BACH, Johann Sebastian

Enciclopedia Italiana (1930)

BACH, Johann Sebastian

Fernando Liuzzi

Sommo musicista tedesco, nato ad Eisenach il 21 marzo 1685 (31 marzo secondo il calendario gregoriano), morto a Lipsia il 28 luglio 1750. Ottavo e ultimo figlio di Giovanni Ambrogio Bach, da Erfurt, e di Elisabetta Lämmerhirt, sposatisi nel 1668 e stabiliti ad Eisenach dal 1671, il grande compositore discendeva da una famiglia datasi per lunga tradizione al culto e alla professione della musica. La genealogia dei Bach, documentata dalla seconda metà del '500, conta infatti un Veit (Guido) Bach, citarista e mugnaio, un figlio di Veit, il gioviale Hans "dalla bella barba", violinista, quindi tre figli di costui: Giovanni, direttore della musica municipale ed organista a Erfurt, Enrico, dalla vita travagliata e piena di passione per l'arte, organista ad Arnstadt, e Cristoforo, stabilitosi come musicista a Erfurt, padre del ricordato Giovanni Ambrogio e nonno di Giovanni Sebastiano. Anche nei rami collaterali si ritrovano musicisti specialmente tra i figli di Enrico (Giov. Cristoforo di Arnstadt e Giov. Michele) e di Giovanni Cristoforo di Erfurt, fratello gemello di Giovanni Ambrogio.

Vita semplice e uguale, senza scosse, senza avventure, senza colpi di fortuna, quella di Giovanni Sebastiano. Le vertigini del trionfo, le amarezze e le depressioni del disconoscimento gli furono del pari ignote. Ciò che conobbe, e di cui si contentò, fu la modesta e raccolta esistenza familiare, il lavoro fecondissimo e senza soste, la stima e la fama che non tardarono a circondarlo, vivente, soprattutto per l'ammirata maestria d'organista. Orfano della madre a nove anni, a dieci del padre, se ne va col fratello Gian Giacomo presso un altro fratello, di quattordici anni maggiore: Gian Cristoforo organista a Ohrdruf. Nel ginnasio oltre alle discipline letterarie - lingua e letteratura tedesca, latino, elementi di greco - alla storia, alla geografia e teologia, il programma di studî comportava, come in ogni scuola germanica, frequenti esercitazioni corali. In queste il giovinetto dové segnalarsi se, obbligandolo, come sembra, le ristrettezze familiari del fratello a lasciar la scuola di Ohrdruf nell'anno 1700, egli trovò posto tra gli "interni" del ginnasio San Michele di Lüneburg in grazia della bella voce.

Da Lüneburg Giovanni Sebastiano si recava di quando in quando ad Amburgo per udirvi, nella chiesa di S. Caterina, un organista celebre: Adam Reinken. V'erano poi, al castello di Celle, i concerti della corte ducale di Brunswick-Lüneburg. B. ebbe occasione di frequentarli e poté udire, tra il repertorio profano, musiche italiane e soprattutto francesi care alla duchessa, Eleonora Desmier d'Olbreuse, ch'era nata in Poitou e, ugonotta, aveva accolto alla corte cavalieri e artisti della sua terra perseguitati dalla lotta anticalvinista.

Com'era d'uso allora tra i giovani artisti, egli, finito il liceo, avrebbe dovuto entrare all'università; ma dové invece procurarsi da vivere e accettare le modeste funzioni di violinista nella piccola orchestra tenuta da Giovanni Ernesto di Weimar, fratello del duca regnante. Le adempì per pochi mesi dell'anno 1703, finché ottenne la nomina ad organista nella chiesa di S. Bonifacio in Arnstadt. I primi saggi di composizione rimasti di data certa (1704), mostrano il musicista già tutto rivolto, come resterà sempre, a spartir nell'arte gli affetti domestici e i religiosi: per la partenza del fratello Gian Giacomo, arruolatosi al seguito di Carlo XII di Svezia, scrive il Capriccio sopra la lontananza del suo fratello dilettissimo; all'altro fratello, d'Ohrdruf, dedica il Capriccio in honorem Ioh. Christophori Bachii; e circa lo stesso tempo - salvo i rimaneggiamenti posteriori - si pone alla prima cantata sacra: Denn Du wirst meine Seele nicht in der Hölle lassen ("Ma Tu non lascerai nell'inferno l'anima mia").

Dopo due anni d'ininterrotto servizio, B. ottiene quattro settimane di congedo per andarsene, a piedi, a Lubecca a conoscere Dietrich Buxtehude il vecchio e grande organista danese. Vi restò invece a bearsene quattro mesi, e al ritorno ebbe, per l'assenza, un rimprovero solenne. Poi, circa nove mesi più tardi, il concistoro gli contestò altre mancanze: fra le quali quella d'aver osato ricevere, nella tribuna dell'organo, "una ragazza forestiera". A mezzo il 1707 B. abbandona Arnstadt per andarsene organista a Mühlhausen. Sposava, nell'ottobre, la cugina Maria Barbara e componeva sui primi del '708 due cantate: Gott ist mein König ("Dio è il mio re") e Der Herr denket an uns ("Signore pensa a noi"). Nel giugno dello stesso anno il duca di Sassonia-Weimar, Guglielmo Ernesto, offriva a B. l'ufficio d'organista di corte e di cembalista nell'orchestra ducale.

I nove anni di dimora a Weimar corrono tranquilli e fecondi. Là egli si matura a grande organista e conduce a termine la maggior parte delle composizioni per organo. Riprende lo studio dei maestri italiani, in particolare dei contemporanei: sono di questo tempo i numerosi adattamenti al cembalo e all'organo di concerti per archi di Antonio Vivaldi e di Benedetto Marcello. La sua potenza d'esecutore e d'improvvisatore desta l'unanime ammirazione. Nel 1717, invitato a Dresda per misurarsi con l'organista e cembalista francese Marchand, si presenta all'ora convenuta e resta padrone del campo: poco desideroso del confronto, il rivale era partito. Egli suonò ugualmente, e - riferisce il figlio Filippo Emanuele - "maravigliò tutta l'assemblea".

