La civiltà islamica: osservazioni, calcolo e modelli in astronomia. La trasmissione dell'astronomia araba nel mondo bizantino

Storia della Scienza (2002)

La civilta islamica: osservazioni, calcolo e modelli in astronomia. La trasmissione dell'astronomia araba nel mondo bizantino

Efthymios Nicolaïdis

La trasmissione dell'astronomia araba nel mondo bizantino

Il primo periodo: la ricezione delle tavole astronomiche

I primi riferimenti all'astronomia araba in un testo bizantino si trovano nell'opera di Stefano l'Astrologo, o Stefano il Filosofo, noto anche come Stefano di Alessandria (da non confondere con il suo omonimo, contemporaneo dell'imperatore Eraclio). Di questo autore sono conservati tre testi: un trattato astrologico che contiene un oroscopo (themátion) della nascita dell'Islam e una serie di predizioni sul suo sviluppo; un trattato sull'arte matematica (si intende astronomia) e sui popoli che la utilizzano; un testo astrologico sulle proprietà e le relazioni dei corpi celesti. La prima opera porta una falsa datazione all'anno 621, così da poter essere attribuita al noto filosofo dell'epoca di Eraclio e godere in tal modo di una maggiore veridicità, dal momento che le 'predizioni' tra il 621 e il 775 sono corrette. Poiché le successive sono false, questa seconda data è da considerarsi quella di redazione del testo. Tale datazione e l'identificazione dell'autore con quello del trattato sull'arte matematica sono essenziali per affermare che i Bizantini hanno accolto la scienza astronomica araba fin dalla sua nascita e durante il periodo iconoclasta bizantino. Infatti, in questo testo l'autore attribuisce a Costantinopoli una latitudine adottata dagli astronomi arabi (a metà del quinto clima), che non corrisponde a quella di Tolomeo (al limite tra il quinto e il sesto); parla dei neṓteroi (i nuovi astronomi, in rapporto agli antichi, cioè i Greci), che utilizzano gli anni dei sovrani persiani e gli anni arabi; dichiara infine che le tavole di Tolomeo comportano un errore di 5° per il Sole e critica la scarsa praticità del calendario in uso. Tutto ciò sembra suggerire che egli avrebbe adattato in greco e per Costantinopoli alcune tavole di origine persiana o araba (del resto, nel primo capitolo, Stefano indica che è appena tornato dalla Persia).

Stefano non è ignorato dai suoi contemporanei arabi: è infatti citato da Abū Ma῾šar (171-272/787-886) e da un trattato anonimo dell'epoca di al-Ma᾽mūn, e uno dei suoi testi è catalogato in una lista araba di libri astrologici. In questo periodo gli Arabi sono molto aperti agli astrologi bizantini e li accolgono volentieri, come nel caso di Teofilo di Edessa (m. 785), che fu astrologo capo del califfo al-Mahdī (158-169/775-785); più tardi, sarà invece la corte bizantina ad accogliere astrologi arabi. Resta però un punto oscuro nel testo di Stefano: nessuna delle antiche tavole arabe risalenti alla fine dell'VIII sec. fornisce per il Sole una differenza di longitudine di 5° rispetto a Tolomeo. Stefano avrebbe potuto a quest'epoca osservare un errore occasionale di tale portata ma, da un lato, il testo dice "riguardo all'esattezza" e non "riguardo all'osservazione" mentre, dall'altro, va notato che tra i Bizantini non era diffusa la 'cultura' dell'osservazione. È possibile dunque che questo trattato sia un falso composto in epoca più tarda.

