica in questo campo costituita da circa 15.000 specie di piante che compongono il mio erbario, da 6000 specie di semi, da 2000 qualità di legno, da 6000 minerali, da 400 coralli e madrepore, da 3000 specie di conchiglie, da 6000 specie di insetti e da 300 pesci, senza contare 200 crostacei, 20 serpenti, 20 rettili, 200 uccelli, 5 cetacei e 100 quadrupedi. Ho arricchito questa collezione di tutte le figure che sono state pubblicate sulla storia naturale e che superano il numero di 100.000; le ho scorporate dalle diverse opere per accostarle e classificarle in base al mio metodo delle famiglie […]. Ho ritenuto di dover presentare all'assemblea il resoconto dei mezzi a mia disposizione, grazie ai quali potrò esporre, durante questo corso, tutte le conoscenze esistenti nel campo della storia naturale. (I, pp. 20-21)

A quanto sembra, Adanson presentò una stima esagerata del numero dei pezzi contenuti nel suo cabinet. Questa tendenza a esagerare nasceva dal bisogno di ostentare le sue cognizioni di naturalista e di legittimare le sue asserzioni. Infatti erano diversi anni che Adanson non pubblicava alcun lavoro ‒ il trattato Familles des plantes risaliva al 1763 ‒ e l'ambito in cui egli diffondeva le sue cognizioni di storia naturale era un corso a pagamento, tenuto nel 1772 nella sua residenza, annunciato da affissioni e comunicati stampa, e seguito, a quanto sembra, da settanta persone. Ovviamente, per Adanson il cabinet era anche un importante strumento di ricerca, grazie al quale poté approfondire le sue riflessioni sui confini dei tre regni della Natura, che in seguito avrebbero dato luogo alla compilazione di un'enciclopedia. Si arriva così a un cambiamento, parallelo a quello del contenuto, che a partire dagli ultimi decenni del XVII sec. interessò i cabinets di storia naturale, favorendo l'introduzione di una nuova cornice di classificazione degli oggetti visibili. È nel corso di questo processo che si definirà una netta linea di demarcazione tra i cabinets dei naturalisti e quelli degli appassionati, che iniziarono a distinguersi dai primi non tanto per il numero degli oggetti contenuti, quanto per la disposizione dell'insieme, per il modo di classificare ed esporre gli oggetti. Ciò appare evidente nel caso delle conchiglie, che possono essere considerate gli oggetti da collezione per eccellenza. È interessante, a questo proposito, quanto scrive Antoine-Joseph Dezallier d'Argenville (1680-1765) nel trattato La conchyliologie:

Per quanto riguarda la disposizione [delle] conchiglie bisognerà segnalare alcuni dettagli. I naturalisti le dispongono per classi e famiglie; è incontestabilmente il modo più efficace e metodico. In base a questo principio, essi mescolano le conchiglie grossolane con quelle belle, le grandi con le piccole, così da affaticare a volte lo sguardo; ma quest'ordine metodico, che presenta sempre allo spirito una sapiente distribuzione, deve essere preferito all'ordine simmetrico […]. I curiosi, al contrario, cedendo in tutto al piacere degli occhi, sacrificano l'ordine metodico, creando compartimenti diversificati, sia per la forma delle conchiglie sia per i loro colori; l'effetto è affascinante ed è lo spettacolo più bello che si possa immaginare: incantati da questo aspetto, gli uni creano gallerie, ferri di cavallo, aiuole, piattabande che, come le aiuole, svolgono la funzione di cassetti e sono esposte in bella vista; gli altri le chiudono nei cassetti dei loro armadi. (p. 191)

Questa distinzione tra i cabinets dei naturalisti e quelli dei curiosi corrisponde a quella esistente tra soddisfazione intellettuale e piacere visivo, tra ordine metodico e ordine estetico, e sottolinea la superiorità dei primi. Il caso delle conchiglie, benché illustri con grande chiarezza la differenza tra i due tipi di cabinets, non costituisce un'eccezione. Le stesse osservazioni si potrebbero riferire alle collezioni botaniche, entomologiche, mineralogiche e così via. A partire dall'inizio del XVIII sec., la ricerca di un ordine non arbitrario, in grado di mettere in luce le relazioni esistenti tra i prodotti naturali attraverso criteri desunti dalla Natura stessa, divenne per i naturalisti un obiettivo prioritario, indipendentemente dall'area dei loro interessi.

