L'archeologia medievale

Il Mondo dell'Archeologia (2002)

L'archeologia medievale

Alessandra Melucco Vaccaro

La disciplina oggi si definisce, rispetto alle altre archeologie, in relazione ad un dato di area culturale e ad uno cronologico: essa applica infatti tutte le tecniche dell'indagine archeologica all'esame delle testimonianze materiali dell'Occidente euro-mediterraneo, per il periodo che va dalla caduta dell'Impero romano alle soglie del XVI secolo circa. Questi confini ormai consolidati della materia tendono a superare la posizione di chi, in relazione soprattutto all'archeologia urbana, li aveva intesi in termini più radicali, estendendoli dall'età postclassica senza limiti temporali fino al presente. È evidente che la dimensione geografica di riferimento esiste in quanto esiste il concetto stesso, tutto europeo e non esportabile, di "Medioevo" e da esso dipende anche per la problematica, posta in sede storiografica, delle periodizzazioni (Tarda Antichità, Alto e Basso Medioevo) e dei loro limiti di validità e di estensione. L'archeologia medievale è stata anche fortemente influenzata dal fatto che proprio da un gruppo di studiosi francesi di storia medievale, poi raggruppati negli anni Trenta intorno alla rivista Les Annales, è partita una riflessione critica generale sulle metodologie e sull'oggetto stesso del fare storia, sul valore del documento scritto, rispetto ad altri tipi di fonti ed anche in relazione al monumento. Revocare in dubbio, come hanno fatto M. Bloch, L. Febvre, F. Braudel, J. Le Goff ed altri, il fatto che compito della storia sia ricostruire una sequenza delle battaglie e dei grandi avvenimenti politici, per porre invece l'accento sulle condizioni strutturali, di vita e dei mezzi di sostentamento delle grandi masse senza nome, ha certo tolto da una condizione di sudditanza rispetto alla storia un'archeologia che era stata spesso imputata di non riuscire a dar conto altro che di microrealtà, di frammenti parziali e non significativi degli eventi del passato. Quegli stessi studiosi hanno rifiutato la pretesa obiettività della fonte letteraria, evidenziandone la parzialità e i filtri ideologici di cui è impregnata, in quanto espressione delle classi dominanti; l'hanno dialetticamente avvicinata al monumento perché portatrice di un messaggio fortemente connotato e determinato; hanno infine affermato l'eguaglianza degli archivi cartacei e di quelli della terra, soprattutto per i siti minori senza storia, sostenendo che "non vi è che una sola scienza dell'uomo nel tempo" (M. Bloch). Ciò ha favorito il superamento di una separazione-contrapposizione, marcata in precedenza dalle scuole storiografiche, tra fonte scritta e fonte archeologica e ha ancor più contribuito ad una valorizzazione della cultura materiale, quale elemento capace di ricostruire la dimensione quantitativa e di lunga durata dei processi di trasformazione e di cogliere "i tempi lenti ed impercettibili della storia" (F. Braudel), piuttosto che di costruire il racconto di una sequela di avvenimenti (l'histoire événementielle oggetto degli strali degli Annalistes). Oltre ad aver accolto le tendenze più critiche e innovative della storiografia medievale, la ricerca archeologica medievale e i suoi attuali approdi sono stati fortemente determinati, nel secondo dopoguerra, anche dallo sviluppo dell'archeologia stratigrafica, come metodo generale di indagine sul terreno, e dal dibattito teorico assai vivace, con particolare riferimento al concetto di cultura materiale, che ha caratterizzato le intenzionalità di tale scelta metodologica in rapporto alle tradizioni antiquarie e filologiche dell'archeologia dell'età classica. Il concetto di cultura materiale e la storia del suo definirsi come prassi di analisi delle evidenze è intrecciato con diverse correnti di pensiero, anche se la sua origine può collocarsi nella prima metà dell'Ottocento, nell'ambito del pensiero evoluzionista con particolari legami con gli studi preistorici, cioè con quella età nella quale non esistono fonti scritte e dunque il reperto e il suo contesto fisico e culturale costituiscono l'universo da interrogare e da interpretare. Tuttavia, proprio per la comune base, determinata dall'accettazione del dibattito sul concetto di cultura e sul valore delle fonti, molti autori (J.