La civiltà islamica: condizioni materiali e intellettuali. Il ruolo delle istituzioni

Storia della Scienza (2002)

La civilta islamica: condizioni materiali e intellettuali. Il ruolo delle istituzioni

Ekmeleddin Ihsanoglu

Il ruolo delle istituzioni

Nel corso del processo di istituzionalizzazione della scienza, e più in generale del sapere, il passaggio dall'at-tività di trasmissione privata, da maestro a discepolo, a un insegnamento organizzato e istituzionalizzato costituisce un aspetto importante della storia della civiltà islamica. Nell'Islam l'attività scientifica iniziò con la trasmissione della tradizione scientifica preislamica delle nuove terre conquistate dall'Impero musulmano e di quelle circostanti che avevano subito a lungo l'influsso delle attività scientifiche ellenistiche e indiane. Le scienze, che erano trasmesse essenzialmente attraverso le traduzioni dal greco e dal sanscrito e alle quali si faceva riferimento come 'scienze degli Antichi' (῾ulūm al-awā᾽il), costituirono le fondamenta di quello che sarebbe poi divenuto il ben noto sviluppo e progresso della scienza nell'Islam. L'aspetto istituzionale del processo di trasmissione di queste scienze, la successiva fase della loro disseminazione, così come lo sviluppo di certe discipline scientifiche sono stati oggetto di vari studi. Tuttavia, gli storici della scienza e della cultura dell'Islam dovrebbero cercare di mettere in relazione la storia della scienza con altri fenomeni storici e quindi spiegare la struttura e i contenuti della scienza non soltanto sulla base dei problemi che si è posta, dei metodi usati e delle soluzioni trovate, ma anche su quella degli imperativi intellettuali, economici, sociali, politici e culturali prevalenti in una determinata epoca.

Nell'Islam, le scienze degli Antichi, chiamate anche 'scienze straniere' (al-῾ulūm al-dāḫila), 'scienze razionali' o 'intellettuali' (al-῾ulūm al-῾aqliyya) o anche 'scienze filosofiche' (al-῾ulūm al falsafiyya, al-῾ulūm al-ḥikamiyya o al-ḥikma) erano quelle inizialmente trasmesse dall'Antichità e costituivano parte integrante della nuova enciclopedia della conoscenza che gradualmente entrò a far parte delle attività di insegnamento delle istituzioni ufficiali.

Nelle opere prodotte finora, lo studio del processo di istituzionalizzazione del sapere e della scienza nell'Islam è stato generalmente affrontato a partire da come questi erano concepiti e da come veniva visto il rapporto tra le scienze 'religiose' e quelle 'non religiose'. Il punto di vista prevalente dei principali studi condotti dava per scontata l'esistenza di una dicotomia all'interno del concetto di conoscenza, nonché di una 'contrapposizione' tra gli studiosi delle due categorie nel corso dei secoli formativi della cultura islamica. La cultura dell'Islam era dunque considerata come il riflesso di questa dicotomizzazione sia a livello individuale sia a livello culturale. Lo studioso di scienze religiose era descritto come rivale o nemico di quello che si occupava di scienze non religiose. Si creò quindi una profonda spaccatura tra religione e mondo, rivelazione e ragione, straniero e indigeno, scienze religiose e razionali, e tra il loro aspetto teorico e la loro applicazione pratica. Questa dicotomia e questa contrapposizione sono state evidenziate anche a livello delle istituzioni, e hanno costituito il punto di vista basilare che ha poi informato gli studi sulla storia della madrasa, l'istituzione più significativa che avrebbe svolto un ruolo centrale nel processo di istituzionalizzazione del sapere.

Il presunto atteggiamento antifilosofico degli studiosi musulmani costituì la base intellettuale dello sviluppo dell'istruzione impartita nella madrasa islamica. Questa 'dico-tomia epistemologica' è stata espressa anche a livello istituzionale, come suggerisce George Makdisi nello studio sullo sviluppo storico della madrasa, intitolato The rise of colleges, rilevandola sia nel campo della conoscenza sia in quello delle istituzioni del sapere del mondo islamico. A suo avviso esistono due gruppi di scienze in antagonismo tra loro, quelle 'religiose' e quelle 'straniere'. Esse sono sostenute da due tipi di istituzioni del sapere: da una parte la madrasa, che lui chiama 'collegio', dedita esclusivamente all'insegnamento delle scienze religiose, e dall'altra le istituzioni private, dove veniva portato avanti lo studio della scienza secolare. La madrasa è vista da Makdisi come un'istituzione dedita soltanto allo studio della legge islamica, il fiqh (diritto), e all'istruzione dei giuristi (faqīh). La sua teoria è estremizzata fino a 'escludere' qualsiasi altra materia tranne la legge e le discipline a essa collegate. "Alla dicotomia nel campo della conoscenza corrispondeva una dicotomia nelle istituzioni del sapere" (Makdisi 1981, p. 78).

Leggendo le opere di Aydın Sayılı (1941) e Youssef Eche (1967), che prepararono il terreno per il giudizio definitivo di Makdisi, scopriamo che questi studi si basano sui due concetti fondamentalmente accettati di 'esclusione' e di 'dicotomia'.

Lo studio di Sayılı sulla storia della madrasa rimane nell'ambito della sua ricerca sulle cause del declino delle attività scientifiche nell'Islam che sarebbe iniziato dopo la breve età dell'oro della scienza e della civiltà islamica. Secondo Sayılı, che ingiustificatamente considera la madrasa come l'equivalente delle università europee, i teologi che svilupparono il sistema della madrasa non credevano che le scienze degli Antichi fossero di alcuna utilità per i 'musulmani in questo mondo o nell'altro'. Di conseguenza, egli accetta l'ipotesi di Ignaz Goldziher (1970) secondo la quale i teologi musulmani erano arrivati a considerare desiderabili solo quei rami del sapere che si erano sviluppati direttamente a partire dalla loro religione. Le altre scienze (come le scienze degli Antichi) dovevano le loro origini a culture straniere ed erano viste con sospetto.

Nella sua indagine sull'esclusione delle scienze dell'Antichità dal curriculum della madrasa, Sayılı adotta due approcci o metodi e basa le argomentazioni sulla sua adesione alla contemporanea esperienza repubblicana turca di modernizzazione, intrapresa sull'assunto del declino della civiltà islamica ottomana e prendendo il modello europeo come esempio. Innanzitutto egli sostiene che quella islamica era essenzialmente una società e una cultura stabile e rigida e che molti dei suoi caratteri erano rimasti pressoché immutati fino ai recenti tentativi di occidentalizzazione. Il lontano passato può essere studiato attraverso quello recente, o addirittura, attraverso il presente. I diversi atteggiamenti mentali, che non è possibile accertare mediante i materiali esistenti, possono essere ricostruiti con l'aiuto delle tracce che hanno lasciato. Inoltre, le reazioni ai recenti tentativi di occidentalizzazione sarebbero utili per comprendere gli ostacoli incontrati dallo studio delle scienze. In secondo luogo, egli sostiene che per giungere a conclusioni razionali si potrebbe anche seguire il criterio dell'applicabilità dello stesso modo di ragionare all'Europa occidentale, la cui società era teocentrica quanto quella islamica: "In breve, nell'Islam le scienze naturali, fisiche e matematiche traevano ben poco beneficio dalle scuole e dalle altre istituzioni della scienza e del sapere. È dunque evidente che la loro coltivazione doveva dipendere dall'istruzione privata, vale a dire dall'insegnamento di privati e dall'auto-apprendimento" (Sayılı 1941, p. XV).

Il celebre libro di Sayılı ‒ una versione ampliata del capitolo della sua tesi di dottorato dedicata agli osservatori ‒ è considerato lo studio più autorevole sull'argomento. In esso Sayılı studia le origini e gli sviluppi dell'istituzione dell'osservatorio dal IX al XVI sec. nei paesi arabi orientali e occidentali, nel regno turco-mongolo e in quello ottomano, citando numerosi esempi di madāris che includevano le scienze razionali tra i loro insegnamenti. è alquanto sorprendente che egli consideri dei 'casi eccezionali' come esempi della regola di esclusione dall'insegnamento nella madrasa delle scienze degli Antichi, come, del pari, è sorprendente la sua interpretazione di numerose fonti documentarie come eccezioni che confermerebbero la regola generale dell''esclusione'. È davvero impressionante il numero di casi eccezionali riportati da Sayılı in un testo peraltro ricco di attendibili elementi d'informazione.

Nel suo studio sullo sviluppo delle biblioteche in generale e del Bayt al-Ḥikma e della Dār al-῾Ilm in particolare, Eche vede queste due istituzioni come luoghi in cui venivano insegnate le scienze filosofiche e razionali, mentre le madāris, che erano fondazioni religiose, potevano escludere gli studi non religiosi dalle loro attività. Tuttavia, egli porta anche esempi che dimostrano l'inclusione delle scienze razionali in istituzioni finanziate come fondazioni pie o waqf.

In questo capitolo mostreremo come le scienze classiche, o scienze degli Antichi, giunsero in un primo momento ai musulmani tramite le traduzioni, e si svilupparono grazie al patrocinio ufficiale o semiufficiale dei sovrani, e a ricerche, speculazioni intellettuali ed esplorazioni personali. Il retaggio classico divenne parte integrante del sapere (῾ilm) e dei modelli epistemologici teorici stabiliti esplicitamente dagli studiosi musulmani ‒ espressi dalle diverse classificazioni delle scienze ‒ e una delle componenti ufficiali delle attività di insegnamento perseguite in alcune istituzioni del sapere musulmane, comprese le madāris, vale a dire le istituzioni ufficiali del sapere per eccellenza.

Nel mondo islamico le istituzioni del sapere e le scienze degli Antichi attraversarono diversi stadi di evoluzione sotto l'influsso di vari e complessi fattori intellettuali, sociali e culturali. Questo processo, che prese il via grazie all'interesse personale dei califfi nell'VIII sec., acquistò un carattere istituzionale nei secoli successivi, trovò la sua forma definitiva nel XV sec. e nel XVI era ormai ben consolidato. Sarebbe dunque inesatto presumere che le istituzioni del sapere dell'Islam in generale, e le madāris in particolare, siano rimaste statiche dall'epoca della loro prima fase di formazione al XVI sec., quando fiorirono sotto l'Impero ottomano e si verificò la fusione di diverse tradizioni. Ci si aspetta quindi di incontrare più di una tradizione o di un tipo di educazione nelle madāris, la cui evoluzione nel corso del tempo vide varie divergenze e convergenze.

La trasmissione del sapere basata sulle biblioteche: secc. VIII-XII

Dopo la nascita dell'Islam le città islamiche divennero ben presto fiorenti centri culturali in cui si riunivano studiosi, religiosi, filologi, grammatici, filosofi, collezionisti di libri e poeti. L'istruzione non si limitava alla conoscenza della legge religiosa: era anche arricchita dai rapporti culturali tra il nuovo mondo islamico e culture più antiche come quella ellenistica, quella persiana e quella indiana.

La cultura islamica rifletteva la vita dei molteplici e variegati circoli urbani. Lo sviluppo intellettuale era espressione di due gruppi sociali: la corte del califfo, con la sua élite politica, e le eterogenee comunità urbane. Il primo era più attratto dal retaggio culturale straniero, soprattutto iranico-ellenistico, con tutte le sue branche filosofiche, scientifiche e artistiche; le comunità urbane, viceversa, contribuirono allo sviluppo sia delle scienze mistiche e religiose, sia della lingua e letteratura araba. Questa divisione non era molto netta e diverse arti e scienze erano coltivate da entrambi i gruppi, soprattutto la teologia, la storia e la poesia. La vita culturale della città di Baghdad ben rifletteva il profondo interesse dei vari gruppi sociali per le diverse scienze.

A partire dal periodo che va dall'VIII sec. fino all'invasione dei Mongoli, Baghdad fu il centro delle arti e delle scienze. Le varie ṭabaqāt, o dizionari biografici, come quelli di Ibn Ǧulǧul, al-Qifṭī e Ibn Abī Uṣaybi῾a, ci forniscono ampie prove della qualità e varietà della vita cittadina e della vita culturale degli studiosi, il cui interesse sia per le scienze arabe e islamiche locali sia per quelle straniere, o scienze degli Antichi, sconfinava spesso nell'erudizione. Le Mille e una Notte, anche se in parte sono un'opera di fantasia, costituiscono uno specchio rivelatore della vita all'epoca degli Abbasidi; non esistono soltanto gli studiosi ufficiali, anche i barbieri chiacchieroni sono descritti come eruditi. Nel racconto del sarto, il barbiere vanta in modo esagerato le proprie abilità e si descrive come: "un barbiere astrologo, esperto di alchimia e magia bianca, sintassi, grammatica e lessicologia; delle arti della logica, della retorica e della dizione; di matematica, aritmetica e algebra; di astronomia, astromanzia e geometria; di teologia, delle Tradizioni dell'Apostolo e dei commentari del Corano" (Burton 1885-86, I, p. 305).

Quale che fosse la realtà storica di questo spaccato della società di Baghdad, è ovvio che tali abilità e conoscenze erano per lo più acquisite attraverso canali di trasmissione privati, da maestro a discepolo, e mediante acquisizioni personali e trasferimenti di sapere da una cultura all'altra. Con il passare del tempo, la trasmissione delle conoscenze, soprattutto in alcuni settori come quello delle scienze degli Antichi, si cristallizzò in forme più ufficiali. La linea istituzionale si sviluppò parallelamente alla ricerca individuale.

Nonostante la scarsità di informazioni disponibili, è possibile individuare alcuni rapporti tra le istituzioni del sapere ellenistico-ateniesi, tolemaiche e sasanidi e quelle sviluppate dai musulmani soprattutto a Baghdad, ma anche al Cairo. Le fondazioni contenenti nel proprio nome il termine ḥikma (sapienza), che descriveremo più avanti, somigliano ad alcune fondazioni accademiche precedenti, le scuole filosofiche di Atene, il Museo di Alessandria e la Scuola di Jundishapur.

Le scuole filosofiche di Atene, e in particolare il Liceo di Aristotele, erano centri dell'ellenismo e divennero un modello per Alessandria, Antiochia, Pergamo, e più tardi anche per Roma; tutti i non Greci furono ellenizzati. Alessandria fu uno dei più importanti centri della tradizione aristotelica che avrebbe trasmesso la cultura greca al Vicino Oriente musulmano.

La dinastia e la cultura sasanidi costituirono un'altra fonte d'ispirazione per i primi governanti e studiosi musulmani. In realtà, l'ellenismo islamico non fu semplicemente il frutto della conquista di Alessandria e di Antiochia; derivò soprattutto da elementi già presenti nei domini sasanidi. È anche plausibile che il califfo abbaside al-Ma᾽mūn e il califfo fatimide al-Ḥākim abbiano strutturato i loro Bayt al-Ḥikma e Dār al-῾Ilm sul modello della Jundishapur persiana. Secondo la leggenda, Šāpūr fondò la Scuola di Jundishapur nel III sec. d.C. in onore della figlia dell'imperatore romano che desiderava sposare. George Sarton avanza l'ipotesi che Jundishapur sia veramente fiorita sotto Cosroe I Anushirwan, dopo l'espulsione dei nestoriani da Edessa nel 489 e la messa al bando da Atene dei neoplatonici nel 529. Jundishapur divenne uno dei maggiori centri cosmopoliti della filosofia e delle scienze greche, ebraiche, cristiane, indù e persiane (Sarton 1975).

Jundishapur, che deve la fama di cui gode alla sua importanza come centro di cultura secolare, rinomato soprattutto per gli studi di medicina, fu fonte d'ispirazione per l'attività intellettuale dell'Islam. Sembra tuttavia che Jundishapur abbia svolto un ruolo più importante per la trasmissione della conoscenza che non per le attività scientifiche creative. Indubbiamente fu attraverso Jundishapur e i suoi dottori che la scienza greca, sia quella medica sia le altre scienze degli Antichi, fu introdotta nell'Impero abbaside, poiché non era solo un grande bīmāristān (ospedale), ma anche un centro di medicina e di filosofia, un osservatorio e un centro di traduzioni dove molte opere di medicina greche erano state tradotte in siriaco. Vi si erano riuniti molti dottori rinomati, tra cui quelli della famosa famiglia Baḫtišū῾, che erano stati medici di corte degli Abbasidi per generazioni.

Nonostante l'assenza di musei musulmani, il Bayt al-Ḥikma e le istituzioni che a esso si ispirarono, come la Dār al-Ḥikma, il Museo di Alessandria e Jundishapur in Persia, sono notevoli esempi di istituzioni urbane del sapere, ufficiali o semiufficiali, che ebbero un forte influsso sullo sviluppo della cultura islamica. È interessante notare, come dimostra Eche (1967), che gli storici arabi erano soliti chiamare le istituzioni del sapere dell'Antichità bayt al-ḥikma.

Il Bayt al-Ḥikma

In arabo il termine ḥikma significa 'sapienza' ma indica anche le scienze non religiose, che comprendono le cosiddette 'scienze classiche', quelle ereditate dagli Antichi o ῾ulūm al-awā᾽il, le scienze straniere o ῾ulūm al-dāḫila, le scienze razionali o ῾ulūm al-῾aqliyya e le scienze filosofiche o ῾ulūm al-falsafiyya. Il primo e più importante centro di cui siamo a conoscenza, che conteneva la parola ḥikma nel proprio nome e che ospitava chiunque fosse interessato allo studio delle scienze classiche, è il famoso Bayt al-Ḥikma di Baghdad.

Il Bayt al-Ḥikma era soprattutto una biblioteca, senza dubbio la prima biblioteca pubblica fondata durante il regno del califfo Hārūn al-Rašīd (r. 170-193/786-809); essa ricevette il suo maggiore impulso da al-Ma᾽mūn (r. 198-218/813-833), egli stesso erudito in molti campi del sapere come la grammatica, la filosofia, la medicina, la poesia e l'astrologia, nonché avido lettore e amante delle scienze degli Antichi.

La traduzione è l'aspetto più rilevante del nostro studio sulla trasmissione degli ῾ulūm al-awā᾽il nel Bayt al-Ḥikma; essa era il centro di tutte le attività. Le traduzioni erano sovvenzionate dai califfi, distribuite e organizzate sistematicamente secondo una precisa gerarchia. è soprattutto durante il regno di al-Ma᾽mūn che la traduzione divenne un'attività statale, agendo da catalizzatore per lo sviluppo di molte altre attività di studio come l'adattamento e il commento. L'amīn ῾alā 'l-tarǧama, o sovrintendente alle traduzioni, era incaricato di controllare e rivedere il lavoro degli altri traduttori, i quali erano a loro volta aiutati da copisti (kātib). Le opere venivano divise a seconda della preparazione specifica di ogni traduttore. Yūḥannā ibn al-Biṭrīq (attivo tra il 180-189/796-806) lavorò soprattutto alla traduzione dal greco in arabo delle opere filosofiche di Aristotele ed Epicuro, mentre al-Ḥaǧǧāǧ ibn Yūsuf ibn Maṭar (attivo tra il 170-218/786-833), specializzato nei settori dell'astronomia e della matematica, tradusse Tolomeo ed Euclide. Il più famoso di tutti i traduttori fu Ḥunayn ibn Isḥāq (193-260/809-873); aveva studiato con Yūḥannā ibn Māsawayh (m. 243/857), uno studioso legato al Bayt al-Ḥikma, anche lui discepolo dei famosi medici Baḫtišū῾ di Jundishapur; Ḥunayn lavorò sotto Yūḥannā, mentre entrambi erano al servizio di al-Ma᾽mūn. Nel frattempo Ḥunayn fu nominato amīn ῾alā 'l-tarǧama da al-Ma᾽mūn, probabilmente perché il suo arabo era impeccabile; più tardi sarebbe divenuto medico privato di al-Mutawakkil. Si ritiene che Ḥunayn abbia eseguito traduzioni da Aristotele, Platone, Galeno, Ippocrate e Dioscuride. La remunerazione dei traduttori da parte dei califfi variava a seconda del lavoro svolto. Si narra che al-Ma᾽mūn abbia dato a Ḥunayn una quantità d'oro che equivaleva al peso delle opere da lui tradotte. Questo è probabilmente il motivo per cui ‒ commenta Ibn Abī Uṣaybi῾a ‒ "la carta utilizzata era così spessa, le righe così distanziate tra loro e la scrittura così grande!" (῾Uyūn al-anbā᾽ fī ṭabaqāt al-aṭibbā᾽, ed. Nizār Riḍā, pp. 270-271).