In effetti, l'afflusso di nuovi materiali, sia esotici sia familiari, aveva reso sempre più urgente la risoluzione del problema della distribuzione dei prodotti naturali all'interno delle differenti categorie e dei rapporti tra queste ultime, tanto più che l'antico schema destinato a esplicitare l'ordine del mondo visibile, e quindi a consentire la classificazione di tutti gli oggetti in esso inclusi, non era sopravvissuto all'avvento della fisica e della filosofia moderne. In questo schema tutti gli oggetti visibili erano ricondotti a quattro categorie, ciascuna delle quali corrispondeva a un elemento invisibile e trascendente e quindi ben distinto dal suo omologo accessibile ai sensi: i minerali (nel senso ampio del termine) erano la materializzazione della terra (freddo e secco); le piante, i vermi, i rettili e i pesci erano riconducibili all'acqua (freddo e umido); i quadrupedi e gli uccelli, all'aria (caldo e umido); infine i prodotti dell'abilità umana, e in particolar modo gli oggetti metallici e di vetro, al fuoco (caldo e secco). Nessun oggetto visibile materializzava un solo elemento, ma erano tutti costituiti da combinazioni di elementi. Così, gli oggetti appartenenti a ogni categoria erano ordinati in base a una precisa gerarchia, a seconda della presenza, più o meno pronunciata, delle qualità costitutive degli elementi, che potevano essere lette nei loro colori, nelle loro forme e nei luoghi in cui abitualmente si trovavano; le categorie erano a loro volta ordinate in modo tale da corrispondere alla gerarchia degli elementi stessi.

Su questi temi furono eseguite innumerevoli variazioni, ma ciò esula dalla nostra analisi. Prenderemo in esame solo le conseguenze che questa classificazione ebbe sull'organizzazione dei cabinets. Tra le più importanti, ricorderemo la convinzione secondo cui un cabinet non era completo se non era provvisto di manufatti: in questo caso, infatti, sarebbe stato privo delle materializzazioni del fuoco. Ciò equivale a dire che lo schema dei quattro elementi privilegiava le collezioni enciclopediche. Esso inoltre induceva a considerare gli oggetti in funzione dell'importanza degli elementi che rappresentavano: quelli riconducibili alla terra subirono quindi una relativa svalutazione rispetto a quelli legati al fuoco, a cui fu assegnata una posizione privilegiata. In terzo luogo, tale schema portò ad accordare la priorità agli oggetti che sembravano assicurare la transizione da una categoria all'altra e quindi la continuità della catena degli esseri, come, per esempio, il corallo e l'ambra, che occupavano una posizione intermedia tra l'acqua, la terra e il fuoco; i bezoar (concrezioni che si formano nell'apparato digerente dei ruminanti), situati a metà strada tra la terra e l'aria; i cristalli e le 'pietre figurate', che si trovavano tra la terra e il fuoco, e così via.

La gerarchia dei quattro elementi rappresentava soltanto la parte meno elevata rispetto a quella che inglobava tutto l'essere: al di sopra vi era il quinto elemento da cui era costituito il cielo incorruttibile. E ancora più in alto, al di sopra della Natura assimilata alla spontaneità formatrice, la gerarchia invisibile degli spiriti si elevava verso Dio che troneggiava alla sua sommità, in una posizione esterna rispetto al Creato. In questa prospettiva, gli oggetti visibili non erano una semplice combinazione dei quattro elementi ma, come ogni fenomeno visibile ‒ in particolare, eclissi, terremoti e comete ‒, recavano le tracce dell'intervento degli esseri sovrannaturali nei processi naturali, e persino messaggi destinati agli uomini. Questi oggetti, per definizione straordinari, eccezionali, mostruosi e rari, dimostravano così, indipendentemente dalla loro composizione, di essere superiori agli oggetti familiari, ordinari, normali o comuni. La gerarchia della rarità si trovava dunque a interferire con quella degli elementi. In entrambi i casi, tuttavia, l'ordinamento degli oggetti richiedeva uno sguardo condizionato da presupposti a priori, presi a prestito dalla tradizione erudita e dalle convinzioni religiose.