Il secondo testo bizantino a noi giunto, in cui si trovano riferimenti all'astronomia araba, risale a un secolo e mezzo dopo. Il X e l'XI sec. sono contrassegnati da una rinascita intellettuale nota come 'primo Umanesimo bizantino', che promuove uno studio rinnovato dei testi antichi. Questo interesse per l'Antichità greca ‒ ininterrotto per tutta la durata di questo Impero ‒ ha talvolta ostacolato la penetrazione di una cultura scientifica 'straniera', quale la scienza araba. I Bizantini, benché si considerassero i detentori di un sapere profano ineguagliato, quello degli antichi Greci, e ritenessero che le scienze degli altri popoli (éthnē) fossero inferiori, si aprirono molto rapidamente alle conoscenze 'tecniche' dell'astronomia contenute nelle tavole astronomiche, poiché quelle della tradizione tolemaica (in particolare le Tavole manuali secondo il commento di Teone di Alessandria) presentavano con il passare del tempo spostamenti sistematici. In realtà, le tavole di tradizione araba adattate dai Bizantini nel corso dei secoli presentavano spostamenti sistematici non minori di quelle provenienti dalla tradizione greca; tali spostamenti erano dovuti, però, più agli errori di adattamento dei Bizantini che all'imperfezione delle tavole stesse.

In margine a una splendida copia del IX sec. dell'Almagesto, il Vat. gr. 1594, si trova uno scolio databile al XII-XIII sec., il cui testo sembra essere stato redatto verso il 1032. L'autore, anonimo, confronta i dati delle tavole di Tolomeo (Almagesto, Tavole manuali) con quelli dei neṓteroi (gli astronomi arabi dell'epoca di al-Ma᾽mūn), afferma che questi ultimi hanno trovato il valore della precessione (1° ogni 66 anni), la lunghezza dell'anno tropico (365 giorni e 1/4 meno 1/110 di giorno), il movimento giornaliero del Sole (0;59,8,20°), la sua eccentricità (2;5,49 parti), e riporta un'osservazione dell'equinozio d'autunno fatta a Damasco nell'anno 829. Nel suo testo l'autore, fondandosi sulle 'tavole di Alim', fornisce anche altri parametri ‒ quali il movimento medio del Sole per gli anni 1032-1036 ‒, talvolta incompleti o semplificati. Tuttavia, non avendo a disposizione le tavole di questi neṓteroi, egli afferma di utilizzare quelle dell'astronomo Alim, che è stato identificato con Ibn al-A῾lam (m. 375/985). Alcune informazioni su queste tavole sono fornite in un breve testo intitolato Per fare una tavola secondo Alim (Seldenianus 16, f. 140r-v, che risale alla prima metà del XV sec., e Neapolitanus II C 33, f. 430r-v, che fu copiato da Giovanni Xerocalitos nel 1495), che fornisce i parametri dei pianeti (movimento medio del Sole, della Luna, del nodo e dei cinque pianeti per gli anni ordinari e bisestili). Inoltre, due oroscopi ordinati da Giovanni Synadinos (personaggio non identificato) nel 1153 e nel 1162 sono fondati su un Riassunto della tavola di Alim (Seldenianus 16, ff. 114-115v e Neapolitanus II C 33, ff. 402v-403v); ciò mostra che queste tavole hanno conosciuto una reale diffusione e sono state utilizzate per almeno un secolo.

Il primo trattato bizantino fondato su fonti arabe giunto integralmente è Metodi di calcolo di diverse ipotesi astronomiche. L'opera, composta a Costantinopoli da un autore anonimo, può essere datata approssimativamente grazie sia alle date fornite come esempio tra il 1060 e il 1072, sia al calcolo di un'eclisse di Sole osservata dall'autore il 20 maggio 1072. Questo fatto è piuttosto eccezionale, data la cultura scientifica dei Bizantini i quali, come accennato, disdegnavano l'osservazione, e mostra perciò un'influenza araba. Il trattato contiene almeno 69 capitoli, dei quali 41 sono conservati e danno istruzioni per il calcolo delle quantità astronomiche rispetto ad altre quantità date. Si sono conservate anche cinque tavole, probabilmente parte di un corpus molto più ampio, sfortunatamente perduto.

