L'archeologia islamica

Il Mondo dell'Archeologia (2002)

L'archeologia islamica

Oleg Grabar

Intesa nella sua accezione più ampia, come ricerca e interpretazione di antichi documenti funzionali alla conoscenza della cultura islamica o alle esigenze di comunità islamiche, l'archeologia islamica è antica quanto lo stesso Islam, così come la pratica di attività che possono essere definite archeologiche. Pressoché ovunque la cultura islamica si è trovata infatti a confronto con situazioni determinate da altre civiltà più antiche, delle quali ha dovuto eliminare le vestigia o adattarsi ad esse. Ciò ha comportato spesso attività che, sotto certi aspetti, non sono diverse da quelle dell'archeologia contemporanea: la scoperta e l'interpretazione dei resti di una cultura diversa dalla propria. Inoltre, la consapevolezza di un passato sepolto o in rovina ha nutrito l'immaginario della cultura classica musulmana. A volte lo sprone della ricerca era costituito dalla semplice avidità, come quando nel IX secolo il governatore dell'Egitto Ahmad ibn Tulun depredò tombe e templi dell'antico Egitto per finanziare le sue splendide costruzioni. In altri momenti si è trattato di un'attività più complessa, come ad esempio nel X secolo, quando i principi buyidi dell'Iraq e dell'Iran sudoccidentale scoprirono le rovine della Persepoli achemenide e se ne appropriarono apponendovi le proprie iscrizioni, contribuendo così alla trasformazione delle rovine di un'antica dinastia iranica nel trono di Salomone. Oppure quando, secondo resoconti la cui attendibilità storica è dubbia, ma la cui esistenza è attestata già nel IX secolo, il califfo Umar e il patriarca di Gerusalemme Sofronio spianarono insieme l'area dell'antico tempio ebraico e "scoprirono" la Roccia menzionata dal Profeta, sulla quale doveva essere costruita la Cupola della Roccia; i due personaggi sono descritti come "archeologi" che scavano animati da un ideale, secondo un atteggiamento ancora oggi frequente. Benché sia un'evidente forzatura considerare attività "archeologica" la spoliazione di strutture relative a siti più antichi per ricavarne materiale da costruzione ‒ soprattutto colonne, capitelli e altri tipi di pietre lavorate prodotti in grandi quantità nell'antichità classica o nell'India preislamica ‒ la ricerca di materiale da costruzione spesso ha imposto lo scavo e, in qualche misura, l'interpretazione della cultura materiale, pur finalizzata al suo reimpiego nelle nuove costruzioni, secondo procedure che ricordano quelle archeologiche. Molti monumenti del Cairo (la piccola moschea Aqmar del XII secolo, con colonne classiche fuori misura, costituisce l'esempio più eclatante), di Gerusalemme (sia la Cupola della Roccia che la moschea di Aqsa), di Damasco (la Grande Moschea e l'ospedale del XII secolo di Nur ad-Din), di Istanbul (numerosi edifici), di Delhi (il Qutb Minar), di Kairouan (la Grande Moschea) o di Cordova (anche qui la Grande Moschea), debbono l'unicità dei loro profili architettonici solo al fatto che edifici più antichi, presumibilmente in rovina, erano disponibili come cave. Le spoliazioni archeologiche hanno così contribuito ai principi modulari delle composizioni architettoniche, soprattutto nell'area mediterranea. Si vedrà come gli interessi e le necessità illustrati da questi esempi sopravvivano talora anche nell'archeologia contemporanea dei paesi musulmani; inoltre, è anche possibile identificare all'interno della cultura musulmana l'esistenza di quella che può essere definita "archeologia immaginaria", rintracciabile nelle fonti scritte e che segue due diversi percorsi. Uno di questi consiste nello spiegare aree o monumenti esistenti mediante attività simili a quella archeologica: è quello che è accaduto per molte delle caratteristiche della Masgid al-Haram (il più importante santuario musulmano alla Mecca), così come sono descritte nel testo del IX secolo di al-Azraqi noto come Le storie della Mecca. I monumenti interessati da questo fenomeno sono prevalentemente religiosi o devozionali, ma