-M. Pesez, R. Francovich, A. Wyrobisz, ecc.) riconoscono legami particolarmente stretti tra cultura materiale e archeologia medievale. All'interno di questa matrice, i temi di ricerca sul campo si sono così venuti incrociando e avvicinando, creando una dialettica nuova tra i due ambiti disciplinari nella scelta degli aspetti quantitativi e demologici delle realtà territoriali estese, indagate dagli uni attraverso i registri parrocchiali e i documenti sulla proprietà terriera, dagli altri con tutte le implicazioni della ricerca sul terreno e sul territorio, attraverso la ricostruzione delle tipologie e delle dinamiche del popolamento (in particolare dei villages désertés e degli abitati rurali), sugli strumenti e le tecniche di sfruttamento del suolo e le principali colture agricole. Più in generale, con riferimento all'archeologia della produzione, anche con tutti i sussidi dell'indagine tecnica dei manufatti: dall'esame dei resti di pasto alla ricostruzione delle specie animali allevate e libere, fino alle più recenti tendenze che spaziano dalla semplice ricostruzione del contesto limitato ad un'area di scavo, verso la delineazione, con l'archeologia estensiva, di un vero e proprio paesaggio archeologico; mentre l'archeologia urbana, pur confinata entro limitati spazi, offre i suoi ampi orizzonti diacronici e integra realtà rurali e realtà cittadine, macrostoria e microstoria. Il percorso dell'archeologia medievale è stato anche molto influenzato dalla disparità di situazione storica, e quindi di tradizione degli studi, che segna rispettivamente l'ambito mediterraneo ed europeo, in precedenza ricadente entro i confini della civiltà greco-romana, e quello esterno a quest'ultima. Nel primo caso, infatti, l'archeologia medievale ha tardato a conquistare uno spazio proprio nei confronti dell'archeologia classica da un lato e dell'archeologia cristiana dall'altro, a lungo considerata come l'unica accezione dell'archeologia postclassica, soprattutto in Italia, Gallia, Africa settentrionale. Ma anche quando l'approccio stratigrafico ha forzato e arricchito questa configurazione consolidata di discipline, evidenti fenomeni di continuità hanno prolungato l'ambito di interesse dell'archeologia classica, nella difficoltà di trovare punti univoci di rottura tra Tarda Antichità e Alto Medioevo, ora anticipati in età medioimperiale, ora posticipati al momento dell'invasione araba del Mediterraneo (VII sec. d.C.). Inoltre, con la separazione dell'Impero d'Oriente da quello d'Occidente (395) e con la differenziazione nelle dinamiche di trasformazione che ne è derivata, anche gli studi si sono specializzati, dando luogo, per l'Oriente mediterraneo, all'archeologia bizantina e a quella islamica. Si consideri, infine, un'ulteriore partizione (che non esiste negli studi classici, ove si parla ancora di "archeologia e storia dell'arte greca e romana"), derivante dal fatto che gli aspetti storico-artistici sono oggetto di una disciplina separata, la storia dell'arte medievale. Nel secondo caso, cioè nell'Europa settentrionale esterna al limes dell'Impero romano, vi è un diverso tipo di continuità che ha a lungo dominato l'orizzonte degli studi postclassici: quello con la pre- e protostoria. In effetti, si tratta di aree dove la scrittura e le fonti scritte sono state a lungo ignote e notizie essenziali provengono da storici del mondo classico; la protostoria, e in particolare l'orizzonte culturale di La Tène, si prolunga fino al periodo in cui tali popoli si riversarono all'interno del mondo greco-romano, determinando appunto le invasioni barbariche. In quest'area le origini dell'archeologia medievale si sogliono identificare con le prime ricerche tipologiche e cronologiche che, facendo propri i medesimi principi classificatori applicati alle prime età dell'uomo, hanno posto le basi degli studi che hanno portato al riconoscimento delle presenze germaniche nella Scandinavia (Ch.J. Thomsen, O. Montelius), nelle isole britanniche, in Germania e alla possibilità di seguirne, nel tempo e nello spazio, l'evoluzione e gli spostamenti durante la convulsa fase delle migrazioni. Tuttavia questa impronta di origine, anche se antitetica rispetto all'anima antiquaria dell'archeologia mediterranea, non è stata esente da distorsioni e rigidità di tipo descrittivo e classificatorio, finché, prima sotto l'influsso del nazionalismo germanico poi dell'archeologia razziale, la ricerca è stata asservita all'ideologia nazista e