La civiltà islamica: osservazioni, calcolo e modelli in astronomia. L'astronomia nell'Islam occidentale

Storia della Scienza (2002)

La civilta islamica: osservazioni, calcolo e modelli in astronomia. L'astronomia nell'Islam occidentale

Julio Samsó
Juan Vernet Ginés

L'astronomia nell'Islam occidentale

L'Andalus e il Maghreb

di Julio Samsó

Nella civiltà andalusa non esistono documenti che attestino la presenza di studi astronomici anteriori al regno dell'emiro omayyade ῾Abd al-Raḥmān II (822-852), il primo a introdurre le tavole astronomiche nell'Andalus. Prima di questo periodo si può soltanto ravvisare il sopravvivere di una tradizione astrologica latina ‒ che senza dubbio fu presente anche nel Maghreb e costituì la prima caratteristica distintiva dell'astronomia andalusa ‒ e supporre che essa coesistesse con una tradizione araba di astronomia popolare. La metà del IX sec. fu segnata da un periodo di orientalizzazione della cultura andalusa: processo, questo, favorito sia dalla pratica, diffusa nel mondo arabo-islamico, della riḥla, un viaggio verso Oriente che completava l'istruzione tipica di ogni giovane appartenente a una famiglia agiata, sia dalla politica culturale dei sovrani omayyadi, che incoraggiavano gli studiosi a trasferirsi a Cordova, e nello stesso tempo si prodigavano per acquistare i nuovi libri pubblicati nelle grandi capitali del Mashreq. Il sapere scientifico, tuttavia, arrivava inevitabilmente con un certo ritardo, e in qualche misura già selezionato, nel senso che alcuni libri non raggiungevano mai l'Andalus, o vi pervenivano in epoche successive. Nonostante l'orientalizzazione sia andata avanti fino alla caduta del califfato omayyade (1031), il ritardo si protrasse: gli Zīǧ al-Sindhind (Tavole astronomiche indiane) di al-Ḫwārizmī, compilati intorno all'830, furono adeguatamente assimilati nella seconda metà del X sec., e lo stesso può dirsi degli zīǧ (primi testi di tavole astronomiche) di al-Battānī o dell'Almagesto di Tolomeo.

Con la fine del califfato omayyade prese avvio un periodo di oltre cinquant'anni (1031-1086) caratterizzato da una totale mancanza di unità politica, nel quale l'astronomia andalusa, grazie agli studi di Abū Isḥāq ibn al-Zarqālī (anche al-Zarqālluh o, latinizzato, Azarquiel, m. 1100), raggiunse la propria maturità e sviluppò le sue caratteristiche più distintive. Considerato l'iniziatore della tradizione andalusa degli astrolabi universali, Ibn al-Zarqālī introdusse alcuni elementi nella teoria astronomica (come la teoria della trepidazione, un nuovo modello solare con l'eccentricità variabile e una piccola modificazione del modello lunare tolemaico) che caratterizzano gli zīǧ andalusi e maghrebini. Inoltre, sull'esempio dell'altro andaluso Ibn al-Samḥ (m. 1035), Ibn al-Zarqālī scrisse un trattato sull'equatorium, un congegno di calcolo astronomico il cui sviluppo sembra sia maturato nell'Andalus, e recuperò l'antica tradizione ellenistica degli almanacchi perpetui che si sarebbe in seguito rivelata di indubbia importanza per la navigazione. Per comprendere le particolarità dell'astronomia andalusa ‒ così diversa dalla sua controparte orientale ‒ bisogna considerare l'isolamento che seguì il processo di orientalizzazione terminato nel 1031.

Infatti, per quanto i sovrani che regnavano a Saragozza, Toledo e Siviglia incoraggiassero lo sviluppo della scienza, essi non riuscirono a mantenere i contatti con il Mashreq, tanto che lo studio dell'astronomia dovette evolversi sulla base di materiali astronomici orientali che avevano raggiunto l'Andalus prima della metà del X secolo. Le motivazioni sono diverse e possono ricercarsi sia nel fatto che gli scienziati andalusi di questo periodo ritennero superfluo che, per raggiungere un'adeguata istruzione, si dovesse effettuare la tradizionale riḥla, sia nel fatto che nessuno dei sovrani dei cosiddetti 'regni minori' sia stato in grado di affrontare la spesa necessaria per ricevere le informazioni relative ai nuovi libri pubblicati nel Mashreq e successivamente acquistarli. Esistono naturalmente delle eccezioni, come quella rappresentata dal matematico e astronomo Ibn Mu῾āḏ al-Ǧayyānī (m. 1093) che, grazie alla conoscenza dei nuovi sviluppi orientali nell'ambito della trigonometria sferica, fu in grado di introdurre nell'Islam occidentale nuove idee molto importanti. L'isolamento fu comunque la regola, e la mancanza di contatto con un'area culturale che stava producendo nuovi sviluppi nel campo dell'astronomia, specialmente dal XIII sec. in avanti, fu anche una delle principali ragioni di quel declino della scienza andalusa di cui si cominciarono ad avvertire i primi sintomi già nel corso del XII secolo.

Nel Maghreb la storia dell'astronomia, benché non sia molto conosciuta, presenta tuttavia alcune caratteristiche in comune con quella dell'Andalus, prime fra tutte il relativo ritardo del suo sviluppo scientifico rispetto al Mashreq. Non esiste infatti alcun tipo di informazione su un'attività astronomica che risalga all'VIII sec. e bisogna attendere l'inizio dell'emirato degli Aghlabidi (800-910) per assistere alla nascita di un'attività intellettuale, con centro a Qayrawan. Ibrāhīm II (r. 875-902), interessato all'astronomia e alla matematica, fondò la prima istituzione scientifica a Raqqada, nuova capitale amministrativa aghlabide a soli nove chilometri da Qayrawan. Chiamata Bayt al-Ḥikma (Casa della sapienza), l'istituzione tunisina si ispirò probabilmente alla sua omonima di Baghdad, e sopravvisse sotto i califfi fatimidi (910-972), anche se la sua biblioteca e gli strumenti astronomici furono trasferiti da Raqqada alla nuova capitale fatimide di al-Manṣūriyya all'inizio del regno del califfo al-Manṣūr (r. 946-953). Al Bayt al-Ḥikma, oltre a Ismā῾īl al-Ṭallā῾, collaborò anche ῾Uṯmān al-Sayqal (m. 941), che ebbe l'incarico di costruire strumenti astronomici. Al-Ṭallā῾, dopo un periodo trascorso a Baghdad durante il quale studiò astronomia e astrologia, fece ritorno in Tunisia, a Qayrawan, che però, secondo al-Zubaydī, fu costretto a lasciare per stabilirsi infine a Cordova, dove morì all'inizio del X secolo. Le vicende di al-Ṭallā῾ per molti versi sono emblematiche della tendenza tipica dello sviluppo dell'astronomia andalusa durante il X sec., che vedeva il passaggio dei materiali astronomici orientali all'Andalus attraverso Qayrawan. Anche il caso del cordovano Qāsim ibn Muṭarrif al-Qaṭṭān (attivo tra il 900 e il 950 ca.) sottolinea l'importanza del ruolo della Tunisia nella trasmissione del sapere: egli spiegò la procedura per calcolare la lunghezza di un'ora ineguale utilizzando una tavola di ascensioni oblique e fornì un esempio per la latitudine dell'Ifrīqiya (corrispondente grosso modo alla Tunisia); descrisse inoltre un orologio a candela ‒ di cui ci è pervenuta una descrizione pressoché identica attribuita al famoso astronomo Ibn Yūnus (m. 1009) ‒ nel quale la quantità di olio necessaria a far funzionare lo strumento durante la notte per l'intero anno era calcolata per una latitudine di 33°, un valore che nelle antiche fonti islamiche è documentato sia per Tunisi sia per Baghdad. Si può dunque ritenere che Qāsim abbia utilizzato materiali iracheni pervenutigli attraverso un canale tunisino. Un altro esempio ancora più evidente di questo genere di trasmissione si ritrova nella figura dell'astronomo ebreo di Qayrawan Abū Sahl Dūnaš ibn Tamīm (attivo tra il 900 e il 950), che intrattenne una corrispondenza con Abū Yūsuf Ḥasdāy ibn Šaprūṭ (905-975 ca.), il famoso medico ebreo del califfo omayyade ῾Abd al-Raḥmān III (r. 929-961), al quale egli inviò, in risposta alle domande formulate da Ḥasdāy stesso, un libro composto di tre parti: la scienza della struttura delle sfere celesti, l'astronomia matematica e l'astrologia.

Nella prima metà del X sec., quindi, l'astronomia aveva raggiunto nel Maghreb un discreto sviluppo. Fatta eccezione per le opere astrologiche di Ibn Abī 'l-Riǧāl al-Qayrawānī (m. 1035) e per quelle di Dūnaš ibn Tamīm, non ci è pervenuto nessun trattato astronomico maghrebino precedente al XIII sec.; tuttavia, le informazioni contenute nei dizionari biografici attestano l'esistenza di un'attività astronomica e astrologica tra il X e il XII sec., in particolare per quanto riguarda il computo del tempo ‒ probabilmente secondo una tradizione di astronomia popolare ‒, come nel caso del Kitāb al-Mawāqīt wa-marifat al-nuǧūm wa-'l-azmān (Libro sul computo del tempo e sulla conoscenza delle stelle e del tempo) scritto da Ibn al-Ḥaǧǧām al-Qayrawānī (876-957). A partire dal 1086 e fino al 1232 i contatti con l'altra sponda dello Stretto di Gibilterra divennero più frequenti. Infatti, l'Andalus conobbe un periodo di grande prosperità con gli imperi degli Almoravidi (1086-1145) e degli Almohadi (1145-1232); gli scambi si intensificarono grazie al sostegno dei califfi almohadi alle attività scientifiche: grandi figure di intellettuali quali Ibn Ṭufayl (m. 1185) e Averroè (1126-1198) furono attivi come medici di corte e Ibn al-Hā᾽im al-Išbīlī dedicò la sua importante opera di astronomia teorica al califfo Muḥammad al-Nāṣir (r. 1199-1213). Alla fine del califfato almohade, con l'avanzata delle conquiste cristiane, molti studiosi andalusi si stabilirono nel Maghreb, e tra il XIII e il XIV sec. si assistette a una rinascita della ricerca astronomica fortemente influenzata dalla tradizione andalusa, rinascita che condivise molte delle caratteristiche di quella tradizione e ne divenne la logica continuazione, mentre l'astronomia islamica della Penisola Iberica entrava in un periodo di declino.

Astronomia popolare e computo del tempo

La più antica fonte a noi pervenuta sulla tradizione di astronomia popolare nell'Andalus applicata al computo del tempo è il Kitāb fī 'l-nuǧūm (Libro sulle stelle), scritto dall'erudito ῾Abd al-Malik ibn Ḥabīb (m. 853), nel quale si trattano i problemi relativi al culto religioso (mīqāt). Benché lo scopo del libro sia quello di rigettare l'astrologia e di mostrare quale sia il tipo di conoscenza astronomica utile e accettabile per un buon musulmano, l'impressione che se ne ha è che Ibn Ḥabīb stesse reagendo sia contro la tradizione astrologica latina sia contro la nuova astronomia islamica orientale basata su fonti indiane e greche, presentando in alternativa un'astronomia che dipendesse esclusivamente dalla tradizione araba. La fonte di Ibn Ḥabīb è rappresentata dall'insegnamento del famoso giurista Mālik ibn Anas (m. 795-796), il fondatore della scuola malichita, che egli deve aver appreso da un discepolo di Ibn Anas durante la sua permanenza di tre anni in Oriente, trascorsa tra Medina e l'Egitto. Il testo presenta alcuni adattamenti alle condizioni locali come il valore di 15/9 per il rapporto fra la durata massima e minima della luce diurna ai solstizi, che potrebbe corrispondere alla latitudine di Cordova (38;30°) se assumiamo che il valore di 15 ore sia un arrotondamento di quello di 14 ore e 45 minuti. Tra gli altri materiali interessanti contenuti nel libro, Ibn Ḥabīb descrive la procedura ‒ che dal X sec. in poi si può trovare in diverse fonti andaluse ‒ usata per determinare l'ora durante la notte, osservando quale delle 'case lunari' sta attraversando il meridiano a un dato momento, e fissa una regola per stabilire l'entrata del Sole in una 'casa lunare' e un'altra per consentire di calcolare il giorno di Luna nuova senza avvistamento.

