L'etruscologia

Il Mondo dell'Archeologia (2002)

L'etruscologia

Mauro Cristofani

La disciplina, che ha come oggetto d'indagine la civiltà degli Etruschi, si è affrancata dallo studio dell'antichità classica, di cui costituiva un settore collaterale, a partire dall'opera di sintesi Etruscologia di M. Pallottino, apparsa in prima edizione nel 1942. L'interesse per la civiltà etrusca ha le sue radici nel Rinascimento fiorentino quando, a seguito delle scoperte vere e fittizie del monaco Annio da Viterbo (1432?-1502), confluite nelle Antiquitates (1498), gli Etruschi, considerati diretti discendenti di Osiride e successivamente di Noè, appaiono progenitori dei Toscani (la "decifrazione" delle epigrafi fornisce anche elementi al dibattito sull'origine del dialetto toscano e sul suo supposto rapporto con l'ebraico), fornendo in tal modo un'antica identità alla contemporanea formazione del Granducato voluto da Cosimo I de' Medici, definitosi dux Etruriae. In questo periodo si collocano le prime forme di collezionismo, che confluiscono comunque nel magma onnivoro delle "curiosità", tranne qualche monumento eccezionale quale la Chimera di bronzo, scoperta ad Arezzo nel 1553, dichiaratamente etrusca per la presenza di un'iscrizione, che venne collocata, per suggerimento di G. Vasari, a Palazzo Vecchio. Costituito il Granducato, il tema etrusco venne confinato nell'ambito della cultura cortigiana ed encomiastica, al punto che l'opera generale De Etruria regali (Florentiae 1723-26) commissionata da Cosimo II allo scozzese Th. Dempster (1579- 1625), docente nell'Ateneo pisano, redatta fra il 1616 e il 1618, rimase inedita per oltre un secolo. Tali interessi si trasferirono nel corso del XVII secolo in provincia, inquadrandosi in una letteratura municipalistica che tendeva a valorizzare monumenti e antichità che si scoprivano casualmente. Il tema riprese con vigore, a livello ufficiale, nel XVIII secolo, nell'Italia caratterizzata dalla nascita delle accademie e dalla costituzione di raccolte e musei, nonché da una generale ripresa degli studi classici. La pubblicazione dell'opera di Dempster, preceduta da una lunga revisione compiuta a Roma e a Firenze, venne corredata da un'ampia sezione documentaria di illustrazioni, che informano sul collezionismo dell'epoca, e da apposite annotazioni redatte da F. Buonarroti (1661-1733). Riemersa in un momento nel quale, col declino dei Medici, veniva nuovamente ricercata un'identità "toscana", l'opera dette impulso ad altre imprese editoriali e alla nascita di istituzioni, come l'Accademia Etrusca di Cortona, che divennero il terreno fecondo per dibattiti a volte aspri (propri della cultura antiquaria dell'epoca e, in questo caso, connotati negativamente dalla storiografia successiva con il termine di "etruscheria"), centrati principalmente sulla decifrazione e sull'interpretazione delle iscrizioni, sulle origini degli Etruschi e sul significato delle scene presenti su vasi e rilievi di urne. Protagonisti furono i massimi antiquari del secolo, S. Maffei, A.F. Gori, G.B. Passeri e M. Guarnacci, animatori, alcuni, dei primi musei pubblici. Oltre a un collezionismo cosciente, che travalica le Alpi (come nel caso di A.-C.-Ph. de Caylus), nacque anche un atteggiamento di rivalsa degli etruschisti contro Roma conquistatrice dell'Italia che confluisce nelle opere teoriche di G.B. Piranesi, come anche negli scritti dei primi riformatori italiani affascinati dal mito di primitive e pacifiche piccole monarchie o di repubbliche di tipo federativo. Questa stessa concezione, che aveva radici nel pensiero di Montesquieu, ritorna nel capitolo sull'arte etrusca della Geschichte der Kunst des Alterthums (1764) di J.J. Winckelmann, nel quale le manifestazioni figurative, peraltro a volte confuse con quelle greche arcaiche o arcaistiche, vengono considerate prodotto del clima di libertà della "nazione" etrusca. Una svolta nella storia dell'etruscologia è considerata la pubblicazione, nel 1789, del Saggio di lingua etrusca di L. Lanzi (1732-1810), un gesuita formatosi a Roma e divenuto antiquario regio degli Uffizi ai tempi di Pietro Leopoldo. Uno sperimentalismo ante litteram applicato ai documenti epigrafici gli permise la raccolta e una prima interpretazione dei testi, mentre una embrionale forma di connoisseurship, applicata anche alla sua più famosa Storia pittorica d'Italia, gli consentì di riconsiderare lo schema proposto da Winckelmann e di assegnare definitivamente alla Grecia i vasi figurati fino ad allora definiti etruschi (1807). Relegata dalla grande storiografia tedesca del XIX secolo a livello di dilettantismo, nonostante l'opera complessiva di K.O. Müller Die Etrusker (1829), l'etruscologia assiste, in piena temperie "romantica", a una grande stagione di scoperte e scavi che interessano soprattutto lo Stato Pontificio (Perugia prima, poi le necropoli rupestri