Una delle fonti arabe dei Metodi è il commento di Ibn al-Muṯannā (X sec.) agli Zīǧ al-Sindhind (Tavole astronomiche indiane) di Muḥammad ibn Mūsā al-Ḫwārizmī (prima metà del IX sec.); i capitoli dei Metodi sulle eclissi ne sono quasi una traduzione. L'opera attinge anche alle tavole di Aḥmad ibn ῾Abd Allāh Ḥabaš al-Ḥāsib (metà del IX sec.), in particolare ai suoi Zīǧ al-dimašqī (Le tavole astronomiche di Damasco). È probabile che i Metodi si fondino anche su altre fonti arabe, e soprattutto su una tradizione di testi bizantini di astronomia araba che non ci sono giunti. Infatti, da una parte in questo testo compaiono elementi di origine araba, funzioni trigonometriche diverse dalle corde di Tolomeo (la 'colonna dei seni', eutheĩa orthḗ, nella tavola della latitudine lunare e della declinazione solare), la tavola delle ascensioni oblique per la latitudine di 41°, la tavola delle ore in funzione dell'altezza solare, e così via; dall'altra parte, si nota una perfetta ellenizzazione del vocabolario, che sarebbe assolutamente sorprendente se l'opera non fosse stata preceduta da una lunga tradizione di altri testi. L'influsso arabo più importante si trova nel capitolo Sull'eclisse solare (che è, come accennato, quasi una traduzione di Ibn al-Muṯannā) in quanto, per seno, l'autore utilizza la parola persíkion (borsa), ma aggiunge ḗtoi eutheĩan orthótēta (cioè 'seno').

Contemporaneo dei Metodi è l'unico astrolabio bizantino conservato intero (che si trova nei Civici Musei d'Arte e di Storia di Brescia), nel quale le tracce dell'influenza araba sono evidenti. Tale strumento è stato costruito nel luglio del 1062 da (o per) un certo Sergio, persiano, che possedeva i titoli bizantini di prōtospathários e hýpatos. La matrice è incisa per Rodi (36°), ma ci sono anche due placche, una per l'Ellesponto (40°) e una per Costantinopoli (41°, che è la latitudine data dagli Arabi a questa città). Benché si sia conservato un solo astrolabio bizantino, esiste una ricca tradizione bizantina su tale strumento (16 trattati conservati, che spaziano da quello di Giovanni Filopono del VI sec. a quello di Sgouros del XV sec.). Dato lo stato attuale delle ricerche, individuare la parte di influenze dirette (Filopono), arabe e latine, non è ancora agevole per la maggior parte di questi trattati; certo è che, a partire dall'XI sec., le influenze arabe furono molto importanti.

Il grande interesse dei Comneni per l'astrologia era noto. L'imperatore Alessio I (1081-1118) aveva alla sua corte quattro astrologi, tra cui due egiziani, un ateniese e probabilmente l'erudito bizantino Simone Set. Quest'ultimo aveva esercitato anche la medicina e l'astrologia alla corte di Isacco Comneno (1057-1059) e forse a quella dei quattro imperatori e dell'imperatrice che gli succedettero fino all'avvento di Alessio I. Egli soggiornò in Egitto, dove osservò l'eclisse di Sole del 25 febbraio 1058, e in Persia. Alcuni dei suoi testi sull'astronomia sono giunti fino a noi; tra questi la Sinossi dei fisici, redatta dopo il 1058, in cui l'autore indica il valore arabo della precessione (1° ogni 66 anni), e una piccola tavola, intitolata Del defunto Seth. in cui sono fornite le coordinate, le magnitudini e le proprietà di nove stelle per completare, secondo le affermazioni dell'autore, la lista di Apomasar (Abū Ma῾šar). La fonte di Set e due delle nove stelle della sua tavola non sono state ancora identificate.

La penetrazione dell'astronomia araba a Bisanzio è testimoniata dal manoscritto Vat. gr. 1056: compilazione di testi astronomici e astrologici del XII sec., copiati nel XIV sec., che contiene innanzitutto un trattato sull'astrolabio, intitolato Sono stati compilati dei metodi vari attinti da un libro saraceno, sulla maniera di prendere, con l'astrolabio, l'oroscopo e i dodici luoghi e di conoscere ciò che è iscritto nell'astrolabio. Il vocabolario è greco, ma si individuano due parole di ascendenza araba: μούϱη (al-murī, l'indice) e ϰὸππ (al-quṭb, il perno dell'astrolabio). L'autore di questo trattato disponeva probabilmente di tavole analoghe a quelle dei Metodi, aspetto interessante per la diffusione dell'astronomia araba nel XII secolo.