Al ritorno a Weimar, la permanenza alla corte ducale cominciò a farsi sgradita all'artista. E finalmente poté, come ormai desiderava, passare a Köthen, Capellmeister nella corte d'un nuovo protettore, il principe di Anhalt. Vi rimase cinque anni, con funzioni di poco impegno, limitandosi, per mancanza d'orchestra e d'un organo rispondente alla sua abilità, a far eseguire musica da camera: libero dunque di darsi assiduamente alla composizione e d'accrescere la già forte autorità d'organista in concerti di grido. Fu, tra l'altro, a Lipsia, a Halle, ad Amburgo. Da uno dei viaggi - a Karlsbad, ove nel 1720 aveva dovuto accompagnare il principe - ebbe un triste ritorno: trovò morta, senza nemmeno averla saputa ammalata, la moglie Maria Barbara.

Le cure necessarie ai figliuoli, il bisogno di ricomporre la vita domestica, abbreviarono la sua vedovanza. Dal dicembre 1721 gli fu nuova compagna Anna Maddalena Wülken, figlia di un trombettiere "di corte e di campo", buona musicista, piacevole cantatrice, diligentissima amanuense. Alcune copie fatte da lei sono rimaste preziose. B. aveva avuto dalla prima moglie sette figli: ne ebbe tredici dalla seconda. Come i figliuoli delle prime nozze crescevano e cominciavano a mostrare inclinazione agli studî, convenne pensare a una residenza per l'avvenire. Egli mirava ad Amburgo. Ma il buon seggio d'organista in S. Giacomo, che gli stava a cuore, toccò, sembra per corruzione, a un altro aspirante.

Nel 1723 occupò, non senza lunghe esitazioni, dopo aver diretta una cantata di prova, il posto di Cantor nella scuola di S. Tomaso a Lipsia: impiego modesto e monotono che B. doveva trascinare per ventisei anni tra la meschinità dei mezzi musicali postigli a disposizione e gli attriti d'un piccolo mondo accademico-municipale. Di fatto, nella scuola egli mancava d'autorità e dava luogo a continue lagnanze del rettore.

Frattanto lavorava incessantemente. Già forte d'una produzione superba dopo le dimore a Weimar e a Köthen, nel venticinquennio di Lipsia sembra che la sua penna non conosca riposo: partite e suites per clavicembalo, le grandi fughe per organo accompagnate da preludî e fantasie, i concerti per uno o più strumenti solisti e orchestra - tra i quali i due mirabili per tre clavicembali - non sono che parte, sebbene oggi la più popolare e per sé stessa ricchissima, dell'inesausta fatica. Oratorî, messe, mottetti e soprattutto cantate, in numero, tra sacre e profane, d'oltre duecento, segnano il resto. Un vecchio latinista che l'apprezzava, il Gesner, per pochi anni rettore della scuola, traccia tra le righe d'un suo commento a Quintiliano uno schizzo vivace di B. direttore d'orchestra: "attento a tutti e a ciascuno, l'occhio pronto, l'orecchio teso, infocato dal ritmo, gesticolante e tonante, altro che Arione e Orfeo! Egli vale venti Arioni, è un Orfeo moltiplicato".

Che gli vale tanta costanza, tanta generosità di produzione? La gente continua ad ammirarlo per la sua destrezza di organista: quanto al comporre, è molto se gli dànno dell'accademico rispettabile. Sia pure l'opera ch'egli offre una delle massime espressioni dell'arte di tutti i tempi, sia - sgorgata miracolosamente, nel 1729, tra i crucci acri della scuola - la Passione secondo Matteo: nessuno ne parla. Nessun musicista chiede copia della partitura al maestro, che da parte sua s'affaticava fino agli ultimi anni a trascrivere, e anche semplicemente a copiare, ogni pagina che gli paresse di pregio.

Aveva del resto, per le manifestazioni pubbliche, un campo più lieto che non l'ombra aduggiata di S. Tomaso: cioè la direzione, tenuta fino al 1736, del Collegium Musicum, istituto di concerti avente a base un coro di studenti universitarî. Per esso B. compose parecchie delle cantate profane, lì allestiva l'esecuzione di quelle che scriveva per cerimonie accademiche o per festeggiare la presenża in Lipsia di questo o quel principe. All'organo, divenendogli rare, col tempo, le occasioni d'uscire dalla città - salvo qualche gita a Dresda, ove ascoltava di buon umore l'opera e i relativi Liederchen (ariette) - egli si faceva sentire in Lipsia stessa agli ammiratori che venivano a visitarlo. Ma le riunioni musicali più care erano quelle che teneva in casa, sedendo lui al clavicembalo e "concertandogli" intorno con le voci e con gli strumenti i buoni allievi, la moglie, i figli, "tutti - egli scriveva all'amico Erdmann - musicisti nati". Nel 1740 il secondogenito Carlo Filippo Emanuele veniva ammesso a far parte dell'orchestra da camera di Federico il Grande. Questi, attratto dalla fama austera del cantor di Lipsia, manifestò al figliuolo di lui il desiderio di conoscerlo. Giovanni Sebastiano non ebbe fretta di raccoglier l'invito: giunse, col primogenito Guglielmo Friedemann, alla corte di Potsdam una domenica di maggio del '47. Ma il re, che si trovava co' suoi musicisti, sul punto di sonare egli stesso, come soleva, tra loro, fece introdurre immediaiamente il vecchio maestro, senza concedergli neppure il tempo d'indossare l'abito di gala, e lo ascoltò a lungo, quel giorno e il seguente, improvvisare al cembalo e all'organo. Fu, questa, l'ultima delle circostanze esteriormente notevoli nella vita dell'artista. Tornato a Lipsia rielaborò per esteso, con tutte le accortezze del suo inarrivabile contrappunto, il tema di fuga datogli per l'improvvisazione dal re. Fece stampare il lavoro col titolo Das musikalische Opfer ("L'offerta musicale") e lo dedicò a Federico II.