Il problema della trasmissione dell'eredità scientifica greca nel mondo islamico associato al Bayt al-Ḥikma dovrebbe essere affrontato tenendo conto di una molteplicità di fattori nell'ambito sia della nascita sia dello sviluppo della civiltà islamica. È evidente che la spinta sociale fu un fattore importante nello sviluppo dell'attività di traduzione; ma furono altrettanto importanti necessità e bisogni intellettuali di vario genere. Com'è ben noto, esisteva la necessità di apprendere la matematica, l'astronomia e la medicina tanto per rispondere ai bisogni dello Stato e della società (calendari, misurazione dei terreni, cure mediche, ecc.) quanto per osservare i doveri religiosi (calendario lunare, determinazione della qibla ‒ la direzione della Ka῾ba ‒, quanto pregare, calcolo del tempo e così via). Tuttavia, la dimensione intellettuale dell'attività di traduzione, che si evolse parallelamente a quella del moderno Stato centrale che si stava sviluppando e della società urbana, potrebbe essere meglio compresa alla luce della forza propulsiva della nuova religione. Per questo motivo, bisognerebbe studiare il processo di formazione delle istanze ideologiche delle comunità delle grandi città, gli interessi e le necessità della gente, nonché il ruolo degli aderenti ai vari movimenti e delle scuole in questa trasmissione.

A metà dell'VIII sec. emersero scuole rivali e sorsero nuove questioni nel campo della linguistica, dell'ermeneutica, della teologia e della giurisprudenza, mentre il numero di studiosi e di scritti in questi settori aumentava considerevolmente e la specializzazione si andava sempre più accentuando. L'interesse per la tradizione greca era in parte collegato a queste attività di ricerca nelle discipline islamiche; nel IX sec. a Baghdad si verificò una rinascita della tradizione scientifica ellenistica, in modo particolare nelle scienze matematiche.

In poche decine di anni gli Elementi di Euclide furono tradotti tre volte, l'Almagesto di Tolomeo due volte, ma furono tradotte molte altre opere di Euclide, Tolomeo e Apollonio; nel giro di un secolo a queste si erano aggiunte diverse opere di Archimede, Diofanto, Erone e Pappo.

Roshdi Rashed sostiene che queste traduzioni non sistematiche su vasta scala ‒ comunque accuratamente organizzate ‒ sono collegate a un importante aspetto finora trascurato dagli studi sull'istituzionalizzazione della scienza nell'Islam. Insufficientemente sottolineato, per ovvie ragioni, è infatti il profondo rapporto fra traduzione e ricerca. Questa, a seconda delle circostanze, precedeva la traduzione oppure si svolgeva parallelamente a essa, o veniva più o meno direttamente messa in moto dalla traduzione di qualche altro testo di un settore affine. La traduzione dei testi greci in arabo rendeva disponibili i libri necessari alla preparazione dei ricercatori e consentiva di portare avanti la ricerca stessa; per esempio, la traduzione dell'opera di Archimede mirava a facilitare lo studio della misurazione di aree e volumi (Rashed 1989).

Le attività del Bayt al-Ḥikma non si limitavano alle traduzioni. Al-Ma᾽mūn sembra aver incoraggiato la stesura di opere soprattutto in campi come l'astronomia, la medicina, la storia, la letteratura e la grammatica, nonché di un'opera sull'arte militare. Il Bayt al-Ḥikma serviva da luogo di incontro per gli studiosi, e molto probabilmente fu il centro da cui cominciarono a diffondersi correnti di pensiero come la šu῾ūbiyya, basata sul conflitto etnico tra Arabi e Persiani, e il mutazilismo. Secondo Eche, il fatto che il direttore del Bayt al-Ḥikma fosse Sahl ibn Hārūn, il quale era anche il leader del movimento šu῾ūbī, costituisce una chiara indicazione delle sue tendenze. Il ruolo politico del Bayt al-Ḥikma potrebbe essere stato quello di contribuire allo sviluppo teorico di quel mo-vimento filosofico, alla sua adozione ufficiale quale dottrina di Stato, come nel caso del mutazilismo, e alla crescita d'importanza della filosofia accanto alle scienze religiose.

Le informazioni, scarse e incoerenti, che si trovano disperse nelle fonti classiche non ci permettono di scrivere una storia dettagliata di questa istituzione e di seguirne lo sviluppo in modo inequivoco. Inoltre, l'ultimo periodo del Bayt al-Ḥikma rimane per gli studiosi una questione irrisolta. Secondo Dominique Sourdel (1960), esso scomparve in seguito alla reazione ortodossa di al-Mutawakkil (232-247/847-861), il quale nel 234/850 mise fine a quella che nella storia dell'Islam è nota come miḥna (inquisizione) iniziata da al-Ma᾽mūn sotto l'influsso dei mutaziliti. Tuttavia le prove storiche che abbiamo a disposizione non confermano questa teoria. Al-Qalqašandī (m. 821/1418) ci dice che i Mongoli distrussero tutte le biblioteche di Baghdad nel 656/1258. M.G. Balty-Guesdon (1992) ritiene invece che la biblioteca di al-Ma᾽mūn sia probabilmente sopravvissuta fino al X sec., ma con il nome di Ḫizānat al-Ma᾽mūn. Si sarebbe quindi staccata dall'istituzione califfale, rimanendo però legata al nome del califfo sotto il quale era fiorita. In seguito ai cambiamenti politici e religiosi che ebbero luogo sotto al-Mutawakkil e che impedirono la diffusione del movimento mutazilita, il Bayt al-Ḥikma perse la funzione che aveva nella vita intellettuale. A quel punto, tuttavia, il movimento scientifico e filosofico era sufficientemente autonomo da non rimanere troppo colpito da questa perdita.

Le biblioteche private eredi del Bayt al-Ḥikma, istituite da bibliofili, statisti e studiosi abbasidi, amici dei califfi o persone che avevano lavorato per loro al Bayt al-Ḥikma come per esempio al-Fatḥ ibn Ḫāqān, ῾Alī ibn Yaḥyā al-Munaǧǧim e i figli di Mūsā erano aperte ai visitatori. Queste biblioteche semiufficiali, chiamate ḫizānat al-ḥikma, su scala più modesta e privata, seguivano gli stessi metodi e avevano gli stessi scopi perseguiti dal Bayt al-Ḥikma; in esse le scienze degli Antichi furono promosse e studiate anche dopo che al-Mutawakkil mise fine alla miḥna. La sopravvivenza di queste biblioteche indica chiaramente che la reazione nei confronti dei mutaziliti non era affatto diretta contro le scienze che essi promuovevano.

Baghdad era un centro culturale in cui gli uomini di scienza si riunivano incoraggiati dai califfi abbasidi, dai loro visir, e dopo il 334/945 anche dagli emiri buwayhidi. Anche se i califfi abbasidi, che vedevano la realizzazione di un certo grado di integrazione culturale sotto la bandiera islamica come una delle missioni principali della loro dinastia, sconfissero i mutaziliti sul piano politico, a livello privato ne condividevano alcuni interessi scientifici. La reazione di al-Mutawakkil contro la miḥna molto probabilmente non mirava a soffocare la vita intellettuale quanto piuttosto a limitare le attività politiche e il coinvolgimento in esse di alcuni potenti circoli. Sebbene il Bayt al-Ḥikma avesse svolto un ruolo vitale e indelebile ai fini dell'introduzione e assimilazione delle scienze filosofiche straniere nella cultura islamica, a causa della sua associazione con il mutazilismo, la šu῾ūbiyya e altri movimenti, non poté lasciare un segno permanente nella storia delle istituzioni culturali tradizionali. Il suo influsso perdurò a livello culturale piuttosto che istituzionale. D'altronde, si potrebbe vedere la miḥna degli Abbasidi tanto come un elemento catalizzatore quanto come un ostacolo: un elemento catalizzatore perché accelerò e incoraggiò la trasmissione e la diffusione delle scienze degli Antichi; un impedimento perché potrebbe aver ritardato la loro inclusione nell'insegnamento delle istituzioni ufficiali.

L'epoca abbaside, la miḥna e l'adozione del mutazilismo come dottrina ufficiale, le rivalità etniche, l'appoggio allo sciismo furono tutti movimenti che condividevano e incoraggiavano il comune interesse intellettuale per le scienze classiche, per il loro studio e la loro traduzione, ma le patrocinarono anche per altri motivi e forse questo in qualche modo rallentò la loro integrazione nella vita istituzionale.

La Dār al-Ḥikma

È al Cairo che un'altra istituzione voluta dai califfi fatimidi, la Dār al-Ḥikma, più tardi nota come Dār al-῾Ilm (Casa della scienza), fu fondata dal califfo al-Ḥākim (m. 410/1020), molto probabilmente sul modello del Bayt al-Ḥikma abbaside di Baghdad. Fu istituita nel 395/1005 allo scopo di dimostrare la tolleranza della dinastia fatimide, fautrice della scienza ismailita, nei confronti della popolazione egiziana a maggioranza sunnita. Nel 410/1020 la biblioteca divenne un centro sia di propaganda anti-sunnita, sia d'insegnamento della gnosi neoplatonica ismailita. Nel 513/1119 fu temporaneamente chiusa perché contribuiva alla diffusione di uno spirito che contrastava con la tendenza religiosa del governo. Nel 517/1123 fu riaperta, di nuovo come istituzione ismailita, fino alla sua definitiva scomparsa sotto Ṣalāḥ al-Dīn al-Ayyūbī (Saladino) nel 567/1171.

Fondando la Dār al-Ḥikma sembra che al-Ḥākim mirasse a placare la popolazione sunnita, ma al tempo stesso stava dando vita a un'istituzione in cui l'élite intellettuale veniva preparata allo scopo di assimilare e diffondere la dottrina ismailita. La fondazione della Dār al-Ḥikma fu pertanto una mossa politica del califfo che, dopo aver provato a forzare la popolazione ad abbracciare la fede ismailita, fu costretto a recuperare e a esibire la fede sunnita; tuttavia il risultato di questa turbolenza politico-religiosa fu la fondazione di una magnifica istituzione situata in un edificio vicino al palazzo di al-Ḥākim.

Nella Dār al-Ḥikma vi erano una biblioteca e una sala di lettura dove furono trasferiti molti libri provenienti dalla collezione di al-῾Azīz bi-'llāh (365-386/975-996), predecessore di al-Ḥākim, e dalla vasta collezione privata del califfo. La biblioteca, "una delle più grandi biblioteche pubbliche del mondo", era aperta a tutti e conteneva libri che appartenevano a tutti i campi scientifici, compreso "un gran numero di libri sulle scienze classiche". Inizialmente, giuristi, grammatici, filologi, astronomi e medici furono reclutati per lavorarvi in cambio di pensioni e sostanziosi salari. Cinque anni dopo la fondazione della Dār al-Ḥikma, nell'aprile o nel maggio 400/1010, si verificò un cambiamento significativo quando si decise che la sopravvivenza economica dell'istituzione sarebbe dipesa da un waqf (fondazione pia). L'atto di fondazione è andato molto probabilmente perduto, ma al-Maqrīzī afferma chiaramente che al-Ḥākim dotò la Dār al-Ḥikma di un fondo tratto dal patrimonio personale del califfo. La dotazione, come la descrive al-Maqrīzī, doveva provvedere ai fondi necessari per il mantenimento della moschea di al-Azhar, della moschea di Rašīda e della Dār al-῾Ilm o Dār al-Ḥikma; la quota messa a disposizione della Dār al-Ḥikma ammontava a 257 dinari.

Sappiamo anche che vi venivano organizzate lezioni di tutte le materie e da quanto scrive al-Maqrīzī possiamo dedurre che le materie insegnate fossero le seguenti: lettura del Corano, fiqh (diritto), filologia, grammatica, medicina, logica, matematica e astronomia. Alcune materie venivano indubbiamente insegnate per dimostrare l'adesione del califfo alla dottrina sunnita, come i corsi in cui si descrivevano le virtù dei compagni del Profeta e altri su molti argomenti diversi. Come già accennato, quando il fondatore della dinastia degli Ayyubidi, Ṣalāḥ al-Dīn al-Ayyūbī (564-589/1169-1193), mise fine al potere dei Fatimidi in Egitto e ristabilì il sunnismo, fece chiudere anche la Dār al-Ḥikma.

Le due fondazioni di cui abbiamo parlato, vale a dire il Bayt al-Ḥikma e la Dār al-Ḥikma, non riuscirono a costituire un modello per le future istituzioni permanenti perché le loro radici non affondavano nell'ideologia predominante che permeava la vita sociale e culturale dell'Islam. Esse andava-no contro le tendenze popolari generali sia che sostenessero la miḥna mutazilita, come nel caso del Bayt al-Ḥikma, sia la propaganda ismailita, come nella Dār al-Ḥikma, quando le masse erano sunnite. È ovvio che le biblioteche private, che si tenevano distanti dalle dispute politiche, non erano soggette a tali controversie.

Il numero limitato di questi tentativi può essere interpretato in due modi. Da una parte implicavano scuole di pensiero marginali e radicali che si opponevano alla mentalità comune, agli ῾ulamā᾽ e al popolo. Queste istituzioni non potevano ancora inserirsi nel contesto sociale e condividerne i valori culturali più ampiamente accettati; inoltre, quando veniva ritirato l'appoggio politico perdevano ogni legittimità. Dall'altra parte, ci fu un'evoluzione nel finanziamento delle istituzioni. All'inizio esse facevano affidamento sul patrocinio del califfo, sul suo appoggio personale e sui suoi finanziamenti privati; non erano garantite o legalizzate dalle norme relative all'istituto giuridico del waqf. Come già sappiamo, nel 400/1010 al-Ḥākim dotò la Dār al-Ḥikma di un fondo secondo le disposizioni in materia di waqf. Questo metodo di sostegno economico meno personale e meno precario avrebbe dato una maggiore stabilità alle istituzioni successive tramite le leggi del waqf e in totale armonia con l'etica religiosa.

Quando Saladino chiuse le porte della Dār al-Ḥikma, le istituzioni del tipo madrasa si stavano diffondendo in tutto il mondo musulmano e le istituzioni del sapere si stavano trasformando in regolari centri d'istruzione. Se accettiamo il paradigma di Makdisi (1981), le istituzioni precedenti alla madrasa, vale a dire il ǧāmi῾ (moschea congregazionale) e il masǧid (moschea) dell'XI sec., escludevano le scienze 'straniere'. Nel XII sec., con la nascita delle madāris ‒ frutto di una politica culturale voluta dai sultani selgiuchidi, e realizzata dal visir Niẓām al-Mulk che pose al centro della nuova istituzione il diritto e le scienze linguistiche e religiose ‒ le istituzioni denominate ḥikma cominciarono a scomparire. Nel XIII sec., grazie a un tipo di waqf più ampio e permanente, che costituirà la base istituzionale dell'istruzione in tutto l'Islam, avvenne l'integrazione di alcune delle scienze degli Antichi nelle attività d'insegnamento delle istituzioni, che fossero le madāris o altri centri educativi.

Il passaggio dell'istruzione medica dal bīmāristān, la sua prima istituzione, alla madrasa fu generalmente avviato allo scopo di offrire cure mediche agli studenti di fiqh della madrasa; d'altronde, l'insegnamento dell'astronomia e della matematica al personale scientifico dell'osservatorio svolse un ruolo importante nel processo di istituzionalizzazione dell'insegnamento di queste scienze, con la conseguenza che esse entrarono a far parte degli insegnamenti delle madāris. Fu solo nel XV sec. che le scienze degli Antichi divennero parte integrante e stabile dell'insegnamento nelle madāris dei Timuridi e degli Ottomani. Gli esempi possono essere visti come stadi sperimentali o passaggi graduali verso l'effettiva integrazione di alcune delle scienze razionali nelle istituzioni educative ufficiali del mondo musulmano, vale a dire tra le attività di insegnamento del sistema della madrasa.

Il modello della 'madrasa-bīmāristān': secc. XII-XIII

Il XIII sec. vide un importante sviluppo del processo di istituzionalizzazione dell'insegnamento delle scienze. Il famoso Nūrī Bīmāristān, la Madrasa di medicina di al-Daḫwar di Damasco e la Madrasa Mustanṣiriyya di Baghdad avviarono il processo d'integrazione della medicina classica ereditata insieme con le altre scienze.

Il Nūrī Bīmāristān, una delle istituzioni più grandi e durature, fu fondato a Damasco da Nūr al-Dīn Zanǧī (1146-1174) verso la metà del XII sec., e presentava due aspetti innovativi. In primo luogo, era una fondazione pia, o waqf; quindi l'inclusione formale dell'insegnamento della medicina in una istituzione ufficiale segnò un grande passo avanti verso l'istituzionalizzazione dell'istruzione medica. In secondo luogo, l'ospedale aveva anche una biblioteca i cui libri erano stati donati da Nūr al-Dīn Zanǧī. Ciò garantiva l'aspetto teorico dell'insegnamento e il bīmāristān cominciò gradualmente ad assumere le caratteristiche di un'istituzione accademica. Sarà opportuno citare di seguito un brano dalla biografia di Abū 'l-Maǧd ibn Abī 'l-Ḥākim (m. 590/1194), che ci offre un quadro della vita e delle attività dei medici in questo bīmāristān:

Ed egli [Abū 'l-Maǧd ibn Abī 'l-Ḥākim] sedeva nella ben attrezzata sala principale, o īwān, del bīmāristān, e cominciava a lavorare. Nūr al-Dīn [Zanǧī] aveva dotato la fondazione del bīmāristān di molti libri di medicina. Erano nell'armadio, al centro dell'īwān, e c'era sempre un gruppo di dottori e studenti che venivano a imparare da lui; allora egli discuteva di argomenti medici con gli studenti e insegnava loro pur continuando a consultare testi e a fare ricerche, controllando libri anche per tre ore, dopo di che tornava a casa sua. (Ibn Abī Uṣaybi῾a, ῾Uyūn al-anbā᾽ fī ṭabaqāt al-aṭibbā᾽, ed. Nizār Riḍā, p. 628)

La descrizione di Ibn Abī Uṣaybi῾a della propria vita di studente di medicina ci permette d'individuare alcuni dei principali metodi educativi del XIII secolo. L'istruzione veniva impartita tramite la collaborazione (ṣuḥba), l'assistentato (mulāzama), la lettura dei testi, la pratica clinica e altri metodi. L'insegnamento era in un certo senso 'formalizzato', e tendeva a coltivare le capacità dello studente, quelle intellettuali (con la lettura) e quelle tecniche (con l'osservazione clinica). La trasmissione delle conoscenze mediche non consisteva soltanto nelle lezioni o nella pratica esercitata all'interno del bīmāristān ma continuava anche nelle case e perfino negli accampamenti militari.

La biografia di Muhaḏḏab al-Dīn al-Daḫwar (m. 628/1230) ‒ uno dei principali e più noti medici del Nurī Bīmāristān (raccontata dal suo studente Ibn Abī Uṣaybi῾a) ‒ ci fornisce importanti informazioni su come il sistema d'insegnamento tradizionale del bīmāristān diede origine a una scuola di medicina indipendente.

Il maestro Muhaḏḏab al-Dīn ‒ che Dio abbia misericordia di lui! ‒ dopo aver terminato il suo lavoro nel bīmāristān e aver visitato i suoi pazienti, tra i quali c'erano funzionari dello Stato, notabili e altri, andava a casa e cominciava a leggere e a studiare, e di sicuro anche a copiare libri. Quando aveva finito di studiare, accoglieva i visitatori. I medici e gli studenti arrivavano a frotte. Egli insegnava a tutti loro, discuteva problemi specifici e offriva spiegazioni a seconda delle capacità di ciascuno. Parlava poi con coloro che eccellevano nel circolo di studiosi presenti, anche se l'argomento avrebbe richiesto maggiori ricerche e chiarimenti. Teneva sempre in mano una copia del libro che lo studente stava leggendo e quando notava un errore, gli ordinava di correggerlo. La copia del maestro Muhaḏḏab al-Dīn era impeccabile e nella maggior parte dei casi scritta da lui stesso. Teneva accanto a sé i libri di medicina necessari, nonché le opere linguistiche di al-Ǧawharī, al-Ṣiḥāḥ, di Ibn al-Fāris, al-Muǧmal, e il libro di botanica di Abū Ḥanīfa al-Dīnawarī. Quando la gente aveva finito di leggere, si ritirava, mangiava qualcosa e utilizzava le rimanenti ore del giorno per memorizzare, studiare e leggere. Dedicava la maggior parte delle notti ai suoi studi e al suo lavoro. (ibidem, p. 728 e segg.)