Il manoscritto include poi tre liste di stelle, quella di Set già citata, e altre due, Chékem e Kousiár. Le fonti citate sono gli Zīǧ al-ḥākimī al-kabīr (Le grandi tavole astronomiche dedicate ad al-Ḥākim) di Ibn Yūnus (m. 399/1009) e di Kūšyār ibn Labbān (1009 ca.). È stato dimostrato che queste fonti non hanno svolto alcun ruolo nella stesura delle liste, che derivano invece dagli Zīǧ al-mumtaḥan (Tavole astronomiche verificate) di Yaḥyā ibn Abī Manṣūr (m. 217/832). Tuttavia, questa citazione delle fonti testimonia la loro conoscenza da parte dell'autore bizantino. Infine, nella compilazione sono presenti cinque tavole astronomiche molto lacunose, che appartengono a un insieme più importante, impossibile da ricostituire, ma che sarebbe stato citato nei Metodi; la lista dei sette climi, i cui limiti corrispondono più o meno a quelli di al-Ḫwārizmī; e gli oroscopi relativi alla proclamazione dell'imperatore Manuele Comneno (13 marzo 1143), di Alessio I Comneno (1° aprile 1081) e alla morte dell'imperatore Alessandro (non databile), ottenuti calcolando le posizioni dei pianeti secondo gli Zīǧ al-ḥākimī (in base a un'ipotesi di Raymond Mercier; Tihon 1990).

I documenti che abbiamo brevemente presentato sono gli unici finora noti, nei quali è citata l'astronomia araba prima del XIII secolo. Essi appartenevano probabilmente a un corpus molto più ampio, nel quale i Metodi e le loro tavole perdute dovevano avere un ruolo importante. Secondo alcune indicazioni date dagli autori bizantini, sembra che questi utilizzassero una documentazione astronomica piuttosto varia, direttamente dall'arabo. Una parte di questi testi fu adattata in greco, e ciò probabilmente avvenne molto presto, verso la fine dell'VIII sec., come si può dedurre dall'ellenizzazione del vocabolario nei testi conservati, risalenti all'XI secolo. La presenza attestata alla corte dei Comneni di astrologi arabi e i viaggi dei dotti bizantini in Egitto rafforzano l'ipotesi di un'importante penetrazione dell'astronomia araba a Bisanzio nell'XI e XII secolo. A interessare i Bizantini fu la parte pratica dell'astronomia araba, cioè la costruzione delle tavole astronomiche, soprattutto per la compilazione degli oroscopi. La problematica del sistema del mondo non li ha particolarmente preoccupati. Da una parte Tolomeo era il 'loro' astronomo, dall'altra la cosmologia rientrava nel campo del sapere religioso, e dunque era discussa nelle numerose hexaḗmerai e nei loro commenti.

La scuola astronomica bizantina persiana: l'opera di Gregorio Chioniade

La conquista di Costantinopoli da parte dei Crociati nel 1204, la chiusura dell'università, la partenza della corte e il saccheggio dei manoscritti compiuto dai Crociati stessi sconvolsero lo sviluppo intellettuale bizantino. Lo sforzo intrapreso nelle lettere e nelle scienze dall'Impero di Nicea per rafforzare la sua posizione di erede dell'Impero romano preparò una nuova epoca, il 'secondo Umanesimo bizantino'. In astronomia, vide la luce un'importante produzione di opere, che segnò il periodo più brillante per lo sviluppo di tale scienza a Bisanzio. Le due correnti astronomiche principali sono quella della restaurazione dell'astronomia tolemaica, che i Bizantini consideravano come la propria cultura, e quella dell'astronomia persiana, importata dai Bizantini da Tabriz; altre correnti, meno importanti, si manifesteranno nel XIV sec.: quella dell'astronomia di radice ebraico-karaita e quella di radice latina.