tracce di un valore apotropaico dell'archeologia si colgono anche nella descrizione di fondazioni di città, come quelle di Baghdad e del Cairo. Un interesse archeologico con contenuti fortemente ideologici è rintracciabile nell'iscrizione, attualmente perduta, della Grande Moschea di Damasco e nei racconti riferiti a quella di Cordova, che mettono entrambi in evidenza la distruzione di edifici preislamici. Il secondo filone dell'"archeologia immaginaria" è quello, molto più chiaro, che si ingegna di ricostruire o inventare un passato glorioso attraverso la descrizione di rovine: è questo il caso della descrizione delle antichità dello Yemen fatta da al- Hamdani nel X secolo. I geografi arabi, in particolare, riportano molte storie riguardo a scoperte pressoché magiche del passato e queste narrazioni hanno costituito la base di racconti fantastici, come La città di ottone in Le mille e una notte. Questa attitudine immaginifica è ancora viva nell'interpretazione popolare delle rovine e ha condotto, a proposito di un dettaglio iconografico nei mosaici di Khirbet al-Mafgiar, ad un interessante ma infruttuoso dibattito accademico. Su un piano totalmente differente, monumenti o frammenti identificati come antichi talvolta servivano (e servono ancora) come oggetti apotropaici, per meglio affrontare le ansie e le aspettative della vita quotidiana. I caratteri specifici dell'"archeologia immaginaria" non sono mai stati messi a fuoco, ma la realtà della sua esistenza e della sua importanza nell'ambito della cultura classica islamica ci consente di identificare un elemento che l'Islam condivide con il Rinascimento italiano, la Cina e l'Impero romano: quella consapevolezza di sé e dei legami con il proprio ambiente che spesso si basano sullo scavo e sull'acquisizione (o la distruzione) dei resti materiali del passato. La moderna archeologia del mondo islamico nasce come sottoprodotto dell'interesse europeo settecentesco e ottocentesco nei confronti dell'antichità classica e dei viaggi esotici. Il suo inizio coincide con la spedizione di Napoleone in Egitto nel 1798 e con la pubblicazione finale, tra il 1809 e il 1813, dei volumi della Description de l'Égypte, État moderne, che registra in maniera abbastanza sistematica non soltanto molti monumenti architettonici, ma anche il tessuto urbano nel quale questi si trovavano, oltre che strumenti e pratiche della cultura materiale del tempo. Questa attenzione per l'urbanistica e per la cultura materiale anticipa le domande che si sarebbero poste alla fine del XX secolo, ma evidenzia anche molto chiaramente il fatto che l'oggetto dell'indagine, nell'archeologia islamica, non è un momento definito nel tempo, ma un episodio di una cultura ancora viva. Per gran parte del XIX secolo l'archeologia venne intesa come descrizione di grandi monumenti architettonici. Tale compito venne svolto frequentemente da eruditi e spesso ricchi viaggiatori, esploratori curiosi o spie governative, missionari o avventurieri, talora tecnici stranieri chiamati ad aiutare o a consigliare i governi locali. E.-M. de Vogüé per la Siria e la Terra Santa, H.F.B. Lynch o C.F. Lehmann-Haupt per la Mesopotamia settentrionale e per l'Anatolia orientale, M. e J. Dieulafoy o sir Robert Ker Porter per l'Iran, E. O'Donovan per Merv, A. Musil per gran parte del Vicino Oriente sono solo alcuni dei personaggi le cui avventure personali sono spesso affascinanti tanto quanto le informazioni che essi ci forniscono sul passato. Benché i monumenti islamici non costituissero necessariamente il loro interesse primario, essi ne fecero accurate descrizioni, che rappresentano talora le uniche fonti per la conoscenza di costruzioni attualmente scomparse. Rispetto a queste esplorazioni relativamente casuali ci sono state tre eccezioni: la città del Cairo e gran parte dell'Egitto, che sono state studiate e documentate in modo abbastanza sistematico da molti architetti e amministratori occidentali ed egiziani (P. Coste, Prisse d'Avesne, Mubarak Pasha, Herz Pasha, ecc.) e dove furono create