Questo lungo brano permette di capire quanto fosse 'personale' l'insegnamento impartito da al-Daḫwar nella sua casa. Con lui l'insegnamento della medicina, pur mantenendo il suo carattere personalizzato, divenne più collettivo e acquisì un nuovo aspetto di ufficialità. Al-Daḫwar morì nel 628/1231; dopo la morte, rispettando la sua volontà, la casa, dove aveva i laboratori ed era solito tenere le sue lezioni, fu convertita in una madrasa per l'insegnamento della medicina. Al-Daḫwar, il quale desiderava che la sua casa fosse piena di studenti anche dopo la sua dipartita, lasciò il denaro sufficiente affinché rimanesse come era stata quando egli era ancora in vita e perché divenisse la prima madrasa per lo studio della medicina conosciuta nel mondo islamico.

La scuola di medicina funzionò per almeno due secoli dopo la morte del suo fondatore, che fu emulato da due contemporanei: Naǧm al-Dīn ibn Labbūdī (m. 670/1272) e ῾Imād al-Dīn al-Rābi῾ al-Danisīrī (m. 686/1287).

La Madrasa al-Mustanṣiriyya

All'epoca in cui la casa privata di al-Daḫwar divenne una madrasa con il solo scopo di insegnare la medicina, un'altra madrasa fondata a Baghdad dal califfo abbaside cambiò il sistema d'istruzione dell'Islam, introducendo molte innovazioni sia riguardo al concetto e al sistema educativo, sia all'insegnamento di diverse scienze ereditate dall'epoca preislamica, che furono integrate con le scienze islamiche locali.

Come indica il suo nome, la Madrasa al-Mustanṣiriyya fu fondata da al-Mustanṣir bi-'llāh, penultimo califfo della dinastia abbaside; fu costruita tra il 625/1227 e il 633/1233 e funzionò per secoli con due soli intervalli (durante le invasioni di Hūlāgū e di Tīmūr). Il regno di al-Mustanṣir garantì un periodo di relativa stabilità, propizio per la promozione di istituzioni di natura religiosa, culturale e sociale; fu un'epoca descritta come "la quiete prima della tempesta fatale", cioè prima del disastro causato dall'invasione mongola del 656/1258.

La Mustanṣiriyya era una delle fondazioni più generosamente finanziate. Il suo tratto più caratteristico era quello di essere la prima madrasa nella storia dell'istruzione universitaria a offrire nel suo programma accademico l'insegnamento delle quattro scuole di diritto sunnite.

Il califfo dotò la fondazione "di risorse straordinarie". Al-Ḏahabī afferma che "la fondazione disponeva di mezzi tali da superare ogni descrizione e l'insieme dei fondi annuali a disposizione della Mustanṣiriyya superava i 70.000 miṯqāl" (al-Suyūṭī, Ta᾽rīḫ al-ḫulafā᾽, p. 545). La Mustanṣiriyya disponeva effettivamente di considerevoli fondi; il waqf offriva molti servizi agli orfani e agli studenti e remunerava generosamente gli insegnanti. Durante i suoi anni di attività, la Mustanṣiriyya fu amministrata da un direttore (naẓīr) aiutato da un supervisore (mušrif) e da un cancelliere (kātib). Tra i suoi dipendenti vi erano architetti (mi῾māriyya), dieci assistenti (farrāš), tre portieri, gli attendenti dei bagni (ḥammām), un cuoco, vari servitori e così via. Gli stipendi e le spettanze giornaliere di ciascuno erano definiti in modo molto preciso. La natura dell'insegnamento e il numero degli insegnanti nominati per ogni sezione erano chiaramente specificati negli articoli dello statuto di fondazione (waqfiyya). La waqfiyya stabiliva che ci fossero 248 giuristi, o studenti di legge, cioè quattro volte 62, e ciascun gruppo di 62 apparteneva a una delle quattro scuole di diritto (maḏāhib) sunnite. A ogni maḏhab erano assegnati un professore (mudarris) e quattro assistenti (mu῾īd). Un maestro e il suo assistente avrebbero insegnato il Corano a trenta giovani studenti; un altro maestro avrebbe trasmesso la scienza dei ḥadīṯ, le tradizioni del Profeta, a dieci studenti, e infine il responsabile del servizio medico, il ṭabīb, assegnato alla Mustanṣiriyya, avrebbe insegnato la scienza della medicina (ṭibb) a dieci studenti. Il numero totale degli studenti era 298. In aggiunta a questi ambiti principali, a tutti gli studenti veniva insegnata la grammatica da un naḥwī (grammatico) e la matematica da un matematico. La biblioteca aveva un ḫāzin (direttore), un mušrif (sovrintendente) e un munawwil (assistente bibliotecario). Ogni scuola di diritto aveva il suo imām, il suo recitatore delle sette letture del Corano e un predicatore; nella moschea prestava servizio un mu᾽aḏḏin per il richiamo alla preghiera.

La caratteristica unica della Mustanṣiriyya risiedeva nel fatto che combinava le attività d'insegnamento tradizionali della madrasa con le scienze appartenenti al mondo degli Antichi. Al-Mustanṣir l'aveva concepita sia sulla base della madrasa tradizionale sia su quella del bīmāristān tradizionale. Aveva combinato le due cose come se volesse offrire un tipo di educazione globale tanto per la cura del corpo quanto per quella dell'anima. L'istruzione e la formazione dei medici, ormai ufficializzate, andavano di pari passo con l'insegnamento del diritto che era alla base della madrasa. La descrizione dello storico al-Irbilī ci offre dettagli molto interessanti sulla varietà dei corsi: "[La Mustanṣiriyya era] il centro di tutto, l'apice dell'Islam, vi convergevano tutte le discipline musulmane, la scienza del diritto, la teoria e la metodologia legali, la comparazione tra le varie scuole di diritto, la scienza della prosodia e i detti del Profeta, la conoscenza di ciò che è legale e illegale, lo studio delle leggi che regolano le eredità, le leggi sulla discendenza e la distribuzione, l'aritmetica e la geodesia, la medicina, la scienza che insegna come trarre vantaggio dagli animali, la cura della salute e quella del corpo" (Ḫulāṣat al-ḏahab al-masbūq, p. 287).

Queste informazioni sono confermate da un altro cronista, l'autore del Kitāb al-Ḥawādiṯ (Libro degli avvenimenti): "Era stipulato [nell'atto di fondazione] che la Mustanṣiriyya dovesse accogliere chi studiava le leggi dell'eredità e l'aritmetica come anche molte altre scienze la cui esauriente enumerazione sarebbe troppo lunga" (p. 86). Sebbene la lista delle scienze contenuta nel Kitāb al-Ḥawādiṯ non sia esauriente quanto quella di al-Irbilī, è significativa l'aggiunta da parte dell'autore di un altro dettaglio fondamentale, non citato esplicitamente da al-Irbilī, del quale non disponiamo perché la waqfiyya della Mustanṣiriyya non è giunta fino a noi: l'inclusione dell'insegnamento dell'aritmetica, delle leggi sull'eredità e di altre scienze era "stipulato nella waqfiyya" della Madrasa al-Mustanṣiriyya. Anzi, almeno per quanto riguarda le fonti classiche, questo è il primo caso in cui alcune discipline considerate tra le cosiddette 'scienze degli Antichi', o ῾ulūm al-awā᾽il, venivano ufficialmente integrate e assimilate come campi di studio indipendenti ed entravano a far parte del programma formale della madrasa.

Il fatto che la Mustanṣiriyya offrisse notevoli strutture mediche e farmaceutiche accanto al programma di insegnamento viene citato da tutte le fonti storiche maggiori e minori a nostra disposizione. La Mustanṣiriyya offriva assistenza medica e garantiva la formazione di dieci giovani assistenti; inoltre possedeva una farmacia. Questa era considerata una delle divisioni del bīmāristān, parte essa stessa della madrasa, dove ogni tipo di rimedi, farmaci e pozioni veniva somministrato dal medico e dai suoi assistenti. Gli standard di assistenza medica e di insegnamento offerti dalla Mustanṣiriyya erano probabilmente molto alti, i più alti dell'epoca. Sappiamo di un certo medico, Abū ῾Alī ibn ῾Abd Allāh, noto anche come Sanǧar, che fece di tutto "fino a quando gli fu permesso di sedere nell'īwān medico di fronte alla Mustanṣiriyya" (Ibn al-Fuwaṭī, Talḫīṣ maǧma῾ al-ādāb, p. 1063).

Tuttavia, è opportuno specificare in questa sede che il programma di insegnamento di medicina della Mustanṣiriyya non era concepito come quello di una scuola di medicina indipendente, ma era stato soprattutto pensato come quello di un bīmāristān, in cui il medico della Mustanṣiriyya e i suoi dieci assistenti fornivano i necessari servizi medici ai giuristi, al personale e agli studenti, dato che circa 350 persone vivevano nello stesso luogo.

Una delle clausole contenute negli atti andati perduti è la seguente: "dovrebbe esserci [nella madrasa] un abile medico che insegni a dieci persone (studenti) che godono degli stessi diritti degli studenti di ḥadīṯ" (Kitāb al-Ḥawādiṯ, p. 85). Viene riferito anche che "nell'anno 633 [1233], l'īwān costruito di fronte alla Madrasa al-Mustanṣiriyya fu completato con una sala in cui il medico sedeva circondato dalle persone impegnate nello studio della medicina, e parlava con i pazienti che richiedevano le sue cure" (ibidem, p. 111). Ciò dimostra che l'insegnamento della medicina non era organizzato in una madrasa indipendente, ma era piuttosto una delle varie scienze concepite come parte dell'educazione formale della Mustanṣiriyya.

Nel suo resoconto, Abū 'l-Faraǧ (Bar Hebraeus) dà ulteriori informazioni a sostegno di questa tesi: "La Mustanṣiriyya aveva in assegnazione un medico che visitava e consigliava i suoi pazienti ogni mattina presto" (Ta᾽rīḫ muḫtaṣar al-duwal, p. 425). Dai testi citati appare anche chiaro che il dottore assegnato alla Mustanṣiriyya era chiamato medico (ṭabīb) e non professore (mudarris).

La Mustanṣiriyya era famosa anche per il suo orologio, che rispondeva a un'altra esigenza dei residenti della madrasa indicando l'ora del giorno e i momenti della preghiera. Nella madrasa il califfo provvedeva a tutte le necessità intellettuali dei residenti senza trascurare le comodità pratiche come il ḥammām (bagno) per tutti gli studenti e il personale.

Allo scopo di dimostrare l'atmosfera di tolleranza che predominava nella Mustanṣiriyya e il desiderio dei giovani di studiare sia le scienze islamiche sia quelle degli Antichi, il resoconto di al-Kutubī è estremamente significativo. Egli ci racconta che uno dei giuristi šāfi῾iti all'epoca di al-Mustanṣir, Ṣāfī al-Dīn al-Muġannī, era anche particolarmente versato in letteratura, musica, scienza della controversia, o ῾ilm al-ḫilāf, e nelle scienze degli Antichi, oltre a essere un raffinato calligrafo; aveva anche iniziato a prendere lezioni di liuto ed era perfino più dotato nella musica che nella calligrafia. Non sappiamo se le lezioni di musica avessero luogo all'interno della Mustanṣiriyya o al di fuori di essa. Tuttavia questa informazione è indicativa perché riflette l'atmosfera di tolleranza che prevaleva nella madrasa di Baghdad, la quale non fu unica in questo senso, costituendo un esempio per molte altre madāris del mondo arabo, così come per quelle turco-mongole, persiane e turche ottomane.

Diffusione del modello della madrasa-bīmāristān

Lo sviluppo istituzionale della Mustanṣiriyya di Baghdad è all'origine della sua influenza e di ulteriori sviluppi. I governanti, i comandanti militari, gli eruditi e gli studenti che arrivavano a Baghdad da varie parti del mondo musulmano durante e dopo il regno del califfo al-Mustanṣir restavano incantati dalla magni-ficenza del complesso della Mustanṣiriyya, che costituiva un grande esempio e un modello perfetto. Tra le influenze che questa istituzione esercitò, la principale fu quella di formare giuristi di tutte e quattro le scuole di diritto dell'Islam; un altro contributo significativo fu quello di offrire cure e istruzione medica, nonché altre attività educative, all'interno di un unico complesso. Tutto questo era possibile grazie al sostegno economico della fondazione religiosa.

Mentre si esplorano queste influenze, sarebbe anche opportuno considerare la divisione, resa ancora più profonda dall'invasione mongola di Baghdad, che si verificò nel mondo islamico poco dopo la costruzione della Mustanṣiriyya. Sebbene l'ascesa dei Fatimidi a Occidente e dei Selgiuchidi a Oriente avesse già creato uno spostamento del confine tra Siria e Iraq, questo confine fu consolidato dall'annientamento del califfato abbaside da parte dei Mongoli nel 656/1258 e, di conseguenza, il mondo islamico rimase diviso in due zone politiche e culturali.

Questa separazione politica, tuttavia, non può essere vista come una divisione tra Arabi e Persiani, perché ‒ come sottolinea chiaramente Albert Hourani (1992) ‒ dall'XI sec. in poi molti gruppi predominanti in entrambe le zone non erano né arabi né persiani per origine, lingua o tradizione politica, ma piuttosto turchi che discendevano dalle popolazioni nomadi dedite alla pastorizia provenienti dalle regioni più interne dell'Asia. Nonostante ciò, nel periodo che seguì la distruzione del califfato, la divisione in due grandi zone culturali divenne più netta. Nella prima zona ‒ fino all'ascesa degli Ottomani ‒ la cultura persiana predominante era stata per secoli quella urbana. Questa zona aveva il suo centro negli altipiani dell'Iran e si estendeva a ovest verso l'Anatolia e oltre, nelle terre conquistate dai Turchi ottomani in Europa, e a est verso l'Asia centrale e i nuovi imperi musulmani dell'India. Sebbene l'arabo fosse rimasto la lingua della religione, della cultura e del diritto, la vita letteraria era dominata dalla tradizione dell'Iran musulmano, e in Asia centrale e in Anatolia si erano sviluppati i dialetti e la letteratura turchi. La seconda zona, che comprendeva gli antichi centri di civiltà di lingua araba, era formata dalla provincia in rovina dell'Iraq e dal nuovo centro costituito dall'Egitto, sotto il dominio dell'impero siro-egiziano dei Mamelucchi di origine turca (provenienti soprattutto dalla regione del Kipčak, a nord del Mar Nero). Dopo l'invasione mongola dei paesi di lingua araba, il centro di gravità si era spostato quindi dall'Iraq all'Egitto.

I successori di Saladino, che misero fine al predominio dei Fatimidi in Egitto, continuarono a fondare nuove madāris, portando avanti l'attività iniziata dal fondatore della dinastia allo scopo di diffondere la dottrina islamica sunnita. Dopo l'entrata in funzione della Mustanṣiriyya, al-Mālik al-Ṣāliḥ Naǧm al-Dīn Ayyūb costruì al Cairo la Madrasa Ṣāliḥiyya nel 648/1241, prima madrasa in Egitto ad accogliere insieme le quattro scuole musulmane di diritto. Con il passare del tempo, soprattutto durante il periodo dei Mamelucchi, il numero delle madāris che offrivano l'insegnamento delle quattro scuole aumentò. Tra gli esempi più significativi di istituzioni fondate dai sultani mamelucchi e che offrivano l'insegnamento delle quattro scuole ci furono la Madrasa Ẓāhiriyya (662/1264), fondata da Baybars, la Madrasa Manṣūriyya (684/1285), fondata da Muḥammad ibn Qalāwūn, la Madrasa Naṣīriyya (XIII sec.), la cui costruzione fu iniziata da Kītbūġā e completata dallo stesso Muḥammad ibn Qalāwūn, e infine la monumentale moschea-madrasa di Ḥasan (XIV sec.) il cui famoso e colossale edificio è sopravvissuto fino ai nostri giorni.

La moschea costruita da Aḥmad ibn ṭūlūn (r. 254-270/868-884), fondatore della prima dinastia turca in Egitto, è uno degli esempi dell'influenza della Mustanṣiriyya in relazione alle scienze degli Antichi. Alla fine del XIII sec. in questa moschea si verifica un significativo sviluppo per quanto concerne l'insegnamento della medicina e la scienza del calcolo del tempo (mīqāt). Nel corso delle varie lotte di potere Ḥuṣām al-Dīn Lāǧin, divenuto sultano (r. 696-698/1297-1299), restaurò la moschea di Ibn ṭūlūn e fissò anche una dotazione in denaro per le attività ispirate al modello della Mustanṣiriyya. Le prime sezioni dell'atto di fondazione, datate 21 Rabī ῾al-Ṯānī 699/dicembre 1298, non sono state ritrovate, ma fortunatamente le parti importanti che parlano delle lezioni che si tenevano nella moschea di Ibn ṭūlūn esistono ancora. Come per la Mustanṣiriyya, lo statuto di fondazione stabilisce in dettaglio che devono esserci quattro professori e i loro assistenti per ciascuna delle quattro scuole di diritto; e garantisce il mantenimento di 30 studenti per ognuna delle scuole, oltre a quello di 15 studenti di esegesi coranica e di 20 studenti di ḥadīṯ con i loro istruttori (šayḫ) e tutori.

Dalle informazioni sommarie citate appare chiaro che l'esempio della Mustanṣiriyya era stato preso in considerazione nel preparare l'atto richiesto dal sultano Lāǧin. L'unica branca dell'istruzione modellata completamente sulla Mustanṣiriyya era quella della medicina. Questo è il primo caso in cui le scienze degli Antichi venivano insegnate accanto a quelle religiose in una moschea o madrasa egiziana. L'atto di fondazione di questo istituto prevede sia la nomina di un medico ben preparato nella scienza della medicina ed esperto nella cura delle malattie, sia l'assegnazione di dieci studenti di medicina che verranno educati al suo interno. Il medico avrebbe dovuto anche occuparsi dell'insegnamento, e avere uno stipendio di 100 dirham, mentre a tutti gli studenti era assegnata la cifra complessiva di 100 dirham.

Dalle parti leggibili dell'atto si comprende che il medico avrebbe insegnato ai suoi studenti la scienza della medicina e che questi avrebbero studiato i testi necessari, oltre ad aiutarlo in caso di bisogno. Lo scopo principale dell'istruzione medica nella moschea di Ibn ṭūlūn era fornire assistenza sanitaria alle persone impegnate nell'istruzione religiosa presso la moschea, oltre a preparare medici che provvedessero all'esigenza della salute pubblica. Tra le innovazioni introdotte dalla moschea di Ibn ṭūlūn c'era anche l'insegnamento della scienza della misurazione del tempo (mīqāt).

L'impatto del modello della Mustanṣiriyya continuò su vasta scala. Mezzo secolo dopo il sultano Lāǧin, alcuni aspetti simili si ritrovano anche nello statuto di fondazione della monumentale moschea-madrasa costruita dal sultano Ḥasan ibn Muḥammad, in cui veniva offerta l'istruzione nelle quattro scuole di diritto. Secondo questo atto, il naẓīr (amministratore) del lascito del sultano Ḥasan avrebbe nominato tra i musulmani un chirurgo, un medico e un kaḥḥāl (oculista) che si sarebbero recati al complesso ogni giorno per occuparsi della salute dei dipendenti e degli studenti, fossero essi residenti nel complesso o meno.