finalizzata a dimostrare la presenza di antichi ceppi germanici nelle regioni dell'Europa centrale e del Baltico che il Terzo Reich stava assoggettando. Nel secondo dopoguerra, sotto lo stimolo del dibattito sulla cultura materiale e per confronto con le tematiche dello strutturalismo e dell'antropologia culturale, sono apparsi più chiari i limiti di ipotesi identificative delle varie genti germaniche, della loro stratificazione sociale e del loro patrimonio culturale, condotte sulla base di classificazioni tipologiche di reperti provenienti esclusivamente da necropoli. La percezione sempre più critica e articolata del fatto che il corredo funebre non restituisce il quadro fedele di una società, ma è espressione diretta del rito e delle ideologie funerarie, ha per un verso rinnovato gli studi e gli schemi di analisi dei reperti, mettendo a fuoco i processi di acculturazione e di reciproca integrazione tra sostrato romanzo e invasori, dall'altro ha imposto una dimensione territoriale alla ricerca, operando la ricomposizione tra necropoli e abitato. Il modello interpretativo precedente era stato superato molto precocemente in Inghilterra, dove già gli studi di E.Th. Leeds nel 1913 affrontavano il problema della visione territoriale nello studio dei materiali anglosassoni e successivamente Th.D. Kendrick articolava il problema esaminando materiali anglosassoni e vichinghi. Del resto, anche nella tradizione tedesca una visione orizzontale estesa a tutti i reperti datati dell'età merovingia aveva permesso un corretto inquadramento dei reperti dell'età delle migrazioni e il superamento dell'archeologia razziale; ma è soprattutto nell'esame delle necropoli barbariche italiane che tale approccio è entrato in crisi. La visione separata dei sepolcreti, fortemente caratterizzati rispetto a quelli delle popolazioni latine ormai privi di corredo, ha a lungo avvalorato la cosiddetta "archeologia germanica", che in Italia ha studiato le presenze barbariche come mera appendice della storia dei popoli barbari nelle loro sedi di origine, fuori del limes, come se questi gruppi di invasori fossero stati razzialmente definiti al di fuori di ogni dinamica storica (mentre invece sappiamo dalle fonti che si trattava di aggregazioni politiche e non razziali, sotto la bandiera del più forte) e avessero occupato il paese, sostituendosi peraltro alle classi dirigenti nazionali, senza che alcuna modificazione fosse intervenuta nel loro costume e nella loro organizzazione sociale. Va comunque all'archeologia inglese il primato nell'avvio delle indagini di campo che qui iniziarono nei primi anni Cinquanta, mettendo a fuoco già nel 1952, con la costituzione del Desert Medieval Research Group, uno dei temi di maggiore rilievo tra quelli praticati dalla disciplina: lo studio dei villaggi abbandonati, terreno d'elezione della collaborazione tra storici e archeologi, che vide in Inghilterra appunto, nello scavo imponente di Wharram Percy, avviato in quegli anni da W. Hoskins, uno dei casi esemplari di indagine sul terreno. Anche la scoperta a Yeavering (1953-57) del palazzo dei re angli, tutto realizzato in legno con accurate tecniche di carpenteria, pose in luce l'interesse e la ricchezza culturale e tecnica di insediamenti, che pure non mostravano evidenze e rovine monumentali fuori terra, come avveniva nei centri di antica origine romana. Negli anni Sessanta in Francia, sulla scia del vivace dibattito iniziato in sede storiografica dal gruppo degli Annalistes, al quale si è prima accennato, si avviano nella medesima direzione le indagini sul terreno, arricchite dalla collaborazione con l'Accademia Polacca delle Scienze di Varsavia. L'esplorazione del sito totalmente indagato di Rougiers (Var) e la costituzione del Laboratoire d'Archéologie Médiéval, entrambi diretti da G. Démians d'Archimbaud, rappresentano punte esemplari, mentre missioni di ricognizione e di scavo francesi e polacche si espandono anche in Italia, a Castelseprio in Lombardia, a Torcello nel Veneto, a Brucato in Sicilia, a Capaccio in Campania. Questo nuovo approccio viene favorito da una singolare figura di studioso, G.P. Bognetti, specialista di storia del diritto, che, nonostante le differenze disciplinari e di approccio culturale, è stato di fatto l'iniziatore e il sostenitore delle prime fasi dell'archeologia medievale, in una visione integrata con la ricerca storica, ponendo