A partire dal X sec. la tradizione rappresentata dall'opera di Ibn Ḥabīb continuò nell'Andalus con la letteratura degli anwā᾽ e con altri testi connessi, nei quali finì per mescolarsi (come nel caso del Calendario di Cordova) con materiali derivati dalla tradizione medica ellenistica, da quella astronomica indiana e da fonti astronomiche islamiche più antiche. Verso la fine del XIII sec. la stessa tendenza si ritrova nel Maghreb, in un libro di Ibn al-Bannā᾽ (1256-1321), in cui l'autore segue fonti andaluse e non fa alcuno sforzo per adattarle alle coordinate di Fez e Marrakesh, le due città dove egli svolgeva la sua attività. Fonti più tarde, sia nell'Andalus sia nel Maghreb, perdono ogni connessione con la tradizione degli anwā᾽ e, prevalentemente, offrono consigli per la salute e la dieta e previsioni basate sui tuoni (radiyya), sulle eclissi lunari e sui terremoti. L'ultimo di questi almanacchi compare a Granada, probabilmente nel XVI sec.: si ipotizza che sia stato portato nel Maghreb dai moriscos espulsi dalla Spagna intorno al 1610; in un manoscritto del XIX sec. è conservata una versione tunisina di questo almanacco.

I libri di anwā᾽ spesso contengono determinazioni mensili della durata del giorno e della notte, dell'alba e dell'imbrunire, delle altezze meridiane solari, dell'entrata del Sole nei segni zodiacali secondo i diversi sistemi astronomici in uso e dei tempi della preghiera, utilizzando rudimentali schemi d'incremento dell'ombra che a volte hanno un'origine classica: una latitudine di 38° si adatta ad Atene oltre che a Cordova. Lo stesso tipo di materiali compare in altre fonti come gli scritti di astronomi professionisti che cercavano d'illustrare semplici regole approssimative ‒ molto spesso valide per una sola latitudine ‒ volte a risolvere i problemi astronomici posti dal culto. Questo tipo di letteratura non si ritrova nell'Andalus, mentre è piuttosto comune nel Maghreb, dove Ibn al-Bannā᾽ scrisse trattati sulla qibla e sul computo del tempo, e il marocchino Abū Miqra῾ (XIII o XIV sec.) compose un poema mnemotecnico sullo stesso argomento, da cui trassero origine molti commentari, tra cui quelli di al-Ǧadarī (m. 1416), che ricopriva il ruolo di muwaqqit (calcolatore dell'ora) presso la moschea Qarawiyyīn di Fez. È in tale periodo che questa nuova professione comparve sia nel Maghreb sia nell'Andalus; essa offriva agli astronomi un'altra strada per guadagnarsi da vivere. I problemi legati al calcolo dell'ora interessarono anche altri professionisti, tra i quali i giuristi (fuqahā᾽) che si trovarono ad affrontare questioni come la determinazione della qibla, la direzione della preghiera obbligatoriamente orientata verso la Mecca: nel XII sec. il giurista maghrebino Abū ῾Alī al-Mattīǧī criticò fortemente l'orientazione a sud della maggior parte delle moschee nel Maghreb e fornì semplici regole che in alcuni casi risultarono abbastanza corrette.

Le fonti relative al computo del tempo basato su metodi matematici si presentano spesso sotto forma di tavole. I più antichi esempi rimasti sono due tavole andaluse della visibilità della Luna crescente, basate su metodi indiani: la prima fu calcolata per ciascuno dei sette climi e risale ai secc. IX-X; la seconda è un'interpolazione nella traduzione latina della recensione di Maslama ibn Aḥmad al-Maǧrīṭī degli Zīǧ al-Sindhind di al-Ḫwārizmī. Tavole di visibilità come queste si ritrovano facilmente negli zīǧ sia andalusi sia maghrebini e sono attribuite a noti astronomi come Ibn al-Zarqālī, il quale creò la tavola per i sette climi inclusa nel suo al-Amad ῾alā 'l-abad (Almanacco), Ibn Mu῾āḏ (m. 1093), che fornì per l'Andalus la prima soluzione esatta del problema della qibla (il cosiddetto metodo degli zīǧ), e Muḥammad ibn al-Raqqām (m. 1315), autore di una tavola di visibilità basata su un curioso metodo che fornisce buoni risultati soltanto per la latitudine di Granada. Dall'Andalus non ci sono pervenute tavole per il calcolo dei tempi della preghiera, mentre nel Maghreb ne esistono alcune risalenti al XIV sec. calcolate per Tunisi (latitudine 37°) e alcune per le latitudini di Sigilmasa, Fez e Marrakesh, oltre ad altri gruppi di tavole che sono adattamenti alla latitudine di una città del Maghreb di ben note tavole orientali per il computo del tempo. La più importante collezione di materiali riguardanti l'astronomia sferica e il computo astronomico del tempo è il Kitāb Ǧāmi῾ al-mabādi᾽ wa-'l-ġāyāt fī ῾ilm al-mīqāt (Libro completo dei principî e degli obiettivi sulla scienza del computo del tempo), scritto da Abū ῾Alī al-Marrākušī alla fine del XIII secolo. Quest'opera, che offre un'ampia trattazione relativa agli strumenti astronomici, dimostra che il suo autore conosceva bene la tradizione astronomica andaluso-maghrebina anche se, dopo essere emigrato in Egitto, utilizzò molte fonti astronomiche orientali differenti e calcolò la maggioranza delle sue tavole per la latitudine del Cairo.

Per quanto riguarda l'Andalus, è rimasto un certo numero di meridiane orizzontali costruite in maniera grossolana; mentre per il Maghreb si è a conoscenza di soli due strumenti di questo genere. Il primo è una meridiana realizzata nel 1345-1346 da un certo Abū 'l-Qāsim ibn Šaddād, probabilmente un muwaqqit: si tratta di uno strumento, rudimentale come quelli dei suoi predecessori andalusi, che non era concepito per indicare le ore diurne; le uniche tacche presenti erano relative ai momenti della preghiera. La seconda meridiana è conservata nella moschea di Sīdī ῾Uqba a Qayrawan ed è uno strumento notevolmente più sofisticato, anche se costruito molto più tardi (1842). Non sembra infatti essere esistita una tradizione andaluso-maghrebina di meridiane di una qualche importanza, il che è alquanto sorprendente se si considera l'abilità dimostrata dagli artigiani dell'Islam occidentale nella costruzione di astrolabi e l'esistenza di una serie di manoscritti contenenti alcune tavole per la realizzazione di meridiane per le latitudini di Cordova, Fez, Marrakesh e Tunisi. La massima espressione della gnomonica occidentale compare alla fine del XIII sec. nella Risāla fī ilm al-ẓilāl (Epistola sulla scienza delle ombre), nella quale un astronomo tunisino-andaluso, Abū ῾Abd Allāh Muḥammad ibn Ibrāhīm al-Awsī (conosciuto come Ibn al-Raqqām, m. 1315), descrive il modo di costruire tutti i tipi di meridiana utilizzando gli strumenti matematici ellenistici noti con il nome di analemma.

Altri tipi di congegni per la misurazione del tempo sono gli orologi: il primo strumento di questo genere documentato nell'Islam occidentale è una clessidra con figure che si muovono, costruita da ῾Abbās ibn Firnās (m. 887) per l'emiro omayyade di Cordova, Muḥammad (r. 852-886). Nell'XI sec. una descrizione letteraria attribuisce al famoso astronomo Ibn al-Zarqālī la costruzione di un altro orologio ad acqua a Toledo, che segnava la data d'inizio del mese lunare. Sempre nell'XI sec. ancora a Toledo, Aḥmad o Muḥammad ibn Ḫalaf al-Murādī scrisse il primo trattato occidentale di meccanica applicata, il Kitāb al-Asrār fī natā᾽iǧ al-afkār (Libro dei segreti sui risultati dei pensieri): questa tradizione occidentale riappare negli orologi descritti nei Libros del saber de astronomía del re Alfonso X il Savio e fu probabilmente introdotta nel Maghreb a partire dal XII secolo. Così, mentre nell'Andalus del XIV sec. la tecnologia meccanica andò incontro a un declino (l'orologio a candela costruito per Muḥammad V di Granada nel 1362 non regge il confronto con i congegni descritti da Ibn Ḫalaf al-Murādī), tra il XIII e il XIV sec. si assiste a Fez al suo fiorire, grazie soprattutto al lavoro dei muwaqqit, sensibili all'influenza della meccanica applicata sviluppata nell'Islam orientale. La prima clessidra conosciuta di tipo elementare fu realizzata, nella moschea Qarawiyyīn, da Abū ῾Abd Allāh Muḥammad ibn al-Ḥabbāk al-Tilimsānī tra il 1271 e il 1272; una nuova clessidra fu costruita, per la stessa moschea, da Abū ῾Abd Allāh Muḥammad al-Ṣinhāǧī nel 1317; la versione finale ‒ di cui alcune parti sono ancora oggi esistenti ‒ fu realizzata tra il 1346 e il 1348 da Abū ῾Abd Allāh Muḥammad al-῾Arabī e restaurata, nel 1362, da Abū Zayd ῾Abd al-Raḥmān al-Luǧā᾽ī al-Fāsī (m. 1371). Tale strumento, al momento della realizzazione (1346), fu dotato di gradazione astrolabica oltre che di un sistema di ventiquattro porte corrispondenti alle ventiquattro ore del giorno: ogni ora l'orologio faceva uscire una sfera metallica attraverso la porta giusta, segnando in questo modo il tempo con un suono. Una tecnica simile fu utilizzata in una clessidra costruita nel 1357 da Abū 'l-Ḥasan ῾Alī al-Tilimsānī nella Madrasa Bū ῾Ināniyya di Fez: la gradazione dello strumento ‒ ancora esistente e formata da un insieme di dodici porte ognuna delle quali doveva rimanere aperta per un'ora ‒ fu collocata in strada e i passanti potevano sapere che ora fosse notando quale porta era aperta.

Gli strumenti astronomici: equatoria, strumenti di osservazione e astrolabi universali

Gli equatoria si svilupparono prevalentemente nell'Andalus anche se, con molta probabilità, la loro origine è da ricercare in Oriente (Comes 1991). I primi trattati andalusi sull'equatorium, oltre a quello già citato di Ibn al-Zarqālī, furono scritti da Abū 'l-Qāsim ibn al-Samḥ e da Abū 'l-Ṣalt Umayya ibn Abī 'l-Ṣalt (1067-1134 ca.). Quest'ultimo fu probabilmente l'artefice della diffusione dell'equatorium nel Mashreq durante il suo lungo soggiorno in Egitto. La descrizione di un equatorium compare nel XIII sec. nel già citato Kitāb Ǧāmi῾ al-mabādi᾽ wa-'l-ġāyāt di al-Marrākušī; più tardi, nel XV sec., Ǧamšīd Ġiyāṯ al-Dīn al-Kāšī descrisse, all'interno di questa tradizione, uno strumento altamente sofisticato nel quale si possono trovare dettagli che richiamano l'opera di Ibn al-Zarqālī e di Abū 'l-Ṣalt. L'introduzione del nuovo strumento nell'Europa latina si rivelò molto produttiva, considerato che i primi trattati risalgono al XIII sec. e la tradizione di costruire equatoria, sia di metallo sia di carta, rimase viva fino al XVII secolo.