Gregorio (il suo nome monastico, o Giorgio) Chioniade, che aveva studiato medicina a Costantinopoli dopo la sua riconquista da parte dei Bizantini, fu informato che la Persia era il luogo ideale per approfondire l'astronomia. Si recò a Trebisonda, da dove partiva la carovana per Tabriz e, con l'aiuto dell'imperatore di Trebisonda, Alessio II Comneno (1297-1300), giunse a Tabriz. Lì, appresa la lingua, studiò presso Šams al-Dīn al-Buḫārī (n. 652/1254), un astronomo originario di Bukhara, e ne mise per iscritto l'insegnamento orale; rientrato a Trebisonda, portò con sé anche alcuni testi astronomici persiani. Chioniade si recò in seguito ancora in Persia, poiché fu nominato vescovo di Tabriz dal Santo Sinodo e dall'imperatore di Bisanzio Andronico II (1282-1328); è dunque probabile che la sua opera sia il risultato di diversi soggiorni. Ciò avvenne in un periodo in cui i Bizantini cercavano di stabilire alleanze con i principi mongoli; Andronico II cercò di dare in moglie Irene, sua figlia naturale, a Ġāzān Ḫān e, dopo la morte di quest'ultimo nel 1304, al suo successore. Da queste visite di Chioniade in Persia e dal suo interesse per l'astronomia nacque la scuola astronomica bizantina persiana. A Chioniade sono attribuiti alcuni adattamenti di trattati arabi e persiani: gli Zīǧ al-῾alā᾽ī (Tavole astronomiche dedicate ad al-῾Alā᾽ 572/1176 ca.) di al-Fahhād, attraverso l'insegnamento di Šams al-Dīn al-Buḫārī; gli Zīǧ al-sanǧarī (Tavole di Sanǧar) di al-Ḫāzinī (530/1135 ca.; BAV, Vat. gr. 1058 e Vat. gr. 211, Laur. gr. 28/17); alcune tavole non identificate, a partire dal 1093; e infine alcuni testi più brevi e alcune figure, tra le quali quelle famose del Vat. gr. 211 (ff. 115-121), secondo la Taḏkira fī ῾ilm al-hay᾽a (Memorandum di astronomia) di Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī, che avrebbero forse ispirato Copernico nella costruzione del suo sistema (per l'inventario commentato delle tavole astronomiche bizantine di origine persiana, si veda Tihon 1987b, 1990).

La Taḏkira di Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī è un'opera che tenta di risolvere le difficoltà del modello planetario tolemaico. Nel cap. 13 della seconda parte di quest'opera si trova un teorema che è stato chiamato dagli storici 'coppia di al-Ṭūsī': "sia dato un cerchio di raggio R/2 che si trova all'interno ed è tangente alla superficie concava di un cerchio di raggio R. Il cerchio grande ruota a una velocità angolare ω portando il cerchio piccolo, che ruota in senso contrario con una velocità angolare 2ω. Ogni punto della circonferenza del cerchio piccolo si muove allora lungo un diametro del cerchio grande. In particolare, il punto di contatto iniziale dei due cerchi si muove lungo il diametro definito dal punto iniziale di contatto e dal centro del cerchio grande" (Kennedy 1966, p. 369; Ragep 1993, I, p. 120). In altri termini, questo teorema prova che si può riprodurre un movimento rettilineo attraverso la combinazione di due movimenti circolari. In astronomia, impiegando la 'coppia di al-Ṭūsī' si può evitare l'introduzione di un cerchio deferente. Tale teorema, che introduce una grande novità nella teoria planetaria, può essere considerato complementare a quello formulato da Proclo nel suo Commento al primo libro di Euclide, il quale afferma che si può ottenere un movimento circolare a partire da due movimenti rettilinei.