le prime istituzioni archeologiche, una delle quali, il Comité de Conservation des Monuments du Caire, si occupava specificatamente dei monumenti islamici; Istanbul e alcune delle città vicine, come Bursa, dove la necessità di restaurare vecchie costruzioni ancora in uso e la ricerca da parte degli occidentali di strutture cristiane nascoste sotto una veste ottomana diedero luogo ben presto ad un buon numero di pubblicazioni da parte di studiosi turchi e occidentali; l'India, dove alla fine del secolo venne fondato l'Archaeological Survey of India e dove la costruzione di nuove strutture pubbliche a Lahore e a Delhi segnò l'avvio di indagini sistematiche sui monumenti imperiali di epoca Moghul. Tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo un ulteriore incentivo alle ricerche archeologiche venne dalla costituzione di un mercato delle antichità islamiche, soprattutto ceramiche e vetri. Iznik in Turchia, Raqqa in Siria, Rayy in Iran furono accuratamente esplorate da scavatori clandestini che lavoravano per trafficanti d'arte allo scopo di soddisfare le richieste dei collezionisti. Lo studio delle ceramiche era ancora dominato dagli storici dell'arte e dagli interessi estetici dei collezionisti e solo in anni molto recenti è stata posta specifica attenzione all'insieme delle ceramiche rinvenute in un sito e non solo a quelle che avevano una qualità particolare, come i tipi a lustro e ogni genere di tipo decorato. Questo complesso di situazioni è ben rappresentato da due importanti lavori. Il primo è il monumentale Archäologische Reise im Euphrat- und Tigris-Gebiet di E. Herzfeld e F. Sarre, ricognizione abbastanza sistematica di un'enorme area, con attenzione prevalente, se non esclusiva, ai monumenti islamici, nel quale sono riportati saggi di scavo e molte ricostruzioni basate sia sui testi che sui resti ancora visibili. Il secondo lavoro è quello di M. van Berchem, il quale considerava l'epigrafia uno dei principali strumenti, se non il principale, per lo studio dell'archeologia islamica; i suoi articoli rimangono ancora oggi autorevole manifesto di una disciplina che cominciava appena ad esistere. Il trasferimento della facciata di Mshatta dalla Giordania a Berlino, un regalo del sultano ottomano a suo "fratello" il Kaiser, particolarmente interessato alle esplorazioni archeologiche, evidenzia i molti paradossi del XIX secolo. L'inatteso risultato della sua presenza a Berlino, come una reliquia archeologica di antichi imperi, fu il fatto che costituì una occasione unica per studi di carattere storicoartistico sugli elementi decorativi. Resti islamici furono rilevati nel corso di scavi e di ricognizioni in siti quali Baalbek in Libano o Susa in Iran, ma spesso essi andarono distrutti senza documentazione. Dopo la prima guerra mondiale e la creazione di molti nuovi stati, che divennero indipendenti dopo la seconda guerra mondiale, la pratica dell'archeologia islamica è cambiata considerevolmente. Le autorità centrali hanno cominciato a esercitare un controllo sulle attività archeologiche e, almeno in alcuni Paesi, sono state create sottosezioni islamiche nei dipartimenti di antichità, accanto a quelle di preistoria e di antichità greco-romane. Sono state promosse attività su iniziativa locale, generalmente sollecitate da esigenze immediate o sponsorizzate da gruppi stranieri, spesso associati a istituzioni pubbliche e private in vari Paesi (Tunisia, Egitto, Siria, Giordania, Turchia, Yemen, Iran, Afghanistan, Uzbekistan, Pakistan), con diverse energie e intensità. Inoltre, negli ultimi anni è stato intrapreso un ampio numero di spedizioni congiunte, giacché il costo degli scavi è raramente sostenibile da parte di una sola istituzione e la programmazione archeologica è spesso legata a esigenze nazionali. Come risultato di questi mutamenti, la pratica e lo studio dell'archeologia islamica si sono sviluppati nell'ambito delle moderne nazioni piuttosto che in quello di più ampie entità regionali e culturali, mentre diventa sempre più difficile seguire le