Con il passare del tempo l'influsso del modello della Mustanṣiriyya si diffuse entro una vasta regione. Nella zona culturale comprendente l'Egitto, vale a dire nelle terre abitate da arabofoni e governate dai Turchi, l'istruzione nel campo della medicina e del mīqāt cominciava a diffondersi e servizi sanitari regolari erano offerti all'interno delle istituzioni accademiche del tipo moschea-madrasa che si occupavano dell'istruzione religiosa. Questo dimostra che per l'istruzione medica esisteva ormai un'altra istituzione, oltre al convenzionale bīmāristān e all'istruzione privata basata sul rapporto maestro-discepolo. Il tratto più rimarchevole dello sviluppo che si verificò in questa zona fu che, diversamente dal caso della Mustanṣiriyya, la medicina e il mīqāt (che era una sottodisciplina dell'astronomia) non venivano insegnati in madāris indipendenti, ma nella più tradizionale delle istituzioni educative dell'Islam, vale a dire la moschea.

Il modello della 'madrasa'-osservatorio: secc. XIII-XIV

Dopo la caduta degli Abbasidi e la distruzione della parte orientale del califfato nei primi anni del dominio mongolo, il regime degli Īlḫān rinnovò la tendenza storica della concentrazione del potere nelle mani dello Stato, ricreando la magnificenza della cultura monarchica turco-iranica dei Selgiuchidi. A partire dal regno di Ġāzān Ḫān (r. 694-703/1295-1304), gli Īlḫān ricostruirono le città, ridisegnarono i sistemi d'irrigazione, e incoraggiarono l'agricoltura e i commerci secondo i modelli degli imperi del Medio Oriente. Anche i governanti e i principi mongoli si erano mostrati interessati alle scienze degli Antichi. Questo interesse, che andava molto oltre quello personale, portò a un sempre maggiore riconoscimento delle scienze degli Antichi nel mondo islamico e contribuì alla diffusione, all'insegnamento e alla istituzionalizzazione di esse.

Mangū (m. 658/1260) e il suo successore nonché fratello Hūlāgū (m. 663/1265), come quasi tutti i governanti mongoli, erano uomini eruditi nel settore scientifico. Sotto il loro dominio fiorirono l'istruzione e la cultura e si intensificò il loro interesse ufficiale per le scienze degli Antichi, in generale, e quello per l'astrologia e l'astro-nomia in particolare.

L'Osservatorio di Marāġa

L'Osservatorio di Marāġa, fatto costruire nella capitale ilkhanide da Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī, è considerato il culmine nell'evoluzione di questa istituzione nell'Islam. Dotato di un'enorme biblioteca, questo osservatorio non era adibito soltanto alla ricerca astronomica, ma aveva anche le caratteristiche di un'accademia scientifica che offriva ottime opportunità di contatti e scambi di idee. Oltre agli astronomi, il suo personale comprendeva anche tecnici e addetti all'amministrazione.

La cosa più interessante è che l'Osservatorio di Marāġa non solo riflette il gusto dei Mongoli per l'astronomia, ma presenta anche un tratto unico e affascinante che indubbiamente è il risultato di una fusione tra le credenze mongole e la legge islamica: l'Osservatorio di Marāġa e la sua biblioteca erano finanziati con i fondi del waqf, vale a dire con le entrate delle fondazioni pie realizzate secondo le norme della legge islamica. Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī, lo spirito guida e lo studioso principale che portò alla fondazione di questo osservatorio, fu molto abile nello sfruttare la propensione per l'astrologia dei governanti mongoli non ancora musulmani come Hūlāgū e Abāqā. Sayılı ci fa notare che l'osservatorio era finanziato con un waqf e conclude che questa dotazione non solo era importante come fonte di reddito, ma costituiva anche il segno di una completa integrazione e armonizzazione con la cultura e la civiltà musulmane.

L'attribuzione di fondi waqf per la costruzione e il funzionamento di un osservatorio destinato allo studio e alla ricerca sulle scienze degli Antichi attraverso questo sistema di finanziamento prettamente 'islamico' va considerata come un importante passo avanti nella legislazione del waqf. Non sappiamo la posizione assunta dagli ῾ulamā᾽ durante il regno di Hūlāgū e del suo successore Abāqā, quando le diverse attività collegate all'Osservatorio di Marāġa erano al loro apice ed erano finanziate con i fondi raccolti dai vari waqf nelle terre poste sotto la sovranità degli Īlḫān.

Il tratto più rilevante dell'Osservatorio di Marāġa è quello delle 'attività educative' a esso collegate. Sappiamo che Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī aveva molti studenti, almeno un centinaio; il famoso Quṭb al-Dīn al-Šīrāzī (m. 710/1311) fu uno di loro. Sappiamo anche che un gruppo di studenti e di colleghi (talāmīḏatu-hu wa-aṣḥābu-hu) seguì Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī nell'ultimo viaggio che fece a Baghdad prima della sua morte (673/1274). Queste informazioni dimostrano chiaramente l'intensa attività di insegnamento di Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī, ma non implicano necessariamente che nell'osservatorio si tenessero lezioni di astrologia, astronomia, filosofia o di altre branche delle scienze degli Antichi. Marāġa era un osservatorio, non una madrasa; anche Sayılı, che crede nella teoria dell'esclusione delle scienze degli Antichi dall'insegnamento ufficiale delle madāris, afferma che tra le caratteristiche più rilevanti dell'Osservatorio di Marāġa vi erano le importanti attività educative svolte in esso. Senza dubbio anche gli osservatori precedenti avevano contribuito alla trasmissione dell'astronomia e delle scienze degli Antichi in generale. Poiché le scienze denominate awā᾽il non erano incluse nei curricula delle madāris, la trasmissione della conoscenza di queste materie doveva dipendere dall'istruzione privata, e almeno un numero limitato di studenti e apprendisti privati di astronomia dovevano avere accesso agli strumenti a disposizione dei loro maestri. Gli astronomi praticanti probabilmente ricevevano buona parte della loro istruzione quando avevano accesso agli osservatori nella loro funzione di assistenti.

Abū 'l-Faraǧ (m. 1286), noto in Occidente come Bar Hebraeus, visse a Marāġa e vi insegnò geometria e astronomia. Nel suo breve resoconto della morte di Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī, egli racconta che, in quanto responsabile di tutti i waqf ilkhanidi, al-Ṭūsī "era solito destinare stipendi agli insegnanti e agli allievi che erano con lui".

Per mancanza di altre indicazioni decisive, potremmo allora dire che ci sono forti probabilità che l'Osservatorio di Marāġa 'ratificasse' l'insegnamento degli ῾ulūm al-awā᾽il inclusi nelle varie attività di ricerca e di studio dell'osservatorio, oltre a finanziarlo con i fondi waqf. Quindi, oltre al bīmāristān di Damasco, la Madrasa di al-Daḫwar e la Mustanṣiriyya di Baghdad che si occupavano soprattutto di medicina, questo è il primo esempio a noi noto nella storia dell'Islam di un luogo in cui l'insegnamento dell'astronomia e delle scienze a essa correlate veniva finanziato con il denaro raccolto da una fondazione pia.

Marāġa segnò un momento di transizione nel corso del processo di istituzionalizzazione delle scienze degli Antichi. Esso ispirò infatti il complesso di Šamb fatto costruire da Ġāzān Ḫān a Tabriz, che a sua volta ha molte somiglianze con il Rab῾-i Rašīdī fondato da Rašīd al-Dīn, il visir di Ġāzān Ḫān. Anzi, Ġāzān Ḫān aveva visitato l'Osservatorio di Marāġa diverse volte e aveva finanziato anche il suo osservatorio come waqf.

Qui si percepisce già una decisa evoluzione, dagli osservatori sovvenzionati come waqf (Marāġa e Tabriz) alle madāris, le istituzioni accademiche ufficiali, anch'esse sovvenzionate. C'è un progressivo spostamento verso una sempre maggiore istituzionalizzazione delle scienze degli Antichi, e in particolare dell'inclusione di queste stesse scienze 'secolari' nell'istituzione culturale islamica per eccellenza, la madrasa.

Lo Šamb-i Ġāzān: istituzionalizzazione dell'insegnamento della Ḥikamiyya

Ġāzān Ḫān, primo sovrano ilkhanide ad aver abbracciato l'Islam, durante il suo regno introdusse grandi cambiamenti e innovazioni nella vita culturale e accademica imitando i sovrani musulmani, e in particolare i grandi sultani selgiuchidi. Ġāzān Ḫān ampliò l'interesse dei suoi precedessori per l'istruzione e la scienza. Modificando le tradizioni funebri dei re mongoli, ordinò la costruzione di una tomba come quella del grande sultano selgiuchide Sanǧar a Marw.

Ġāzān Ḫān, "l'imperatore altruista", fu molto elogiato dagli storici e dai cronisti del tempo, per il coraggio sul campo di battaglia, per la religiosità, la giustizia ed equità nonché per la curiosità intellettuale in materia di cultura e scienza. Ḫwāndamīr riporta che "secondo gli storici, il sultano Maḥmūd Ġāzān era sovrano di grande intelligenza e intuito, amante della cultura e delle scienze, la cui natura perspicace lo portava a studiare a fondo le questioni e la cui conoscenza includeva varie arti" (Ḥabīb al-siyar, III, p. 89). Era interessato alla cultura e all'insegnamento, due finalità che si riflettono nel complesso di edifici noto come Šamb-i Ġāzān o Šamb-i Tabriz. "In materia di lignaggio e protocollo dei sultani mongoli era estremamente dotto, tanto che quando Ḫwāǧa Rašīd al-Dīn stava componendo il Ǧāmi῾ al-tawārīḫ (La raccolta delle cronache) ottenne la maggior parte delle sue informazioni da Ġāzān Ḫān" (ibidem). Ġāzān Ḫān aveva anche molte conoscenze in altri campi ‒ nelle lingue, in medicina, in geologia e astronomia ‒ per non parlare delle sue capacità meccaniche e della sua abilità nelle arti. Scoprì anche un nuovo antidoto che fu denominato tiryāq-i Ġāzān. Rašīd al-Dīn continua dicendo che Ġāzān sorprese i suoi astronomi con l'invenzione di uno strumento astronomico semisferico per le osservazioni solari e con la costruzione di un complesso di edifici, comprendente una fondazione pia, che chiamò Abwāb al-Birr (Porte della Benevolenza), la quale conteneva una struttura ricoperta da una cupola basata sui principî di costruzione del suddetto strumento. La natura generosa di Ġāzān Ḫān e la sua sete di conoscenza appaiono ben riflesse nello Šamb-i Ġāzān con le sue varie istituzioni sia caritatevoli sia culturali.

Lo Šamb comprendeva un mausoleo, una moschea, una ḫānaqā per i ṣūfī, due madāris, un ospizio per i sayyid (discendenti del Profeta), un ospedale, un osservatorio, una biblioteca con archivio, una casa per il sovrintendente, una cisterna, un edificio per i bagni e una scuola elementare per cento bambini. "Più o meno nello stesso periodo, Ġāzān Ḫān aveva fatto bonificare alcune zone paludose, adiacenti alla sua grande casa, e lì erano stati costruiti una moschea pubblica, la Madrasa Šāfi῾iyya, la Madrasa Ḥanafiyya, una ḫānaqā, la Dār al-Siyāda, un osservatorio, il Bayt al-kutub (biblioteca), il Bayt al-qānūn (archivio), in cui erano conservati i registri amministrativi e i codici fiscali che Ġāzān Ḫān aveva ordinato di compilare nell'interesse della popolazione, una residenza per il sovrintendente, la cisterna Sāqiya e il bagno Sabīl" (Ḫwāndamīr, Ḥabīb al-siyar, III, p. 107).

Vari cronisti dei sovrani mongoli, come Waṣṣāf, Rašīd al-Dīn e Ḫwāndamīr, riportano i nomi delle istituzioni che circondavano la tomba di Ġāzān Ḫān e ci hanno lasciato brevi informazioni su ciascuna di esse. Tuttavia, soprattutto Rašīd al-Dīn, che stilò un sommario dell'atto di fondazione di Abwāb al-Birr, fornisce importanti informazioni sulle istituzioni religiose, sociali, educative e scientifiche che si trovavano all'interno di questo complesso di edifici. Secondo il suo resoconto, il complesso ospitava i seguenti edifici e istituzioni: (1) il Gunbad-i ῾Ālī o mausoleo (al-Qubba al-῾Āliya), dove erano impiegati i recitatori del Corano (ḥāfiẓ); (2) la moschea pubblica, che aveva un ḫāṭib (oratore), un imām, un mu᾽aḏḏin, un mukabbir e degli ῾amala (impiegati); (3) la ḫānaqā o residenza dei ṣūfī, con un maestro, i ṣūfī, un imām, un qawwāl (recitatore), un ḫādim (inserviente) e degli ῾amala. Ġāzān Ḫān stabilì che nella ḫānaqā "ogni mattina e ogni sera venisse distribuito da mangiare ai poveri e agli sfortunati e due volte al mese i ṣūfī e i recitatori dovessero raccogliersi per pregare e per ascoltare musica (samā῾). Quel giorno dovevano essere cucinati per loro cibo e dolci"; (4) due madāris, la Šāfi῾iyya e la Ḥanafiyya con mudarris (insegnanti) e mu῾īd (assistenti), fuqahā᾽ (giuristi), studenti di giurisprudenza, e degli ῾amala; (5) la dār al-siyāda con un naqīb (supervisore), un cuoco e "servitori per preparare il cibo per i sayyid in visita"; (6) la dār al-šifā᾽, l'ospedale, completo di ṭabīb (medico), kaḥḥāl (oculista), ǧarrāḥ (chirurgo), ḫāzin (direttore), ḫādim (servitore), e alcuni ῾amala; (7) il bayt al-kutub, la biblioteca, di cui si occupava un ḫāzin, un munawwil (assistente bibliotecario) e un farrāš (custode); (8) il bayt al-qānūn, l'archivio, con un ḫāzin, un kātib (copista) e un farrāš. Al suo interno erano tenuti i registri amministra-tivi e i codici fiscali ordinati da Ġāzān Ḫān per il bene della popolazione; (9) il bayt al-mutawallī, la residenza del sovrintendente, con un bawwāb (portiere); (10) la ḥawḍḫāna, la cisterna, con un farrāš; (11) il bagno, sabīl, che aveva un farrāš, un uomo delle pulizie, un barbiere, un guardarobiere e un addetto alla caldaia; (12) il raṣadḫāna, l'osservatorio. Rašīd al-Dīn, il quale riporta il sommario dell'atto relativo all'osservatorio, che abbrevia in raṣad, afferma che coloro i quali ricevevano denaro dal waqf erano il mudarris, che insegnava ḥikamiyya, e il suo mu῾īd (o assistente), gli studenti, il bibliotecario, e il suo munawwil, e altri dipendenti, alcuni dei quali erano incaricati della manutenzione degli strumenti usati nell'osservatorio.

Secondo Sayılı, questo osservatorio non è paragonabile sia per dimensioni sia per importanza a quello di Marāġa. Il resoconto delle istruzioni impartite da Ġāzān Ḫān per la costruzione del nuovo osservatorio fa pensare che esso fosse destinato ad alcuni specifici tipi di lavoro. Waṣṣāf ci spiega le funzioni di questa istituzione: "un luogo dedicato all'osservazione dei movimenti dei pianeti (kawākib) e all'istruzione degli studenti desiderosi di apprendere l'astronomia (maqṣad-i ṭullāb-i nuǧūm), un centro di attività per il calcolo e la compilazione delle tavole astronomiche e la determinazione degli eventi temporali" (Ta᾽rīḫ-i Waṣṣāf, ed. Muḥammad Muhdī Iṣfahānī, p. 382).

Tuttavia, come è stato detto, l'Osservatorio di Tabriz non era un'istituzione indipendente ma faceva piuttosto parte del più ampio Šamb-i Tabriz.

Gli scopi principali per cui era stato costruito il raṣad, oltre a quello di condurre certe osservazioni, erano insegnare la matematica, l'astronomia, la misurazione del tempo e ḥikamiyya; in secondo luogo quello di stabilire le ore esatte per le preghiere e gli altri atti di devozione; in terzo luogo, quello di preparare il calendario. La costruzione di un'istituzione più piccola di un osservatorio, con il nome di raṣad, diede il via a una nuova tradizione di complessi waqf. Più tardi i raṣad sarebbero stati costruiti vicino alle moschee e alle madāris e sarebbero stati chiamati con lo stesso nome per tutto il periodo degli Īlḫān; un esempio di questo genere è la Madrasa Rukniyya, costruita nella città di Yazd in Iran. Questa tradizione sarà portata avanti dall'Impero ottomano e se ne troveranno molti esempi sottoil nome di muwaqqitḫāna in numerosi complessi di edifici (kulliyya).

Nel suo resoconto sul complesso di edifici di Šamb-i Ġāzān, Waṣṣāf parla di un'altra istituzione che chiama ḥikamiyya. C'è una discrepanza tra le due edizioni della storia di Waṣṣāf per quanto concerne le funzioni di questa istituzione. Mentre nella prima edizione si dice che era finalizzata al trattamento delle malattie di natura psicologica da parte di medici specializzati in disturbi mentali, la nuova versione semplificata afferma che questa istituzione era destinata a ospitare i filosofi (ḥukamā᾽) e utilizzata per l'insegnamento delle scienze filosofiche (ḥikma). Poiché Rašīd al-Dīn e Ḫwāndamīr non ci danno alcuna informazione al riguardo, e un edificio con questa denominazione non appare nelle loro liste, sembra che la prima edizione sia più affidabile perché non potevano esserci due istituti per l'insegnamento della ḥikma nella stessa fondazione.

Il complesso di Tabriz aveva finalità molto più ampie di quello di Marāġa, che era stato progettato essenzialmente come osservatorio di ricerca, con alcune attività educative collaterali. Lo Šamb-i Ġāzān rispondeva a due necessità: in primo luogo era una fondazione pia e, in secondo luogo, era un centro di insegnamento e apprendimento. I fondi waqf non solo garantivano a tutti i dipendenti "un buon salario", ma coprivano anche i costi di manutenzione. Una lista dettagliata del tipo di spese affrontate ci è fornita da Rašīd al-Dīn e da Ḫwāndamīr: "Egli [ġĀzān Ḫān] ordinò che il sovrintendente e i dipendenti provvedessero senza alcun risparmio, anno per anno e mese per mese, alla riparazione degli strumenti del laboratorio, alle pozioni, alle medicine, al cibo, ai dolci, all'incenso e alle necessità dell'ospedale; alla riparazione e manutenzione dei libri della biblioteca, alle spese necessarie per ricopiare gli archivi; all'acquisto di caraffe, tazze, tinozze e pentole per la cisterna, e a tutte le spese necessarie per i bagni" (Ḫwāndamīr, Ḥabīb al-siyar, III, p. 107).

Lo statuto di fondazione menziona anche le spese per gli arredi e per le lampade dell'edificio. Inoltre, una notevole somma di denaro era stanziata per scopi umanitari come quello di offrire rifugio e assistenza all'interno dell'istituzione agli anziani sayyid, ῾ulamā᾽ e ai dotti;

duemila vesti di pelle di pecora dovevano essere acquistate ogni anno e distribuite a chi ne aveva bisogno; si doveva provvedere alla cura e all'educazione degli orfani; garantire rifugio e balie ai neonati abbandonati; coprire le spese per la sepoltura e i funerali degli stranieri indigenti; offrire assistenza e distribuire cotone a 500 vedove ogni anno; costruire ponti sui piccoli canali così che i poveri potessero più facilmente attraversare le strade; aiutare i servitori che si erano cacciati nei guai rompendo le anfore dei loro padroni […]. (Rašīd al-Dīn, Ta᾽rīḫ-i mubārak-i ġāzānī dastānī Ġāzān Ḫān, pp. 209-217).

Rašīd al-Dīn scrisse il Ta᾽rīḫ-i mubārak (Storia benedetta) nel 717/1317, il che indica che a quella data la fondazione era ancora in attività.