Con l'abbandono della teoria dei quattro elementi ‒ che permetteva di assegnare a ogni oggetto visibile una precisa posizione all'interno della catena degli esseri ‒ a vantaggio della ripartizione dei prodotti naturali nei tre regni, minerale, vegetale e animale, non ci si limitò a sostituire un sistema di classificazione con un altro, ma si rifiutò un sapere millenario e con esso i suoi più autorevoli esponenti, fino ad allora presi a modello. La nuova ripartizione degli oggetti visibili era fondata sul principio della netta distinzione tra naturale e sovrannaturale da un lato, e tra Natura e storia umana dall'altro. In effetti, la Natura era retta da leggi analoghe a quelle formulate da Newton ed era sede di una regolarità che neppure Dio poteva sovvertire, non perché non fosse presente nella Natura, ma perché si manifestava in essa come autore del corso ordinario delle cose, dell'ordine e dell'armonia dell'Universo nel suo insieme e delle sue più piccole particelle. La regolarità, l'ordine e l'armonia contrapponevano la Natura alla storia umana, intesa come regno della libertà, anche se non dell'arbitrarietà.

Non è difficile valutare le conseguenze della nuova idea di Natura per quanto riguarda il contenuto e l'organizzazione dei cabinets. Essa indusse a invalidare definitivamente l'antico modello del cabinet enciclopedico che, accanto ai prodotti della Natura, custodiva frutti dell'abilità umana e tracce degli interventi considerati sovrannaturali. Ormai, l'esistenza di questo tipo di cabinet era ingiustificabile; sopravvissero soltanto un certo numero di quelli situati nelle regioni più remote e arretrate e quelli abbandonati a sé stessi. Nel corso del XVIII sec., quasi tutti gli antichi cabinets enciclopedici furono ristrutturati in base alle nuove esigenze secondo cui tra i prodotti della Natura e le opere dell'ingegno umano, che rientravano nel campo della storia, doveva essere tracciata una netta linea di demarcazione che, tuttavia, non coincideva con quella che separava gli uomini dagli animali. Si riteneva, infatti, che i 'selvaggi' facessero parte della Natura, una condizione ‒ invidiabile secondo alcuni e detestabile per altri ‒ che fu loro assegnata in base alla constatazione che se fossero vissuti nella storia si sarebbero civilizzati.

La nuova idea di Natura favorì la svalutazione cognitiva degli oggetti eccezionali e rari, in cui non si scorgevano più le tracce degli interventi sovrannaturali. L'interesse che essi seguitarono a suscitare non era ormai giustificato da considerazioni teologiche, ma da argomenti di carattere economico, secondo cui un oggetto eccezionale o raro era più prezioso di uno comune, perché per procurarsi il primo bisognava intraprendere enormi sforzi, mentre il secondo poteva essere ottenuto senza alcuna fatica. A prescindere da questo tipo di considerazioni, la nuova idea di Natura tendeva a porre in risalto ciò che era regolare, frequente e comune, e in questo senso condizionò sia lo sguardo degli eruditi sia quello degli appassionati, rendendoli più sensibili nei confronti dei prodotti naturali, fino ad allora trascurati, e provocando così i cambiamenti nel contenuto delle collezioni descritti in precedenza.

Parallelamente, la nuova idea di Natura indusse a considerare in modo diverso i prodotti straordinari o mostruosi. Essi non erano che deviazioni apparenti dalla regolarità che caratterizzava i prodotti naturali; di conseguenza dovevano essere ricondotti alla Natura, dimostrando che in certe circostanze, e sotto l'influenza di certi fattori, essa generava esseri solo apparentemente aberranti. L'interesse per i prodotti straordinari e mostruosi non si spense, ma risentì di un profondo cambiamento di motivazioni e di orientamento. Fu rinnovato il repertorio delle questioni, che iniziarono a imperniarsi non sull'unicità manifesta di un evento, ma sulle regolarità a esso soggiacenti, e non sul significato di una rottura nel corso ordinario delle cose, ma sulle cause di questa apparente rottura.