I tre equatoria andalusi costituiscono in modo evidente modelli planetari tolemaici realizzati in scala. Lo strumento di Ibn al-Samḥ sembra essere stato concepito come un insieme di lamine che andavano alloggiate nella madre di un astrolabio, mentre l'equatorium di Ibn al-Zarqālī diviene uno strumento completamente indipendente e mostra un tentativo di rappresentare tutti i deferenti e gli annessi cerchi planetari su una singola lamina, incisa su entrambi i lati; una seconda lamina con tutti gli epicicli era sovrapposta a essa. Inoltre, la complessità del modello tolemaico di Mercurio portò Ibn al-Zarqālī a compiere un passo rivoluzionario e a rappresentare il deferente di questo pianeta non come un cerchio ma come un'ellisse, identificata da lui come tale; Ibn al-Zarqālī non fece altro che rappresentare graficamente quanto era già implicito nel modello tolemaico, ma sembra sia stato il primo astronomo ad avere il coraggio sufficiente per oltrepassare i confini di un'astronomia basata sui cerchi e introdurre una nuova astronomia delle sezioni coniche. L'opera di Abū 'l-Ṣalt procede lungo linee simili a quelle seguite precedentemente, ma i suoi sforzi di rappresentare su un solo lato della lamina principale tutti i deferenti e gli annessi cerchi planetari (a eccezione di quelli della Luna che compaiono sul retro della stessa lamina) nell'ordine tolemaico suggeriscono che ci si trova di fronte a un tentativo di realizzare una rappresentazione reale dell'Universo e di superare i suoi predecessori, i quali si dedicavano soltanto alle questioni pratiche dei loro modelli matematici.

Gli astronomi andalusi erano particolarmente interessati agli strumenti astronomici e privilegiarono lo sviluppo di calcolatori analogici quali l'equatorium; solo in due casi eccezionali si dedicarono all'ideazione di strumenti concepiti per l'osservazione astronomica. Il primo di essi è la sfera armillare realizzata da Ibn al-Zarqālī, cui l'astronomo andaluso dedicò un trattato che ci è pervenuto in una traduzione castigliana del XIII secolo. Tale strumento aveva già attirato l'attenzione di astronomi andalusi e maghrebini quali ῾Abbās ibn Firnās, che costruì una sfera armillare per l'emiro di Cordova ῾Abd al-Raḥmān II, e l'astronomo ebreo di Qayrawan Abū Sahl Dūnaš ibn Tamīm ‒ a sua volta autore di un trattato sull'uso di questo strumento ‒, il quale ne costruì uno per il governatore della città tunisina di Mahdiyya, Abū 'l-Ḥasan Muḥammad ibn al-Ḥusayn. L'altro strumento di questo genere descritto nelle fonti andaluse fu ideato da Ǧābir ibn Aflaḥ (attivo nel 1150 ca.): esso è costituito da un grande anello graduato (Ǧābir menziona un diametro di circa sei spanne), con un asse centrale su cui ruota un quadrante anch'esso graduato con un'alidada e due traguardi. Questo congegno può essere fissato sul piano del meridiano, dell'equatore o dell'eclittica, ed è stato considerato come il predecessore del torquetum, descritto per la prima volta verso la fine del XIII sec. da Bernardo di Verdun e da Franco di Polonia, malgrado le analogie tra i due strumenti non siano molto chiare.

Il terzo gruppo di strumenti astronomici andalusi è costituito dagli astrolabi. Nel Maghreb l'esistenza dell'astrolabio ordinario è documentata dalla prima metà del X sec.: Dūnaš ibn Tamīm, nel suo trattato sull'uso della sfera armillare, nomina sia gli astrolabi settentrionali sia quelli meridionali oltre a tipi inusuali come il genere mubaṭṭaḫ (a forma di melone) o ḥūtī (a forma di pesce). I più vecchi astrolabi maghrebini rimasti risalgono al XIII secolo. Per quanto riguarda l'Andalus, i primi studi di rilievo su questo strumento hanno inizio con Maslama al-Maǧrīṭī, mentre una tradizione di costruttori di astrolabi comincia verso la fine del X sec. e continua fino al 1481, anno in cui l'ultimo astrolabio andaluso ancora esistente fu costruito da un certo Muḥammad ibn Zāwal. L'astrolabio ordinario aveva bisogno di una lamina speciale per ogni latitudine; tale difetto fu superato da Ibn al-Zarqālī e dal suo contemporaneo Abū 'l-Ḥasan ῾Alī ibn Ḫalaf al-Šaǧǧār (noto anche come al-Ṣaydalānī), con la costruzione dei cosiddetti astrolabi universali. Negli strumenti da essi ideati la proiezione utilizzata era sempre stereografica, ma il centro di proiezione era il punto equinoziale (sia Aries sia Libra 0°, che apparivano sovrapposti sul centro della lamina) e il piano di proiezione era il coluro solstiziale: con questa soluzione l'orizzonte diveniva un diametro della lamina e un regolo ruotante poteva facilmente diventare un orizzonte mobile ed essere adattato a ogni latitudine richiesta. Lo strumento di Ibn al-Zarqālī, descritto in un suo trattato in cento capitoli del 1048-1049, era chiamato al-ṣafīḥa al-abbādiyya, dal nome del personaggio cui era dedicato, Abū 'l-Qāsim Muḥammad ibn ῾Abbād al-Mu῾taḍid ibn Muḥammad ibn Ismā῾īl ibn ῾Abbād, il futuro re di Siviglia al-Mu῾tamid (r. 1068-1091), che all'epoca aveva soltanto otto o nove anni. Questo strumento ‒ più noto come ṣafīḥa zarqāliyya ‒ aveva sul dritto una doppia griglia di coordinate equatoriali ed eclittiche e un regolo-orizzonte, mentre sul rovescio presentava una scala zodiacale, una proiezione ortografica della sfera celeste, un quadrante dei seni e un diagramma (cerchio della Luna) che, combinato con un'alidada estremamente elaborata (regolo trasversale), consentiva il calcolo della distanza geocentrica della Luna a un tempo fissato. Sembra che Ibn al-Zarqālī abbia dedicato allo stesso sovrano al-Mu῾tamid una nuova versione semplificata del suo strumento, nota come al-šakkāziyya, e descritta in un trattato diviso in sessanta capitoli. Questa seconda variante aveva una sola griglia completa di coordinate equatoriali (la griglia eclittica è limitata alla proiezione dei cerchi massimi di longitudine che corrispondono agli inizi dei segni zodiacali) sul dritto, mentre il rovescio assomigliava a quello di un astrolabio ordinario poiché la proiezione ortografica, il quadrante dei seni, il diagramma lunare e la sofisticata alidada erano scomparsi.

Sembra che questi due strumenti di Ibn al-Zarqālī ‒ specialmente la šakkāziyya ‒ fossero concepiti come una lamina ausiliare da utilizzarsi quando un astrolabio non ne aveva una standard per la latitudine e come tale essa compare a volte sul rovescio di astrolabi sia islamici sia europei. Il suo utilizzo era più difficile e richiedeva uno sforzo d'immaginazione maggiore rispetto all'astrolabio, principalmente a causa della mancanza di una rete o armatura (῾ankabūt), la cui rotazione rappresentasse quella della sfera celeste intorno alla Terra. Questo è probabilmente il motivo per cui, nel 1071-1072, ῾Alī ibn Ḫalaf ideò lo strumento da lui chiamato al-asṭurlāb al-mamūnī, che dedicò al sovrano di Toledo al-Ma᾽mūn (1043-1074). Il dritto di questo strumento ‒ normalmente chiamato 'lamina universale' ‒ presentava una singola griglia di coordinate sopra la quale era sovrapposta una rete ruotante di cui una metà corrispondeva a una seconda griglia di coordinate e l'altra alla proiezione di un piccolo numero di stelle come nell'armatura di un astrolabio ordinario. Tale strumento, come del resto quelli di Ibn al-Zarqālī, era conosciuto sia nel Maghreb sia nel Mashreq e, all'inizio del XIV sec., influenzò probabilmente l'opera dell'astronomo siriano Šihāb al-Dīn Aḥmad ibn Abī Bakr, noto come Ibn al-Sarrāǧ.

L'ultimo tentativo andaluso di ideare un astrolabio universale fu compiuto verso la fine del XIII sec. dal muwaqqit e costruttore di strumenti di Granada Ḥusayn ibn Aḥmad ibn Bāṣo (m. 1316), il quale nel 1274 inventò una lamina che andava utilizzata con un astrolabio ordinario, chiamata al-ṣafīḥa al-ǧāmia li-ǧamī al-urūḍ (lamina generale per tutte le latitudini). In questa ṣafīḥa convergevano due tradizioni ben note: da un lato gli sforzi di Ibn al-Zarqālī e di ῾Alī ibn Ḫalaf che influenzarono Ibn Bāṣo sia nel progetto sia nell'utilizzo del suo strumento e, dall'altro, la tradizione orientale della ṣafīḥa āfāqiyya (lamina degli orizzonti), la cui invenzione viene attribuita a Ḥabaš al-Ḥāsib (m. 864 ca.). L'utilizzo di questa lamina sia nel mondo arabo-islamico sia nella lontana India, e il ricorso a soluzioni analoghe da parte di costruttori europei di strumenti ‒ seppure in un periodo successivo ‒ dimostrano quanto fosse influente la ricca tradizione andalusa di ideazione di strumenti.

Anche in questo caso l'influsso andaluso nel Maghreb si dimostra evidente: gli unici strumenti astronomici maghrebini indipendenti dall'Andalus furono quelli realizzati da costruttori che emigrarono nell'Oriente islamico, come nel caso di Abū ῾Alī al-Marrākušī, stabilitosi al Cairo verso la fine del XIII sec., il cui Kitāb Ǧāmi῾ al-mabādi wa-'l-ġāyāt contiene descrizioni di strumenti sia della tradizione andalusa (l'unica descrizione maghrebina conosciuta di un equatorium) sia di quella orientale. Un caso analogo è quello di al-Rūdānī (1627-1683), che descrisse un astrolabio sferico peculiare più elaborato di quello menzionato da Alfonso X nei Libros del saber de astronomía. Tuttavia, al di là di questi due casi, nel Maghreb, a partire dal XIII sec., si trovano essenzialmente riproduzioni di astrolabi universali andalusi: Abū Bakr ibn Yūsuf, un costruttore di strumenti di Marrakesh dell'inizio del XIII sec., realizzò almeno una ṣafīḥa secondo il modello di Ibn al-Zarqālī. Sul finire del medesimo secolo il famoso Ibn al-Bannā᾽, anch'egli di Marrakesh, scrisse due brevi trattati nei quali riuscì a condensare le applicazioni essenziali di due tipi di ṣafīḥa. Ad ῾Alī ibn Ibrāhīm al-Ǧarrār (o al-Ǧazzār o al-Ḥarrār), di Taza in Marocco, si deve la costruzione, nel 1327-1328, di un astrolabio universale che fu considerato per molti anni un'evoluzione dello strumento di ῾Alī ibn Ḫalaf, anche se recentemente è stato stabilito in maniera chiara che esso deriva dalla lamina generale di Ibn Bāṣo. L'interesse nei confronti di questi strumenti era ancora vivo nel XVIII sec., quando il giurista marocchino esperto in computo del tempo, Abū al-Rabī῾ Sulaymān ibn Aḥmad al-Fištālī (m. 1794) scrisse l'unico trattato superstite sulla costruzione della ṣafīḥa al-ǧāmia di Ibn Bāṣo. Infine, un anonimo astrolabio maghrebino del XVIII sec., che ora si trova nello Science Museum di Londra, rappresenta una sintesi di tutti gli sforzi andalusi compiuti nell'ideazione di strumenti, in quanto, al di là del fatto che si tratti di un astrolabio convenzionale, esso contiene lamine della šakkāziyya, della zarqāliyya e della ṣafīḥa ǧāmia, mentre il retro corrisponde soltanto a quello della zarqāliyya (con la scala zodiacale, la proiezione ortografica e il quadrante dei seni sul quale è stato sovrapposto un quadrante delle ombre) e, ciò che più conta, esso contiene l'unico esempio superstite del regolo trasversale che era stato ideato da Ibn al-Zarqālī per il retro del suo strumento, il quale è assolutamente necessario per l'utilizzazione della proiezione ortografica e del cerchio della Luna.