le basi per il superamento delle separatezze esistenti tra la cosiddetta "archeologia germanica" e l'archeologia cristiana. La vivace presenza delle accademie straniere nel nostro Paese ne ha fatto il terreno prediletto per imprese esemplari, quali l'indagine nell'Etruria meridionale, condotta negli anni Settanta e Ottanta dalla British School di Roma, o lo studio delle dinamiche del popolamento della Sabina e della Capitanata, guidate dall'École Française di Roma. Di stimolo a tali scelte, che sono sostenute da tutte le tecniche della ricognizione e dell'esame estensivo del territorio, oltre che dalla cartografia tematica e dalle consuete tecniche di telerilevamento, è stata la particolare complessità del contesto dell'Italia, sia per cogliere i processi di continuità-discontinuità rispetto alla situazione tardoromana, sia per evidenziare le peculiarità dei modelli di riorganizzazione del possesso terriero nel primo Medioevo, che determinano il cosiddetto "incastellamento". Anche in Germania, ove con lo scavo di Warendorf dal 1954 avevano preso avvio analoghe indagini, le ricerche sono proseguite con fruttuosi esiti a Colonia, Amburgo, Fulda, Lipsia, Lubecca, tra gli altri, con interessanti integrazioni tra gli aspetti monumentali dei complessi cultuali e monastici, trovamenti di necropoli e ricerche sulla genesi e l'organizzazione urbana. Analoghi sviluppi si segnalano nella Scandinavia, con gli scavi di Bergen e Jarlshof (Norvegia), Lund, Kalmar, Lodose (Svezia), Horsen (Danimarca), ove l'indagine sulle evidenze della cultura materiale ha permesso di ricostruire un quadro di vita quotidiana e produttiva altrimenti perduto. In Polonia le indagini di Gnezno, Cracovia e, più di recente, Biskupin sono arrivate a chiarire modelli insediativi, processi di articolazione urbana e attività produttive. Oltre agli aspetti di genesi e dinamica di sviluppo di importanti centri dell'Europa continentale, l'archeologia medievale ha portato alla luce anche alcuni centri del commercio internazionale tra Europa settentrionale e meridionale in età carolingia, anglosassone e vichinga, quali Hedeby (Germania), Anversa (Belgio), Ipswich (Gran Bretagna), integrando il quadro degli scambi di merci a grande distanza che aveva costituito uno degli elementi caratteristici, ricostruiti archeologicamente, del mondo tardoantico. Per l'età postclassica ipotesi storiografiche di grande fortuna, come quella costruita da H. Pirenne (Mahomet ou Charlemagne, Bruxelles 1934), che poneva il momento di vera discontinuità rispetto al mondo classico solo con l'invasione araba del Mediterraneo, erano basate esclusivamente su fonti scritte e su trovamenti monetali insufficienti a costruire un quadro organico. In Spagna negli anni Settanta e Ottanta, oltre al tradizionale interesse per l'archeologia tardoantica e paleocristiana, sono state avviate importanti imprese di scavo urbano a Tarragona, Gerona, Cordova, Madinat az-Zahra, Recopolis ed una ricerca sistematica di integrazione delle chiese cosiddette "hispanovisigotiche", finora indagate su base stilistica e tipologica, di conoscenza degli insediamenti e del popolamento, mentre, per il pieno Medioevo, interessanti integrazioni si sono avute con l'archeologia islamica e con lo studio dei sistemi difensivi del regno cristiano nei confronti dei califfati arabi. Con il pieno sviluppo dell'archeologia urbana, che ancora una volta muove i suoi primi passi in Inghilterra sfruttando le distruzioni belliche, e con il suo diffondersi nelle pratiche di indagine, anche in Italia si arricchiscono le conoscenze dei centri antichi (Milano, Roma, Napoli, Otranto, Brescia, Verona, Ferrara, Luni, Segesta, Cornus, Tharros, Nora, ecc.), che, integrando la lettura delle fonti scritte, presentano un complesso panorama di discontinuità e di modificazioni. In particolare i dati archeologici intervengono in un vivace dibattito, avviato dagli storici del diritto, circa la sopravvivenza della città nell'Alto Medioevo. La scoperta di fenomeni di rarefazione dell'abitato, che presenta orti e perfino sepolture alternate alle unità residenziali, interpretate all'inizio solo come decadenza, viene ora letta come traccia di trasformazioni e dinamiche dell'insediamento urbano che, sia pure con profonde diversità rispetto alla qualità del centro urbano classico, resta in ogni caso sede delle funzioni politiche, produttive e