tracce delle informazioni pubblicate in dozzine di bollettini curati dai dipartimenti di antichità nazionali e da istituti stranieri. Un altro importante risultato dei recenti sviluppi è che la maggior parte dei rinvenimenti, così come la loro documentazione, rimane attualmente nei paesi nei quali è stata portata alla luce, cosicché spesso i vari dipartimenti archeologici sono depositari di una enorme quantità di materiali poco conosciuti, scarsamente utilizzati e di difficile accesso. Il fatto che quasi tutti i resti visibili dal Marocco al Pakistan siano islamici, e quindi sarebbe necessario un impegno economico troppo oneroso per poterli indagare tutti adeguatamente, ha incentivato lo sviluppo della ricognizione archeologica, che prevede l'esame dettagliato di aree-campione, da cui viene estrapolata ogni possibile informazione al fine di formulare ipotesi estensibili ad aree più vaste. Questa pratica si è diffusa anche perché un gran numero di siti importanti non può essere oggetto di scavi, in quanto ancora in vita, o perché certe specifiche indagini necessitano di un particolare apparato. Ricognizioni di vasta portata sono state già effettuate a Merv alla fine del XIX secolo (Zhukovsky 1894) e hanno dominato attività recenti nella parte siriana della valle dell'Eufrate (missioni francese e tedesca, promosse dai rispettivi istituti nazionali in Siria), in Giordania (R. Schick e M. Piccirillo) e in Tunisia (Università della Pennsylvania, in collaborazione con le istituzioni tunisine). Un uso particolarmente interessante della ricognizione per la ricostruzione storica è stato condotto in Iraq da R.McC. Adams, il quale ha analizzato il periodo islamico nell'ambito dell'intera storia dell'area. Studi analoghi, anche non limitati alle sole aree islamiche, sono stati condotti in Asia Centrale, come le importanti spedizioni della Missione Archeologica Multidisciplinare del Turkmenistan meridionale (JuTAKE) in Turkmenistan o in Chorasmia, mentre ricognizioni preliminari su insediamenti islamici sono state condotte anche in Spagna. Nella maggior parte di questi casi la componente islamica è solo parte dell'indagine e le informazioni che se ne ricavano sono spesso finalizzate più alla comprensione di determinate aree che non a quella di una specifica cultura. Sarebbe necessario quindi elaborare una valutazione organica dei dati emersi dalle diverse ricognizioni da un più generale punto di vista e confrontare le evidenze di una zona con i rinvenimenti di altre aree. Ad esempio, è ormai possibile dimostrare che la densità di insediamento sotto il dominio musulmano è mutata considerevolmente da un'area all'altra e da un periodo al successivo. La spiegazione di questi dati richiede quindi l'uso di fonti diverse da quelle archeologiche. Un primo tentativo di confronto tra fonti scritte e fonti archeologiche è stato recentemente proposto per la Siria, la Giordania, la Palestina, sebbene ci siano importanti precedenti in alcuni articoli di E. Herzfeld degli anni Venti. Le ricognizioni hanno anche fornito dati utili per la formulazione di sequenze provvisorie di reperti ceramici e vitrei, rendendo così possibile stabilire tipologie di base, necessarie per indagini archeologiche più approfondite. Un solo sito esclusivamente islamico ha ricevuto le attenzioni continue degli archeologi per quasi due secoli: si tratta della vasta area metropolitana del Cairo, costituita da una sequenza di città poste vicine le une alle altre, a nord di un più antico e più piccolo insediamento romano e cristiano. L'esplorazione del Cairo è stata resa possibile dall'esistenza di eccellenti fonti scritte di periodi differenti, di iscrizioni per la maggior parte edite, di molte strutture medievali (mura, moschee) che si sono conservate e che sono state accuratamente studiate. Molte ricognizioni sono state fatte dopo quelle promosse dalla spedizione napoleonica e, dalla metà del XIX secolo, istituzioni locali e straniere si sono occupate delle indagini archeologiche nella città: quelle di Ali Baghat