Ibn al-Zarqālī e l'astronomia matematica andalusa

La tradizione astronomica indiana ‒ giunta attraverso gli Zīǧ al-Sindhind di al-Ḫwārizmī ‒ fu sviluppata principalmente da Maslama e dai suoi discepoli, e non fu mai completamente abbandonata nell'Andalus e nel Maghreb. Ne sono un esempio gli Zīǧ al-Ǧayyān, composti a Jaén (Ǧayyān), nel Sud della Spagna, da Ibn Mu῾āḏ e dei quali sono rimasti soltanto i canoni (testi che spiegano l'uso delle tavole numeriche) in una traduzione latina (Tabulae Jahen) di Gherardo da Cremona, che non ebbero la stessa fortuna delle Tavole di Toledo, note attraverso una traduzione latina conservata in molti manoscritti. Queste tavole sembrano il risultato di un adattamento di tutto il materiale astronomico disponibile (al-Ḫwārizmī, al-Battānī e l'Almagesto) alle coordinate di Toledo, realizzato da un gruppo di astronomi toledani guidati dal famoso qāḍī Abū 'l-Qāsim Ṣā῾id ibn Aḥmad ibn ῾Abd al-Raḥmān ibn Muḥammad ibn Ṣā῾id al-Andalusī (m. 1070); a questo gruppo appartenevano anche Ibn al-Zarqālī e ῾Alī ibn Ḫalaf. Anche se i risultati ottenuti non furono un successo, bisogna ricordare che le tavole del moto medio sono originali e rappresentano il frutto di un programma di osservazioni che fu proseguito da Ibn al-Zarqālī all'incirca fino al 1080.

Le Tavole di Toledo costituiscono una testimonianza di un altro originale sviluppo dell'astronomia andalusa, la teoria della trepidazione. Questa si proponeva di giustificare due fatti attestati da osservazioni più o meno precise: da un lato che l'obliquità dell'eclittica non è costante ma diminuisce lentamente (gli astronomi indiani menzionavano un'obliquità di 24°, Tolomeo di 23;51,20° e gli astronomi del califfo abbaside al-Ma᾽mūn, attorno all'830, di circa 23;33°); e dall'altro che la velocità di precessione non è costante (Ipparco e Tolomeo stabilirono che essa era di 1° in 100 anni, mentre gli astronomi di al-Ma᾽mūn considerarono che era di circa 1° in 66 anni). La teoria della trepidazione, così come fu formulata dagli astronomi musulmani, aveva chiari precedenti sia nell'Antichità classica sia negli echi dell'astronomia greca in India: queste prime formulazioni stabilivano solamente che i punti equinoziali e solstiziali possedevano un movimento molto lento in avanti e all'indietro lungo un arco limitato dell'eclittica (che Teone di Alessandria, intorno al 370 d.C., considerò essere di 8°), ma non esisteva alcun modello geometrico che giustificasse tale movimento sino alla prima metà del X sec., quando Ibrāhīm ibn Sinān (908-946) ideò il primo modello conosciuto di trepidazione. Tale formulazione della teoria, o forse una differente, fu introdotta nell'Andalus attraverso il Kitāb Naẓm al-iqd (Il collare di perle infilate) scritto da Ḥusayn ibn Muḥammad ibn Ḥāmid (conosciuto come Ibn al-Ādamī) e pubblicato da uno dei suoi discepoli nel 949. Questo libro era noto al qāḍī Ṣā῾id, il quale probabilmente si occupò della trepidazione, poiché essa rappresentava uno dei principali interessi degli astronomi toledani: uno di essi, Abū Marwān al-Istiǧǧī, scrisse, in base a quanto riportato da Abū Muḥammad ῾Abd al-Ḥaqq al-Ġāfiqī al-Išbīlī (conosciuto come Ibn al-Hā᾽im e attivo nel 1204-1205), una Risālat al-iqbāl wa-'l-idbār (Epistola sull'accesso e sulla recessione) ed è uno dei possibili autori ‒ un altro è Ṣā῾id ‒ del famoso De motu octavae spherae tradizionalmente attribuito a Ṯābit ibn Qurra (m. 901). Anche se è estremamente difficile stabilire chi fu l'autore del De motu, sembra probabile che le tavole della trepidazione che compaiono in alcuni manoscritti assieme al testo latino, e che sono rimaste anche nelle Tavole di Toledo, siano indipendenti dal De motu e possano essere associate al lavoro degli astronomi toledani. Questo fu proseguito da Ibn al-Zarqālī che, all'incirca nel 1085, scrisse un trattato sul movimento delle stelle fisse, pervenutoci in una traduzione ebraica, in cui studiò con successo tre differenti modelli di trepidazione, nel terzo dei quali la precessione variabile divenne indipendente dall'oscillazione dell'obliquità dell'eclittica.

Tra i più originali e influenti astronomi andalusi, Ibn al-Zarqālī cominciò come costruttore di strumenti e si avvicinò alle osservazioni e alla teoria astronomica probabilmente perché attratto dal lavoro del gruppo del qāḍī Ṣā῾id: si dedicò all'osservazione del Sole per venticinque anni e, in base a quanto affermato da Ibn al-Hā᾽im in al-Zīǧ al-kāmil fī 'l-ta῾ ālīm (Tavole perfette di astronomia matematica), osservò anche la Luna per trentasette anni. Tra il 1075 e il 1080 scrisse un testo Fī sanat al-šams (Sull'anno solare) o Risāla al-ǧāmia fī 'l-šams (Epistola completa sul Sole), il cui contenuto ci è noto attraverso fonti secondarie, sia arabe sia latine, fra le quali l'opera già citata di Ibn al-Hā᾽im. Dall'analisi di queste fonti emerge, in primo luogo, che nelle osservazioni del Sole compiute negli anni tra il 1074 e il 1075 Ibn al-Zarqālī stabilì a 85;49° la longitudine dell'apogeo solare; questa considerazione lo condusse a confermare l'opinione comune tra gli astronomi musulmani, all'incirca dall'830 in poi, secondo la quale l'apogeo solare si muoveva con la velocità della precessione, insieme alle stelle fisse, e anche ad avanzare l'originale affermazione secondo cui l'apogeo solare aveva un proprio moto pari a circa 1° in 279 anni giuliani. Inoltre, egli confermò la lunghezza dell'anno sidereo (365;15,24 giorni) precedentemente usata nelle Tavole di Toledo e stabilì che l'eccentricità solare per la sua epoca era pari a 1;58 'parti'. Poiché Ipparco, all'incirca nel 150 a.C., aveva determinato che l'eccentricità solare era 2;30 parti, mentre sia Ṯābit ibn Qurra sia al-Battānī avevano stabilito nuovi valori per quel parametro (il primo 2;26 parti utilizzando osservazioni databili intorno all'830, e al-Battānī 2;45 parti per l'anno 883), Ibn al-Zarqālī concluse che l'eccentricità solare era variabile: egli ideò quindi un modello geometrico che permetteva di giustificare tale variabilità e di calcolare il valore dell'eccentricità solare a una data fissata. Un ulteriore contributo di Ibn al-Zarqālī, riportato da Ibn al-Hā᾽im, è la sua correzione del modello lunare di Tolomeo: Ibn al-Zarqālī affermò che il centro del moto medio della Luna in longitudine non era il centro della Terra ma era collocato su una linea retta che univa il centro della Terra con l'apogeo solare. Questo implicava l'introduzione, per la Luna, di un equante che si muoveva con la rotazione dell'apogeo solare e che lo costrinse a introdurre una correzione nella longitudine media della Luna pari a un massimo di 24′. La correzione apportata da Ibn al-Zarqālī compare negli zīǧ andalusi (Ibn al-Kammād) e maghrebini (Ibn Isḥāq, Ibn al-Bannā᾽) oltre che nei canoni castigliani della prima versione delle Tavole alfonsine.

Tanto le Tavole di Toledo quanto il De motu furono i principali veicoli d'introduzione della teoria della trepidazione andalusa in Europa. La diffusione del trattato di Ibn al-Zarqālī sul movimento delle stelle fisse non è così chiara, nonostante l'esistenza di una traduzione ebraica dell'inizio del XIV sec.; un riferimento a una tavola simile a quella di Ibn al-Zarqālī per il calcolo dell'obliquità dell'eclittica è presente sempre nei canoni castigliani della prima stesura delle Tavole alfonsine, malgrado questo tipo di tavola scompaia nella versione finale latina. Per quanto riguarda il libro di Ibn al-Zarqālī sulla teoria solare, sembra probabile che esso sia stato tradotto in latino, dal momento che Bernardo di Verdun (attivo nel 1300 ca.), nel Tractatus super totam astrologiam, ne dimostra una conoscenza molto approfondita.

Le tavole del moto medio sidereo, la teoria della trepidazione, un modello solare con l'eccentricità variabile, la correzione nel modello lunare e alcuni parametri stabiliti da Ibn al-Zarqālī si ritrovano in una caratteristica famiglia di zīǧ andalusi e maghrebini. Il primo fra questi è lo stesso al-Amad῾alā 'l-abad di Ibn al-Zarqālī, anche se le tavole ivi contenute sono forse le meno influenzate da queste peculiarità (ma le tavole solari sembrano derivare dai parametri toledani). Questo testo, che è stato conservato in arabo, in latino e in una traduzione spagnola (alfonsina), è basato su un'opera greca compilata da un certo Awmātiyūs nel III o IV sec. d.C., e il suo intento è di fornire agli astrologi tavole che consentano di ottenere le longitudini planetarie senza tutto il calcolo implicato nell'uso degli zīǧ. Per tale scopo Awmātiyūs e Ibn al-Zarqālī facevano uso dei periodi planetari che servivano ai Babilonesi per compilare i pronostici relativi a un anno prescelto (dopo aver completato uno di questi cicli le longitudini di un dato pianeta risulteranno le medesime nelle stesse date dell'anno nelle quali iniziava il ciclo). L'elaborazione di almanacchi perpetui di questo tipo sembra essere caratteristica dell'astronomia andalusa: per uno scopo analogo, gli astronomi del Mashreq calcolavano effemeridi che erano valide solamente per un anno oltre a tavole ausiliarie, anch'esse basate sui periodi dei pronostici babilonesi, per il calcolo delle effemeridi. Gli almanacchi furono utilizzati anche nel Maghreb e divennero abbastanza comuni nella Spagna medievale dei secoli successivi.

Altri zīǧ influenzati dalle teorie astronomiche di Ibn al-Zarqālī sono quelli composti da Abū Ǧa῾far Aḥmad ibn Yūsuf, noto come [Ibn] al-Kammād (attivo a Cordova nel 1116-1117) e da Ibn al-Hā᾽im. Ibn al-Kammād fu probabilmente un discepolo diretto di Ibn al-Zarqālī e compose tre zīǧ intitolati al-Kawr alā 'l-dawr (La rotazione dei cicli), al-Amadalā 'l-abad (Almanacco) e al-Muqtabas (Ciò che si è acquisito); quest'ultimo (un compendio degli altri due) è sopravvissuto nella traduzione latina di Giovanni di Dumpno scritta a Palermo nel 1262, che contiene anche frammenti di al-Kawr alā 'l-dawr; mentre una sezione di al-Amad alā 'l-abad è conservata in una traduzione castigliana. Ibn al-Kammād utilizzò materiali di Ibn al-Zarqālī (Tavole di Toledo, al-Amadalā 'l-abad) soprattutto in relazione ai moti solari: egli (come Ibn al-Hā᾽im, Ibn Isḥāq, Ibn al-Raqqām in al-Zīǧ al-šāmil [Tavole astronomiche complete], e Ibn ῾Azzūz al-Quṣantīnī) applicò il moto dell'apogeo solare a quello degli apogei degli altri pianeti. Questa circostanza solleva la questione di stabilire se si tratti di una novità introdotta da Ibn al-Kammād, o se essa invece già comparisse nell'opera perduta di Ibn al-Zarqālī; nell'ambito di tale tradizione solo Ibn al-Bannā᾽ e Ibn al-Raqqām in al-Zīǧ al-qawīm (Tavole astronomiche corrette) tennero conto del fatto che il moto dell'apogeo solare dovrebbe essere applicato esclusivamente ai pianeti inferiori. Ibn al-Kammād introdusse anche molti altri materiali tratti da fonti differenti, alcune delle quali risalgono a periodi anteriori: egli cita infatti Ya῾qūb ibn Ṭāriq (attivo sul finire dell'VIII sec.) e l'opera al-Zīǧ al-mumtaḥan (Tavole astronomiche verificate) di Yaḥyā ibn Abī Manṣūr (attivo nell'830); in effetti si è di fronte alla prima conferma chiara della diffusione nell'Andalus della tradizione Mumtaḥan al di là degli indizi presenti sia nel Calendario di Cordova sia nell'opera di Maslama al-Maǧrīṭī. Restano ancora molti quesiti sul materiale tabulare del Muqtabas (per es., le diverse stime della lunghezza dell'anno solare), che potranno ricevere una risposta dall'esame dei materiali ancora inesplorati di Ibn al-Kammād esistenti nella tradizione maghrebina. Infine, il Muqtabas sembra essere la fonte principale delle tavole astronomiche compilate nel XIV sec. per il re Pietro IV d'Aragona.