Come abbiamo precedentemente spiegato, l'Osservatorio di Marāġa era finanziato con i fondi waqf, istituiti da Hūlāgū e al-Ṭūsī. Questo rappresentò un grosso passo avanti nel processo di inclusione delle scienze degli Antichi nella tradizione islamica. D'altronde, Šamb-i Ġāzān costituì un altro progresso nel processo di istituzionalizzazione dell'insegnamento delle scienze degli Antichi. Il waqf di Šamb finanziava il mantenimento di un professore, di un assistente e degli studenti, nonché di un bibliotecario e di altro personale assegnato all'osservatorio. Questo indica chiaramente che l'osservatorio ospitava ufficialmente una scuola ben organizzata per l'insegnamento della matematica e dell'astronomia. L'astronomia e le scienze degli Antichi a essa correlate non erano solamente oggetto di ricerca ma anche di insegnamento nell'Osservatorio di Šamb, dove era impiegato un mudarris di ḥikamiyya, e ciò dimostra che la ḥikamiyya non solo veniva studiata e insegnata a livello personale e trasmessa da maestro a discepolo, ma che era anche insegnata nelle istituzioni ufficiali del sapere. La ḥikamiyya era stata istituzionalizzata, ed era entrata a far parte di una fondazione islamica; inoltre era stata collocata accanto alle moschee, alle madāris o centri dove si studiava il diritto islamico, alle ḫānaqā dei Ṣūfī e ad altre istituzioni religiose tradizionali del mondo islamico.

Il Rab῾-i Rašīdī: una fusione tra le varie scienze e professioni

Il complesso di edifici che comprendeva istituzioni religiose, educative e sociali finanziato con i fondi waqf raggiunse il suo culmine con il Rab῾-i Rašīdī, fondato da Rašīd al-Dīn, che fu visir, medico e uno degli intellettuali di maggior rilievo ‒ dopo Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī ‒ del periodo degli īlḫān. Questo complesso, che si ispirava ai modelli precedenti, era anche chiamato Abwāb al-Birr. Lo sviluppo istituzionale iniziato con la Mustanṣiriyya raggiunse un livello alquanto elevato e arrivò a includere più ampi settori di attività. Nel complesso di Rab῾-i Rašīdī varie istituzioni religiose, sociali ed economiche, che prima non erano mai state le une accanto alle altre, erano riunite entro i confini di una piccola città o di un distretto in cui numerose persone vivevano in armonia e si dedicavano a diverse attività culturali, sociali ed economiche.

Le informazioni che abbiamo sul Rab῾ sono tratte dalla sua waqfiyya originale, giunta fino a noi fortunatamente intatta. Il documento è stato pubblicato sia in facsimile sia in un'edizione critica, e descrive in dettaglio le finalità, l'amministrazione e il personale del Rab῾. I principali centri di istruzione del Rab῾ erano il bayt al-ḥiraf (scuola di artigianato), il masǧid (moschea) e la dār al-šifā᾽ (ospedale).

I dieci orfani che erano stati scelti per studiare il Corano e ricevere l'istruzione elementare nel bayt al-ta῾līm più tardi potevano seguire il programma di addestramento professionale all'artigianato. La seconda attività educativa del Rab῾ era infatti l'addestramento di artigiani, "ahl al-ṣanā᾽i῾ wa-'l-muḥtarifa" (Rašīd al-Dīn, Waqifnāma-yi Rab῾-i Rašīdī, pp. 150, 159, 192). Era il mutawallī (fiduciario) che decideva il mestiere per cui gli studenti avevano inclinazione o predisposizione. I 220 giovani apprendisti (ġulām) avevano a disposizione gli strumenti per imparare un'arte o un mestiere. Potevano diventare calligrafi (ḫaṭṭāṭī), musicisti (qawwālī), pittori (naqqāšī), orafi (zargārī), giardinieri (bāġbarū), scavatori di canali (kariz-qānī), contadini (dihqānī), muratori (mi῾mārī) o potevano esercitare altri mestieri. "Per quanto possibile, la loro arte era trasmessa di padre in figlio" (ibidem, p. 150). Il mutawallī selezionava gli apprendisti, la maggior parte dei quali proveniva da famiglie di schiavi che conosceva personalmente. Gli artigiani erano reclutati tra Turchi, Greci, Georgiani, Indiani, Etiopi, Slavi, Armeni e Africani. Rašīd al-Dīn sembra preferire gli apprendisti di origine turca. I 220 apprendisti erano tutti sposati con ǧawārī (schiave) e non erano assegnati a una specifica zona o località del waqf ma piuttosto rimanevano legati ai maestri artigiani che li avevano addestrati. Il numero di apprendisti era limitato, e, quando uno di loro invecchiava, si ammalava o diventava invalido, era sostituito da uno dei suoi figli che aveva il diritto di ricevere lo stesso salario e godere dei medesimi vantaggi del padre.

Anche la principale struttura educativa, la scuola, si trovava nella moschea, come il bayt al-ta῾līm. C'erano mu᾽aḏḏin e imām che chiamavano i fedeli e conducevano la preghiera nella moschea, mentre l'istruzione era sotto la direzione di un murattib (direttore) ed era impartita da due mudarris e un mu῾īd che venivano nominati dal mutawallī. C'erano dodici studenti divisi in gruppi disuguali. Il primo mudarris era uno specialista di tafsīr (esegesi del Corano) e ḥadīṯ, e istruiva i suoi due studenti (ṭālib-i ῾ilm, muta῾allim) per due ore di lezione al giorno tranne il martedì, il venerdì e i giorni di vacanza. Il secondo mudarris doveva essere uno studioso di varie materie (mutafannin) e insegnava uṣūl al-dīn (teologia), uṣūl al-fiqh (fondamenti del diritto) e furū῾ al-fiqh (ramificazioni del diritto) al gruppo di dieci studenti avanzati, oltre a qualsiasi altra disciplina essi volessero apprendere. L'aspetto più interessante è che, di conseguenza, costui doveva essere "uno specialista di scienze razionali, legali, letterarie e matematiche e di altre scienze (῾aqlī, šar῾ī, adabī, ḥisābī wa-ġayri-hā)"; e preferibilmente essere "ṣāḥib-i ḏawq dar sulūk" (ibidem, p. 130), doveva cioè saper stabilire con i suoi studenti un'atmosfera amichevole. D'estate insegnava nella suffa-yi buzurg (sala grande); d'inverno, sotto la cupola della Rawḍa, che era il masǧid al-šitawī (moschea invernale). Il mudarris doveva essere un seguace della scuola giuridica šāfi῾ita. Il professore e l'assistente che insegnavano le 'altre scienze' ricevevano un salario più alto di quelli del tafsīr e del ḥadīṯ. Come si capisce chiaramente dalla waqfiyya, il fondatore attribuisce più importanza al secondo gruppo, come attesta anche l'emendamento all'atto di fondazione stilato nel 715/1315 che innalza il numero di assistenti e di studenti, oltre ad aumentare il salario degli insegnanti.

Gli studenti dovevano essere celibi e mostrarsi ansiosi di studiare e apprendere; venivano scelti per un periodo di cinque anni, alla fine del quale erano sostituiti da un altro gruppo scelto dal mutawallī. Inoltre, se uno studente non prestava attenzione ai suoi studi o mostrava segni di pigrizia, il mutawallī poteva sostituirlo anche se il periodo di cinque anni non era stato completato.

Anche se Rašīd al-Dīn consentiva loro di scegliere le materie che preferivano, gli studenti dovevano rispettare due clausole. In primo luogo, erano obbligati a leggere e copiare le opere di Rašīd al-Dīn; ma la cosa più interessante, e che vorremmo sottolineare, è la seconda clausola. Rašīd al-Dīn pose la condizione che i dieci studenti (faqīh) che studiavano il diritto, la teologia e le altre scienze, non avrebbero dovuto leggere né occuparsi di filosofia, mentre quelli che avevano già studiato filosofia non sarebbero stati accettati. Il motivo del suo divieto è importante e lo chiarisce la frase che segue: "Il loro carattere si guasta e diventano arroganti (mizāǧ-i īšān mukabbar wa-kusta šūda bāšand)" (ibidem, pp. 173-174). Era una presa di posizione contro coloro che studiavano la filosofia e si riteneva avessero strani modi, oppure vi era il desiderio di tenerli lontani dall'educazione della madrasa a causa delle loro 'idee eterodosse'? Quali che fossero le opinioni personali di Rašīd al-Dīn, il secondo fattore era sicuramente quello prevalente.

Un altro punto significativo della waqfiyya di Rašīd al-Dīn è l'assenza del termine ῾ulūm al-awā᾽il che viene sostituito da ῾ulūm al-῾aqliyya e in particolare da ῾ulūm-i ḥisābī (scienze matematiche). La sostituzione del vocabolo può indicare un diverso atteggiamento ed essere vista alla stregua di un cambiamento importante. Quello che vorremmo sottolineare in questa sede è che non si tratta di un cambiamento semantico oppure verbale, ma che piuttosto alcune delle scienze degli Antichi, o che appartenevano alle civiltà preislamiche, entravano a far parte del corpus di conoscenze che gli studenti musulmani dovevano possedere. In questo contesto, la classificazione di Ibn Ḫaldūn è la migliore spiegazione. Con la sua suddivisione delle scienze in due gruppi, ῾aqlī (razionali) e naqlī (tradizionali/trasmesse), egli mescola le scienze islamiche e arabe con quelle che i musulmani avevano ereditato dalle civiltà antiche.

Al Rab῾-i Rašīdī, oltre all'insegnamento accademico delle scienze tradizionali, e in seguito al cambiamento introdotto dalla Mustanṣiryya, c'era inoltre la possibilità di studiare ‒ accanto a quelle religiose ‒ alcune delle scienze antiche denominate ῾aqlī (scienze razionali), fatta eccezione per la filosofia. Per questo motivo, uno dei due mudarris incaricati doveva avere conoscenze di tipo ῾aqlī e ḥasabī, vale a dire le scienze razionali e matematiche, e insegnarle agli studenti che desideravano impararle. Le scienze razionali, che includevano le scienze degli Antichi o ῾ulūm al-awā᾽il, ancora una volta facevano parte delle opzioni offerte dalla madrasa finanziata dal waqf e si richiedeva che gli insegnanti le conoscessero. Nei secoli successivi ritroveremo questo sviluppo riscontrato nel Rab῾-i Rašīdī anche in altre madāris.

Il termine ῾ulūm al-῾aqliyya, che compare in questo statuto di fondazione, va a sostituire ῾ulūm al-awā᾽il, e in alcuni casi queste scienze ‒ fatta eccezione per la filosofia ‒ erano tra quelle che uno studente della madrasa doveva studiare. Dopo la conquista di Costantinopoli (857/1453) e con l'arrivo di alcuni studiosi timuridi protetti dai sultani ottomani, questa tradizione fu ufficialmente accettata anche dalle madāris ottomane. È molto probabile che fosse usata la definizione di 'scienze razionali' invece di scienze degli Antichi per evitare il disagio creato da queste ultime che di fatto, oltre alla logica e alla filosofia, comprendevano la matematica, l'astronomia e le scienze naturali. A partire da quel momento, il termine scienze razionali usato a Rab῾-i Rašīdī sarebbe stato considerato un deterrente per gli studi filosofici che erano fonte di convinzioni eterodosse.

Il complesso differiva dallo Šamb-i Ġāzān, nel quale era stata inserita un'istituzione separata per lo studio e l'osservazione astronomica. L'assenza di un osservatorio in questo caso può essere interpretata come una mancanza d'interesse per l'astronomia da parte di Rašīd al-Dīn; può anche darsi che, non essendo di origine mongola, egli non condividesse con i Mongoli l'attenzione e l'entusiasmo per l'astronomia e la divinazione.

Per quanto riguarda la dār al-šifā᾽ (ospedale), questa aveva un personale stabile costituito da un medico (ṭabīb), un chirurgo (ǧarrāḥ), un oculista (kaḥḥāl), e, secondo la cinquantaduesima lettera di Rašīd al-Dīn, un conciaossa (muǧabbir) e un farmacista (šarābdār). Con l'emendamento introdotto nel 715/1315, veniva assegnato al medico un assistente, ed era possibile accettare altri tre studenti, portando a cinque il numero totale degli studenti di medicina. Come nella Mustanṣiriyya, il ṭabīb aveva una doppia funzione, quella di medico e quella di insegnante. L'assistente aiutava il medico nell'insegnamento, nei consulti e nella prescrizione dei farmaci. Secondo una lettera di Rašīd al-Dīn, oltre ai medici 'a tempo pieno', ci sarebbero stati cinquanta medici 'in visita' provenienti da India, Cina, Egitto, Siria e altri paesi. Visitavano e insegnavano nella dār al-šifā᾽ ogni giorno e a ciascuno venivano affidati dieci studenti, diversamente dai medici residenti che ne avevano soltanto cinque.

Gli studenti di medicina erano scelti molto attentamente. Per tutta la settimana, la mattina seguivano le lezioni teoriche e nel pomeriggio assistevano i medici nelle visite; il martedì e il giovedì erano giornate piene. Secondo la waqfiyya originale, ai due studenti di medicina era fornito un alloggio e ognuno riceveva un salario annuale di 15 dinari e tre mann di pane al giorno (un mann equivale a 5-6 chili). Come gli altri, i giovani interni seguivano un corso di cinque anni. L'assistenza medica era un servizio offerto a tutti coloro che risiedevano nel Rab῾, e i medici visitavano gli ammalati anche a casa loro. Lo šarābdār preparava la medicina prescritta e la portava personalmente al paziente. L'ospedale era diviso in due sezioni, una per le malattie contagiose e una per quelle meno gravi; era pulito e diversi infermieri (ḫādim al-marḍā) erano al servizio dei pazienti; aveva anche una farmacia dove ogni martedì e giovedì si distribuivano medicine agli ammalati. La medicina era prescritta dal medico e somministrata sotto la supervisione del ḫāzin e dello šarābdār.

Il bayt al-kutub (biblioteca), una delle più grandi e famose biblioteche del tempo, era un complemento indispensabile per le scuole del Rab῾-i Rašīdī. Secondo la waqfiyya, la biblioteca era divisa in due sezioni principali: l'ala destra era dedicata alle scienze naqlī e a tutte le opere che trattavano delle scienze trasmesse; l'ala sinistra alle scienze ῾aqlī, vale a dire al settore razionale. Tutti i libri erano accuratamente classificati e inventariati. C'erano due ḫāzin (bibliotecari) e due munawwil, incaricati di consegnare i libri, uno per ciascuna sezione della biblioteca.

Il Rab῾ era unico perché riuniva insieme molte scienze e arti tra loro complementari, forse per la prima volta nella storia delle istituzioni del sapere islamiche. Nel bayt al-ta῾līm, la scuola religiosa coranica, si insegnavano ai ragazzi le discipline inerenti allo studio del Corano, mentre nel bayt al-ḥiraf, il centro per l'addestramento tecnico-pratico, gli adolescenti apprendevano un'arte o un mestiere che li mettesse in grado di esercitare una professione. La madrasa, il centro di studi religiosi e legali, insegnava loro i pilastri della legge e le sue interpretazioni nonché le scienze razionali; la dār al-šifā᾽ si occupava del benessere fisico delle persone e dell'istruzione degli studenti di medicina, mentre la dār al-taṣawwuf, più comunemente chiamata ḫānaqā, rispondeva alle aspirazioni religiose di pochi. Quindi i vari settori ‒ fiqh, ḥadīṯ, tafsīr, scienze razionali, arti letterarie, medicine, arti e mestieri, Corano e sufismo ‒ erano riuniti sotto l'egida del waqf. L'insegnamento delle scienze degli Antichi (le scienze razionali) non era limitato all'osservatorio, all'ospedale, o alle stanze della madrasa indipendente, ma avveniva nella moschea stessa, il centro per eccellenza delle pratiche e degli insegnamenti religiosi.

Il Rab῾-i Rašīdī, con la sua fusione dei vari campi della conoscenza, sarebbe servito da modello per altri sovrani, soprattutto per il timuride Uluġ Beg e per i sultani ottomani.

Samarcanda: una madrasa centrodel movimento scientifico

Gli Īlḫān fondarono istituzioni educative, scientifiche e caritatevoli nelle loro capitali dell'Azerbaigian come Marāġa e Tabriz, contribuendo in modo significativo allo sviluppo di questi settori. Per quanto su scala ridotta, il fenomeno si diffuse anche nelle altre città dell'Azerbaigian e in tutte le terre su cui essi regnavano, come l'Iran, l'Anatolia e le regioni vicine. La prima dinastia che si ispirò agli Īlḫān fu quella dei Timuridi e la seconda quella degli Ottomani; entrambe produssero monumenti e istituzioni di pari magnificenza. Samarcanda era la capitale dei Timuridi.

Uluġ Beg era il nipote di Tīmūr, o Tamerlano (r. 1370-1405), uno dei più grandi imperatori asiatici, il quale nacque in una tribù turchizzata e islamizzata di origine mongola e fondò un impero che si estendeva dall'India settentrionale alla Siria e all'Anatolia. Nel 1370 succedette al ramo Čaġatay dei sovrani mongoli in Transoxiana e fece di Samarcanda la sua capitale. La città era già divenuta un fiorente centro delle arti e delle attività intellettuali durante il suo regno, ma qualche decennio più tardi il movimento scientifico avrebbe ricevuto ancora un maggiore impulso durante il regno di suo nipote, Muḥammad Turgay Uluġ, figlio di Šāhrūḫ, figlio di Tīmūr, noto con il nome di Uluġ Beg.

Lo stesso Uluġ Beg era un uomo di cultura e avrebbe agito da forza motrice per il rinnovamento scientifico e culturale di Samarcanda. Le sue attitudini e i suoi interessi scientifici sono descritti in dettaglio nelle lettere scritte da Ġiyāṯ al-Dīn al-Kāšī, uno dei più eminenti studiosi di Samarcanda. Egli ci racconta che Uluġ Beg era dotato di una memoria prodigiosa e di un eccezionale talento per le lingue; conosceva l'arabo, il turco, il persiano, il mongolo, un po' di cinese, oltre all'arte della prosodia e della versificazione. Era un grande erudito, soprattutto nel campo della matematica e dell'astronomia. Al-Kāšī racconta alcuni aneddoti in proposito: "Sua maestà è molto esperto nelle varie branche della matematica. La sua preparazione in questo campo ha raggiunto un tale livello che un giorno, mentre cavalcava, avrebbe voluto sapere a quale giorno dell'anno solare sarebbe corrisposta una certa data che si sapeva essere un lunedì del mese di Raǧab dell'anno 818 tra il decimo e il quindicesimo giorno. Sulla base di questi dati calcolò a mente la longitudine del Sole con un'approssimazione di due minuti pur continuando a cavalcare" (Sayılı 1960a, p. 94).

Samarcanda era già da lungo tempo un centro di ricerca scientifica. Il duplice interesse di Uluġ Beg nei confronti del settore scientifico e di quello religioso, e la sua convinzione che il sapere secolare costituisse un legame tra i vari paesi, ebbero una grande influenza in questo nuovo stadio di sviluppo in cui le scienze secolari erano insegnate nelle istituzioni religiose. Questo movimento era cominciato nella Mustanṣiriyya e in seguito era continuato per tutto il periodo degli Īlḫān. La madrasa di Samarcanda, oltre a essere una scuola che impartiva l'istruzione islamica tradizionale, era anche un centro per l'insegnamento delle scienze. La madrasa e il raṣad erano istituzioni interdipendenti fondate dallo stesso sovrano, che impiegavano gli stessi studiosi e insegnavano materie comuni.

Le due iscrizioni sulla facciata della madrasa di Uluġ Beg portano la data della sua costruzione, dall'820/1417 al-l'823/1420. Ḥāfiẓ-i Abrū (m. 833/1430) conferma la data del completamento della costruzione della madrasa come muḥarram 823/gennaio 1420, e ci dice che Uluġ Beg costruì accanto a essa anche una ḫānaqā. La waqfiyya di questa madrasa non è giunta fino a noi, ma Dawlatšāh (1427-1495), che visse sempre alla corte dei Timuridi, ci dà alcune informazioni su questa istituzione. Descrive in dettaglio la grandiosità della madrasa e le sue condizioni subito dopo la morte del suo fondatore. "Uluġ Beg costruì a Samarcanda una madrasa le cui decorazioni e i cui particolari non si possono vedere in alcun altro luogo del mondo. Oggi ospita più di 100 studenti che ricevono vitto e alloggio e un salario" (Taḏkirat al-šu῾arā᾽, p. 429). Per quanto riguarda l'osservatorio, Uluġ Beg visitò quello di Marāġa quando era ragazzo e, sotto l'influenza di al-Kāšī, il quale gli spiegò l'utilità di alcuni dei suoi strumenti, decise di riprodurre il sistema di osservazione che aveva visto a Marāġa. Al-Kāšī osserva con orgoglio: "[…] e fu fondato un osservatorio simile a quello di Marāġa come io avevo suggerito" (Bagheri 1997, p. 246). L'osservatorio fu probabilmente costruito intorno all'anno 823/1420 e rimase attivo per un periodo di trent'anni, per tutta la vita di Uluġ Beg e anche per qualche anno dopo la sua morte.