e A. Gabriel negli anni Venti e soprattutto il susseguirsi di scavi americani (G. Scanlon), polacchi (W. Kubiak) e più recentemente francesi, che hanno spesso portato al rinvenimento di reperti molto importanti. Tuttavia, per mancanza di un efficace coordinamento, questi scavi spesso costituiscono interessanti pezzi di un puzzle piuttosto che adeguati strumenti per una migliore comprensione dello sviluppo del sito. Infatti, sebbene il ricco materiale proveniente da questi scavi sia spesso utilizzato da specialisti di tipologie ceramiche, vitree o tessili, il valore di tale materiale non è stato pienamente inteso dagli storici. Anche altre città, meno note al grande pubblico, sono state oggetto di indagini approfondite: tra queste c'è Raqqa, la città abbaside sull'Eufrate in Siria, fondata nel tardo VIII secolo accanto a resti omayyadi e classici. A lungo frequentata per il recupero di materiale ceramico, Raqqa è stata indagata negli anni Trenta e Cinquanta, prima dello sviluppo urbanistico che ha trasformato la città, e poi negli anni Ottanta e Novanta dal Syrian Department of Antiquities e dal Deutsches Archäologisches Institut di Damasco (M. Meinecke). Vi è inoltre Siraf, lungo la costa iraniana del Golfo Persico, indagata per molti anni da D. Whitehouse per conto del British Institute in Iran, particolarmente importante per la cura con la quale i suoi documenti sono stati studiati e per il significato dei suoi ritrovamenti in relazione alla storia del commercio in Asia. Negli anni Trenta e Quaranta il Metropolitan Museum di New York ha promosso scavi a Nishapur, nell'Iran nord-orientale. Particolarmente importanti per la storia della ceramica, della pittura, della decorazione architettonica, questi scavi sono tuttavia meno significativi per definire la fisionomia di una importante città medievale. In scala più modesta c'è Qasr al-Hair ash-Sharqi, un ampio insediamento nell'area nord-orientale del deserto siriano, che risulta essere un impianto omayyade semiurbano identificato come una città (madīnah) in base a un'iscrizione e utilizzato da una popolazione sedentaria sino alla fine del XIII secolo. Il più spettacolare sito archeologico islamico è Samarra, sul fiume Tigri, imponente capitale degli Abbasidi nel IX secolo. Fotografie aeree ne hanno evidenziato con chiarezza la fisionomia degli insediamenti e dei palazzi, mentre si conservano, anche se in rovina, i più importanti monumenti religiosi. E. Herzfeld ha dedicato numerosi volumi alla città, sulla quale ha condotto ricognizioni e scavi anteriormente alla prima guerra mondiale. Più tardi vi sono stati scavi iracheni e negli anni Ottanta A. Northedge ha effettuato analisi computerizzate molto sofisticate che hanno dato interessanti risultati. Problemi politici negli anni Novanta hanno interrotto le attività in questo sito, la cui completa conoscenza potrebbe fornire la chiave per la comprensione della cultura materiale e dell'arte dell'area centrale dei territori islamici all'epoca del loro apogeo nel IX secolo e che potrebbe servire come modello per comprendere lo sviluppo di Baghdad, la cui descrizione in molti testi ha consentito numerose ricostruzioni, ma i cui resti non saranno probabilmente mai individuati. Indagini parziali di ampi siti islamici sono state condotte in Marocco (Sigilmasa, Qasr as-Saghir), in Tunisia (Mahdia, Raqqada), in Algeria (Sedrata, Qala dei Banu Hammad), in Egitto (Alessandria), in Palestina (Gerusalemme), in Giordania (Aqaba), in Siria (Bursa), in Arabia (Rafida), in Iraq (Wasit e Kufa), in Turchia (Kubadabad, Diyarbakır, Hasan Kayf), in Iran (Takht-i Sulayman, Isfahan, Gurgan), in Tagikistan (Tirmidh), in Turkmenistan (Merv), in Uzbekistan (Samarcanda), in Afghanistan (Bust, Ghazni), in Pakistan (Bangalore), in India (Delhi, Fatehpur Sikri), in Tanzania (Kilwa), in Kenya (Lamu) e nelle isole Comore. I risultati di alcune indagini e di alcuni scavi sono stati pubblicati in modo più o meno adeguato, altri sono in corso di pubblicazione, oppure la loro documentazione giace in