Ibn al-Kammād fu fortemente criticato da Ibn al-Hā᾽im, che nel 1204-1205 dedicò gli Zīǧ al-kāmil fī 'l-ta῾ālīm (Tavole perfette di astronomia matematica) al califfo almohade Abū ῾Abd Allāh Muḥammad al-Nāṣir. Queste tavole, conservate nella Bodleian Library di Oxford, non sono zīǧ ordinari poiché contengono un insieme estremamente elaborato di canoni (173 pagine) ma nessuna tavola numerica. I canoni presentano alcune procedure di calcolo per risolvere problemi astronomici e includono accurate dimostrazioni geometriche, le quali provano che il loro autore fosse un buon matematico, perfettamente a conoscenza della nuova trigonometria introdotta nell'Andalus da Ibn Mu῾āḏ. Si tratta di una fonte astronomica di notevole importanza ma non ancora sufficientemente esplorata, che contiene una grande quantità di informazioni storiche sul lavoro svolto, nell'XI sec., dalla scuola toledana. Tuttavia Ibn al-Hā᾽im, a dispetto della sua evidente fedeltà alle teorie del suo predecessore Ibn al-Zarqālī, introduce quelli che egli considera essere dei miglioramenti ai parametri dello studioso, poiché, come afferma, tali cambiamenti sono semplicemente pratici (῾amalī) e non hanno alcuna implicazione teorica (῾ilmī).

I contributi dell'astronomia andalusa che ebbero una reale importanza ed esercitarono un'influenza nello sviluppo scientifico sia europeo sia maghrebino sono per lo più di carattere puramente matematico. Tuttavia, esistono delle eccezioni: Qāsim ibn Muṭarrif al-Qaṭṭān scrisse un trattato elementare di cosmologia tolemaica; alcuni esponenti della scuola di Maslama ‒ secondo quando afferma Ṣā῾id al-Andalusī ‒ si interessarono all'astronomia fisica (hay᾽a); e un contemporaneo toledano di Ibn al-Zarqālī, autore di una Risālat al-hay᾽a (Epistola sull'astronomia), rimasta in un manoscritto di Hyderabad, menziona un libro altrimenti sconosciuto dal titolo al-Istidrāk῾alā Baṭlamiyūs (Ricapitolazione su Tolomeo), che segnerebbe l'inizio della critica andalusa all'astronomia tolemaica, più o meno sulle linee di Ibn al-Hayṯam. Tale critica comparve durante il XII sec. e seguì orientamenti differenti. Ǧābir ibn Aflaḥ, nell'Iṣlāḥ al-Maǧisṭī (La rettifica all'Almagesto), cercò di riscrivere l'Almagesto per agevolarne la comprensione e, a tale scopo, rimaneggiò le dimostrazioni di Tolomeo utilizzando la nuova trigonometria sviluppata in Oriente nel X sec. e introdotta nell'Andalus da Ibn Mu῾āḏ nell'XI. Ǧābir criticò Tolomeo principalmente per le sue incoerenze matematiche, ma non per le difficoltà fisiche che affliggevano il cosmo tolemaico. Da questo punto di vista la vera critica fu esercitata da filosofi come Averroè, Avempace (1070?-1138) e al-Bitrūǧī (attivo prima del 1200): essi conoscevano bene l'Almagesto e, sia Avempace sia Averroè, avevano letto gli Šukūk alā Baṭlamiyūs (Dubbi su Tolomeo) di Ibn al-Hayṯam, sebbene il primo respingesse gli argomenti di quest'ultimo. Nell'insieme, il punto di partenza di Averroè era quello di accettare, in mancanza di meglio, l'Universo tolemaico così come era descritto nelle Ipotesi planetarie, benché egli esprimesse chiaramente la necessità di concepire una nuova cosmologia. Questo fu anche l'obiettivo di al-Bitrūǧī, il cui tentativo di creare un nuovo sistema del mondo non ebbe evidentemente successo, anche se fu di indubbio interesse poiché sollevò, per la prima volta nel contesto occidentale, importanti problemi di dinamica celeste, come quello della trasmissione del moto dal Primo Mobile alle sfere planetarie interne.

Gli zīǧ maghrebini

All'inizio dell'XI sec. l'astrologo Ibn Abī 'l-Riǧāl al-Qayrawānī compose degli zīǧ, dal titolo Ḥall al-aqd wa-bayān al-raṣd (Lo scioglimento dei nodi e la spiegazione delle osservazioni astronomiche), andati perduti, mentre ci è giunto l'insieme di tavole risalenti al 1200 circa preparate da Abū 'l-῾Abbās ibn Isḥāq al-Tamīmī al-Tūnisī, attivo a Tunisi e a Marrakesh negli anni 1193-1222 ca., di cui resta un unico manoscritto conservato a Hyderabad, copiato nella città siriana di Hims nel 1317. Secondo Ibn Ḫaldūn, Ibn Isḥāq compilò le sue tavole basandosi su osservazioni compiute da un ebreo siciliano, ma l'analisi dei materiali esistenti sembra suggerire piuttosto che il corrispondente siciliano di Ibn Isḥāq gli fece pervenire materiale astronomico andaluso. Ibn Isḥāq compilò un insieme di tavole per il calcolo delle longitudini planetarie, delle eclissi, dell'equazione del tempo, della parallasse e, probabilmente, delle velocità solare e lunare. Queste tavole non erano accompagnate da un'elaborata collezione di canoni, ma contenevano soltanto qualche istruzione per l'utilizzazione di alcune di esse. Nel manoscritto sono presenti informazioni relative alla data dell'attività di Ibn Isḥāq. La tavola 5 fornisce una lista di 24 astronomi che determinarono, mediante 'osservazione diretta', la longitudine dell'apogeo solare e l'obliquità dell'eclittica e aggiunge la data della presunta osservazione: l'anno indicato per le osservazioni effettuate in Sicilia è il 584 dell'egira, ovvero il 1188-1189, mentre quelle di Ibn Isḥāq in persona corrispondono al 589 dell'egira, cioè al 1193. Dall'altra parte, la tavola per l'equazione solare, calcolata da Ibn Isḥāq per il valore dell'eccentricità solare durante la sua epoca ‒ utilizzando un modello risalente a Ibn al-Zarqālī dell'eccentricità variabile ‒ corrisponde all'anno 619 dell'egira, cioè al 1222, una data che compare citata, come l'anno in cui Ibn Isḥāq calcolò alcune delle sue tavole, anche in un manoscritto di El Escorial contenente il Minhāǧ (Metodo) di Ibn al-Bannā᾽.

Queste tavole con un numero assai limitato di canoni furono completate intorno al 1266-1281 da un ignoto astronomo. Questi compilò l'insieme di canoni del manoscritto di Hyderabad, traendolo da fonti andaluse, da lui stesso identificate nel Kitāb al-Kāmil (Trattato completo) di Ibn al-Hā᾽im e nei tre zīǧ di Ibn al-Kammād. Egli utilizzò inoltre materiali degli Zīǧ al-Ǧayyān di Ibn Mu῾āḏ, degli zīǧ di Ibn al-Bayṭār e di al-Sabtī (scritti per la città di Tlemcen) oltre a rifarsi a fonti più convenzionali (al-Ḫwārizmī, al-Zīǧ al-mumtaḥan, al-Battānī e diverse opere astrologiche di Mūsā ibn Nawbaḫt, Abū Ma῾šar e Ibn Abī 'l-Riǧāl). Questo ignoto astronomo aggiunse anche le tavole numeriche che riteneva fossero mancanti nel primo insieme di Ibn Isḥāq e fece uso di numerose altre fonti: Ibn al-Kammād (cronologia, latitudini planetarie, stazioni e retrogradazioni planetarie, eclissi lunari e solari, parallasse, spostamento degli anni astrologici, ecc.), Ibn al-Hā᾽im (spostamento degli anni, il che solleva il problema della mancanza di tavole nell'unico manoscritto di Ibn al-Hā᾽im, v. sopra), al-Zīǧ al-mumtaḥan, Ṭumṭun al-Hindī e Maslama ibn Aḥmad al-Maǧrīṭī (tavole astrologiche probabilmente legate alla tradizione del Picatrix), Abū Ma῾šar, il Sindhind dell'astronomia indiana, Ibn al-Bayṭār (latitudini planetarie), al-Qallāṣ e Ibn Mu῾āḏ (entrambi per la visibilità lunare). A tutto ciò l'ignoto compilatore allegò un'importante collezione di tavole da lui stesso calcolate che comprende un almanacco (il termine al-manāḫ è usato nel testo) al modo di Ibn al-Zarqālī, oltre a molte altre tavole la cui fonte è sconosciuta. L'insieme costituisce quindi un'impressionante raccolta di materiali in cui l'influenza predominante è andalusa, anche se ancora non si conosce in che misura i contributi di Ibn Isḥāq siano originali: le sue tavole solari risalgono a Ibn al-Zarqālī; il valore massimo delle equazioni del centro per i pianeti sono tolemaiche per quanto riguarda Marte, Mercurio e la Luna; il caso di Venere (1;51°) può derivare da un nuovo calcolo dell'eccentricità solare a partire dal modello solare con eccentricità variabile di Ibn al-Zarqālī; i valori per Saturno (5;48°) e Giove (5;41°) sembrano nuovi e furono utilizzati dai successori di Ibn Isḥāq: Ibn al-Bannā᾽ e Ibn al-Raqqām.

Un'ulteriore edizione del testo e delle tavole di Ibn Isḥāq fu curata da Ibn al-Bannā᾽ di Marrakesh, nel suo Minhāǧ al-ṭālib fī ta῾dīl al-kawākib (Il metodo dello studente per il computo della posizione dei pianeti), seguendo un criterio totalmente differente da quello del manoscritto di Hyderabad: al posto di un'ingente accumulazione di materiali tratti da diverse fonti si ha in questo caso una selezione delle tavole di Ibn Isḥāq, accompagnata da una collezione di canoni, facili da comprendere, che rendono gli zīǧ accessibili per il calcolo delle longitudini planetarie; alcune modifiche nella struttura delle tavole permettono inoltre di agevolare i calcoli. Sia le tavole dell'equazione solare sia quelle delle equazioni del centro dei pianeti e della Luna sono 'traslate', una tecnica usata per la prima volta nel Maghreb. Inoltre, mentre le tavole dell'equazione dell'anomalia di Marte, Venere e Mercurio presentano la struttura ordinaria, derivata dalle Tavole manuali, nel caso di Giove e Saturno ‒ pianeti che hanno epicicli piccoli ‒, l'equazione dell'anomalia è calcolata con lo stesso metodo usato per la Luna. Ibn al-Bannā᾽, benché si sia dimostrato un abile adattatore, in grado di selezionare e ordinare una massa caotica di fonti, tanto da comporre un'opera utilizzata sino al XIX sec., rivela tuttavia una certa ingenuità introducendo alcune modifiche formali che danno alla sua opera un'apparenza di novità non corrispondente alla realtà. Accanto al Minhāǧ, Ibn al-Bannā᾽ ha redatto altre opere comprendenti tavole, tra le quali al-Yasāra fī taqwīm al-sayyāra (Semplificazione delle procedure di computo delle posizioni planetarie), chiamata dallo studioso David King 'zīǧ bambini': si tratta infatti della più piccola forma possibile di zīǧ, dedicati soprattutto al calcolo delle longitudini planetarie e preparati per un pubblico di astrologi popolari da cui forse ci si attendeva che imparassero a memoria il testo molto breve dei canoni. Le pochissime tavole numeriche sono inoltre molto semplificate e, nel caso della Luna, si torna a un modello semplice con una sola ineguaglianza e un'equazione del massimo di 5° (un arrotondamento del valore indiano standard di 4;56° o della prima ineguaglianza lunare di Tolomeo di 5;1°). Questo lavoro incontrò un discreto successo e fu oggetto di commentari, adattamenti e correzioni, come nel caso di Ibn Qunfuḏ al-Qusanṭīnī (1339-1407), che apportò varie modifiche, correggendo così alcuni difetti dell'opera originale.