Gli ultimi anni attese a corali per organo e al suo testamento di contrappuntista: L'Arte della Fuga (1749). La salute, fino allora di una robustezza senza eccezione, gli s'era improvvisamente scossa. Già miope, un grave indebolimento della vista l'aveva colpito: si sottopose ad un'operazione, nelle mani d'un chirurgo inglese che passava per Lipsia, e peggiorò; una seconda operazione lo rese cieco. Qualche tempo dopo, ricominciando a vedere, ebbe speranza di guarigione. Non potendo scrivere, prese a dettare al genero Altnikol un corale per organo: Comparirò innanzi al tuo trono... Morì all'improvviso per un attacco d'apoplessia. Fu seppellito il 31 luglio 1750, presso la chiesa di S. Giovanni. Nessuna pietra, nessun'epigrafe fu posta a certificare il sepolcro.

Dei venti figli che ebbe, nove soltanto gli sopravvissero. Bach poté vederne alcuni avviati a buona carriera: Wilhelm Friedemann (v.), Karl Philipp Emanuel (v.). Il maggiore del secondo letto, Goffredo-Enrico, morto a trentanove anni, lasciò sotto il nome leggendario di David Bach strano ricordo di deficienza mentale unita a sorprendenti e commoventi facoltà d'improvvisatore al cembalo. Johann Christian (v.) passò a Londra. Delle figliuole, Giuliana Federica aveva sposato Altnikol, uno tra gli affezionati allievi dei padre, e teneva presso di sé David, il fratello infelice. Le altre non si maritarono.

Sola eredità di Giovanni Sebastiano, con i libri e i numerosi strumenti, fu la gran mole dei suoi manoscritti. Se ne presero la massima parte i due figli maggiori, prima ancora che un inventario permettesse di assegnare agli altri e alla vedova quanto loro spettava: molti di quelli toccati a Friedemann andarono disgraziatamente dispersi. La buona, la laboriosa Anna Maddalena morì dopo dieci anni infelici, in povertà estrema, e ignoto è rimasto il luogo del suo riposo. L'ultima delle figlie, Regina Susanna, appena adolescente alla morte del padre, dovette esser soccorsa, nella miseria dei tardi giorni, da qualche commosso ammiratore della grandezza paterna. Sulle colonne della Allgemeine musikalische Zeitung di Lipsia, l'anno 1800, Federico Rochlitz invocava per la figlia del sommo fra i musicisti tedeschi la pubblica pietà. Raccolse novantacinque talleri: i primi li aveva sottoscritti Beethoven.

Il maestro e l'uomo. - "La scuola ha bisogno d'un cantor e non d'un direttore d'orchestra. Il signor Bach era eccellente musicista: non era affatto un insegnante". Tale il dispettoso elogio che il consiglio di Lipsia consacrò a verbale, cercando un successore a chi aveva scritto il Magnificat in re e la Messa in si minore. Era giusto? A seguir la cronaca dei cinque lustri a S. Tomaso, monotona e scoraggiante nel succedersi dei disordini e delle diatribe, a dover commiserare un B. inasprito e puntiglioso, incapace di tener testa a un gruppo di alunni riottosi e volgari, ferito dal disdegno del rettore e dall'ironica superiorità dei colleghi, curvo a rediger querele e sempre pronto a irritarsi per ogni vera o pretesa lesione del suo amor proprio, a vederlo, soprattutto, disamorato d'un insegnamento di cui nessuno gli portava la minima riconoscenza, potrebbe parer di sì. Ma nel sereno della sua casa, tra i figli e i pochi allievi capaci di sostenere il duro tirocinio ch'egli imponeva e di scaldarsi ai suoi entusiasmi, quale maestro fu maggiore di lui? Impaziente e sfiduciato fuori, seguiva ogni passo, ogni progresso de' suoi con indicibile amore. Maestro nel senso più eletto, anche pedagogico, della parola, creava ai discepoli veri il modello perfetto per i loro studî, se li raccoglieva intorno per le esperienze dell'arte. Sono frutto di questa paziente applicazione i quarantacinque corali dell'Orgelbüchlein, la più dolce e spirituale iniziazione all'organo che si conosca. Nascono, sì, dallo stesso amore il Clavierbüchlein per le mani decenni del figlio Friedemann, e le Invenzioni e le Sinfonie e la prima parte del Clavicembalo ben temperato. Poi, quando vuol condurre il primogenito ad afferrare le più svarianti immagini musicali anche se irte di difficoltà tecniche, egli compone le sei Sonate per organo o per clavicembalo a due tastiere e pedale: maschie e floride pagine nelle quali la forma della "variazione" lampeggia di fantasia. Dei figli aveva stima e sentiva fierezza: volle, per i due maggiori, l'ornamento degli studi universitarî che aveva dovuto negare a sé stesso. Con i nomi loro, quelli di J. G. Vogler, di G. Ziegler, di J. F. Agricola, del Kirnberger, del Kittel vanno ricordati tra gli allievi, sebbene nessuno abbia avuto ali.

Integrava l'atmosfera musicale della sua casa una nobile limpida atmosfera morale. B. era pio, d'una pietà chiara e franca che s'accompagnava con ogni forma della sua attività spirituale. Il comporre era per lui atto essenzialmente religioso: dalle cose più umili, come le norme dettate per armonizzare il "basso continuo", fino alle partiture delle cantate e delle grandi Passioni, tutto era pensato e compiuto "a gloria di Dio e a ricreazione dello spirito", vigilando ciascun manoscritto le sigle S.D.G. (soli Deo gloria) oppure J. J. (Jesu juva). La lettura di opere teologiche, che possedeva in abbondanza, lo avvinceva profondamente; ma non sembra per questo ch'egli prendesse partito tra le due correnti, ortodossa e pietista, che divisero a quel tempo il campo protestante.

Dell'arte propria era convinto, con modesta e serena fermezza, come chi sa d'aver eseguito a dovere il compito che s'è prefisso. Verso i colleghi accogliente e amabile: nei giudizî metteva, di proposito, un'equità scrupolosa. Nessuno sorprese mai in lui l'atteggiamento orgoglioso e schivo di chi porta in sé gravi e impenetrabili segreti, concezioni laboriose e difficili. In verità sembrava, dal modo con cui accoglieva gli elogi rivolti alla sua maravigliosa maestria, che questa fosse la cosa più naturale del mondo: "Ho dovuto esercitarmì - ripeteva -, esercitatevi altrettanto ed otterrete i miei risultati".