culturali principali. Con l'integrazione nell'orizzonte territoriale e nelle metodologie dell'indagine stratigrafica e della cultura materiale delle ricerche sui complessi cultuali cristiani principali (i complessi cattedrali in primo luogo, ma anche i santuari martiriali extraurbani e le aree funerarie) si è avviato il riconoscimento dei nuclei dei processi di trasformazione da cui ha origine la città medievale. L'indagine su alcuni monasteri (Fulda, Novalesa, Farfa, San Vincenzo al Volturno) ha messo in luce gli aspetti architettonici, ma anche quelli produttivi di questi centri che monopolizzavano conoscenze e capacità in importanti settori, dalla trasformazione dei prodotti agricoli ai materiali edilizi, ai vetri alle ceramiche, destinati soprattutto all'autoconsumo, e che si avvalevano di gruppi, anche numerosi, di operai laici. L'archeologia della produzione si è applicata sia all'esame dei resti di pasto, per ricostruire gli elementi essenziali dell'alimentazione, integrando le informazioni letterarie e i documenti scritti, sia all'analisi tecnica e tipologica dei manufatti e degli insediamenti produttivi per la metallurgia, per i materiali da costruzione (vetri, mattoni, carpenteria lignea), contribuendo tra l'altro a sfatare il vecchio pregiudizio che leggeva l'avvento del legno rispetto ai materiali antichi solo come regresso tecnico. La ceramica, sia come elemento datante che come manufatto tipico dell'analisi quantitativa ed economica, ha nell'archeologia medievale importanza non minore che nell'archeologia classica. Per l'Alto Medioevo, ad esempio, la ceramica invetriata, caratterizzata da un rivestimento piombifero, rappresenta uno dei fossili-guida: oltre al chiarimento della datazione, dell'articolazione dei centri di fabbricazione e distribuzione e del rapporto con le invetriate tardoantiche e con le contemporanee produzioni bizantine, è stato possibile chiarire nelle grandi linee la contrazione delle forme, la frammentazione del mercato e la minore qualità tecnica che caratterizzano gran parte delle produzioni tra VI e VIII secolo. Le conoscenze delle ceramiche comuni e da cucina e dei contenitori da trasporto e da immagazzinamento, anche se profondamente diversi rispetto all'orizzonte tardoantico, per il restringersi della dimensione del mercato e per il minore rigore nella standardizzazione delle forme, sono in continuo progresso. Per il pieno Medioevo scavi urbani e di complessi architettonici importanti (come ad es. in Italia il Palazzo del Vescovo a Pistoia), integrati con la conoscenza tipologica, tecnica e stilistica dei reperti conservati nelle raccolte museali, hanno consentito l'articolazione locale, soprattutto per le classi principali delle maioliche decorate e delle ceramiche con rivestimento a smalto stannifero, e le loro interazioni con le produzioni arabe del Mediterraneo. L'archeometallurgia, che aveva una consolidata tradizione di studio degli oggetti personali e di ornamento del corredo di età merovingia, soprattutto decorati con tecniche all'agemina, si è arricchita in tempi più recenti, attraverso reperti di scavo, di informazioni riguardanti gli utensili principali dell'attività agricola. Le ricerche dirette in Italia da R. Francovich, dedicate in particolare all'escavazione e all'utilizzo del metallo ferroso della Toscana, trovano nell'indagine di Rocca San Silvestro e di Scarlino modelli di notevole accuratezza, che hanno dato luogo anche a parchi archeologici gestiti in modo moderno. Da ultimo, va segnalata la specifica attenzione dell'archeologia medievale per la cosiddetta "archeologia dell'architettura", cioè per lo studio delle tecniche murarie, dei materiali costitutivi, dei leganti e per la lettura stratigrafica applicata agli elevati, nell'esame dei tessuti edilizi storici sopravvissuti in tanti centri urbani e nei principali sistemi difensivi. Nel particolarismo e nella frammentazione che caratterizzano l'Europa medievale, rispetto all'elevato livello di standardizzazione tipologica e costruttiva dell'edilizia soprattutto pubblica e del potere proprio dello spazio greco-romano, è da tempo avviata la ricostruzione di modi e consuetudini che non può non partire dai fatti di dimensione locale e che trova solo in parte e solo per la fine del Medioevo qualche parziale riscontro negli statuti delle varie "arti".

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