Tuttavia, la maggior parte degli studiosi sembra concordare sul fatto che la fondazione della madrasa è antecedente a quella del raṣad. Secondo il parere di Kari Niyazov (1950), l'osservatorio fu fondato quattro anni dopo la costruzione della madrasa; l'insegnamento dell'astronomia nella madrasa, dunque, sarebbe servito come punto di partenza per la fondazione dell'osservatorio. Lo stesso autore sostiene inoltre che nella madrasa di Uluġ Beg era stato dedicato uno spazio speciale alle osservazioni astronomiche. Sulla base delle fonti e delle interpretazioni disponibili, la costruzione della madrasa precedette quella dell'osservatorio, o al massimo fu costruita nello stesso anno. è lecito chiedersi, però, fino a che punto questa, in quanto centro di studio e di insegnamento delle scienze religiose, potrebbe aver agito da catalizzatore per la costruzione dell'osservatorio, in quanto centro di ricerca e di occasionale insegnamento di alcune delle scienze razionali considerate parte degli ῾ulūm al-awā᾽il?

Tra gli scienziati dei circoli scientifici che ruotavano intorno alla madrasa e all'Osservatorio di Samarcanda, la personalità più interessante fu indiscutibilmente quella di Qāḍī Zāda, il maestro di Uluġ Beg. Qāḍī Zāda fu una delle tre personalità predominanti nel movimento scientifico di Samarcanda, insieme a Ġiyāṯ al-Dīn al-Kāšī e ῾Alā᾽ al-Dīn al-Qūšǧī, ed è considerato tra i più eminenti studiosi del primo periodo ottomano. Nato a Bursa nel 1359 da una famiglia di studiosi molto vicina ai sultani ottomani, Qāḍī Zāda da giovane aveva frequentato la madrasa della sua città e appreso astronomia e matematica dallo studioso turco Šams al-Dīn Muḥammad Ḥamza al-Fanārī; quindi lasciò Bursa per andare a Samarcanda. In un brano di al-Šaqā᾽iq al-nu῾māniyya (Anemoni) in cui parla di Qāḍī Zāda, Tāšköprüzāde (1495-1561) dice che divenne professore "qui [nella madrasa di Samarcanda], e il suo rango era più elevato di quello degli altri professori. Gli altri venivano insieme ai loro studenti ad ascoltare le lezioni di Qāḍī Zāda. Di tanto in tanto anche Uluġ Beg assisteva a queste lezioni" (al-Šaqā᾽iq al-nu῾māniyya, p. 16). E aggiunge: "Uluġ Beg aveva notato alcuni errori nelle tavole astronomiche del passato e aveva deciso di condurre nuove ricerche. A questo scopo creò un pozzo d'osservazione a Samarcanda. Iniziò le osservazioni prima con Ġiyāṯ al-Dīn Ǧamšīd. Poco dopo la morte di Ǧamšīd, fu incaricato (tawallī) del lavoro Qāḍī Zāda. Ma il lavoro non fu completato neanche durante il suo periodo, perché anche Qāḍī Zāda morì prima di finirlo e fu quindi completato da ῾Alā᾽ al-Dīn Qūšǧī" (ibidem, pp. 159-160).

Tāšköprüzāde afferma di aver letto lui stesso due delle opere di Qāḍī Zāda, Šarḥ aškāl al-ta᾽sīs (Commento alle proposizioni fondamentali) e Šarḥ al-mulaḫḫaṣ fī 'l-hay᾽a (Commento al compendio di astronomia). Le aveva studiate con suo padre, che le aveva lette con lo zio materno Mullā Muḥammad al-Niksārī, il quale a sua volta le aveva studiate con Fatḥ Allāh Širwānī. Lo stesso Qāḍī Zāda, autore delle opere, era il maestro di Širwānī. Questa catena di insegnamenti iniziata nella madrasa e nell'Osservatorio di Samarcanda indica la linea di trasmissione del sapere da Samarcanda ai territori ottomani.

La madrasa e l'osservatorio erano collegati l'uno all'altra in quanto centri di ricerca e di insegnamento; il mudarris e lo scienziato lavoravano a stretto contatto. C'erano dibattiti tra gli scienziati dell'osservatorio e quelli della madrasa. Al-Kāšī, che lavorava all'osservatorio, descrive in questo modo la vita scientifica di Samarcanda incentrata sulla madrasa:

I più eminenti scienziati sono attualmente riuniti insieme a Samarcanda. I professori che tengono lezioni di tutte le materie sono numerosi e la maggior parte di loro si occupa di scienze matematiche […]. Per ciascun settore scientifico esistente, infatti, la maggior parte degli esperti è riunita qui […]. Ogni pochi giorni, Sua Maestà il Re si unisce al circolo degli ascoltatori, e quando egli è presente, si tengono soprattutto lezioni sulle scienze matematiche. Anche il vostro servitore [al-Kāšī] ha cominciato ad assistere alle lezioni. Una delle procedure adottate qui, allo scopo di valutare attentamente il calibro di questi cercatori di conoscenza, è che la persona che si unisce al circolo degli ascoltatori non sa quale problema verrà discusso, mentre gli esperti della madrasa studiano l'argomento approfonditamente e rinfrescano le loro conoscenze in materia per questa particolare occasione. (Sayılı 1960a, p. 95)

In un'altra lettera a suo padre al-Kāšī conferma il fatto che Uluġ Beg si recava spesso alla madrasa per assistere alle lezioni. "Sua Maestà Reale visita la scuola [madrasa] ogni pochi giorni, e segue una lezione per qualche tempo, e io tengo compagnia a Sua Maestà. [In queste occasioni] non sappiamo assolutamente di che cosa tratterà la lezione, né quale problema verrà affrontato, [mentre] l'insegnante e gli studenti lo hanno studiato insieme la sera prima" (Bagheri 1997, p. 224). Ciò conferma ancora una volta che le lezioni e i dibattiti sulla matematica avvenivano nella madrasa, e durante queste sedute gli insegnanti e gli studenti confrontavano le loro conoscenze con quelle degli scienziati dell'osservatorio. Spesso non si faceva alcuna differenza tra giuristi e scienziati, e al-Kāšī non specifica neanche se insegnassero nella madrasa o lavorassero nell'osservatorio. Nella sua lettera, Ġiyāṯ al-Dīn usa indifferentemente il termine mudarris per indicare gli scienziati dell'Osservatorio di Samarcanda e i giuristi della madrasa, mentre tradizionalmente l'appellativo designava soltanto i professori di diritto della madrasa.

Da un'altra lettera di al-Kāšī, apprendiamo che c'erano tre insegnanti nella scuola di Sua Maestà: "(1) Il mudarris capo Qāḍī Zāda ‒ la cui mente, a detta di Tāšköprüzāde, era affascinata dalla matematica; (2) Mawlānā Muḥammad Ḫānī, che supera di gran lunga l'altro in tutte le scienze tranne che nella matematica, è dotato di una memoria fenomenale e quindi tiene a mente la maggior parte delle lezioni di scienza e ha studiato astronomia con Sayyid Šarīf; (3) Mawlānā Abū 'l-Fatḥ, che Sua Maestà ha conosciuto a Herat, è un esperto di diritto islamico, ha composto [un trattato sul]la lettura dell'astrolabio e insegna solo quest'ultima materia" (ibidem, p. 246).

Dunque anche i giuristi erano coinvolti nella ricerca e nella scrittura scientifica e le scienze razionali come la matematica, l'astronomia e le altre venivano insegnate nella madrasa. Al-Kāšī aggiunge anche che Mawlānā Muḥammad Ḫānī era "presente di tanto in tanto [a corte] o incontrava [Sua Maestà] all'osservatorio" (ibidem). Questo dettaglio dimostra ancora una volta che gli insegnanti della madrasa lavoravano anche all'osservatorio. La madrasa e l'osservatorio fondati da Uluġ Beg erano quindi due istituzioni inseparabili.

Se si considerano le informazioni che ci fornisce Ġiyāṯ al-Dīn nelle sue lettere, si giunge alla conclusione che la vita della madrasa e quella dell'osservatorio erano interconnesse; non si rilevava alcuna separazione tra l'istituzione storicamente finalizzata all'insegnamento delle materie religiose e quella che si occupava delle ricerche nel settore delle scienze matematiche e astronomiche, considerate parte delle 'scienze degli Antichi'.

Per quanto riguarda la fondazione della madrasa e dell'Osservatorio di Samarcanda, non c'è dubbio alcuno che la madrasa era un waqf secondo la tradizione islamica. Quindi l'insegnamento che avveniva al suo interno portava il sigillo della legge religiosa. Ancora una volta, è al-Kāšī a fornirci gran parte delle informazioni sull'atto di fondazione della madrasa. In una lettera a suo padre, egli riferisce che Uluġ Beg:

aveva fatto una donazione caritatevole, che ammontava a trentamila dinari, dei quali diecimila aveva ordinato che fossero destinati agli studenti. [Quindi] venivano elencati più di diecimila studenti regolarmente impegnati nell'apprendimento e nell'insegnamento, i quali avevano diritto a un aiuto finanziario. C'era lo stesso numero [di studenti] tra i notabili e i loro figli che risiedevano nelle proprie case. Tra questi ci sono cinquecento persone che hanno cominciato a [studiare] la matematica. Sua Maestà reale il Conquistatore del Mondo, che Dio possa perpetuare il suo regno, si è dedicato a questa arte [cioè la matematica] negli ultimi dodici anni. Anche gli studenti sono inclini a essa e ci lavorano con impegno: [in realtà] si stanno impegnando al massimo. Quest'arte viene insegnata in dodici luoghi ‒ un numero inferiore a quello dei maestri. Quindi oggi [lo stato dell'insegnamento e dell'apprendimento della matematica a Samarcanda] non ha paralleli in Farsistan e in Iraq […]. Ci sono ventiquattro calcolatori (mustaḫriǧ) alcuni dei quali sono anche astronomi e alcuni hanno cominciato [a studiare gli Elementi di] Euclide. (ibidem, p. 243)

Non è chiaro se l'osservatorio fosse finanziato con i fondi waqf come la madrasa oppure no e se le informazioni che ci dà al-Kāšī si possano applicare anche all'osservatorio. Per quanto concerne la biblioteca, questa era al servizio degli studiosi associati all'importante impresa scientifica ed educativa di Uluġ Beg. Aydın Sayılı ha trovato un riferimento a una biblioteca con un bibliotecario nel Miftāḥ al-ḥisāb (La chiave del calcolo) di Ġiyāṯ al-Dīn, ma ha concluso che il suo rapporto con l'osservatorio ‒ o con la madrasa ‒ non era chiaro e che avrebbe potuto trattarsi della biblioteca privata di Uluġ Beg.

In breve, la madrasa, che era indubbiamente un waqf, risultava strettamente collegata con l'osservatorio, anch'esso un potenziale waqf, come gli Osservatori di Tabriz e Marāġa. Entrambe le istituzioni impiegavano insegnanti che erano maestri di scienze religiose o di scienze secolari oppure di entrambe. Date le informazioni disponibili e per rispondere all'interrogativo che ci siamo posti in precedenza, potremmo concludere che una madrasa finanziata legalmente con fondi waqf era divenuta un centro di insegnamento scientifico, e aveva svolto una funzione catalizzatrice per la creazione di un'altra istituzione scientifica, l'osservatorio. L'insegnamento dell'astronomia, come abbiamo visto in precedenza per gli Osservatori di Marāġa e Ġāzān Ḫān, e ora per quello di Samarcanda, si era trasferito nella madrasa, un'istituzione nata per l'insegnamento del diritto e delle scienze religiose islamiche.

L'esistenza di una possibile dicotomia tra scienze religiose e secolari non va quindi presa neppure in considerazione; anzi, i due gruppi di discipline venivano insegnati nella stessa istituzione ‒ vale a dire la madrasa. Questo costituisce una prova dell'integrazione esistente tra le due branche della scienza, che probabilmente avrebbe influito sulle madāris del periodo successivo, soprattutto quelle ottomane. Il giovane studioso ῾Alā᾽ al-Dīn al-Qūšǧī avrebbe portato questa influenza da Samarcanda alla nuova capitale ottomana recentemente conquistata.

La convergenza di diverse tradizioni

Le madāris dell'Anatolia preottomana

Parallelamente al consolidamento del dominio turco in Anatolia e alla turchizzazione della sua popolazione, furono introdotte e si diffusero in queste terre un tempo appartenute all'Impero Romano d'Oriente molte istituzioni religiose, educative e sociali della civiltà islamica. Tra queste c'erano le nuove madāris che cominciarono a comparire in molti insediamenti dell'Anatolia sotto i Selgiuchidi e gli īlḫān, così come nei principati turchi. La vita di queste madāris si sviluppò in conformità con la tradizione accademica ispirata al modello della madrasa Niẓāmiyya, diffusa nei vecchi centri culturali del Grande Stato selgiuchide durante il regno di due potenti sultani come Alp Arslān e Malikšāh e centrata sull'insegnamento della giurisprudenza. È plausibile che queste nuove madāris fossero aperte alle influenze dei cambiamenti che avvenivano fuori dell'Anatolia e soprattutto nell'area turco-iranica.

L'Anatolia turca vide la maggiore fioritura culturale nella seconda metà del XII sec. e le sue più importanti opere artistiche e culturali furono prodotte nel XIII secolo. Varie fonti occidentali e islamiche contemporanee riconoscono che la vita urbana delle maggiori città dell'Anatolia del XIII sec. era più sviluppata di quanto non lo fosse sotto l'amministrazione bizantina. I Selgiuchidi costruirono l'intera infrastruttura dell'Islam sunnita in Anatolia. Con la diffusione delle madāris nelle terre dei Selgiuchidi e nei paesi sotto il loro dominio, il livello di alfabetizzazione aumentò e la creazione di nuovi ospedali, che portavano nomi come dār al-šifā᾽, dār al-ṣiḥḥa, šifāḫāna, bīmārḫāna, bīmāristān o māristān, permise di estendere le cure mediche alla popolazione, che fino ad allora non ne aveva usufruito. La diffusione delle strutture educative e sanitarie contribuì al benessere e alla prosperità di queste zone e ciò, a sua volta, favorì lo sviluppo della letteratura, delle arti e delle attività scientifiche.

I sultani del Grande Impero selgiuchide, i Selgiuchidi dell'Anatolia e alcuni beg (capi militari) incoraggiarono gli studiosi di queste discipline. Inoltre, le fonti indicano che alcuni sultani e beg erano personalmente impegnati in attività di studio. In quel periodo si notano cambiamenti nell'istruzione impartita dalle madāris, che iniziarono a includere le scienze razionali tra le loro materie di insegnamento. Esistono vari documenti storici che attestano l'interesse dei sultani selgiuchidi dell'Anatolia per l'astronomia. Il più importante è quello attribuito allo storico Ibn al-Aṯīr (1160-1233), il quale scriveva che Kutalmiš Beg, padre di Rukn al-Dīn I Sulaymān Šāh (r. 1075-1086) e fondatore dello Stato selgiuchide dell'Anatolia, conosceva le scienze delle stelle e altre scienze ancora. Secondo l'autore i sovrani di questa famiglia si interessavano anche delle scienze del periodo preislamico ereditate dall'epoca ellenistica, comprese la matematica, l'astronomia e la medicina e, aggiunge, patrocinavano gli studiosi di queste scienze. Al-Ǧazarī, autore del libro sui procedimenti ingegnosi, era un protetto del beg di Artūq, Maḥmūd ibn Muḥammad ibn Karā Arslān (r. 1200-1222). Un altro esempio ben noto di patrocinio degli studiosi da parte dei sovrani turchi in Anatolia è quello di un famoso erudito dai vari interessi, ῾Abd al-Laṭīf al-Baġdādī (557-626/1162-1231), che ci ha lasciato 170 opere sulle scienze religiose, la filosofia, la medicina, la matematica e la letteratura.

Egli scrisse le opere più importanti sotto il patrocinio del sovrano di Erzincan, ῾Alā᾽ al-Dīn Dāwūd ibn Bahrām, uno dei discendenti di Mengucek Ogullān.

Molti altri esempi potrebbero essere citati per dimostrare il profondo interesse per le scienze razionali che prevaleva nelle corti dei sovrani turchi dell'Anatolia. Tutto ciò si rifletteva nella nuova vita delle città e dei paesi dell'Anatolia, dove furono fondate molte madāris. L'interesse delle corti e l'influenza dei cambiamenti scientifici e culturali in atto nei più antichi e tradizionali centri culturali islamici favorirono la graduale integrazione delle scienze nell'istruzione impartita dalle madāris, che assunse la sua prima forma legale con il sultano ottomano Mehmed II a metà del XV secolo. Quindi, nel periodo preottomano e nel primo periodo ottomano, strutture corrispondenti ai modelli della madrasa-bīmāristān e della madrasa-osservatorio erano già sorte prima che avvenisse la definitiva integrazione delle scienze razionali nel programma educativo della madrasa.

Uno degli esempi a conferma dell'importanza dell'influsso degli īlḫān riguardo all'insegnamento dell'astronomia nelle madāris anatoliche è quello di Quṭb al-Dīn al-Šīrāzī (m. 710/1311), studente e assistente di Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī nel circolo scientifico dell'Osservatorio di Marāġa, che venne in cerca di nuove conoscenze nella città anatolica di Konya. Fu nominato giudice (qāḍī) nelle città di Sivas e Malatya. Nel 681/1282, mentre insegnava alla Gökmedrese di Sivas, nota anche come Madrasa Ṣāḥibiya, scrisse un importante libro sull'astronomia, la Nihāyat al-idrāk fī dirāyat al-aflāk (L'estrema comprensione della conoscenza delle sfere) e tenne lezioni ai suoi studenti sulla base di esso. Abbiamo chiare prove del fatto che, tre anni dopo, continuava ancora a tenere lezioni basate su tale libro nella Gökmedrese. Nel 683/1284, infatti, mentre al-Šīrāzī insegnava ancora in quella madrasa, uno dei suoi studenti raccontava di aver studiato sul libro del suo maestro e di aver fatto anche una copia del manoscritto per sé. Ci sono ben pochi dubbi, quindi, che al-Šīrāzī insegnasse astronomia alla Gökmedrese.

La madrasa di Sivas, nell'Anatolia orientale, la Madrasa Ǧāǧā Beg di Kirşehir e la Madrasa Waǧīdiyya di Kütahya, nell'Anatolia centro-occidentale, sono esempi che dimostrano come le scienze razionali facessero parte dell'insegnamento istituzionale. Sayılı fa riferimento a questo nel noto studio The observatory in Islam (1960). La madrasa di Kirşehir fu costruita nel 670/1272 da Nūr al-Dīn Ǧibrīl ibn Ǧāǧā, il quale era governatore di Kirşehir durante il regno del sultano selgiuchide Ġiyāṯ al-Dīn Kayḫusraw ibn Kiliç Arslān. L'atto di fondazione di questa madrasa non dichiara che l'astronomia doveva essere inclusa tra le materie di insegnamento ufficiali. Tuttavia, da alcuni documenti storici, risulta che il minareto di questa madrasa era in origine una torre di osservazione usata a scopi astronomici. Esistono resoconti storici anche sull'esistenza di un 'pozzo d'osservazione' presso la Madrasa Ǧāǧā Beg di Kirşehir e la Madrasa Waǧīdiyya di Kütahya.