In cospetto dell'arte sua i contemporanei mostrarono una mediocrità d'intendimento che avrebbe facilmente abbattuto una fibra meno energica: tutti s'inchinavano al clavicembalista perfetto, all'insuperato organista, all'improvvisatore pronto e sapiente: nessuno esaltò il creatore di bellezze immortali. Il destino rapidamente brillante e poi trionfale di Giorgio Federico Händel - che B. si rammaricò sempre di non aver conosciuto di persona - mostra quale rango d'artista si creasse all'autore del Messia in confronto al cantor di S. Tomaso. Non c'è, in tutta la critica contemporanea, che una sola tarda allusione alla Passione secondo Matteo, e dice soltanto ch'è "l'opera assai ingegnosa d'un gran maestro del contrappunto doppio". Così il Marpurg, che pontificava a Berlino: e già il sapiente per eccellenza tra i musicisti d'allora, Giovanni Mattheson, aveva mosso osservazioni severe ad una delle cantate: e l'organista e scrittore Giov. Adolfo Scheibe, trattando sulla sua rivista Der kritische Musikus (Amburgo, 1737-40) dell'arte bachiana in generale, e lodato come sempre l'inarrivabile signore degli strumenti a tastiera, definiva gonfia, astrusa e ingrata la sua musica, e paragonava il maestro di Lipsia ad un vecchio e decaduto scrittore d'ampollose tragedie: il signor di Lohenstein. Qualche reazione a questo giudizio doveva inasprire anche peggio, in seguito, la penna dello Scheibe. Il quale, nondimeno, è l'unico che abbia allora intravisto nel mondo poetico-musicale di B. una sfera superiore, pur essendo giunto a conclusioni infelici.

Non senza acutezza un interprete moderno del genio di Eisenach, lo Schweitzer, di fronte al destino che Giovanni Sebastiano ebbe in vita, ricorda quello di Emanuele Kant. Anche la critica li considerò sotto uno stesso angolo visuale: l'atteggiamento dello Scheibe verso l'arte di B. è simile a quello, famoso, che il Garve-Feder assunse contro la Critica della ragion pura. Quanto alla gloria, che sollevò il musicista e il filosofo ad eroi nazionali, essa non fu per entrambi che un decreto della posterità.

L'artista. - Solo a percorrer con l'occhio l'arida nomenclatura dei folti volumi, si ha un'impressione singolare di compattezza, d'insistenza; s'avverte la costanza e la fissità del pensiero che li ha dettati. Una classificazione scolastica s'esaurirebbe nella designazione di pochi "generi", ciascuno sigillato da un proprio schema prammatico: oratorio, cantata, suite, variazione, concerto. Culmine, e pietra di paragone della composizione a schema, la fuga: Bach ne è infatti l'insuperato maestro. Il suo volto notorio è quello del massimo legislatore del contrappunto: la sua figura, per i più, quella del costruttore d'infaticata abilità nel disporre e condurre le fila dei suoni, le "voci", le "parti", a trame di grado in grado più dense, a echi, a incontri, a rincalzi, a rincorse, fino all'improrogabile necessità del riposo. Una somma formidabile di espedienti lo assiste nello strenuo lavoro. Il nesciens se numerare di Leibniz rischia dunque di convertirsi, con B., in consapevolezza e volontà di calcolo! O non piuttosto la sua visione d'artista esige codesta duttilità, codesta sottomissione e meticolosa rispondenza della materia sonora per meglio trascenderla, per comporre delle sue rifrangenze e resultanze uno specchio al proprio spirito?

L'immagine del "Dio geometrizzante" di Platone sembra concretarsi nell'ordine artistico di G. S. Bach. Arte d'un idealismo immacolato, quella di B., e, platonicamente, esemplare: ogni pensiero vi è limpido, ogni immagine intuibile e concreta, ogni intreccio e rapporto e ricorso di figure foniche - temi, motivi, incisi - disposto a specchio d'un disegno mentale che non soffre angustia di spazio né peso di materia. Essa congiunge alle norme d'una regola irreprensibile le ampiezze d'una sublime libertà. Crea la propria consistenza, è arbitra delle proprie dimensioni; come una architettura immateriale, squadra e contiene il tempo in forme aeree, perenni, dominate da una stupenda euritmia.

Rare volte il genio umano è salito ad una conquista altrettanto piena ardita e potente della forma, e ha saputo concepirla in un senso così squisitamente estetico. Ciò che B. ha ottenuto da una elaborazione puramente musicale dei suoni - la struttura monumentale, la ricchezza e la docilità dei disegni, la risolutezza inattesa e ferrea dei nessi, la molteplicità delle espressioni drammaticamente confluenti a lirica unità - ciò ch'egli ha attinto di vita e di plastica organicità da una sfera totalmente immaginativa, costituisce, nella storia della creazione artistica, uno de' più alti prodigi. L'arte di B. non ha bisogno d'essere interpretata in funzione di un momento "storico" del sentimento e del pensiero. Non raccoglie, non ricostruisce, non impone questo o quel grado, titanicamente conquistato, dell'esperienza spirituale, come fa l'arte d'un Beethoven o d'un Wagner.

Pertanto il dato biografico, la vicenda soggettiva delle passioni, l'alternarsi degl'interessi spirituali, le fasi, le crisi, le vittorie della coscienza creatrice, sono secondarî. Chi può parlare, a proposito di questa, come si è fatto per l'opera di altri grandi, di due, di tre stili? Lo stile di B. è uno: è un suggello congenito della sua tempera mentale e musicale. Il Capriccio sopra la lontananza del fratello e la cantata Denn Du wirst meine Seele, scritti a vent'anni, portano già i germi ben definiti della sua peculiare espressione, mostrano aperto il cammino ch'egli dovrà percorrere. Ciò che, nel seguito, egli assimilerà da altri maestri - e sarà molto, soprattutto dagl'Italiani - è irrevocabilmente destinato a perdere il sapore nativo per fondersi nel gusto prepotente dell'arte bachiana. Le sue conquiste estetiche fondamentali sorgono precoci e veloci: tra i venticinque e i trentacinque anni egli giunge alle sette veementi Toccate per clavicembalo, nelle quali un'ispirazione alata spazia per forme scultorie, alla Passacaglia e alla Fantasia e fuga in sol minore per organo, alle Sonate per violino solo, ai Concerti Brandenburghesi per orchestra. A quarant'anni ha terminato la Fantasia Cromatica con la gigantesca fuga, il Magnificat in re, i quattro Sanctus e la Passione secondo S. Giovanni per soli, cori ed orchestra, ed è sulla soglia della Passione secondo S. Matteo. Le parole supreme sono già dette. Da allora egli non si ripete, perché la sua immaginazione è inesauribile.