uffici sparsi in tutto il mondo. Va però notato che negli ultimi decenni è stata posta una maggiore attenzione ai livelli islamici di importanti città originariamente non islamiche, come Sardi in Turchia, Hama in Siria, Susa in Iran, Humaimah in Giordania, Cartagine in Tunisia. La natura della civiltà islamica classica, soprattutto l'intensità e la rapidità della sua urbanizzazione, ha reso lo studio archeologico delle città un obiettivo primario delle ricerche scientifiche. I risultati raggiunti potrebbero fornire dati importanti a tutti i medievisti, dal momento che l'urbanizzazione islamica precede quella della Cina, dell'India o dell'Europa occidentale, e potrebbe suggerire interessanti approcci metodologici all'archeologia urbana. La più grande acquisizione dell'archeologia islamica è costituita dalla scoperta dei palazzi. Qasr al-Hair al-Gharbi, Khirbet al-Mafgiar, Khirbet Minya, Gebel Sais, la cittadella di Amman, Mshatta, Angiar, Qastal sono tutte fondazioni principesche o califfali della prima metà dell'VIII secolo in Siria, Giordania e Palestina, rese note da scavi più o meno completi. Grazie ad alcune di esse (Qasr al-Hair, Khirbet al-Mafgiar) sono state scoperte correnti artistiche nella scultura, nei mosaici pavimentali e nella pittura di epoca omayyade, fino a quel momento sconosciute, e molto è stato (o dovrebbe essere stato) modificato nelle nostre conoscenze dell'arte tardoantica. Solo una di queste indagini archeologiche (Khirbet al-Mafgiar) è stata edita integralmente da parte di R. Hamilton e ha dato inizio ad un dibattito sul suo significato. Altrettanto importanti, ma meno esaurientemente pubblicate, sono le scoperte di singoli palazzi in Spagna (Madinat az-Zahra), in Afghanistan (Lashkari Bazar, Ghazni) e in molte delle città già menzionate. Sarà quindi possibile tracciare una storia dei palazzi nei territori musulmani dall'VIII al XII secolo quando tutti questi complessi saranno finalmente editi. Come per la ceramica, il lavoro degli archeologi ha contribuito innanzi tutto alla storia dell'architettura, piuttosto che allo sviluppo delle tecniche archeologiche. Su un altro fronte dell'archeologia brillanti risultati sono derivati dall'intervento su monumenti isolati che necessitavano di restauri o di riparazioni. I lavori italiani sui grandi monumenti di Isfahan, eseguiti da E. Galdieri e poi proseguiti da M. Shirazi, hanno condotto ad una sorprendente ricostruzione della storia della celebrata Masjid-i Juma e degli edifici secolari che circondavano la grande piazza reale di questa città. Così, a Gerusalemme, il restauro della moschea di Aqsa ha costituito l'occasione per un notevole studio sui resti archeologici da parte di R. Hamilton, che ha dato luogo a elaborazioni molto feconde; sono inoltre documentati importanti lavori sul grande mausoleo di Oljaytun a Sultaniya, in Iran e su altri monumenti analoghi. Questo tipo di intervento archeologico, focalizzato su una singola struttura, generalmente ancora adibita alla sua funzione originaria, è stato regolato da apposite convenzioni internazionali; una di queste, la Carta di Lahore, si riferisce specificamente al mondo islamico. L'archeologia di emergenza, promossa sia dalle autorità siriane che da quelle turche, spesso con l'aiuto di organizzazioni internazionali, è stata molto importante per i siti islamici della valle dell'Eufrate, prima che tali aree venissero inondate. Balis in Siria e Gritille in Turchia sono tipici esempi di siti sottoposti ad indagine perché destinati a sparire o perché i loro monumenti stavano per essere trasportati altrove. Analoghi sforzi nazionali e internazionali non sempre hanno accompagnato l'espansione urbanistica, la quale ha di fatto distrutto molti siti archeologici. L'interesse internazionale per la protezione ambientale ha dato luogo tuttavia ad un'ampia serie di ricerche nello Yemen, dove sono stati realizzati scavi in piccole città e interventi di conservazione architettonica in quelle più grandi.

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