Nelle madāris turche, come nel caso delle madāris che seguivano il modello della Niẓāmiyya, si potrebbe sostenere che inizialmente c'era una certa riluttanza a insegnare le scienze razionali all'interno del programma di studi regolare, che comprendeva in primo luogo le scienze religiose e, in secondo luogo, materie complementari come la lingua e la letteratura araba. Tuttavia, grazie all'incoraggiamento e al sostegno dei sultani selgiuchidi, dei sovrani īlḫān e dei beg turchi, le scienze razionali non furono completamente 'escluse' dalle madāris anatoliche; esse erano comunque insegnate sia perché i professori decidevano di farlo, sia perché gli studenti le richiedevano. Quindi, una nuova tradizione cominciò a emergere nelle madāris anatoliche. L'esempio della Gökmedrese di Sivas è ovviamente un caso chiaro; Sayılı ci riferisce anche della Madrasa Waǧīdiyya di Kütahya e della Madrasa Ǧāǧā Beg di Kirşehir, e molti altri esempi potrebbero essere citati a sostegno di questa tesi. Lo studio di numerosi manoscritti scientifici copiati durante il periodo preottomano e ottomano fornirà sicuramente abbondanti prove a sostegno di essa e permetterà di illustrare due aspetti del tipo di educazione impartita in alcune madāris dell'Anatolia (İhsanoğlu 1997).

Il primo aspetto è quello dell'educazione formale conforme agli obiettivi elencati nell'atto di fondazione e che comprende soprattutto le scienze religiose e le lezioni supplementari di lingua e letteratura araba. Gli insegnanti venivano nominati ed erano pagati per perseguire questo obiettivo educativo e gli studenti ricevevano uno stipendio per lo stesso motivo. Il secondo aspetto è quello dell'insegnamento delle scienze razionali, che non era formalmente richiesto ma veniva svolto nella madrasa. Le lezioni di scienze razionali erano tenute da professori esperti in queste materie ed erano destinate agli studenti che mostravano interesse per tali argomenti. Le branche razionali del sapere, come la logica (manṭiq), erano state naturalmente accettate e assimilate nell'insegnamento della madrasa. Per quanto riguarda il kalām, l'arte del ragionamento dialettico, era riconosciuto come un'espressione della teologia o della filosofia nella sua forma islamica. Inoltre, dalle biografie degli eruditi che avevano studiato nell'Anatolia preottomana, si può desumere che l'inclusione di corsi di altre scienze razionali non comportava spese aggiuntive per la fondazione e riscuoteva molto interesse tra gli studenti. Le madāris anatoliche preottomane contribuirono così alla nascita di una nuova tradizione dell'attività di insegnamento che includeva alcune delle scienze razionali.

Le prime madāris ottomane

Il sistema della madrasa ereditato dai Turchi selgiuchidi fu adottato e arricchito dagli Ottomani, per i quali costruire una madrasa accanto alla moschea diventò una tradizione e una parte integrante della politica di conquista. Essi diffusero quindi questa istituzione del sapere in tutte le terre da loro amministrate in Asia Minore e in Europa. Questa nuova tradizione mirava a offrire alla società i necessari servizi religiosi, scientifici ed educativi, e in particolare a formare il personale amministrativo e legale dello Stato. In questo modo lo Stato ottomano fu in grado di assicurarsi amministratori culturalmente preparati secondo le norme richieste dal diritto islamico e dalla pratica consuetudinaria.

La prima madrasa ottomana fu costruita a Iznik (Nicea) dal secondo monarca ottomano Ġāzī Orḫān Beg poco dopo la conquista della città nel 731/1331. Egli istituì una fondazione pia per venire incontro alle necessità finanziarie della madrasa di Iznik, nella quale gli studenti studiavano tutte le scienze religiose; in essa insegnarono alcuni famosi studiosi della religione come Dāwūd al-Qayṣarī, Tāǧ al-Dīn al-Kurdī e ῾Alā᾽ al-Dīn Aswad. Non c'è dubbio che lo statuto di fondazione di questa madrasa fu stilato secondo la tradizione preottomana; contiene una sola frase che fa riferimento alle attività di insegnamento: "lo studente in cerca di conoscenza (ṭālib al-῾ilm) dovrà frequentare le lezioni della madrasa ogni giorno della settimana". Come risulta dai testi degli statuti di fondazione delle prime madāris ottomane che sono arrivati fino a noi, sembra che anche qui il tipo di istruzione offerta fosse lasciato interamente all'iniziativa dei professori, purché si mantenesse nei limiti delle condizioni dettate dal waqf e della tradizione accademica consolidata.

Prendendo in esame le attività di insegnamento a cui accennano gli atti di fondazione giunti fino a noi delle madāris ottomane del XV sec., si potrebbe pensare che fossero influenzate dagli sviluppi che avevano avuto luogo in quelle dell'Anatolia preottomana; d'altra parte, vi sono anche esempi che farebbero pensare al modello della Niẓāmiyya e alla teoria della 'esclusione' sostenuta da George Makdisi (1981).

Sono soprattutto due i casi in cui si può categoricamente escludere l'insegnamento delle scienze filosofiche. Il figlio di Tīmūrtaš Pāšā, Umūr Beg (m. 837/1434), fondò la madrasa di Pergamo. Di questa costruzione oggi non resta altro che il suo atto di fondazione, in cui l'obiettivo educativo è chiaramente inserito nel solco dell'antica tradizione della Niẓāmiyya: in essa dovevano essere insegnate l'esegesi coranica e le tradizioni del Profeta (tafsīr e ḥadīṯ), la metodologia del diritto (uṣūl al-fiqh) e le sue varie branche (furū῾ al-fiqh). L'atto specifica chiaramente che le scienze filosofiche non devono essere insegnate. Il secondo esempio è quello della Dār al-Ḥadīṯ, fondata dal sultano Murād II nella capitale Edirne nell'838/1435, più o meno nello stesso periodo della madrasa di Pergamo, e specializzata nell'insegnamento dei ḥadīṯ. Il suo statuto di fondazione vieta esplicitamente qualsiasi studio delle scienze filosofiche. Il fondatore del waqf stabiliva quanto segue: "Il mudarris, o professore, insegnerà agli studenti le scienze prescritte dalla legge religiosa e le arti letterarie (al-῾ulūm al-šar῾iyya wa 'l-funūn al-adabiyya) e per nessun motivo saranno insegnate le arti filosofiche (al-funūn al-falsafiyya). Ogni giorno il professore insegnerà il ḥadīṯ e le discipline a esso collegate" (Bilge 1984, p. 221).

I due esempi sopra citati potrebbero essere considerati come prove a sostegno della teoria di Makdisi secondo la quale le scienze razionali erano 'escluse' dall'istruzione impartita nelle madāris. Tuttavia, anche il solo fatto che nell'atto di fondazione si sentisse la necessità di specificare tale 'esclusione' fa pensare che le scienze razionali e quelle filosofiche fossero insegnate altrove.

È opportuno rilevare che questi due chiari esempi di proibizione risalgono al XV secolo. Il fatto che fosse specificata dimostra che, diversamente da quanto avveniva tradizionalmente, la filosofia era entrata nelle madāris e quindi coloro che desideravano seguire la tradizione o pensavano che la filosofia fosse 'dannosa' cercavano di combatterla. Per meglio comprendere questo atteggiamento negativo nei confronti dell'insegnamento delle 'scienze filosofiche' è importante ricordare che la filosofia era usata da gruppi religiosi eterodossi e da movimenti politici marginali contro il pensiero islamico dominante, e tenere conto dei rapporti tra filosofia e ῾ilm al-kalām nel XIV sec. e in quelli successivi. Il kalām non dovrebbe essere considerato un'apologia, come molti sostengono, ma piuttosto come uno studio razionale della verità rivelata. Si tratta di "un approccio argomentativo alla religione, che cercava, con la discussione e il pensiero discorsivo, di interpretare il contenuto della rivelazione islamica e trasformarlo in una dottrina razionale" (Sabra 1994, p. 11). In questi termini, il kalām sarebbe una scienza parallela alla filosofia, un tentativo di offrire un'alternativa alla falsafa (termine con cui viene indicato l'insieme delle filosofie straniere, soprattutto quelle ellenistiche). La falsafa ereditata dalle culture preislamiche e il kalām islamico sono 'in concorrenza' tra loro. Questo non significa che la falsafa fosse rifiutata o 'esclusa' dall'Islam; al contrario, i filosofi musulmani (falāsifa) cercarono di adattare queste dottrine filosofiche straniere e di integrarle nella loro cultura e fede, sebbene alcuni le vedessero con sospetto. Tuttavia, l'atteggiamento nei confronti delle scienze razionali non direttamente legate alla falsafa, come l'aritmetica, la geometria, l'astronomia e la musica, era diverso, forse perché esse non erano in aperta concorrenza con il kalām come lo era la falsafa, e in generale le discipline scientifiche specializzate non erano percepite come una minaccia per la religione.

È importante anche stabilire se il divieto di insegnare le scienze filosofiche contenuto negli statuti di fondazione sopra citati si riferisca alla filosofia in generale oppure a idee eterodosse, come quelle degli ismailiti che nei secc. X-XII minacciavano l'Islam sunnita contestando certe credenze religiose con argomentazioni filosofiche e con dottrine filosofiche che portavano alla negazione dell'esistenza di Dio.

Se dovessimo dunque ipotizzare che le scienze filosofiche in quanto tali erano rifiutate, sarebbe importante determinare se esse fossero state messe al bando nel loro complesso e se in questa esclusione fossero comprese le scienze matematiche (al-῾ulūm al-ta῾līmiyya). Per trovare la risposta a questi interrogativi sarà utile tracciare un quadro della vita culturale dell'Anatolia di quel periodo e, più in generale, dello sviluppo delle scienze nel mondo islamico. Quale che sia il risultato del dibattito proposto, le clausole trovate negli atti di fondazione delle due madāris sopra citate, in cui era vietato l'insegnamento della filosofia, dimostrano che esisteva un atteggiamento conservatore rispetto all'inclusione di alcune scienze tra gli insegnamenti della madrasa. I conservatori, che Makdisi etichetta come 'tradizionalisti', erano decisamente contrari all'insegnamento di discipline diverse dalle scienze religiose e dai settori a esse collegati. I fondatori come il sultano Murād II e Umūr Beg, o piuttosto il loro entourage di studiosi, erano influenzati dagli eruditi tradizionalisti i quali non desideravano che tali discipline fossero insegnate all'interno della madrasa. Questi eruditi erano le stesse autorità legali che avrebbero stilato l'atto di fondazione e potevano decidere quali attività vi si sarebbero svolte. Le limitazioni esplicite contenute negli atti ci forniscono una chiara prova del fatto che le scienze filosofiche, o almeno alcune di esse, erano ‒ o erano state ‒ insegnate in alcune madāris ottomane. Di conseguenza, l'esplicito divieto che se ne faceva nell'atto era ritenuto necessario dai fondatori per evitare che fossero incluse tra gli insegnamenti della madrasa.

L'integrazione definitiva: secc. XV-XVI

Le madāris dei Selgiuchidi e quelle ottomane fondate prima del sultano Fatih Mehmed II (r. 848-850/1444-1446 e 855-886/1451-1481) seguivano la tradizione della Niẓāmiyya e miravano soprattutto a diffondere l'istruzione religiosa in generale e lo studio del diritto (fiqh) in particolare. Tuttavia, il fatto che siano stati trovati 'pozzi di osservazione' in alcune delle madāris dei Selgiuchidi e ospedali (šifāḫāna) costruiti nelle loro vicinanze rivela un preciso interesse per l'insegnamento della medicina e dell'astronomia, che corrisponde a quanto abbiamo già detto a proposito del modello della madrasa-osservatorio e della madrasa-bīmāristān. Durante il periodo preottomano e il primo periodo ottomano (prima del regno di Mehmed II), il curriculum della madrasa non includeva ufficialmente le scienze filosofiche, matematiche e naturali. Queste venivano insegnate, come in passato, al di fuori della madrasa ‒ oppure al suo interno ma senza essere state esplicitamente menzionate nell'atto di fondazione ‒ negli ospedali (šifāḫāna-bīmāristān) o nelle case degli uomini di cultura.

La svolta decisiva nella storia dell'insegnamento nella madrasa e il passaggio dal sistema tradizionale a un modello istituzionale più ampio ebbero luogo durante il regno di Mehmed II. Possiamo dire che questa significativa trasformazione ‒ che alla fine avrebbe portato all'ufficializzazione dell'insegnamento sia delle scienze razionali sia di quelle trasmesse sotto il tetto della madrasa ‒ fu il risultato di una concomitanza di fattori. In primo luogo, vi erano l'interesse personale del sultano per le scienze razionali e il suo patrocinio degli eruditi; in secondo luogo, questa nuova tradizione sembrava discendere direttamente dalle istituzioni del sapere dei Timuridi, che comprendevano l'insegnamento delle scienze razionali. Infine, non possiamo dimenticare il ruolo di ῾Alā᾽ al Dīn al-Qūšǧī (m. 879/1474), il famoso matematico e astronomo che fu al servizio sia del sovrano timuride Uluġ Beg sia di quello ottomano Mehmed II. Al-Qūšǧī era cresciuto a Samarcanda, dove la tradizione dell'insegnamento dell'astronomia e della matematica nella madrasa era già consolidata; quindi fu lui a importare tra gli Ottomani la tradizione di Samarcanda.

Il sistema tradizionale subì un importante cambiamento in un periodo di tempo molto breve e lo studio delle madāris che si trovavano all'interno della Moschea di Eyüp e della Moschea di Fatih, due diversi complessi di edifici fatti costruire da Mehmed II nella città di Istanbul dopo averla conquistata, è fondamentale per comprendere questo cambiamento. L'Eyüp Sultan Külliyesi fu fondato nell'862-863/1458-1459; apprendiamo dall'atto di fondazione del complesso (külliye) che in questa madrasa venivano istruiti coloro che desideravano "studiare le scienze fondamentali prescritte dalla legge religiosa e quelle a esse ausiliarie, nonché tutte le altre scienze nobili trasmesse" (Fatih Mehmed II Vakfiyeleri, pp. 262-263). Questo implica che lo scopo dell'istruzione formale fosse quello d'insegnare tutte le scienze religiose e le altre basate sulla trasmissione (naqlī): l'obiettivo dell'insegnamento che aveva luogo in questa madrasa era pertanto legalmente conforme alla tradizione. Il Fatih Külliyesi fu costruito tra l'867/1463 e l'875/1470, poco dopo la fondazione dell'Eyüp Külliyesi, e comprendeva otto madāris intermedie chiamate tatimma e otto madāris superiori chiamate ṣaḥn (lett. cortili). Lo statuto di fondazione di questo complesso mostra uno scopo educativo molto diverso e riflette un notevole cambiamento nel sistema delle madāris ottomane. Tra le madāris turche registrate fino all'epoca di Mehmed II, troviamo per la prima volta un atto nel quale si stabilisce che l'assunzione dei professori dipenderà dalla loro conoscenza non solo delle scienze trasmesse, ma anche di quelle razionali: i professori scelti per insegnare nei collegi superiori, o ṣaḥn, devono "conoscere i principî e gli elementi basilari sia delle scienze trasmesse sia di quelle razionali". Nello statuto di fondazione della madrasa di Fatih non c'è una clausola specifica in cui si dica che i professori devono insegnare sia le scienze trasmesse sia quelle razionali; ce n'è solo una in cui si afferma che dovrebbero insegnare anwā῾-i ῾ulūm wa-ma῾ārif, vale a dire 'le varie scienze e saperi', mentre i loro aiutanti, gli assistenti (mu῾īd), dovrebbero essere abili in 'varie arti' (funūn-i šattā) e insegnare agli studenti l'arte della discussione critica (mubāḥaṯa e mukātaba) sotto la direzione dei professori. Un altro riferimento implicito alle scienze razionali è contenuto nella descrizione introduttiva delle qualificazioni degli insegnanti delle madāris ṣaḥn. "Lo studio nei collegi superiori si baserà essenzialmente sui precetti filosofici (ḥikma) e sulle regole geometriche". Il termine ḥikma trovato nell'atto di fondazione si riferisce alla filosofia, alla geometria e alle altre scienze razionali e indica che esse facevano parte dell'istruzione basilare impartita nella madrasa. Questi riferimenti espliciti e impliciti dimostrano chiaramente che le finalità educative dei collegi erano cambiate; il diritto (fiqh) non era più la materia principale d'insegnamento e molte scienze diverse erano state introdotte nel curriculum senza alcuna restrizione.

Questo cambiamento diviene ancora più esplicito nelle madāris fondate quasi un secolo più tardi da Solimano I il Magnifico (r. 926-974/1520-1566). Una delle clausole dell'atto di fondazione di queste madāris stabilisce esplicitamente che il compito del mudarris (professore) dovrebbe essere quello di "insegnare allo studente le scienze religiose e illuminarlo con la vera conoscenza". L'atto afferma anche per la prima volta che il professore dovrebbe insegnare "a chi cerca la conoscenza in classe, nei giorni di scuola, dai libri di testo in uso al momento. Agli studenti devono essere insegnate sia le arti trasmesse sia quelle razionali con interrogazioni reciproche e tramite la discussione dei problemi" (Solimano, fcs. 83-4/32). In questa frase, l'uso di termini come tadrīs e muḏākara indica inequivocabilmente che l'educazione formale della madrasa durante il regno di Solimano il Magnifico si estendeva fino a integrare ufficialmente le cosiddette scienze razionali tra gli argomenti di studio nelle classi. L'insegnamento (tadrīs) in forma di discussione (muḏākara) di tutte le scienze razionali (ma῾qūl) e trasmesse (manqūl) era dunque legalizzato e al professore si richiedeva formalmente di impartirlo ai suoi studenti.

Molte informazioni e resoconti storici confermano che questa definitiva integrazione tra le scienze razionali e quelle trasmesse avvenuta durante il regno di Solimano I ebbe un ampio impatto sull'educazione impartita nelle madāris del mondo ottomano, e che le due categorie di manqūl e ma῾qūl, che comprendevano varie scienze, ebbero una grande diffusione. Lo sviluppo osservato nella parte dell'Impero ottomano di lingua turca si verificò anche nella Rumelia, la sua estensione culturale nelle province europee. È anche possibile vedere esempi di questa influenza in alcune madāris arabe situate in centri culturali più antichi e la cui tradizione educativa si era consolidata prima di quella degli Ottomani. Per esempio, esistono casi i quali dimostrano che nel XVII sec. gli ῾ulamā᾽ di Damasco, in stretto contatto con il centro di Istanbul, insegnavano le scienze razionali in linea con questa tradizione. Tra loro si parla di uno studioso di Damasco che era solito preparare modelli geometrici di cera e poi confrontarli con i diagrammi dei libri di testo durante le sue lezioni di geometria.

I curricula delle madāris ottomane

I libri di testo usati per insegnare nelle madāris erano, in primo luogo, concepiti per fornire a ogni musulmano la conoscenza necessaria nelle questioni religiose e mondane. Chiaramente, lo scopo fondamentale delle madāris era quello di garantire che i Musulmani fossero allevati come individui colti e moralmente corretti.

Il codice legale (qānūn-nāma) relativo all'istruzione preparato durante il regno di Solimano I indica che, allo scopo di garantire la perpetuazione dell'ordine del mondo e il benessere dell'umanità, è necessario comprendere il mistero della Creazione, costruire uno Stato che opera in modo ordinato e rivelare le realtà del mondo; per realizzare tutte queste cose è essenziale comprendere l'Universo creato da Dio nonché apprendere gli insegnamenti dei profeti. Per quanto si può stabilire da questo codice, scritto nello stile concettoso usato per i documenti ufficiali in quel periodo, le opinioni degli amministratori ottomani riguardo all'educazione indicano che il suo scopo deve essere in primo luogo la ricerca della scienza e della saggezza (ḥikma) e poi, in quest'ordine, lo sviluppo della virtù e del talento, e lo studio della religione e del diritto, nonché lo sviluppo delle facoltà e capacità umane. Il sultano era ritenuto personalmente responsabile di garantire che questo avvenisse.

Sebbene non sia possibile sapere da fonti contemporanee e in modo chiaro e dettagliato quali fossero i curricula delle madāris ottomane, è possibile tuttavia ricavare un quadro, anche se soltanto parziale, delle discipline che vi venivano insegnate dalle biografie dei professori e degli studiosi a esse associati, dai loro diplomi, dalle waqfiyya e dai regolamenti di queste istituzioni.