B., dice acutamente André Pirro (L'Esthétique de J.-S. B p. 444), "è il grande predicatore musicale della dottrina di Lutero". A parte la generica mediocrità, tranne poche eccezioni, e qualche volta la goffaggine letteraria e sentimentale dei testi poetici intonati dal mirabile cantor (furono tra i suoi "poeti" Erdmann Neumeister, Salomon Frank e, nel periodo di Lipsia, Christian Friedrich Enrici [Picander]), una sintesi musicalmente alta ed accesa del messaggio evangelico e degli echi che questo suscita nel cuore di chi l'apprende secondo lo spirito del riformatore di Eisleben trascorre veramente le pagine bachiane, dai corali per organo alle cantate, dalle messe - di cui alcune parti non erano escluse dalla liturgia luterana - agli oratori e alle Passioni. Anche a prescindere dalla forma e dalla tecnica (che aggiunge al coro le melodie a solo e l'orchestra) di una messa che Gian Sebastiano immagini e intitoli "cattolica" (la Messa in si min.), non basta forse uno solo dei suoi accenti a distinguerla dall'arte piena di spirituale liberazione, di estatica certezza, di trascendentale splendore, innalzata dal veramente cattolico, e romano, Palestrina?

Ma in B., per quanto il "predicatore" sia facondo e veemente, troppo più grande è l'artista. L'intenzione oratoria cede suo malgrado il campo alle esigenze di un'architettura più raffinata e meditata. Se anche si trovi, com'è lecito, soverchia l'insistenza di qualche commentatore dell'opera bachiana nel voler additare in ogni minimo disegno o tratto strumentale un'intenzione allusiva, simbolica, a cui presieda quasi un lessico rigido di formule "descrittive" è certo che, entro una sfera più libera e immaginosa, l'orchestra di B. conosce gli echi penetranti, i riflessi delicati, e coglie le opportunità pittoresche. Il complesso, ancora arcaicizzante, degli strumenti, è vario di timbri gustosi: flauti, oboi, trombe acute, corni da caccia, liuti e, tra gli archi, le diverse e predilette viole. V'è quanto basta perche il musicista giunga a colorite evocazioni di paese o, in generale, d'ambiente. Il movimento delle acque del Giordano visitate da Gesù, reso con squisita pittura orchestrale nella cantata num. 7 (Christ unser Herr zum Jordan kam); la notte di dicembre nella campagna sassone, teneramente descritta al principio dell'Oratorio di Natale; il poema primaverile onde fiorisce la cantata nuziale Weichet nur betrübte Schatten; l'inquietudine degli elementi e la mestizia d'autunno nel "dramma per musica" Eolo soddisfatto (in onore di A.F. Müller, 1725) - per ricordare, con queste ultime, due delle composizioni profane - ne sono esempî; ben pochi in una moltitudine immensa. Come poco, in relazione al prestigio con cui sono sinfonicamente riflessi tanti intimi stati dell'animo, è l'accennare alla mistica "contemplazione della morte" che precede la cantata Actus tragicus (Gottes Zeit, n. 106), o allo stupendo accordo tra anima e natura, circonfuse dalle armonie della sera in una sola aura di pace, che consacra il momento in cui il corpo di Gesù abbandona la croce: scena e pagina tra le più colme d'intraducibile poesia entro il grandioso affresco, pari nell'ispirazione musicale all'altezza evangelica, ch'è la Passione secondo Matteo.

Come tutti i grandi autodidatti, B. fu avido conoscitore e assimilatore dell'opera di altri artisti. Nessuno gli fu maestro, ed egli prese tutti a maestri. In giovinezza, gli organisti che di fatto o di spirito si trovava vicini, elaboratori di corali, autori di cantate e Passioni: i gravi e riflessivi Turingi, come Rudolf Ahle e Giovanni Pachelbel dal contrappunto austero, e i più fantasiosi, più ornati maestri del nord: il vecchio Reinken, Georg Böhm, Dietrich Buxtehude. Durante il periodo di Weimar (1708-17), familiarizzato con i clavicembalisti francesi e con Couperin in ispecie, intraprendere l'esplorazione assidua, già ricordata, degl'Italiani. La sua attenzione si volge, di preferenza, ai maestri dell'Italia del nord, i capostipiti, invero, del rinascimento musicale in Germania: poiché alla scuola di Andrea e Giovanni Gabrieli s'eran formati, tra il finire del Cinquecento e l'aprirsi del Seicento, Hans Leo Hasler e lo Schütz; e a quella di Frescobaldi, pochi decenni più tardi, il Froberger e il Tunder, precedessore, a Lubecca, del Buxtehude.

Allo studio del Frescobaldi, del Corelli, del Legrenzi, Bach associa quello dei veneziani suoi quasi contemporanei: Lotti, Caldara, Marcello, Albinoni, Vivaldi. Su quest'ultimo in particolare ha l'occhio vigile. Se da Lotti deriva più d'uno spunto melodico impresso di veneta spigliatezza, se da Corelli, da Legrenzi, da Albinoni stacca e svolge temi di fughe, i concerti del Vivaldi sono oggetto di un'elaborazione ben più attenta: venti di essi (secondo le appendici del Sandford Terry alla traduzione inglese della biografia del Forkel, 1920) passano, per mano di Bach, interi al clavicembalo e all'organo; il concerto per quattro violini viene trascritto per altrettanti cembali.