Altri due zīǧ di rilievo sono quelli composti da Ibn al-Raqqām, contemporaneo di Ibn al-Bannā᾽ e del curatore del testo esistente nel manoscritto di Hyderabad, intitolati al-Zīǧ al-šāmil fī tahḏīb al-kāmil (Correzione completa alle Tavole astronomiche perfette) e al-Zīǧ al-qawīm fī funūn al-tadīl wa-'l-taqwīm (Tavole astronomiche corrette per il computo delle posizioni planetarie). Il primo scritto fu composto a Tunisi nel 1280-1281 con l'intento di semplificare i canoni degli zīǧ di Ibn al-Hā᾽im, aggiungendovi tavole numeriche e rivedendo i parametri in maniera tale che si potesse ottenere un migliore accordo tra il calcolo e l'osservazione. Da un'analisi di questi zīǧ emerge esattamente il lavoro di Ibn al-Raqqām: i canoni sono, parola per parola, quelli di Ibn al-Hā᾽im con l'omissione di tutte le sue accurate dimostrazioni geometriche; le tavole numeriche aggiunte da Ibn al-Raqqām sono grosso modo quelle di Ibn Isḥāq. Ibn al-Bannā᾽ non viene mai menzionato e non vi è traccia delle caratteristiche modificazioni introdotte dall'astronomo marocchino. Quindi si tratta di una terza 'edizione' delle tavole di Ibn Isḥāq: queste tre elaborazioni dell'opera risalgono pressappoco allo stesso periodo. Quanto all'altra opera, al-Zīǧ al-qawīm, non è stata ancora studiata a fondo, ma i canoni sono meno complicati e sembrano una parafrasi semplificata di quelli di al-Zīǧ al-šāmil. Le tavole numeriche non presentano grandi novità, sebbene alcune di esse siano state adattate alle coordinate geografiche di Granada, dopo l'arrivo in città all'epoca di Muḥammad II (1273-1302) di Ibn al-Raqqām: egli determinò accuratamente la latitudine di Granada, e stabilì un valore di 37;10°, che corrisponde al valore moderno della latitudine di questa città. È interessante notare che il corpus degli zīǧ originatosi a Toledo nell'XI sec., portato poi a Tunisi verso la fine del XII sec., si ricongiunse infine, un secolo dopo, con quanto era rimasto nell'Andalus. Le tavole di Ibn Isḥāq furono note anche agli astronomi ebrei della Spagna cristiana: i collaboratori di Alfonso X utilizzarono la stessa obliquità dell'eclittica di Ibn Isḥāq e, nel 1357, Yôsēf ben Waqar compilò a Toledo un insieme di tavole astronomiche, scritte in arabo e conservate in scrittura ebraica, in cui egli dava le posizioni medie del Sole, della Luna e dei pianeti per la data del 1320-1321 d.C., in accordo con le tavole di Ibn Isḥāq.

Un altro astronomo di rilievo del XIV sec. è Abū 'l-Qāsim ibn ῾Azzūz al-Qusanṭīnī (m. 1354), attivo a Costantina, città del Maghreb centrale ‒ che in quel periodo conobbe una discreta attività astronomica ‒, autore di al-Zīǧ al-muwāfiq (Tavole astronomiche adeguate), conservati in due manoscritti a Rabat, e al-Zīǧ al-kāmil (Tavole astronomiche perfette). Egli utilizzò un metodo 'sperimentale' assai peculiare per correggere le tavole del moto medio di Ibn Isḥāq: servendosi di quelle, calcolò oroscopi per eventi ben noti del passato e, dal momento che essi non si accordavano con la realtà storica, fece alcune accurate osservazioni con una sfera armillare a Fez intorno al 1344, e le aggiustò in maniera adeguata utilizzando nuovamente alcuni oroscopi storici. Anche gli zīǧ di Ibn ῾Azzūz si basano su materiali andalusi, e la sua fonte principale è Ibn al-Kammād. Essi contengono informazioni interessanti quali il massimo valore delle equazioni planetarie contenute negli zīǧ di Ibn Mu῾āḏ, le tavole delle velocità planetarie attestate anche nella tradizione alfonsina, e la più antica menzione di un ciclo lunare di 11.325 giorni, che può essere utilizzata per il calcolo delle longitudini lunari usando le tecniche degli almanacchi. Originario di Costantina è anche Abū 'l-Ḥasan ῾Alī ibn Abī ῾Alī al-Qusanṭīnī (XIV sec.), che però fu attivo a Fez, dove compilò un piccolo ziǧ, scrivendo i canoni in versi cosicché potessero essere facilmente imparati a memoria. Quest'opera, che è stata studiata dettagliatamente, è l'unico documento che ci sia pervenuto in arabo nel quale la teoria planetaria è indiana e non tolemaica: il frammento superstite dei canoni di Ibn al-Ṣaffār (m. 1035) corrisponde alla stessa tradizione, ma non tratta la teoria planetaria. Questi zīǧ rivelano, in ogni caso, l'influenza di Ibn Isḥāq e di Ibn al-Bannā᾽: essi contengono le tavole della trepidazione (il valore massimo dell'equazione è 10;45° come nel De motu); le tavole del moto medio usano parametri che sono, principalmente, quelli di Ibn Isḥāq; e la stessa fonte è evidente nelle longitudini dell'apogeo del Sole e dei pianeti. Le tavole delle equazioni planetarie sono praticamente le stesse di quelle degli zīǧ di al-Ḫwārizmī, mentre il metodo illustrato per il calcolo delle longitudini planetarie è chiaramente indiano. Si può quindi affermare che il perdurare dell'astronomia indiana, che è così caratteristico nell'Andalus, sopravvive nel Maghreb in una forma ancora più pura.

Nel prologo di al-Zīǧ al-muwāfiq, Ibn ῾Azzūz aggiunge alcune osservazioni di proprio pugno, notando come gli astronomi moderni abbiano osservato con i loro occhi l'esistenza di incongruenze e di errori nelle quantità calcolate con le tavole di Ibn Isḥāq, che riguardavano i tempi delle congiunzioni dei pianeti superiori, la velocità del moto di Marte, e le stazioni e le retrogradazioni di Venere e di Mercurio. Sia il Kitāb al-Adwār (Libro dei cicli) scritto nel 1418 dall'astrologo marocchino Abū ῾Abd Allāh al-Baqqār, sia due commentari risalenti al XVI e al XVII sec. del poema sul computo del tempo di al-Ǧadarī del 1391 forniscono alcune informazioni sulle osservazioni delle altezze meridiane del Sole e dei pianeti compiute con un astrolabio, un quadrante di un cerchio, un quadrante solare o un altro strumento di grandi dimensioni, che implicano la presenza di un errore nella longitudine dei corpi celesti calcolata con gli zīǧ della tradizione andalusa. Tali fonti giungono alla conclusione che la precessione che deve essere aggiunta alle longitudini siderali dei pianeti supera le quantità calcolate con le tavole della trepidazione. Altre osservazioni riguardano l'obliquità dell'eclittica: un astronomo di Meknès osservò l'obliquità nel 1205-1206 e ottenne 23;32,30° (lo stesso valore utilizzato da Ibn Isḥāq, dagli astronomi alfonsini e, nell'Estremo Oriente, da al-Sanǧūfīnī nel 1366); identico risultato fu ottenuto da Ibn Hilāl con le sue rilevazioni compiute a Ceuta; mentre nel 1304-1305 a Marrakesh al-Ḥakīm al-Mirrīḫ (il nome è incerto) ottenne 23;26,57°; infine un certo Ibn al-Tarǧumān affermò che l'obliquità dell'eclittica alla fine del XIII sec. era di 23;26°.

Tutte queste osservazioni, risalenti al XIII sec., invalidano il modello geometrico ideato nell'XI sec. da Ibn al-Zarqālī per calcolare il valore dell'obliquità per un data fissata, poiché in quel modello l'obliquità oscillava tra 23;53° e 23;33°. Tali critiche favorirono, a partire dal XIV sec., l'introduzione degli zīǧ orientali nel Maghreb: in essi i moti medi erano tropici, la trepidazione fu sostituita dalla precessione costante e non vi era alcuna tavola per calcolare l'obliquità dell'eclittica. Questo implicò un mutamento completo di mentalità: un cambiamento che aveva già preso piede nella Penisola Iberica sul finire del XIII sec., con la versione latina delle Tavole alfonsine. Gli zīǧ provenienti dal Mashreq, che svolsero un ruolo significativo nel Maghreb, sono quelli di Ibn Abī 'l-Šukr al-Maġribī (m. 1283), di Ibn al-Šāṭir (m. 777/1375) e di Uluġ Beg (1393-1449). Il Taǧ al-azyāǧ (La corona delle tavole astronomiche) di Ibn Abī 'l-Šukr sopravvive in due manoscritti maghrebini: uno di essi fu copiato a Tunisi nel 1934, mentre l'altro, di data ignota, è stato utilizzato a Tlemcen fino al XIX secolo. L'opera di Ibn al-Šāṭir, al-Zīǧ al-ǧadīd (Nuove tavole astronomiche), era conosciuta in Tunisia sul finire del XIV sec. e probabilmente in Marocco nella prima metà del XV secolo. Circolò in recensioni e in compendi realizzati nel XIV e XV sec. al Cairo e a Damasco e, nel 1799, fu utilizzata per calcolare le congiunzioni e le opposizioni del Sole e della Luna per il meridiano di Tetuan. Quanto all'opera persiana Zīǧ-i ǧadīd (Tavole nuove) di Uluġ Beg, non c'è alcuna prova che fosse nota nel Maghreb prima della fine del XVII sec., ma è evidente che essa divenne molto popolare tra il XVIII e il XIX secolo. Ci furono almeno due redazioni tunisine di questi zīǧ, preparati da Muḥammad al-Šarīf (chiamato Sanǧaq Dār al-Tūnisī) e da ῾Abd Allāh Ḥusayn Quṣ῾a al-Tūnisī: la prima fu prodotta verso la fine del XVII sec. e contiene tavole con doppio argomento che combinano l'equazione del centro e l'equazione dell'anomalia. Tavole di questo tipo appaiono documentate per la prima volta nel Maghreb negli zīǧ di al-Šarīf.

Il cambiamento di mentalità rappresentato dall'introduzione degli zīǧ orientali si diffuse nel Maghreb nel XVI sec. anche attraverso un canale differente: l'astronomo ebreo di Salamanca, ᾽Avrāhām ben Šemû᾽ēl Zakkût (anche Zacuto, 1452 ca.-1515), che lasciò il Portogallo nel 1496 e visse a Fez, Tlemcen e Tunisi almeno fino al 1505. Nel 1501 compilò un nuovo insieme di tavole astronomiche e nel corso del XVI sec. il suo almanacco perpetuo fu tradotto in arabo e fu oggetto di diversi commentari. Quest'opera rappresentò non solo una ripresa della vecchia tradizione andalusa, ma anche l'introduzione nel Maghreb dell'astronomia alfonsina e della ricerca astronomica svolta nella Francia meridionale nel XIV sec. da Lēwî ben Gēršôm: essa era ancora utilizzata in Marocco nel XVIII sec. coesistendo con gli zīǧ orientali e con il Minhāǧ di Ibn al-Bannā᾽. Secondo l'astrologo al-Baqqār, le ragioni di tale peculiare coabitazione sono rintracciabili nel fatto che gli oroscopi erano elaborati utilizzando le longitudini siderali; tuttavia, si potrebbe anche affermare che gli astrologi usavano il Minhāǧ di Ibn al-Bannā᾽ e altre fonti simili, mentre gli astronomi e i muwaqqit scrupolosi preferivano gli zīǧ orientali.

Maslama al-Maǧrīṭī e la sua scuola

di Julio Samsó, Juan Vernet Ginés

La restaurazione del califfato omayyade a Cordova nel 929 da parte di ῾Abd al-Raḥmān III al-Nāṣir segna l'inizio di un periodo di maturità per la scienza andalusa. Nasce infatti una scuola di farmacologia, favorita dalla diffusione della traduzione orientale araba del De materia medica di Dioscuride, si afferma definitivamente la medicina ellenistica, viene pubblicata la grande enciclopedia medica di Abū 'l-Qāsim al-Zāhrawī, Kitāb al-Taṣrīf (Libro della disposizione), si scrivono i primi trattati andalusi di agronomia che probabilmente devono essere messi in relazione con il forte interesse del potere politico nei confronti dello sviluppo dell'agricoltura, di cui esistono prove dirette nel caso del ḥāǧib (ciambellano) al-Manṣūr ibn Abī ῾Āmir (981-1002). Infine sorge la prima scuola di matematica e astronomia, che aprì la strada alle ricerche condotte nel periodo dei 'piccoli regni' (mulūk al-ṭawā᾽if).

