L'Italia preromana. I siti etruschi: Arezzo

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

L'Italia preromana. I siti etruschi: Arezzo

Piera Bocci Pacini

Arezzo

Città (gr. Ἀρρήτιον; lat. Arretium) situata a nord-est dell’Etruria, sulle colline prospicienti la valle del Chiana.

A. serba poche tracce monumentali del suo passato a causa dell’evolversi sullo stesso sito della città medievale e moderna e anche per l’interramento del torrente Castro all’interno della città, che ha reso difficile la comprensione degli scavi nella zona per gli scarichi e le infiltrazioni di acqua. La città etrusca arcaica era situata sulla parte alta della collina; la necropoli si distendeva invece a ovest, sul Poggio del Sole: in alto erano disposte le tombe più antiche con buccheri e ceramica attica ed etrusca a figure nere, sulle propaggini in basso le tombe di età ellenistica e romana. Dopo la scoperta di una serie di terrecotte templari dell’inizio del V sec. a.C. in Borgo San Jacopo (ove passava il Castro) a opera di G. Maetzke, una serie di ricerche di archivio ha portato al recupero di notizie e di dati inerenti alla provenienza di oggetti per cui si può avvalorare l’ipotesi di una vita organizzata in A. già nella seconda metà del VI sec. a.C.

A questa età appartiene il deposito votivo della Fonte Veneziana: dei 180 “idoli” ricordati da G.F. Gamurrini, se ne sono potuti identificare alcuni al Museo Archeologico di Firenze i quali, per stile e per i dettagli tecnici, possono essere attribuiti a una stessa officina da localizzarsi verosimilmente proprio ad A., come altri bronzetti del V sec. a.C. recuperati nell’area della città. Il sorgere e poi il fiorire di A. etrusca è dovuto alla sua particolare posizione presso una fertile vallata che permetteva la coltivazione di cereali, accanto all’ulivo e alla vite, all’imbocco del fiume Clanis (Chiana), allora tributario del Tevere e navigabile, che permetteva facili comunicazioni con Chiusi e con il Sud. Oltre che alla Val di Chiana e alla Val Tiberina la città era collegata con il Valdarno e, come testimonia il tempio esistente a Socana, con il Casentino e quindi con il Nord, per cui risultano contatti anche con l’area dell’Emilia Romagna. L’importanza di A. come nodo stradale è confermata dall’ubicazione del deposito della Fonte Veneziana, fuori delle mura urbiche, situato lungo una direttrice di marcia che parte da San Bartolomeo per condurre verso il contado e l’Appennino. Nello stesso sito un piombo iscritto attesta l’esistenza di una pratica cleromantica.

Dal santuario extraurbano situato sul lato opposto, presso la porta San Lorentino, ove si apriva una via di comunicazione verso Fiesole e Firenze, proviene la celebre Chimera, il cui rinvenimento nel 1553, al momento della costruzione delle fortificazioni medicee, si può considerare uno dei più sensazionali episodi della riscoperta dell’antico in età rinascimentale, e che, dipendente strettamente da modelli greci dell’ultimo trentennio del V sec. a.C., è riferibile all’Etruria interna (Chiusi?). L’iscrizione sulla coscia sinistra eseguita prima della fusione la definisce come un dono offerto a Tinia. Essa è ritenuta parte di un gruppo il cui protagonista era Bellerofonte a cavallo di Pegaso, ma di recente M. Cristofani ha supposto che potesse anche essere isolata, simbolo di forze ctonie, a difesa del culto in un santuario ai limiti del territorio cittadino. Oltre all’industria metallurgica, desumibile dalle fonti che riferiscono del quantitativo di armi e di attrezzi che A. cederà a Scipione per la spedizione in Africa (Liv., XXVIII, 45, 13-20), notevole è la produzione fittile, che continua nel IV sec. a.C. e per tutta l’età ellenistica. Al IV sec. a.C. si fanno risalire i resti della cinta muraria a grossi blocchi e le emissioni monetali di serie fuse e coniate con ruota al diritto, di cui si ipotizza una ad A.