Quanti e quali sussidî alla tecnica della composizione, alla formazione e alla sicurezza del gusto B. abbia tratto dallo studio degl'Italiani - a cui s'aggiunge, durante il periodo di Lipsia, un nuovo interesse destatogli dal Palestrina - è difficile dire con precisione. La storia critica di codesti influssi, sebbene iniziata dallo Spitta nella sua fondamentale monografia su B., e riassunta con qualche nuovo contributo d'informazione e d'osservazione dallo Schweitzer e dal Pirro (v. Bibl.), non è, a tutt'oggi, esauriente, e soffre comunque per il fatto che non pochi dei modelli originali, specialmente tra i concerti del Vivaldi, sono perduti. E, lacuna non meno sensibile, l'esame delle influenze mediate, dovute ad assimilazioni d'arte italiana per parte dei musicisti tedeschi anteriori a Giovanni Sebastiano, è un tema che, sfiorato parzialmente in qualche saggio straniero, non ha ancora tentato, come dovrebbe, con adeguata ampiezza d'indagini, nessun studioso italiano. Si sarà genericamente nel vero, dicendo che, come i maestri del nord avevano preparato a B. animo e mano alle lunghe soste fantasiose, alla meditazione contrappuntistica sul fulcro musicale della Riforma - il corale - e l'avevano iniziato alla loro casta intonazione della poesia biblica, gl'Italiani a loro volta - i "nuovi" Italiani del fervido Seicento, e i Veneti settecentisti, inventori e coloritori dal polso vivace - gli dànno esempio di ciò che la Germania musicale ancora non possedeva: l'equilibrio armonioso della forma, il nitido immediato riflesso affettivo della melodia, lo slancio dell'espressione drammatica. Chiaro e proficuo esempio a chi poteva trasformarlo in anelito originale, in intima disciplina, in nuova sostanza d'arte, senza nulla perdere della propria tempra nativa! Esempio, del resto, non sempre e non del tutto seguibile, nemmeno da un Bach. Anch'egli ha zone in cui minore è la sensibilità, in cui la scorza teutonica conserva qualche rigidità. Allora - nelle rare espressioni d'amore (si rammentino i duetti delle cantate Nur Jedem das Seine e Wachet auf; la tenera aria di Febo al "bel Giacinto" nella Sfida di Febo e Pan; le due superstiti cantate su testo italiano: Amor traditore e Non sa che sia dolore) o nella ricerca del sapor comico (cantate: Il nuovo governo, Schlendrian o "sul caffé") - l'appoggio al tipo italiano s'avverte come qualcosa d'estrinseco, quasi di materiale. La forma nostrana dell'aria a strofe, tornita dalla ripresa del periodo iniziale, che Bach adotta volentieri, non vale a suggerigli il canto morbido, abbandonato, né l'alacre, maliziosa comicità dei modelli. Lo spunto melodico si smussa facilmente in formule piatte, il sentimento si restringe a bonarietà borghese o cede a un umorismo di vena alquanto grossa e popolaresca. Bisogna rifarsi ai mistici poemi vocali e alle fulgide architetture della musica strumentale per ritrovare, unita alla fantasia maschia e superba, la fervida forma, modellata sul rapido scorrere del pensiero; la tecnica fluida nelle vicende più ardue d'una dialettica instancabile, granitica nelle strutture complesse e nelle sintesi audaci.

La fortuna postuma. - È un'epoca severa e forte della storia musicale tedesca, quella che si chiude nell'opera di Gian Sebastiano Bach. Un tronco che ha le prime radici nel movimento di coscienza provocato dalla Riforma di cui è espressione musicalmente popolare il corale (e sarebbe da vedere quanto, alla struttura e alla fisionomia del corale, ha dato la "lauda" del Medioevo italiano); che sale a vigore d'arte con Enrico Schütz; che s'espande tra gli operosi maestri della Germania sassone e settentrionale, assorti artieri nell'ombra delle tacite chiese; che non ha propaggini degne della tradizione formidabilmente accresciuta, dopo l'apparizione del cantor di Lipsia. Ai suoi giorni, come creatore, non lo avevan compreso: alla sua morte i giovani mirano ad altro. L'austerità luterana si confinava nel chiuso di teologi e professori: una cultura più fresca, più ariosa e moderna urgeva, la Germania voleva anch'essa un suo rinascimento. Dresda, tutta italianizzata, era da tempo il "paradiso dei musicisti" ora Lipsia si preparava a diventare il centro ideale della musica tedesca. Ma di una musica nuova, piacente, fragrante: e le ceneri ancora calde di Bach erano lo spento, l'antico. Gotico, il vecchio cantor, lo avevano già detto in vita: glielo rinfacciava, con allusione sprezzante al folto delle sue figurazioni e alla sottigliezza dei contrappunti, lo Scheibe. Ora, secondo il precetto del critico più ascoltato, il Mattheson, s'attende "una melodia facile, amabile, distinta, scorrevole". E a propiziarsi gli ascoltatori, i discepoli stessi di Bach rinnegano, senza parere, il maestro: Lodovico Krebs, il prediletto, fa pubblica dichiarazione di "semplicità", Federico Doles, oltre che allievo, successore di B. sulla cattedra di S. Tomaso, assicura che terrà fisso l'occhio ai modelli di Dresda, Graun e Hasse, "dolci e toccanti".

Certo, alla musica tedesca si preparavano altri destini. Sul teatro sorgeva l'astro di Gluck; come scuola di musica strumentale Mannheim preludeva alla gloria sinfonica di Vienna. Quando, nel 1752, uscì postuma per le stampe l'Arte della fuga, il figlio di Bach, Carlo Filippo Emanuele, non trovò nessuno che la comprasse: vendutine a fatica, grazie all'aggiunta d'una prefazione del Marpurg, trenta esemplari in quattordici anni, dové liberarsi delle lastre incise vendendole a peso di metallo. Egli e il Doles furono pressoché i soli a eseguire, di tempo in tempo, alcune delle cantate sacre e delle Passioni. E, tolte le poche opere che Giovanni Sebastiano aveva pubblicate in vita, la gran mole delle musiche inedite ramingò durante il sec. XVIII, sulle pagine autografe o nelle copie domestiche, tra i figli e tra occasionali compratori.