Il fondatore di questa scuola fu Maslama al-Maǧrīṭī (m. 1007), nato probabilmente a Madrid, che all'epoca era una piccola fortezza lungo la linea della frontiera centrale. Maslama studiò a Cordova con ῾Abd al-Ġāfir ibn Muḥammad al-Faraḍī, esperto di problemi di spartizione delle eredità (farā᾽iḍ) e di geometria, e con Ibn Abī ῾Īsā al-Anṣārī (attivo tra il 961 e il 976), dal quale apprese l'aritmetica, la geometria e l'astrologia. Uno dei nomi (nisba) di Maslama fu al-Faraḍī, il che dimostra l'importanza del rapporto fra farā᾽iḍ e matematica nella Cordova del X secolo. Nella persona di Maslama confluirono due tradizioni distinte: da una parte, quella della matematica applicata al diritto (farā᾽iḍ) e, dall'altra, quella dell'astronomia e dell'astrologia, emersa nell'Andalus già ai tempi del regno di ῾Abd al-Raḥmān II. La diffusione dell'astrologia presso le classi dominanti, iniziata nel IX sec., proseguì anche durante il califfato, almeno a giudicare dalle critiche contro l'astrologia espresse dal poeta Ibn ῾Abd Rabbih (860-940), dall'interesse dello stesso Maslama per l'astrologia matematica e dal fatto che il ciambellano al-Manṣūr, nonostante avesse fatto bruciare, fra gli altri, anche i testi di astrologia della biblioteca di al-Ḥakam II (r. 961-976), si servisse degli astrologi di corte non solo per le questioni di carattere militare, ma anche per quelle private. Alcune fonti contengono d'altro canto riferimenti ad almeno un oroscopo formulato dallo stesso Maslama in rapporto alla congiunzione di Saturno e Giove nell'anno dell'egira 397 (1006-1007), che implicava un cambiamento di trigono, in quanto cominciava nel Leone e continuava nella Vergine: Maslama predisse un mutamento di dinastia, rovine, stragi e carestie.

Maslama è ricordato non solo per i suoi scritti, ma soprattutto come fondatore di una scuola di cui è possibile ricostruire l'evoluzione in base ai dati forniti da Ṣā῾id al-Andalusī (1029-1070) nelle sue Ṭabaqāt al-umam (Categorie delle nazioni). Le figure più influenti furono Maslama, Ibn al-Ṣaffār (m. 1035) e Ibn Barġūṯ (m. 1052) che effettuò almeno un'osservazione delle stelle nel 1049-1050; tuttavia la nostra indagine si incentrerà su Maslama, Ibn al-Ṣaffār e Ibn al-Samḥ (m. 1035), in quanto rimangono testimonianze scritte delle loro ricerche. Degli altri membri della scuola (Ibn al-Ḫayyāṭ, Ibn Šahr, al-Kirmānī, al-Wāsiṭī, Ibn al-Layṯ, al-Saraqusṭī, al-Zahrawī, Ibn al-῾Aṭṭār, Ibn al-Ǧallāb, Yaḥyā al-Qurašī, Ibn Ḥayy, Ibn Ḫaldūn, ῾Abd al-Malik al-Qurašī, Sulaymān ibn al-Naši᾽) sappiamo che Ibn al-Ḫayyāṭ (m. 1055 o 1056) scrisse un poema mnemotecnico sui significati di Saturno nei quattro trigoni e nelle sue congiunzioni con Giove, frammenti del quale sopravvivono in un manoscritto conservato all'Escorial; è noto inoltre che al-Kirmānī (m. 1065 o 1066), di ritorno dall'Oriente, dove aveva soggiornato a Ḥarrān, portò con sé a Saragozza le famose Rasā᾽il Iḫwān al-Ṣafā᾽ (Epistole dei Fratelli della purezza). Non conosciamo fino a che punto l'attività di Maslama e dei suoi discepoli dipendesse dal potere politico, sebbene la decisione di Ibn al-Ṣaffār di stabilirsi a Denia (dove morì) dopo la caduta del califfato, faccia pensare che egli si trovasse al servizio di al-Manṣūr o dei suoi figli. Muǧāhid, sovrano di Denia, era infatti un vassallo (mawlā) di al-Manṣūr e chiamò alla sua corte molti collaboratori della dinastia ῾Āmirī. Un caso ancora più evidente è quello di Ibn al-Ḫayyāṭ, che fu astrologo alla corte del califfo Sulaymān al-Musta῾īn (r. 1009-1016).

Sembra interessante sottolineare il collegamento fra i discepoli di questa scuola e i centri di ricerca sorti dopo la caduta del califfato a Toledo e a Saragozza, rispettivamente di astronomia e di matematica. Per quanto riguarda Saragozza, sappiamo che ῾Abd Allāh ibn Aḥmad al-Saraqusṭī (m. 1056) vi insegnò matematica e astronomia e che, come abbiamo già ricordato, vi si era stabilito al-Kirmānī, ottimo matematico benché mediocre astronomo. Quanto a Toledo, è documentata la presenza nella città, tra il 1029 e il 1030, di Muḥammad ibn al-Ṣaffār (costruttore di strumenti e fratello dell'astronomo e matematico Aḥmad ibn al-Ṣaffār), di Muḥammad ibn Bargūṯ e dell'astrologo Ibn al-Ḫayyāṭ, che si trovava al servizio del sovrano di Toledo, Yaḥyā al-Ma᾽mūn (1037-1074 o 1075).

La matematica

Nel campo della matematica applicata il contributo più significativo fu di Maslama, come vedremo più avanti a proposito delle note al Planisphaerium di Tolomeo e dell'applicazione della matematica ai problemi astrologici nella sua revisione degli zīǧ di al-Ḫwārizmī. Ṣā῾id al-Andalusī attribuisce a Maslama, a Ibn al-Ṣaffār e a Ibn al-Samḥ la compilazione di opere di aritmetica commerciale (mu῾āmalāt), che non ci sono pervenute, benché esista un adattamento di questi tre libri in una traduzione latina del XII sec. attribuita a Giovanni di Siviglia e intitolata Liber mahameleth. Le autorità citate sono naturalmente quelle note nell'Andalus nel X sec.: Euclide, Archimede, Nicomaco di Gerasa, al-Ḫwārizmī e Abū Kāmil. L'opera comprende una parte teorica che, oltre alla teoria delle proporzioni e delle quattro operazioni aritmetiche fondamentali, affronta i problemi dell'estrazione della radice quadrata e spiega come calcolare con una buona approssimazione la radice quadrata dei quadrati imperfetti. I riferimenti alla soluzione delle equazioni di primo e di secondo grado fanno pensare che originariamente la trattazione contenesse anche una parte sull'algebra; il libro si conclude con una serie di problemi inerenti soprattutto all'attività commerciale. Inoltre, secondo Ṣā῾id al-Andalusī, Ibn al-Samḥ scrisse un trattato sulla natura del numero (Ṭabī῾at al-῾adad), un commentario sugli Elementi di Euclide e un importante trattato di geometria. Si riteneva che tutte queste opere fossero andate perdute, fino alla recente pubblicazione di un frammento del grande trattato geometrico di Ibn al-Samḥ, sopravvissuto nella traduzione in ebraico eseguita nel 1312 da Qalônîmôs ben Qalônîmôs. In quest'opera, Ibn al-Samḥ, prendendo a esempio i lavori di Ḥasan ibn Mūsā (IX sec.), fornisce le definizioni euclidee della sfera, del cilindro e del cono e affronta lo studio delle sezioni piane del cilindro (principalmente dell'ellisse), dimostrando di possedere una buona conoscenza delle opere di Euclide, Archimede e Apollonio. Sorprende il fatto che, a quanto sembra, Ibn al-Samḥ non conoscesse l'opera dedicata allo stesso argomento da Ṯābit ibn Qurra (m. 901), il cui scritto sul teorema di Menelao (al-šakl al-qaṭṭā῾) era noto a Maslama.

L'astronomia e i suoi strumenti: l'astrolabio e l'equatorium

L'astronomia andalusa è stata sempre caratterizzata dall'interesse per gli strumenti astronomici e il medesimo interesse è evidente già nella Scuola di Maslama; a Ibn al-Ṣaffār, infatti, è attribuita la descrizione di due diversi tipi di meridiana orizzontale: una normale e un'altra che sembra derivare dalla meridiana equatoriale. Ben più importante fu l'influenza esercitata dalla scuola nel campo delle ricerche sull'astrolabio convenzionale. Maslama studiò una traduzione orientale del Planisphaerium di Tolomeo, l'opera classica sulla proiezione stereografica utilizzata nell'astrolabio, e scrisse una serie di note e aggiunte al testo tolemaico, utilizzando il teorema di Menelao e dimostrando così grandi doti di matematico. Ibn al-Ṣaffār, il cui fratello era costruttore di astrolabi, e Ibn al-Samḥ composero trattati sull'uso dell'astrolabio; a quest'ultimo appartiene uno scritto sui metodi di costruzione dello strumento. Queste opere della Scuola di Maslama erano conosciute nell'Europa latina attraverso le loro traduzioni, le prime delle quali furono eseguite in Catalogna alla fine del X sec.: Ermanno di Carinzia incluse le aggiunte di Maslama nella sua traduzione del Planisphaerium; il trattato di Ibn al-Ṣaffār sull'uso dell'astrolabio, nella traduzione di Giovanni di Siviglia, fu utilizzato nel commentario del De operatione, falsamente attribuito a Māšā᾽allah, mentre la compilazione del De compositione et utilitate astrolabii comprende una raccolta di capitoli sulla proiezione dello strumento che sembrano potersi attribuire allo stesso Maslama. Attraverso le opere dello Pseudo-Māšā᾽allah, l'influenza della Scuola di Maslama giunse fino ai primi trattati occidentali sull'astrolabio, scritti in castigliano intorno al 1276 (Alfonso X), in francese nel 1362 (Pelerino di Prussia) e in inglese intorno al 1391 (Geoffrey Chaucer, 1340/1345-1400).

Sia i testi, sia gli astrolabi andalusi esistenti descrivono o contengono una scala zodiacale che consente di calcolare facilmente la longitudine solare per un determinato giorno dell'anno solare. Dato che i primi riferimenti a questo tipo di diagramma nella letteratura orientale sono molto più tardi, si potrebbe pensare che esso sia stato introdotto nel Mashreq dal polimatematico andaluso Abū 'l-Ṣalt Umayya ibn Abī 'l-Ṣalt (1067 -1134 ca.), che nel 1109-1110 scrisse ad Alessandria d'Egitto un trattato sull'uso dell'astrolabio, nel quale sono precisati due diversi metodi per stabilire la longitudine solare, l'effemeride solare e la scala zodiacale.

L'astrolabio convenzionale era sostanzialmente un calcolatore analogico, che consentiva di risolvere molto facilmente vari problemi tipici dell'astrologia pratica, per esempio la divisione delle case, necessaria per formulare un oroscopo. Molto più complicato era invece il computo delle longitudini planetarie per mezzo di un sistema di tavole astronomiche (zīǧ). Per risolvere questo problema fu ideato un tipo diverso di calcolatore analogico, l'equatorium, che permetteva di determinare graficamente le longitudini planetarie per una determinata data e ora. L'equatorium fece la sua comparsa nell'Andalus all'inizio dell'XI sec., ma potrebbe avere un precursore orientale nello strumento multiuso (Zīǧ al-ṣafā᾽iḥ) inventato da Abū Ǧa῾far al-Ḫāzin (m. fra il 961 e il 971). Il primo trattato andaluso sull'equatorium è opera di Ibn al-Samḥ e descrive una serie di modelli planetari tolemaici in scala. Per stabilire la posizione del centro dell'epiciclo planetario rispetto al suo deferente o quella del pianeta sul proprio epiciclo, bastava ricavare da uno zīǧ le longitudini medie e le anomalie medie dei pianeti. Quindi, un'alidada rotante intorno a un punto corrispondente al centro della Terra consentiva di tracciare la linea immaginaria fra la Terra e il pianeta e determinare, sull'eclittica, la longitudine reale del pianeta in questione. La precisione garantita da questo tipo di strumenti era adeguata alle esigenze degli astrologi professionisti. Lo strumento descritto da Ibn al-Samḥ somigliava vagamente a un astrolabio; esso utilizzava una serie di dischi (uno per ogni pianeta, più uno per gli epicicli) alloggiati all'interno della 'madre' (umm) di un astrolabio, sul cui orlo era incisa una scala graduata, rappresentante l'eclittica, che consentiva di misurare la longitudine reale del pianeta. Per tentare di rendere questo strumento autosufficiente, Ibn al-Samḥ suggeriva di incidere negli spazi vuoti dei dischi le tavole del moto medio longitudinale e dell'anomalia di ogni pianeta.