Le stesse osservazioni possono essere applicate agli esseri intermedi che assicuravano la continuità della catena degli esseri: le litofite, che si trovavano tra i minerali e i vegetali, e gli zoofiti, situati tra i vegetali e gli animali. Questi esseri seguitarono a suscitare interesse, ma non ci si accontentò più di constatare la loro appartenenza simultanea a due diverse categorie di prodotti naturali. Si tentò, invece, di dimostrare che essi erano, a seconda dei casi, semplici minerali, vegetali o animali. In questo senso, il caso del corallo può essere considerato esemplare: conosciuto già da molto tempo grazie alle camere delle meraviglie e ai cabinets di curiosità, ai racconti fantastici e alla pittura, ricco di significati simbolici, esercitava sempre un grande fascino, anche perché fino alla seconda metà del XVIII sec. non si era ancora accertata la sua appartenenza a uno dei tre regni. Ma questa incertezza che fino ad allora sembrava giustificata, non poteva più essere tollerata e il corallo finì per essere assegnato in modo univoco al regno animale.

L'abbandono dello schema dei quattro elementi non era che una delle conseguenze della nuova idea di Natura, che faceva a meno di ogni entità trascendente inaccessibile all'indagine visiva, all'osservazione e alla sperimentazione. Soltanto queste pratiche erano considerate in grado di fornire i criteri di classificazione degli esseri e delle cose appartenenti alla Natura. L'indagine visiva permetteva di dividere i prodotti naturali in base al loro comportamento osservabile. È questo il significato della celebre formula enunciata nel Systema naturae (1744) di Linneo, che giustifica la ripartizione di questi prodotti nei tre regni e secondo la quale le pietre crescono, i vegetali crescono e vivono, gli animali crescono, vivono e sentono. Inoltre, l'indagine visiva permetteva di distinguere i prodotti naturali, appartenenti a ciascuno dei tre regni, in base alle loro forme e ad altre qualità sensibili o in base ai luoghi in cui erano stati trovati, definiti in diverse maniere; è evidente che, in tal modo, pur richiamandosi apparentemente alle antiche classificazioni, si attribuiva loro un nuovo significato.

A partire dagli anni Sessanta del XVIII sec., la divisione nei tre regni sarà oggetto di una serie di critiche. Verso la fine del secolo, essa dovette sostenere il confronto con la distinzione tra organico e inorganico, tra la vita in tutte le sue forme e l'assenza di vita. Resta il fatto che, nel corso del XVIII sec., ci si richiamò a questa divisione per conferire un ordine ai cabinets di prodotti naturali e, in alcuni casi, alle loro descrizioni. Inoltre, i due gruppi di questioni sollevate orientarono una parte tutt'altro che trascurabile della ricerca: il primo riguardava i confini tra i tre regni, argomento di cui abbiamo già parlato; il secondo era incentrato sulla classificazione dei prodotti naturali all'interno di ciascuno dei tre regni e, in particolare, sulla classificazione degli esseri viventi e sulle affinità che consentivano di riunire le specie in unità tassonomiche più ampie ‒ generi, ordini e classi ‒ problema che troverà una soluzione soltanto molto più tardi.

I cabinets erano i luoghi privilegiati per individuare le divisioni che la Natura stessa introduceva tra i prodotti dei tre regni. In effetti, essi permettevano di confrontare gli oggetti, incluse le piante raccolte negli erbari, facilitando l'individuazione delle affinità e delle differenze e la valutazione del loro peso relativo. Ma l'indagine visiva, che era quasi l'unico strumento cui si ricorreva per conseguire questo scopo, benché metodica e tendente all'esaustività, rimaneva pur sempre limitata all'apparenza esterna e macroscopica degli oggetti studiati, dal momento che, per quanto riguardava i prodotti della terra, essa consentiva di ripartirli solamente in base alle forme, alla consistenza e alle loro reazioni all'acqua e al fuoco. L'applicazione del primo criterio aveva già portato Niels Steensen (Stenone, 1638-1686) a stabilire che i fossili dovevano essere considerati a parte, perché erano spoglie di animali e di vegetali. Si tendeva ad assegnare una posizione a sé stante anche ai cristalli, in virtù della regolarità delle loro forme. L'applicazione degli altri due criteri portava a distinguere questi prodotti in terre, pietre e minerali, che a loro volta erano divisi in sali, zolfi (bitume, sostanze infiammabili) e metalli; ognuna di queste categorie includeva molte suddivisioni. In questo caso ci è sembrato opportuno semplificare, prescindendo dalle differenze riscontrabili nei diversi autori e sottolineando ciò che li accomuna, ossia l'impiego dei criteri imposti dall'indagine visiva anche se, come vedremo, essi non erano gli unici a essere applicati.