Dovevano correre cinquant'anni dalla morte di Bach, per far sorgere i primi segni d'attenzione intorno all'opera sua. Doveva, dopo Herder e con i pionieri del movimento romantico, tornare in onore il gotico, il vecchio-tedesco, l'arte di un Cranach e di un Dürer, perché, sospinta da quel flusso di medioevo, aggrappata agli ultimi lembi dell'antica coscienza luterana, si scoprisse a poco a poco, la figura del più forte fra i musicisti, dell'eccelso fra i classici. Il nuovo grido d'ammirazione per Bach è nel saggio critico dedicatogli da Nicola Forkel, nel 1802. Ventisette anni più tardi, cadendo un secolo dalla prima esecuzione, la Passione secondo Matteo, diretta da Mendelssohn al Gewandhaus di Lipsia, rivelava finalmente al mondo un capolavoro, alla Germania il suo genio.

Opere. - Della propria copiosissima produzione Giovanni Sebastiano Bach non pubblicò per le stampe se non una minima parte: di preferenza opere per clavicembalo, raccolte, sotto il titolo complessivo di Clavierübung, in quattro sezioni. La parola Übung, significante alla lettera "esercizio", è da prendersi in questo caso nel senso di "ricreazione" o, con accezione anche musicale, "divertimento". Ecco i titoli delle poche pubblicazioni curate dall'artista: Clavierübung, parte I-IV; Variazioni per organo sul corale di Natale; Sei Corali trascritti per organo da varie cantate; Das musikalische Opfer ("L'offerta musicale", dedicata a Federico II). Die Kunst der Fuge ("L'arte della fuga") uscì postuma nel 1752. La prima edizione del Clavicembalo ben temperato (Zurigo, Naegeli) è del 1800; la prima del Magnificat, che pur precedette, e di molto, la stampa delle altre grandi opere vocali e corali, è del 1811 (Bonn, Simrock); la Messa in si minore fu edita primamente in due tronchi disgiunti: Kyrie e Gloria, nel 1836, dal Naegeli, il resto nel 1845 dal Simrock.

La società Bach (Bachgesellschaft), fondata a Lipsia nel 1850, intraprese nel '51 e condusse a termine nel 1900 l'edizione critica di tutte le opere, molte delle quali videro così per la prima volta la luce (59 volumi, presso Breitkopf e Haertel, Lipsia). Poiché un elenco completo, per titoli o capoversi, delle composizioni bachiane occuperebbe lunghissimo spazio, si riporta qui l'indice per annate e volumi di questa fondamentale - e monumentale - edizione.

I. Cantate da chiesa, nn.1-10; II. Cantate da chiesa, nn. 11-20; III. Opere per clavicembalo; IV. Passione secondo S. Matteo; V. Vol. I, Cantate da chiesa, nn. 21-30; Vol. II, Oratorio di Natale; VI. Messa in si minore; VII. Cantate da chiesa, nn. 31-40; VIII. Quattro messe; IX. Musica da camera; X. Cantate da chiesa, nn. 41-50; XI. Vol. I, Magnificat in Re maggiore; quattro Sanctus; Vol. II, Cantate profane; XII. XIII. I, Passione secondo S. Giovanni; Vol. II, Cantate da chiesa, nn. 51-60; XIII. Vol. I, Quattro cantate nuziali; Vol. II, Ode funebre; XIV. Il clavicembalo ben temperato; XV. Opere per organo: sonate, preludî, fughe, toccate, passacaglia; XVI. Cantate da chiesa, nn. 61-70; XVII. Musica da camera: Sette concerti, per clavicembalo e orchestra; Concerto a tre, per clavicembalo, flauto e violino: XVIII. Cantate da chiesa, nn. 71-80; XIX. Sei concerti per orchestra ("Concerti Brandenburghesi"); XX. Vol. I, Cantate da chiesa, nn. 81-90; Vol. II, Cantate profane; XXI. Vol. I, Quattro concerti per violino e orchestra; Vol. II, Tre concerti per due clavicembali e orchestra; Vol. III, Oratorio di Pasqua; XXII. Cantate da chiesa, nn. 91-100; XXIII. Cantate da chiesa, nn. 101-110; XXIV Cantate da chiesa, nn. 111-120; XXV. Vol. I, L'arte della fuga; Vol. II, Orgelbüchlein; Sei corali; Diciotto corali; XXVI. Cantate da chiesa, nn. 121-130; XXVIl. Vol. I, Sei sonate per violino solo; Sei suites per violoncello solo; Vol. II, Catalogo tematico delle cantate da chiesa, nn.1-120; XXVIII. Cantate da chiesa, nn. 131-140; XXIX. Cantate profane; XXX. Cantate da chiesa, nn. 141-150; XXXI. Vol. I, Opere per orchestra: Ouvertures in do magg., si minore, re maggiore; Sinfonia in fa maggiore; Vol. II, L'offerta musicale; Vol. III, Due concerti per tre clavicembali e orchestra; XXXII. Cantate da chiesa, nn. 151-160; XXXIII. Cantate da chiesa, nn. 161-170: XXXIV. Cantate profane; XXXV. Cantate da chiesa, nn. 171-180; XXXVI. Opere per clavitembalo: preludî, fughe, fantasie; XXXVII. Cantate da chiesa, nn. 181-190; XXXVIII. Vol. I, Opere per organo: preludî, fughe, fantasie; Vol. II, Trascrizioni dei Concerti di Vivaldi; XXXIX. Vol. I, Mottetti; Vol. II, Corali e Canzoni spirituali; XI. Opere per organo: preludî e corali della collezione di Kirnberger; preludî, corali e variazioni su corali; XLI. Cantata da chiesa, n. 191; Gloria in excelsis; Cantate incomplete di dubbia autenticità; XL. II. Musiche per clavicembalo: trascrizioni e pezzi di dubbia autenticità; XLIII. Vol. I, Musica da camera: Tre sonate per flauto e basso numerato; Sonate e fuga per violino e basso numerato; Sonata per due clavicembali; Conrerto per quattro clavicembali, trascritto da un concerto di Vivaldi; Appendice: Concerto per quattro violini di Antonio Vivaldi, nella forma originale; Vol. II, due Clavierbüchlein di Anna Maddalena Bach; XLIV. Autografi di G. S. Bach riprodotti per ordine cronologico; XLV. Vol. I, Suites inglesi e francesi per clavicembalo (ristampa in luogo del vol. II della 13a annata); Vol. II, Passione secondo S. Luca; XLVI. Resoconto delle pubblicazioni della Bachgesellschaft; indici.