Zīǧ e teoria astronomica

Nelle Ṭabaqāt al-umam, Ṣā῾id afferma che Maslama conosceva la scienza delle sfere celesti e del moto delle stelle (῾ilm al-aflāk wa-ḥarakat al-nuǧūm) molto meglio dei suoi predecessori. Secondo Ṣā῾id, inoltre, anche i discepoli di Maslama (Ibn al-Samḥ, Ibn Barġūṯ, al-Wāsiṭī e Ibn al-Ǧallāb) conoscevano tali scienze. Benché manchino altre prove, ciò significa che i seguaci della scuola si interessavano non solo al calcolo della posizione dei pianeti, ma anche alla scienza che studia la struttura fisica delle sfere celesti (hay᾽a). Probabilmente seguivano l'esempio di Qāsim ibn Muṭarrif al-Qaṭṭān (attivo intorno al 950) che, nel suo Kitāb al-Hay᾽a (Libro dell'astronomia), aveva fornito una descrizione qualitativa dell'Universo tolemaico, basandosi su una conoscenza indiretta dell'Almagesto e delle Ipotesi planetarie di Tolomeo. Sempre secondo Ṣā῾id, Maslama aveva studiato l'Almagesto e gli zīǧ di al-Battānī (il che implica una conoscenza indiretta delle Tavole manuali di Tolomeo) e Ibn al-Ṣaffār cita la Geografia di Tolomeo nel suo trattato sull'uso dell'astrolabio. Qāsim ibn Muṭarrif afferma che Maslama era a conoscenza delle osservazioni del Sole, dei pianeti e delle stelle effettuate nell'anno 1150 dell'era di Alessandro (223-224/838-839), equivalente al 220 dell'egira (1146 dell'era di Alessandro/835), che avrebbero fornito longitudini maggiori di 5° rispetto a quelle ottenute secondo la scuola tolemaica (῾alā maḏhab Baṭlamiyūs). Al di là dell'imprecisione della data, l'affermazione di Qāsim potrebbe significare che Maslama era, almeno in parte, a conoscenza dei dati astronomici relativi alle osservazioni del califfo abbaside al-Ma᾽mūn o agli zīǧ compilati in questo contesto.

La reputazione di Maslama e della sua scuola si fondava, tuttavia, sul ruolo centrale avuto nella diffusione delle tavole astronomiche di al-Ḫwārizmī (Zīǧ al-Sindhind), basate su una tradizione indo-iraniana, che probabilmente circolavano nell'Andalus sin dai tempi di ῾Abd al-Raḥmān II. Questi zīǧ furono oggetto di successive revisioni da parte di Maslama e dei suoi allievi, Ibn al-Ṣaffār e Ibn al-Samḥ, nonché di Ibn Ḥayy (m. 1064) e di ῾Abd Allāh al-Saraqusṭī. Quest'ultimo scrisse ad Abū Muslim ibn Ḫaldūn (m. 1057) un'epistola (risāla), che fu criticata da Ṣā῾id al-Andalusī, sugli errori del metodo sindhind nel calcolo del moto dei corpi celesti e delle equazioni planetarie. Di tutti questi materiali è pervenuto in arabo soltanto un frammento poco significativo della versione di Ibn al-Ṣaffār, mentre quella di Maslama è sopravvissuta nella traduzione latina di Adelardo di Bath e in un commentario di Pietro d'Alfonso. La versione di Adelardo, che è la più fedele, comprende parti tratte dagli zīǧ originali di al-Ḫwārizmī, modifiche e aggiunte di Maslama e, probabilmente, altro materiale più tardo. Un esempio di una possibile aggiunta posteriore è la tavola, attribuita da alcuni a un certo al-Qallāṣ, impiegata per calcolare la visibilità della Luna nuova, in base a un'inclinazione dell'eclittica di 23;35° (al-Battānī) e a una latitudine di 41;35°. Il primo parametro non corrisponde a quello che ci si aspetterebbe in queste tavole, che normalmente utilizzano il valore tolemaico di 23;51°. Dato che la latitudine si discosta di pochissimo da quella di Saragozza (41;30°), che nell'XI sec. come abbiamo visto era un importante centro di ricerche matematiche, è possibile che questa tavola sia in qualche modo collegabile alla revisione del Sindhind eseguita da ῾Abd Allāh al-Saraqusṭī. Un secondo esempio è quello delle tavole del moto medio, in cui gli anni collecti sono indicati in multipli di 30 anni, fino a 570 anni, a eccezione delle tavole del moto medio longitudinale del Sole e della Luna, che arrivano a 720 anni. È evidente che le due tavole utilizzano un parametro da 30 a 570 anni e un altro da 600 a 720 anni.

Per quel che riguarda l'intervento di Maslama, sappiamo che l'astronomo andaluso apportò alcune modifiche alle tavole cronologiche (per es., l'uso dell'era spagnola, 38 a.C. o l'inserimento del giorno intercalare negli anni bisestili alla fine di dicembre secondo il costume mozarabico) e alle tavole del moto medio (al-Ḫwārizmī aveva utilizzato il calendario persiano e l'era di Yazdagird III, mentre le tavole tramandateci utilizzano il calendario musulmano, che ha inizio con l'egira, 14 luglio 622). Le posizioni di base riportate nelle tavole del moto medio sono calcolate per il meridiano di Arin, con due eccezioni: una è la tavola supplementare che fornisce le posizioni medie del nodo ascendente lunare per il meridiano di Cordova e per gli anni fra il 360/960 e il 570/1174. La seconda eccezione si trova nelle tavole per il computo delle opposizioni e delle congiunzioni medie del Sole e della Luna, in cui la posizione di base è calcolata con grande accuratezza per Cordova che, sia in queste tavole sia in un brano dei canoni di Ibn al-Ṣaffār, è situata a una distanza di 63° a ovest di Arin (con una differenza di 4 ore e 12 minuti). Le posizioni del nodo ascendente lunare non sono altrettanto precise e sono approssimate a una differenza di 4 ore. Tutto ciò implica lo spostamento del meridiano occidentale di 17;40° a ovest delle Isole Fortunate e ha l'effetto di riportare il Mediterraneo a dimensioni molto vicine a quelle reali. È possibile che questa correzione preceda la revisione di Maslama, in quanto compare in un oroscopo formulato a Cordova e datato nell'anno 940, in appendice alla traduzione latina del Liber Universus di ῾Umar ibn Farruḫān.

In altre occasioni Maslama aggiunse o sostituì delle tavole. È questo il caso della tavola dei seni, che è decisamente diversa dalla tavola originale di al-Ḫwārizmī, calcolata per R=150 parti e a intervalli di 15°: la tavola di Maslama è calcolata per un raggio di 60 parti, ottenuto dimezzando i valori della tavola delle corde di Tolomeo. Maslama è ritenuto l'autore anche della tavola delle cotangenti (per uno gnomone di 12 parti), sebbene in questo caso l'attribuzione non sia altrettanto certa. Estremamente confuso è inoltre il caso della tavola per l'equazione di tempo: non esistono fonti indipendenti che colleghino tale tavola agli zīǧ originali di al-Ḫwārizmī e il documento esistente utilizza i parametri tolemaici insieme a una longitudine dell'apogeo solare di 82;39°, che corrisponde alle osservazioni commissionate da al-Ma᾽mūn intorno all'anno 830. Sebbene sia del tutto possibile che al-Ḫwārizmī abbia utilizzato i risultati delle osservazioni di al-Ma᾽mūn, non si possiedono prove concrete in questo senso, mentre la già menzionata notizia fornita da Qāsim ibn Muṭarrif, secondo la quale Maslama sarebbe stato a conoscenza di tali risultati, rafforza l'ipotesi che il nostro astronomo andaluso sia l'autore di questa tavola.

Sembra inoltre che Maslama abbia aggiunto un certo numero di tavole astrologiche agli zīǧ di al-Ḫwārizmī, per esempio quelle riguardanti l'equazione delle case, per la quale utilizzò il metodo standard, un'inclinazione dell'eclittica di 23;35° (valore dato da al-Battānī) e una latitudine locale di circa 38;43°. Lo stesso problema attirò l'interesse di Ibn al-Samḥ, che utilizzò il cosiddetto 'metodo del primo verticale' in un gruppo di tavole, andate perdute, per il calcolo delle quali formulò un algoritmo errato. Poiché il grande astronomo al-Bīrūnī (973-1049 ca.) rivendica la paternità del metodo del primo verticale, viene a porsi la questione della possibilità di una rapidissima trasmissione. Infine, circa un quinto degli zīǧ di al-Ḫwārizmī, nel commentario di Maslama, riguarda la proiezione dei raggi (maṭraḥ al-šu῾ā῾āt): si tratta chiaramente di un'altra aggiunta di Maslama, in quanto queste tavole sono state calcolate per una latitudine di 38;30°, mentre le tavole originali di al-Ḫwārizmī sono state conservate in un'altra fonte. In questo caso l'intervento di Maslama portò a un miglioramento dei risultati ottenuti da al-Ḫwārizmī, nel senso che le tavole di Maslama sono più facili da usare e producono risultati esatti, mentre quelle di al-Ḫwārizmī fornivano soltanto dati approssimativi.

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‒ 1987: Toomer, Gerald J., The solar theory of az-Zarqāl. An epilogue, in: From deferent to equant. A volume of studies in the history of science in the ancient and medieval Near East in honor of E.S. Kennedy, edited by David A. King and George Saliba, New York, New York Academy of Sciences, 1987, pp. 513-519.

Vernet 1979: Vernet, Juan, Estudios sobre historia de la ciencia medieval, Barcelona, Universidad de Barcelona; Bellaterra, Universidad Autónoma de Barcelona, 1979.

‒ 1984: Vernet, Juan, Die spanisch-arabische Kultur in Orient und Okzident, Zürich-München, Artemis, 1984 (ed. orig.: La cultura hispanoárabe en Oriente y Occidente, Barcelona, Ariel, 1978; trad. franc.: Ce que la culture doit aux Arabes d'Espagne, Paris, Sindbad, 1985).

‒ 1992: El legado científico andalusí. Museo Arqueológico Nacional, Madrid, abril-junio 1992, proyecto y dirección del catálogo Juan Vernet y Julio Samsó, Madrid, Instituto de Cooperación con el Mundo Árabe, 1992.

Viladrich i Grau 1981: Viladrich i Grau, Mercè - Martí, Ramón, En torno a los tratados hispánicos sobre construcción de astrolabio hasta el siglo XIII, in: Textos y estudios sobre astronomía española en el siglo XIII, editados por Juan Vernet, Barcelona, Universidad Autónoma de Barcelona, Facultad de Filosofía y Letras, 1981 [i.e. 1982], pp. 79-99.

‒ 1986: Viladrich i Grau, Mercè, Dos capítulos de un libro perdido de Ibn al-Samh, "al-Qanṭara", 7, 1986, pp. 5-11.

‒ 1996: Viladrich i Grau, Mercè, The Mumtaḥan tradition in al-Andalus. Analysis of the data from the 'Calendar of Cordova' related to the entrance of the sun in the zodiacal signs, in: From Baghdad to Barcelona. Studies in the islamic exact sciences in honour of Juan Vernet, edición preparada por Josep Casulleras y Julio Samsó, Barcelona, Instituto Millás Vallicrosa de Historia de la Ciencia Árabe, 1996, 2 v.; v. I, pp. 253-265.

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