del Viterbese, Tarquinia e Vulci), supportata da una fiorente promozione a livello di mercato antiquario, consentita anche dalla formazione dei grandi musei archeologici europei (il primo interamente dedicato agli Etruschi fu il Museo Gregoriano Etrusco, aperto in Vaticano nel 1837) e da un Istituto come quello di Corrispondenza Archeologica, creato a Roma nel 1829, nel quale confluivano reperti procacciati da scavatori e collezionisti di professione (fra tutti Luciano Bonaparte, principe di Canino, e poi il marchese G.P. Campana), nonché copie a grandezza naturale delle pitture tombali scoperte a Tarquinia. La letteratura di viaggio, per lo più inglese, fornisce una rappresentazione vivace di questo mondo, elevandosi allo stadio di vera e propria informazione scientifica nel famoso Cities and Cemeteries of Etruria di G. Dennis (1848), più volte ristampato e aggiornato fino al 1907. Nasceva d'altra parte la necessità di raccogliere il risultato delle scoperte obbedendo ai criteri dei grandi corpora stabiliti in Germania: di qui le raccolte illustrate degli Etruskische Spiegel (1839-97), curata da E. Gerhard, e delle urne cinerarie (I rilievi delle urne etrusche, 1870-1916), curata da H. Brunn e G. Koerte, documenti utilizzati soprattutto per lo studio della rappresentazione dei miti greci. Prendendo poi a modello il Corpus Inscriptionum Latinarum concepito da Th. Mommsen, A. Fabretti curava il Corpus Inscriptionum Italicarum (1867), larga parte del quale riservata ai testi etruschi. Affiorava comunque, nella seconda metà del secolo, un diffuso interesse per le scoperte di età protostorica, avvenute soprattutto in Emilia, in un dibattito che assegnava un nuovo ruolo ai dati antropologici e riaffrontava su basi archeologiche il problema delle origini degli Etruschi (L. Pigorini, W. Helbig) che avrebbe occupato parte degli studi successivi. Da un lato l'apertura di musei archeologici centrati sul tema etrusco, avvenuta con l'Italia unitaria (quello di Firenze, 1870, quello di Bologna, 1881, quello di Villa Giulia a Roma, 1889), dall'altro le scoperte nel Lazio settentrionale e in Toscana, in particolare quella dell'Apollo di Veio (1916), che ebbe riflessi non secondari sia nel dibattito sull'originalità delle manifestazioni artistiche non classiche, sia nello stesso linguaggio figurativo contemporaneo al periodo fra le due guerre, favorirono l'isolamento del tema etrusco anche a livello istituzionale, consacrato dalla nascita del periodico Studi Etruschi (1927) e dalla successiva fondazione dell'Istituto di Studi Etruschi (1932). Negli anni dal secondo dopoguerra in poi, dominati dall'esperienza di studio di M. Pallottino e della sua scuola, i metodi della ricerca storica, archeologica e linguistica hanno definitivamente fornito di statuto la disciplina e, una volta integrati, hanno consentito forme di storia "totale". Trasferita la ricerca archeologica dalle necropoli agli insediamenti (dai centri minori a città quali Cerveteri, Tarquinia, Populonia e Volterra e a sedi mercantili quali Pyrgi, Gravisca e Spina), spesso con scoperte clamorose, come quella delle lamine auree inscritte in etrusco e fenicio rinvenute nel santuario di Uni a Pyrgi (1964), la prospettiva eminentemente regionalistica si è ampliata grazie ai rinvenimenti effettuati in Campania (Capua, Pontecagnano, Sala Consilina), in Romagna (Verucchio), nella regione padana (Mantova), fino ad Aleria in Corsica. Gli interessi scientifici hanno avuto come oggetto i fenomeni di contatto fra culture, la problematica storica della nascita della città nell'Italia antica, in analogia con il modello di Roma "primitiva", la presenza etrusca nel Tirreno, i fenomeni di destrutturazione connessi con la conquista romana della regione. Particolare sviluppo ha assunto lo studio della scrittura e della lingua, rinnovato, quest'ultimo, oltre che dai metodi della linguistica strutturale, dalla ripresa, dal 1970, della pubblicazione del Corpus Inscriptionum Etruscarum, iniziato in Germania nel 1893, e dalla edizione, dal 1978, del Thesaurus Linguae Etruscae. Questo fiorire di imprese, favorito in parte, in Italia, anche da un organo appositamente costituito presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (1970), ha investito altri Paesi d'Europa trovando attenzione presso la comunità scientifica. Forme di risonanza moderna del "mito" etrusco sono da considerare imprese di carattere latamente culturale, a iniziare dalla mostra sull'arte e la civiltà etrusca organizzata nel 1955 a Zurigo e poi trasferita in altre sedi europee, per continuare con le esposizioni del 1985 organizzate dalla Regione Toscana, sulla cui scia si sono quasi annualmente inserite altre iniziative che hanno coinvolto i Paesi dell'Europa orientale (1988-89), la Francia e la Germania (1992-93).

Bibliografia

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