Fonti letterarie ed epigrafiche ci informano di bella servilia: quello del 358 a.C. si ripeterebbe nel 302 a.C. (Liv., X, 45), provocando l’intervento romano a difesa dei Cilni, che vengono ristabiliti nella loro posizione-guida. Dopo l’invasione gallica del 295 a.C. favorita dalle città etrusche, Chiusi e A. ottengono una pace a Roma e di fatto entrano sotto il protettorato romano. Forse in questo momento viene costruita la cinta urbica in laterizio (Vitr., II, 8, 9), di cui alcuni tratti scoperti in località Catona documentano un significativo estendersi della città verso nord, confermato anche dai resti di abitazioni in località Oriente. Altri resti delle fortificazioni a mattoni sono state individuate nei pressi della chiesa della S. Croce, dove forse esisteva un santuario probabilmente dedicato ad Apollo, stando all’iscrizione che si legge su un ciottolo, che comunque attesta la pratica della litomanzia. La costruzione della via Clodia (187 a.C.) e della Cassia (171 a.C.) enfatizza la posizione di snodo stradale di A. sia come città di confine tra il territorio sottoposto a Roma e quello degli Italici, sia come via di comunicazione tra Roma e la Padania.

Nel II sec. a.C., grazie anche all’integrazione di gran parte della mano d’opera servile, evidente dalle formule onomastiche, A. ha un benessere economico, come dimostrano i frammenti di sculture frontonali fittili della Catona e il deposito votivo di via della Società Operaia, ricco di busti fittili. Questo è stato distrutto in età augustea, al momento della pianificazione della zona a ovest dell’anfiteatro, ove s’imposta un monumentale bacino idrico con rampe di accesso ai due lati corti e un piano basolato, rialzato in un periodo leggermente posteriore, che trova confronti in altre città etrusche, ma che potrebbe anche esser servito per approvvigionamenti idrici per le fabbriche di ceramica sigillata che in età augustea fioriscono ad A. Alla metà del II sec. a.C. risale la costruzione monumentale del santuario di Castelsecco, caratterizzato dalla compresenza di un tempio adiacente e di un teatro, sorretto da un imponente muraglione con speroni e nicchie. Accanto alle fabbriche di terracotta sono fiorenti quelle di ceramica a vernice nera, già sviluppatesi nel III e attive fino al I sec. a.C.

Dopo l’intervento distruttivo di Silla volto a punire A., che aveva parteggiato per Mario, e dopo la deduzione di una nuova colonia, la città viene completamente romanizzata. L’aristocrazia aretina è in piena ascesa, non solo per le cariche pubbliche che riveste a Roma, ma anche per i legami stabiliti con famiglie senatorie romane con interessi nell’aretino. Le numerose ville che si dispongono sulle colline intorno alla città segnano una nuova floridezza dell’agricoltura di cui parlano anche le fonti (Plin., Nat. hist., XIV, 36; XVIII, 87), che decantano la fama della viticoltura e dei cereali. Molti sono i resti della città romana. Una strada (cardo) entrava attraverso un ponte sul Castro in via Pellicceria; in località Il Prato una grande cisterna a botte sostenuta da 25 pilastri con capitelli doveva essere funzionale alle vicine terme; nei pressi della fortezza doveva essere il teatro. In tutta l’estensione della città sono stati trovati resti di strade, di pavimenti musivi (molti dei quali staccati ed esposti nel locale Museo Archeologico), ritratti marmorei, are (tra cui, presso la porta Crucifera, ove si suppone fosse il foro, quella con raffigurazione della lupa capitolina) e iscrizioni su erme; un lararium con otto statuette bronzee è stato recuperato in una domus sotto la chiesa di S. Lorenzo, nelle cui vicinanze, in un pozzo, era stata trovata nel 1541 la Minerva bronzea ora al Museo Archeologico Nazionale di Firenze.

Verso la metà del I sec. a.C. A. acquista grande fama con la produzione di vasi di terra sigillata, di cui trattano le fonti (Plin., Nat. hist., XXXV, 160; Mart., Epigr., I, 53; XIV, 98; Pers., I, 2 ecc.) e di cui si sono trovate molte fabbriche. Tra le ceramiche antiche l’aretina è stata la prima a essere conosciuta, come testimoniano Ristoro di Arezzo nel 1282, nel suo Libro della Composizione del Mondo, e poi il Vasari (Vite, VIII, p. 163). La decadenza della produzione, che inizia già nell’età tiberiana, segna anche quella della città, che nel II sec. d.C. ha un ripiegamento municipale. Sul colle di Pionta era una necropoli paleocristiana (dal V al VII sec. d.C.) con sepolture di vario tipo di cui una con importanti oreficerie.

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