Per quanto riguarda i vegetali, bisognava classificarne gli esemplari nelle diverse categorie, tenendo conto unicamente delle caratteristiche "sensibili e individuabili senza essere costretti a ricorrere al microscopio". Questa indicazione di Tournefort, riproposta da Linneo nel suo autorevole libro sulle classi delle piante, condizionò a lungo non soltanto il lavoro dei botanici, ma anche quello degli zoologi e dei mineralogisti, confinandoli, per così dire, nel campo del 'visibile'. Nel caso degli animali, di cui quasi sempre si possedevano unicamente le parti dure, molto spesso ridotte in frammenti, era possibile studiare le forme ricorrendo soltanto a descrizioni e figure che consentivano progressi molto limitati. Comunque, anche nei casi in cui si era in possesso di preparazioni conservate nello spirito d'uva, si evitava di eseguire dissezioni nel timore di distruggerle. Indicativo di questo atteggiamento è il fatto che non si studiavano i molluschi, ma le conchiglie. Benché Adanson e altri studiosi avessero sottolineato che le conchiglie erano meno importanti degli animali a cui appartenevano, la disciplina chiamata 'conchiliologia' seguitò a essere praticata non solo dagli appassionati, ma anche da molti autorevoli studiosi.

A questo punto, emerge il duplice limite dei cabinets di storia naturale come strumenti scientifici che consentissero di raffrontare e classificare i prodotti della Natura. Essi cessarono di svolgere questo ruolo quando le necessità della ricerca entrarono in contrasto con l'esigenza di preservare integre le collezioni e di tenere conto, nel classificare gli oggetti, soltanto delle loro caratteristiche distintive individuabili a occhio nudo. In altri termini, il loro destino era legato a quello dell'indagine visiva come principale strumento dello studio della Natura.

Negli ultimi decenni del XVIII sec., i naturalisti fecero sempre più frequentemente ricorso all'osservazione, alla sperimentazione e alla ricostruzione. Nel 1808 Cuvier, nel trattato Chimie et sciences de la nature, affermò che "la storia naturale […] sulla quale il pubblico e persino gli eruditi hanno ancora idee piuttosto vaghe, inizia a essere riconosciuta per quello che realmente è, vale a dire come una scienza, il cui oggetto è quello di impiegare le leggi generali della meccanica, della fisica e della chimica, per spiegare i fenomeni particolari che si manifestano nei diversi corpi naturali" (p. 110).

Furono così applicati ai prodotti naturali criteri di classificazione non più derivanti dall'indagine visiva. I minerali furono classificati in base alla loro composizione chimica, che poteva essere svelata solamente attraverso la distruzione degli esemplari studiati e l'utilizzazione di strumenti di misura. Gli animali furono divisi in classi a partire dalla loro struttura anatomica, così come appariva al microscopio; di conseguenza gli esemplari dovettero essere estratti dai vasi in cui erano conservati ed esposti per essere dissecati e quindi furono in gran parte distrutti. I fossili, invece, furono classificati in base agli organismi da cui derivavano, ossia, in ultima analisi, in base all'anatomia comparata, e, allo stesso tempo, furono inseriti in serie temporali, ricostruite grazie alla presenza di fossili in strati sovrapposti, di cui poteva essere dedotto l'ordine di successione. L'età dell'oro dei cabinets volgeva al termine. Si apriva quella dei laboratori e dell'indagine sul campo.

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