Nel De revolutionibus, Copernico, pur citando soltanto Proclo, utilizza nella sua teoria del movimento di Mercurio il teorema di al-Ṭūsī. Questo modello di movimento dei corpi celesti è considerato dagli storici un elemento cruciale della teoria planetaria copernicana. È stata perciò sollevata la questione della trasmissione dell'astronomia matematica della Scuola di Marāġa a Copernico. Alla luce dei contatti di Bisanzio con Tabriz e Marāġa, attestati dal corpus di Chioniade, gli storici hanno pensato a una mediazione bizantina. Studi recenti hanno evidenziato che il manoscritto Vat. gr. 211 contiene alcune figure che derivano dalla Taḏkira di al-Ṭūsī, di cui una (f. 116) illustra il suo famoso teorema. Le altre (ff. 115-121) illustrano il Sole e la Luna vicino ai nodi, le nove sfere celesti con la durata della rivoluzione di ciascuna (la nona è quella della precessione, 1° ogni 66 anni), la traiettoria solare e il modello del suo movimento, la teoria lunare, quella degli altri pianeti, le eclissi, le dimensioni dell'Universo, la parallasse. Queste figure accompagnano un testo intitolato Delle figure dei corpi celesti (ff. 106v-115r), probabilmente scritto da Chioniade, il quale fornisce informazioni sulle sfere dei corpi celesti (per ogni corpo sono riportati il numero delle sfere, la loro velocità e il senso della rotazione). Tale opera, senza le figure, si trova anche in altri manoscritti (Laur. gr. 28/17, ff. 169r-178v; BAV, Vat. gr. 1058, ff. 316r-321r). Gli editori del testo (Paschos 1998) sostengono che Chioniade non avrebbe solamente trasmesso le conoscenze della Taḏkira, ma le avrebbe modificate e, a volte, perfino migliorate (teoria di Mercurio senza equante, ma con la traiettoria ellittica per il centro dell'epiciclo). Per il movimento della Luna, il Delle figure si fonda sul teorema di al-Ṭūsī senza citarlo (al-Ṭūsī è menzionato però nel passaggio sul valore dell'obliquità dell'eclittica), e il modello lunare è molto simile a quello della Taḏkira (differisce per l'ordine di rotazione degli epicicli). Il Delle figure quindi sarebbe fortemente ispirato all'opera di al-Ṭūsī, ma l'autore avrebbe apportato alcune modifiche di influenza diversa. Il manoscritto di questo testo e le figure si trovavano in Italia all'epoca del viaggio di Copernico (che conosceva il greco). Non è affatto provato che quest'ultimo abbia avuto conoscenza diretta di tale testo o che ne sia stato ispirato in maniera indiretta; ma questa resta una possibilità, anche se Copernico avrebbe potuto ispirarsi pure a Proclo (Veselovsky 1973). In ogni modo, il Vat. gr. 211 mostra la linea di trasmissione in Occidente delle conoscenze della Scuola di Marāġa.

Oltre alla Taḏkira di Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī, Chioniade avrebbe introdotto anche le tavole degli Zīǧ-i īlḫānī (Tavole astronomiche ilkhanidi), che saranno impiegate più tardi da Giorgio Crisococce. A questi testi bisogna aggiungere un trattato molto importante sull'astrolabio, conservato in diversi manoscritti, quello di Siams il Persiano, che sarebbe lo stesso Šams al-Dīn al-Buḫārī. La prefazione di questo trattato, che sembra essere stata redatta direttamente in greco, è dedicata all'imperatore Andronico, grande protettore dell'astronomia; è probabile inoltre che questa dedica sia stata accompagnata dall'invio di un astrolabio all'imperatore (Delatte 1939; Tihon 1995, che pone il problema dell'identificazione dell'autore con Šams al-Buḫārī, considerando che l'originale persiano non è noto).

L'importante corpus di astronomia araba e persiana introdotto da Chioniade non ebbe una larga diffusione a Bisanzio. Sappiamo che esso appartenne per un periodo a un prete di Trebisonda, Manuele, autore ‒ apparentemente ‒ delle Effemeridi di Trebisonda per il 1336, seguite dalle predizioni astrologiche calcolate sulla base delle citate tavole astronomiche al-Zīǧ-i īlḫānī e al-Zīǧ al-῾alā᾽ī introdotte da Chioniade. Manuele insegnò astronomia al medico Giorgio Crisococce, che si recò a Trebisonda per questa ragione, e indicò al suo allievo il miglior trattato che Chioniade aveva ellenizzato, ovvero gli Zīǧ-i īlḫānī. Fondandosi sull'insegnamento di Manuele e sul corpus che egli deteneva, Crisococce redasse verso il 1347 la Sintassi persiana dell'astronomia, che conobbe un'enorme diffusione (il testo o parti di esso appaiono in più di 50 manoscritti). Questo trattato, molto importante per la storia dell'astronomia bizantina, resta inedito. Le tavole astronomiche della Sintassi provengono dagli Zīǧ-i īlḫānī e i capitoli sulla cronologia dagli Zīǧ al-sanǧarī.