Non risultano naturalmente da questo elenco le composizioni perdute: tra ottanta e cento cantate sacre, alcune profane, tutti i mottetti su testo latino e parecchi su testo tedesco, un Magnificat. Perduta è pure la Passione secondo S. Marco, ma si ritiene che la musica di questa sia stata utilizzata da Bach per l'Ode funebre (cfr. la prefazione del Rust al vol. XX, parte II, delle Opere). Per contro la Passione secondo .S. Luca, benché pervenuta in partitura di mano del maestro e portante la sigla di lui, è generalmente ritenuta, per il suo scarso valore musicale, copia fatta da Bach, come molte altre, da un manoscritto d'autore ignoto.

Quali edizioni moderne, per l'uso pratico, delle opere complete di G. S. Bach sono da segnalare quella della Neue Bachgesellschaft, Lipsia, 1903 e segg.; e quella della Casa Peters, pure di Lipsia. Tra i revisori delle composizioni pianistiche hanno ottimo posto gl'italiani Ferruccio Busoni e Bruno Mugellini (Lipsia, Milano). Molte opere per organo, per violino, per violoncello e per orchestra sono state modernamente trascritte per pianoforte.

Bibl.: La prima notizia biografica su G. S. Bach fu compilata dal figlio Carlo Filippo Emanuele in collaborazione con J. F. Agricola e inserita in una memoria necrologica portante il titolo: Denkmal dreyer verstorbenen Mitglieder der Societät der musikalischen Wissenschaften (Ricordo di tre defunti membri della Società per le scienze musicali) che comparve nella Musikalische Bibliothek di L. Mizler, IV, i, Lipsia 1754. (Gli altri due ricordati nel necrologio sono G. H. Bumler e G. H. Stolzel). Dallo stesso C. F. Emanuele Bach ebbe notizie e aneddoti, e ottenne visione di manoscritti J. N. Forkel per la stesura del suo bel saggio: Über Bachs Leben, Kunst und Kunstwerke, Lipsia 1802. L'opera di Bach vi è per la prima volta additata come "patrimonio nazionale d'inestimabile valore". Ma il maggior monumento storico-critico dedicato al cantor è l'opera di Philipp Spitta, J. S. B., voll. 2, Lipsia 1873-1880 (traduzione inglese di Clara Bell e J. A. Fuller Maitland, Londra 1899). Il lavoro dello Spitta, ricchissimo di documenti e di osservazioni sagaci, ha, si può dire, annullato i pochi tentativi che l'avevano preceduto, compresa la diffusa monografia di C. H. Bitter, J. S. B. (voll. 2, Berlino 1865; 2ª ed., voll. 4, 1881), ed è oggi ancora fondamentale.

Tra gl'innumerevoli saggi venuti dopo, possono segnalarsi, come opere di divulgazione o come interpretazioni critiche: W. Cart, Étude sur J.-S. Bach, 2ª ed., Parigi 1898; H. Barth, J.-S. B., Berlino 1902; A. Prüfer, B. und die Tonkunst des 19ten Jahrhunderts, Lipsia 1904; A. Pirro, L'Orgue de J.-S. B., Parigi 1894; id., J.-S. Bach, Parigi 1906; id., L'Esthétique de J.-S. B., Parigi 1907; A. Schering, Bach's Textbehandlung, Lipsia 1900; id., Zur Bachforschung, I e II (Sammelbände der internationalen Musikgesellschaft, Lipsia 1902-3-4); id., Geschichte des Instrumentalkonzerts, Lipsia 1905; id., Geschichte des oratoriums, Lipsia 1911; Ph. Wolfrum, J.-S. B. (coll. Musik diretta da R. Strauss, voll. 13-14, Berlino 1906); id., J. S. B., voll. 2, 1910; A. Schweitzer, J.-S. B., le musicien-poète, Lipsia 1905 (da raccomandarsi in particolrae la 4ª e 5ª ed. tedesca, col solo titolo J. S. B., Lipsia 1924, molto aumentata); H. H. Parry, J. S. B., 1909 (ingl.); J. Tiersot, Bach, Parigi 1912.

Tra i saggi di critica tecnica: I. Mayrhofer, Bachstudien, Lipsia 1901 (sulle opere per organo); M. Kobelt, B. grosses Magnificat (1903, dissertaz.); A. Heuss, J. S. B. Matthäuspassion, 1909; J. A. Fuller Maitland, The toccatas of B. (Sammelbände d. int. Musikgesellschaft, XIV, p. 578 segg.); R. Wustmann, J. S. B. Kantatentexte, Lipsia 1913; L. Wolff, J. S. B. Kirchenkantaten, Lipsia 1914; E. Kurth, Grundlagen des linearen Kontrapunkt; Einführung in Stil u. Technik von Bachs melodischer Polyphonie, Berna 1917; W. Voigt, Die Kirchenkantaten J. S. B. (ed. dal Württembergischer Bachverein, 1918); S. Jadassohn, L'Art de la Fugue de J.-S. B., in Riv. mus. ital., II; A. Longo, Le opere clavicembalistiche di G. S. B., in Arte pianistica, 1923-24-25.

Si vedano anche le prefazioni del Rust, del Dehn, ecc., ai singoli volumi dell'ediz. critica curata dalla Bachgesellschaft. Per l'iconografia, vedi W. His, Anatomische Forschungen über J. S. B. Gebeine u. Antlitz, Lipsia 1895, e il vol. citato di W. Cart. Una miniera di studî bachiani in genere è costituita dagli Annuarî Bach (Bach-Jahrbücher) che la Neue Bachgesellschaft pubblica a Lipsia a datare dal 1904.

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