Chi studiava in una madrasa ottomana doveva leggere un gran numero di libri concernenti i diversi campi del sapere. Le materie che si studiavano nelle varie madāris erano diverse da un secolo all'altro, fino alla fondazione delle madāris Dār al-ḫilāfat al-῾āliyya nella seconda decade del XX secolo. Si possono seguire questi cambiamenti esaminando la formazione di Aḥmad ibn ῾Iṣāmiddīn Tāšköprüzāde nel XVI sec. e i corsi che poi tenne quando diventò professore, e quella di Kātib Çelebi nel XVII secolo. Informazioni dettagliate sull'istruzione impartita nelle madāris possono essere ottenute da una fonte poco nota intitolata Kawākib-i sab῾a (I sette pianeti), scritta nel XVIII sec. su richiesta del Marchese de Villeneuve, l'ambasciatore francese a Istanbul. Altre informazioni sui metodi educativi di quel periodo si trovano nel libro di un italiano, Giambattista Toderini, intitolato Letteratura turchesca. Per quanto concerne il XIX sec., un quadro abbastanza chiaro si può ricavare dall'autobiografia di Aḥmad Cevdet Pāšā.

Nel corso della sua formazione lo studente doveva leggere libri secondo un preciso ordine: i primi tre libri riguardavano la morfologia (ṣarf), la sintassi (naḥw) e la logica (manṭiq), gli ultimi due riguardavano il ḥadīṯ e il commento del Corano (tafsīr). Tra i primi tre e gli ultimi due lo studente doveva dedicarsi allo studio della dizione (ādāb-i baḥt), della predicazione (wa῾ẓ), della retorica (balāġa), della teologia filosofica (kalām), della filosofia (ḥikma), del diritto (fiqh), dell'eredità (farā᾽iḍ), dei principî della fede (῾aqā᾽id) e della teoria e metodologia legale (uṣūl-i fiqh). Occasionalmente potevano esservi delle differenze nell'ordine e nella presentazione di queste materie.

Kawākib-i sab῾a fornisce informazioni molto importanti sul modo in cui erano organizzate le lezioni. Gli studenti ne avevano cinque alla settimana e ogni volta dovevano studiare un certo numero di versi (saṭir) prima della lezione. Essi passavano otto o nove ore a studiare il giorno precedente e poi, in classe, ogni studente a turno leggeva brani del testo all'insegnante; dopo che il professore aveva presentato la sua interpretazione, ogni studente esprimeva il proprio punto di vista sull'argomento e si avviava una discussione. Una volta analizzato a fondo l'argomento della lezione, gli studenti tornavano nelle loro stanze e continuavano a studiare fino a quando non sarebbero tornati alla presenza del professore il giorno successivo.

Kawākib-i sab῾a ci informa, inoltre, che gli studenti affrontavano lo studio delle scienze seguendo i tre stadi tradizionali, semplificazione (iqtiṣār), moderazione (iqtiṣād) e discussione dettagliata (istiqṣā᾽), e che ogni stadio aveva tre sotto-stadi. E continua poi, aggiungendo:

In altre parole, un testo non accompagnato da alcuna prova veniva chiamato iqtiṣār, se esisteva qualche tipo di prova, veniva chiamato iqtiṣād, e se il testo era stato esaminato a fondo ed erano emerse le prove necessarie per smentire coloro che avevano opinioni diverse, veniva chiamato istiqṣā᾽. Libri di tutti i campi del sapere potevano essere visti in relazione l'uno all'altro come iqtiṣār, iqtiṣād e istiqṣā᾽. Tuttavia, se si esamina la maggior parte di questi libri, si può pensare che ogni campo di studio abbia tre stadi o gradi in cui quelli vicini all'iqtiṣār rientrano nella categoria dell'iqtiṣār, quelli vicini all'iqtiṣād rientrano nella categoria dell'iqtiṣād, mentre i testi più elaborati sono considerati parte dell'istiqṣā᾽. Il motivo di questa introduzione è che in ogni campo di studio il numero dei libri è infinito. Tuttavia, per semplificare le cose agli studenti, vengono dati loro da leggere tre livelli di libri per ognuno dei tre livelli dei campi di studio citati. Utilizzando questi tre livelli, gli studenti svilupperanno abilità in quel particolare settore della conoscenza. Se lo studente è particolarmente brillante, potrebbe essergli sufficiente l'ultimo livello. Se è meno qualificato, potrebbe bastargli il secondo, e se è ancora meno capace dovrà accontentarsi del terzo livello. Ogni campo di studio ha molte branche o sottocampi. Ma poiché la vita è breve, per ogni disciplina è meglio scegliere i libri più brevi e leggerli nell'ordine giusto. Più tardi si dovrebbero ogni tanto leggere anche libri più lunghi per sviluppare la propria mente. Se una persona studia i libri più lunghi senza aver prima esaminato i principî basilari potrebbe confondersi. Di conseguenza, per i tre livelli di ciascun campo di studio può esserci un totale di nove livelli, se ognuno dei tre è stato a sua volta suddiviso in un livello inferiore, uno intermedio e uno superiore. In alcuni casi si studia il materiale seguendo tutti e nove i livelli, altre volte ci si limita a studiarne solo una parte. (II, p. 289 e segg.)

Sappiamo che le scienze matematiche quali l'aritmetica, la geometria, l'algebra e l'astronomia, e le scienze naturali come la fisica classica erano tutte insegnate nelle madāris ottomane. Dall'esame della maggior parte delle autobiografie si deduce che queste scienze venivano studiate dopo la filosofia divina (ḥikma) e prima della disciplina più importante, il commento del Corano (tafsīr). Kawākib-i sab῾a ci dice, tuttavia, che queste materie erano affrontate in modo meno formale nelle lezioni di teologia (kalām) discutendo libri come lo Šarḥ al-mawāqif (Commento [al libro] delle posizioni) e lo Šarḥ al-maqāṣid (Commento [al libro] delle intenzioni):

Per quanto libri come lo Šarḥ al-mawāqif e lo Šarḥ al-maqāṣid riguardino la teologia, essi contengono tutte le scienze ausiliarie come la filosofia divina, l'astronomia, la geometria e l'aritmetica. La geometria e l'aritmetica sono materie che si apprendono facilmente, e poiché non richiedono una riflessione approfondita, non vengono studiate separatamente ma parallelamente a quelle sopra citate. Esiste un libro intitolato Aškāl al-ta᾽sīs [Proposizioni fondamentali] per la geometria al livello di iqtiṣār che di solito leggono. In seguito, leggono Euclide con le sue dimostrazioni al livello istiqṣā᾽. Per l'aritmetica a livello iqtiṣār leggono al-Bahā᾽iyya. In seguito, riferiscono su [i testi di] Ramaḍān Efendi e Çulli, che sono vicini al livello iqtiṣād. Poiché l'astronomia implica l'uso di facoltà immaginative e di ipotesi, ed è quindi più difficile della geometria, la studiano più tardi come materia separata al livello appropriato. Come tutti sanno, gli studiosi conoscono bene l'indole degli studenti e lasciano sempre loro il martedì e il venerdì libero dalle lezioni per incoraggiarli negli studi. Gli studenti sfruttano quei due giorni per la preparazione dei materiali di cui hanno bisogno e durante il periodo estivo vanno a fare escursioni e gite. Anche lì non restano in ozio, ma intraprendono discussioni di aritmetica, geometria, astrolabi, rub῾ [quadranti], topografia, aritmetica indiana, copta ed etiope, parmak ḥisābī [conto con le dita], meccanica e altre scienze del genere che non richiedono lezioni indipendenti. Durante l'inverno, si impegnano in conversazioni, si dedicano alla risoluzione di enigmi (mu῾ammā) e indovinelli, alla muqādara [misurazione e comparazione], alla storia, alla poesia, alla prosodia e alla poesia classica. Alcuni si occupano di scienze occulte, ma i professori non gli permettono di perseguire tali studi perché queste materie occupano gran parte del loro tempo. (ibidem)

Dalla Letteratura turchesca (1787) di Giambattista Toderini, che risiedette a Istanbul tra l'ottobre del 1781 e il maggio del 1786, apprendiamo che c'erano maestri che insegnavano la geometria ai bambini e che il tempo tra le lezioni di retorica e quelle di filosofia era dedicato a questa parte della matematica. Toderini afferma di aver visitato due volte la madrasa di Vālide e di aver osservato che in quel momento gli studenti erano riuniti per ascoltare una lezione di geometria e che stavano usando una traduzione araba di Euclide.

Questa integrazione definitiva tra le scienze razionali e quelle trasmesse, che ebbe luogo nel XV e nel XVI sec. e divenne manifesta nelle madāris ottomane, creò una grande tradizione culturale e scientifica che sarebbe sopravvissuta fino al XIX e anche al XX secolo. Ancora oggi è possibile trovarne le tracce in alcuni circoli accademici di certe parti del mondo musulmano rimaste legate all'istruzione tradizionale.

Nel XIX sec., con l'introduzione in diversi paesi islamici di istituzioni accademiche e scientifiche di stile occidentale nel tentativo di modernizzare l'istruzione, il sistema della madrasa perse di significato. In una fase successiva, nel contesto della modernizzazione dello stesso sistema della madrasa, furono progettati diversi cambiamenti sia di forma sia di contenuto e, negli esempi di modernizzazione di maggior successo, i libri che introducevano alla scienza moderna cominciarono a sostituire la letteratura scientifica islamica precedente.

La struttura concettuale delle madāris ottomane

È possibile tracciare un parallelo fra la trasformazione dell'aspetto istituzionale dell'istruzione e lo sviluppo concettuale della comprensione della scienza nel sistema educativo della madrasa. Questi cambiamenti si manifestarono sia nella definizione teorica e nell'interpretazione delle discipline scientifiche, sia nella terminologia pratica usata.

Cambiamenti corrispondenti si verificarono anche nei termini utilizzati per definire coloro che cercavano la conoscenza, vale a dire gli studenti della madrasa. Anche i mutamenti avvenuti dall'epoca delle madāris selgiuchidi preottomane fino a quella delle madāris di Solimano mostrarono una modificazione delle parole con le quali si faceva riferimento agli studenti. Termini come faqīh e mutafaqqih, che rientravano nella terminologia standard, ricorrevano anche negli atti descrittivi delle madāris selgiuchidi dell'Anatolia. I principianti erano chiamati mubtadi᾽, quelli del livello intermedio mutawassiṭ, e infine gli studenti che erano diventati abbastanza abili da ragionare o riflettere sulle questioni legali, vale a dire quelli che padroneggiavano l'istidlāl, erano chiamati mustadill; la stessa terminologia è usata nelle prime madāris ottomane. A mano a mano che il campo dell'istruzione si allargava, anche la nomenclatura cambiava, così, i testi ottomani successivi si riferivano generalmente agli studenti con i termini ṭalaba-yi ῾ulūm o ṭullāb-i ῾ulūm (che significano 'cercatori della conoscenza', o della scienza); incontriamo questa espressione negli atti di fondazione di Rab῾-i Rašīdī. Nelle madāris ottomane, gli studenti che erano al livello di principianti erano chiamati suḫta e quelli a livello avanzato dānišmānd. Anche la terminologia usata nei codici della legge collegati alle madāris successive conferma questo cambiamento di obiettivo dell'istruzione accademica. Quindi, tale istruzione non si limitava più esclusivamente al fiqh e aveva ampliato i propri orizzonti.

L'evoluzione che si riflette nella terminologia applicata all'insegnamento delle madāris ottomane si ritrova anche nel sistema epistemologico dell'enciclopedista Tāšköprüzāde (1495-1561), il quale visse nel periodo del loro massimo sviluppo. Apparteneva a una famiglia di ῾ulamā᾽, o studiosi della religione, molti dei quali insegnavano nelle madāris. Nella sua famosa enciclopedia Mawḍū῾āt al-῾ulūm (Gli ambiti delle scienze), considerata una delle opere letterarie più raffinate del XVI sec., affronta la classificazione delle scienze. Secondo Tāšköprüzāde, nell'Islam il fine dell'apprendimento è la ma῾rifat Allāh, la conoscenza di Dio; il motivo per cui si apprende una scienza è quindi teologico. Bisognerebbe studiare tutte le scienze, ed è solo quando le nostre capacità ci pongono dei limiti, consiglia Tāšköprüzāde, che dobbiamo concentrarci sullo studio dei principî della religione, vale a dire della teologia. I principî della religione rafforzano i fondamenti della fede (īmān), mentre il fiqh aiuta a distinguere tra ciò che è lecito (ḥalāl) e ciò che è illecito (ḥarām); il sufismo (taṣawwuf), definito dall'autore 'il frutto della fede e la finalità dell'Islam', porta alla perfezione (iḥsān). Tafsīr e ḥadīṯ sono contenuti nelle suddette scienze. In questo modo l'acquisizione della conoscenza garantirà all'uomo la felicità eterna. Tāšköprüzāde divide l'esistenza in quattro categorie: scrittura (fī'l-ḫuṭūṭ), parola (fī'l-alfāẓ), intelletto (fī'l-aḏhān) e realtà (fī'l-a῾yān). Nella sua divisione, la realizzazione di ogni esistenza porta alla successiva, fino all'essere definitivo; la scrittura conduce alla parola, a ciò che è nell'intelletto, e infine alla certezza; la vera esistenza è nell'essere veritiero e reale (al-wuǧūd al-ḥaqīqī al-aṣīl).

Tāšköprüzāde elenca circa 300 diverse branche delle arti e delle scienze, i nomi dei più famosi autori che se ne sono occupati e le opere dedicate a queste discipline. Divide le scienze in sette sezioni principali sulla base delle suddette categorie di esistenza. Il sistema di classificazione di Tāšköprüzāde basato su questi raggruppamenti rivela un passaggio dall'epistemologia all'ontologia. Egli definisce ogni sezione un 'grande albero' (dawḥa); i primi tre alberi corrispondono alle prime tre categorie ontologiche: la scrittura, la parola e l'intelletto. I rimanenti alberi della scienza appartengono alla quarta categoria ontologica; infine, in questa categoria dell'esistenza, quella della vera esistenza, le scienze sono raggruppate in quattro sezioni: (1) le scienze teoriche (teologia naturale e scienze matematiche); (2) le scienze pratiche (etica, politica, amministrazione ed economia domestica); (3) le scienze prescritte dalla legge religiosa; (4) le scienze esoteriche o della conoscenza dell'interiorità (῾ilm al-bāṭin; devozione, costumi, azioni che portano alla perdizione e azioni che conducono alla salvezza).

In base a questa classificazione, l'apprendimento inizia con la scrittura e con la parola e porta alla sua vera finalità, ossia la perfezione interiore dell'uomo, la purificazione del suo cuore, la sua inclinazione verso le buone azioni e il suo progresso spirituale. È interessante notare che la classificazione delle scienze di Tāšköprüzāde considera le scienze religiose e quelle razionali come appartenenti allo stesso livello di esistenza e le tratta entrambe nella prospettiva pedagogica. Il suo concetto di sapere può essere visto come il culmine dello sviluppo del concetto di ῾ilm in cui tutte le conoscenze umane ‒ razionali (῾aqlī), trasmesse (naqlī) e sufi (yaqīnī) ‒ si fondono in un'unità ontologica di esperienza umana e di conoscenza che porta alla felicità eterna.

Alla luce di tale sistematizzazione possiamo vedere la classificazione delle scienze di Tāšköprüzāde come una forma sviluppata che assimila il sistema di al-Ġazālī (XII sec.) e quello di Ibn Ḫaldūn (XIV sec.), i quali già contenevano i punti di partenza di una visione unificata delle scienze e della conoscenza. Per al-Ġazālī, il fattore unificante tra le varie scienze era la loro complementarità; per Ibn Ḫaldūn era epistemologico; per Tāšköprüzāde diventa ontologico, una fusione di tutte le esperienze umane. Le scienze razionali, legali e mistiche fanno dunque parte di un'unica categoria, quella della vera esistenza o wuǧūd al-a῾yān. Tāšköprüzāde fece ancora un passo avanti portando le teorie di al-Ġazālī e Ibn Ḫaldūn a completamento, vale a dire a uno stadio di totale integrazione. Quindi, con questa evoluzione del concetto di ῾ilm, le madāris ottomane, a partire dall'epoca di Mehmed II, avevano integrato le scienze razionali nella loro educazione formale, che avrebbe assunto la sua forma definitiva all'epoca di Solimano il Magnifico.

La crescente assimilazione delle scienze razionali nel sistema accademico ufficiale si riflette anche nella seconda importante opera di Tāšköprüzāde, al-Šaqā᾽iq al-nu῾māniyya, che contiene le biografie dei maggiori studiosi vissuti durante il regno dei primi dieci monarchi della dinastia ottomana (da ῾Uṯmān I a Solimano I). Secondo le statistiche basate su questo lavoro, la distribuzione delle opere scritte dagli studiosi (che appartenevano tutti all'ambiente della madrasa) nelle varie discipline durante il regno dei primi dieci sultani era la seguente: scienze razionali 25,7%; storia, letteratura ed etica 25,7%; esegesi 22,8%; diritto 14,2%; sufismo 8,5%; teologia scolastica e principî della fede (῾aqā᾽id) 2,8% (Lekesiz 1989). Questo studio dimostra che la vita culturale incentrata sulla madrasa si stava chiaramente trasformando in misura tale che le scienze razionali avevano finito per occupare un posto di preminenza al suo interno. Nel definire le scienze razionali, Ibn Ḫaldūn afferma che:

le scienze intellettuali (razionali) sono naturali per l'uomo in quanto essere pensante. Non sono limitate a nessun gruppo religioso […]. Esistono (e sono note) alla specie umana dall'inizio della civiltà nel mondo […]. Queste scienze sono state più ampiamente coltivate dalle due grandi culture preislamiche, quella persiana e quella greca […]. Gli scienziati musulmani hanno studiato assiduamente (le scienze greche). Sono divenuti esperti nelle loro varie branche. Il progresso che hanno fatto nello studio di queste scienze non potrebbe essere migliore […]. Hanno superato i loro predecessori nelle scienze intellettuali. (Muqaddima, ed. Rosenthal, III, pp. 111-116)

Le scienze razionali o intellettuali costituivano parte integrante della cultura del mondo islamico e divennero gradualmente una delle componenti delle attività di insegnamento delle sue istituzioni ufficiali. La madrasa era un'istituzione 'nativa' dell'Islam che con il tempo incorporò le scienze che non erano originarie di quella cultura. Essa è vista da Makdisi come il terzo stadio dello sviluppo delle istituzioni accademiche nell'Islam, dopo la moschea (masǧid) e la moschea con annesso il collegio (il masǧid-inn, secondo la definizione dello studioso). Le madāris, che originariamente erano istituzioni per lo studio del diritto, all'inizio non includevano l'insegnamento di scienze diverse dal diritto vero e proprio e dalle scienze a esso collegate. Si può certamente sostenere che vi sono state situazioni nella storia culturale dell'Islam in cui si riscontra un pregiudizio nei confronti della filosofia perché questa veniva usata per contrastare la tendenza sunnita prevalente, come abbiamo detto in precedenza. Questa 'sensibilità' dovrebbe essere inserita nel contesto appropriato, tenendo presente che alcuni gruppi marginali a volte utilizzavano la filosofia come arma dottrinale o politica contro la principale scuola di pensiero dell'Islam, vale a dire la dottrina sunnita; inoltre, la filosofia poteva essere vista come una 'concorrente' del kalām. Le 'scienze degli Antichi', compresa la filosofia, furono inizialmente trasmesse attraverso canali personali piuttosto che tramite le istituzioni ufficiali.

Abbiamo poi visto come le scienze razionali entrarono a far parte della vita culturale dell'Islam non soltanto a livello individuale ma anche istituzionale. In seguito all'istituzionalizzazione, che ebbe inizio con le biblioteche, note come bayt al-ḥikma, fondate dai califfi sotto l'influenza ellenistica e con l'integrazione dell'insegnamento della medicina, della matematica e dell'astronomia all'interno della madrasa, che è un prodotto esclusivo della tradizione islamica ‒ attraverso i cosiddetti modelli della madrasa-bīmāristān e della madrasa-osservatorio ‒ le scienze razionali entrarono a far parte integrante del programma d'insegnamento delle madāris, vale a dire delle istituzioni accademiche ufficiali dell'Islam. Gli esempi tracciano una curva decisamente in ascesa della graduale inclusione delle scienze razionali nell'insegnamento ufficiale dall'epoca di Niẓām al-Mulk attraverso quella dei Selgiuchidi e degli Īlḫān fino agli Ottomani.

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