Il trattato di Crisococce apparve in un'epoca in cui le critiche alle tavole tolemaiche si moltiplicavano. Persino Niceforo Gregora (1295-1360), fervente partigiano di Tolomeo, suggerì verso il 1332 che esse andavano corrette. In tal modo, malgrado alcune resistenze, le tavole persiane conobbero finalmente un grande successo, che tuttavia non può essere spiegato soltanto con la loro efficacia. Infatti, Crisococce, non avendo a disposizione i commenti agli Zīǧ-i īlḫānī, commette talvolta sbagli di metodo. Egli utilizza una tavola geografica inadeguata e non conosce il meridiano originario (72° E), che situa in una città chiamata Τιβήνη (si tratta però di un errore; Pingree 1962b); inoltre, per il tempo che separa la vera sizigia da quella media, utilizza una formula che risulta da una mescolanza indebita tra quella di Tolomeo e quella persiana e che può produrre un errore di mezz'ora nella stima del tempo. Talvolta questo errore si somma ad altri compiuti da Crisococce nell'impiego delle tavole persiane; ciò fa sì che, in alcuni casi, le antiche tavole tolemaiche diano risultati migliori. È probabile che il successo delle tavole persiane sia dovuto alla loro semplicità d'impiego; Crisococce infatti presenta il calcolo delle longitudini, delle latitudini, delle sizigie e delle eclissi, insomma tutto ciò che è necessario per stabilire le efemeridi dei themátia astrologici, del calcolo della Pasqua. Il suo fine è pratico: quello che non è utile a questo tipo di calcolo, come le funzioni trigonometriche, scompare. Le sue tavole sono di grande utilità per gli astrologi e, malgrado le numerose condanne della Chiesa, l'astrologia era molto in voga nel XIV sec., periodo drammatico della storia di Bisanzio.

La consacrazione dell'astronomia persiana negli ambienti del potere e dell'università coincide con la redazione della Tribiblos astronomica di Teodoro Meliteniota (1320 ca.-1393). Tra il 1360 e il 1388 egli otterrà diversi titoli, in particolare quello di didáskalos tõn didaskálōn (secondo alcuni bizantinisti, questo titolo equivarrebbe a quello di rettore della scuola patriarcale, secondo altri a una sorta di portavoce dell'imperatore presso la scuola stessa), e ciò gli attribuisce un ruolo cruciale all'interno del sistema educativo imperiale. Meliteniota compose tre libri in tre parti, la Santa tribiblos, la Tribiblos astronomica e la Tripla esegesi della Trinità. Le tre parti della Tribiblos astronomica, composta verso il 1352-1368, hanno per oggetto: l'aritmetica e l'astrolabio; l'astronomia tolemaica (Almagesto e Tavole manuali); l'astronomia persiana. Egli conosceva il corpus arabo-persiano di Chioniade, poiché la sua prefazione ne è ispirata, e le sue tavole e i suoi metodi sono gli stessi di Crisococce, pur avendone corretto alcuni errori. Meliteniota si preoccupò di scegliere gli stessi esempi nelle parti tolemaica e persiana della sua astronomia, dando così al lettore la possibilità di confrontare l'efficacia dei due metodi. A causa degli errori già citati, il confronto non è sempre favorevole all'astronomia persiana. Malgrado ciò, mentre la Tribiblos ha conosciuto una diffusione relativamente ristretta (dieci testimoni conservati, di cui due solamente riportano il testo completo), la terza parte, intitolata Parádosis eis toùs Persikoùs kanónas e trasmessa generalmente, più o meno rielaborata, sotto il nome di Isacco Argiro o di Giorgio Crisococce, è conservata integralmente o in parte in una trentina di manoscritti.

Dopo la redazione della Tribiblos, il lavoro principale degli astronomi bizantini sembra essere stato il confronto tra l'efficacia delle tavole di Tolomeo e quelle persiane, soprattutto per mezzo delle eclissi. Una lista di predizioni di eclissi di Sole e di Luna dal 1376 al 1408, datata intorno al 1364-1375, e il cui autore potrebbe essere Giovanni Abramio, paragona in dettaglio i due metodi (Laur. gr. 28/14). Talvolta sono state sperimentate delle sintesi, come nel caso di Giovanni Cortasmeno per l'eclisse di Sole del 15 aprile 1409, che utilizza le tavole tolemaiche di Isacco Argiro, ma per le parallassi la tavola persiana che è estremamente semplificata (Vat. gr. 1058, ff. 251-253 e Urbinas gr. 80, ff. 105v-106). Il risultato coincide quasi esattamente con il calcolo moderno, anche se si tratta di un caso.

L'attitudine critica nei confronti delle tavole tolemaiche è illustrata da una lettera di Giorgio Lapita, gentiluomo cipriota, a Niceforo Gregora, in cui si afferma che "gli Italiani infatti, con i quali la sorte ha voluto che coabitassimo, si servono molto poco di Tolomeo per le due parti, intendo la parte teorica e quella pratica, e hanno maggiore fiducia nei Moderni. Infatti, non si limitano alle sole tavole arabe, che cominciano a partire da Maometto, ma ne impiegano molte altre" (Tihon 1977-81, I, p. 279). Le tavole della Sintassi di Crisococce sono state d'altra parte adattate per la longitudine di Cipro poco dopo la redazione, verso il 1347 (Baroccianus gr. 166, ff. 1-78v e Athous Iviron 126). La tavola dell'anomalia solare è completamente modificata e quella dell'anomalia lunare presenta alcune varianti per correggere il calcolo dell'eclisse di Sole del 7 agosto 1347 sulla base della sua osservazione a Cipro; queste modifiche sarebbero state operate per tentativi. È ancora a Cipro, durante l'occupazione latina, intorno al 1337-1340, che sono state adattate in greco le Tavole di Toledo, probabilmente da Giorgio Lapita; esse si trovano in un manoscritto contenente un trattato sulla costruzione e l'uso dell'astrolabio che si basa su fonti latine di ispirazione araba, in particolare, i trattati di Māšā᾽allāh e Maslama (BAV, Vat. gr. 212, ff. 2-75v). Del resto, un altro trattato anonimo bizantino, del 1309, si fonda sul trattato latino di Māšā᾽allāh; vi si trova per la prima volta in greco il termine azimut (αζιμούτ). Si assiste dunque a una penetrazione tarda e indiretta di alcuni aspetti dell'astronomia araba, ma che apparentemente non farà scuola.

Giorgio Gemisto Pletone redasse verso il 1433 un Trattato astronomico, caratterizzato dall'originalità stessa del personaggio (calendario lunisolare, inizio dell'anno al solstizio d'inverno, longitudini a partire da 0° del Capricorno, ecc.). Tra le fonti, la Sintassi di Crisococce e gli zīǧ di al-Battānī nella sua versione ebraica, composta dal provenzale Emmanuel ben Jacob Bonfils. Tuttavia, se si esclude questo autore, non sembra che ci sia stata importazione di nuove fonti d'astronomia islamica a Bisanzio dalla seconda metà del XIV sec. fino alla caduta di Costantinopoli. La scuola bizantina persiana ha continuato la sua opera costruendo nuove tavole a partire da quelle di Crisococce o commentando la sua opera. Di questo corpus sono state conservate le tavole di Matteo Paleologo a partire dal 1° marzo 1436, diversi schizzi e frammenti di tavole, oltre ad alcuni capitoli anonimi di astronomia persiana, come quelli in cui si trovano alcuni calcoli delle eclissi di Sole del 16 maggio 1379 e di Luna del 30 marzo 1382 a Costantinopoli, o quelli di Rodi nel 1393 ca. (Leidensis BPG 74E). Un altro scritto che ha esercitato una certa influenza, è la traduzione greca dell'opera di astrologia di Abū Ma῾šar (hellēnistì biblíon astronomikòn toũ Apomásar), il Kitāb al-Qirānāt (Libro delle congiunzioni, noto in latino come De magnis coniunctionibus), che rientra però fra i testi e i frammenti puramente astrologici.

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