HERDER, Johann Gottfried

Enciclopedia Italiana (1933)

HERDER, Johann Gottfried

Vittorio Santoli

Estetico, letterato, storico e teologo tedesco, nato il 25 agosto 1744 a Mohrungen nella Prussia orientale, morto a Weimar il 18 dicembre 1803. Un bizzarro pedante gl'insegnò il latino, l'iniziò al greco e all'ebraico, alla filosofia e alla teologia; un diacono, certo Trescho, che si dilettava di lettere, ne fece il suo scriba. Nell'inverno 1761-62, un chirurgo militare russo, certo Schwarzenloh, si offrì di portarlo a Königsberg e d'avviarlo alla chirurgia. Ma la medicina non faceva per il giovane H., che il 10 agosto 1762 s'immatricolava in teologia. Si fece presto apprezzare; e in Kant e in J. G. Hamann trovò maestri, protettori e amici. Raccomandato dal Hamann, il 22 novembre 1764 partì per Riga, collaboratore a quella scuola cattedrale; e a Riga, divenuto anche (1767) pastore aggiunto, iniziò il lavoro della sua vita: insegnare agli uomini, educarli - sia come maestro sia come ecclesiastico - a una "umana filosofia". Introdotto nella società, iniziato alla locale loggia massonica, amò Riga per la libertà che gli offriva; finché il desiderio di un'esistenza nuova e più mossa lo prese. S'imbarcava, così, il 5 giugno 1769, e il 16 luglio giungeva. a Nantes. Scontento di quel che aveva fatto, meditava una storia universale della cultura, sognava di farsi riformatore di Riga e della Russia, di estirparvi l'ignoranza, di diffondervi la libertà. Impratichitosi del francese, il 4 novembre partiva per Parigi, dove incontrò il Diderot, il d'Alembert e altri, ma dove però non si trovò a suo agio. Avuta l'offerta d'accompagnare in viaggio per tre anni il figlio del vescovo-principe di Lubecca, accettò, e quello stesso dicembre lasciò Parigi per Eutin, nello Schleswig, dove rimase fino al luglio 1770. Nel corso del viaggio col giovane principe, a Darmstadt incontrò un'orfana, Maria Caroline Flachsland, e se ne innamorò, ricambiato: da allora ebbe inizio un carteggio sentimentale durato, con varie alternative, quasi tre anni. Seccato dell'ufficio di pedagogo ecclesiastico, il H. se ne liberò nell'ottobre accettando invece il posto di primo pastore a Bückeburg. Per sottoporsi a una cura, risultata poi inutile, della fistola a un occhio, il H. si fermò frattanto a Strasburgo; e a questo soggiorno è dovuto l'incontro col giovane Goethe. Lasciata finalmente Strasburgo, il 28 aprile H. arrivava a Bü?ckeburg, dove l'attendevano una chiesa abbandonata, scuole derelitte, e un signore (il conte Wilhelm di Schaumburg-Lippe) certo intelligente, ma di spiriti militari e fredericiani. Era un esilio, che gli fu in qualche modo mitigato dall'amicizia spirituale con la contessa Maria, la quale si occupò anche di facilitargli le nozze (2 maggio 1773) con Caroline. Da questo matrimonio nacquero parecchi figli, e così le angustie familiari contribuirono spesso a turbare in H. la serena visione delle cose. Per l'interessamento del Goethe, riceveva intanto, e accettava, l'offerta del posto di soprintendente generale a Weimar, dove giungeva il 2 ottobre 1776, e dove restò fino alla morte. Non era una sinecura: c'era da sorvegliare gli ecclesiastici, da sollevare le condizioni miserrime dei maestri, reclutati fra i naufraghi dei ceti sociali inferiori, da occuparsi di amministrazione, da predicare. E neppure le amarezze mancavano: gli pareva che il duca Carlo Augusto e il Goethe non lo appoggiassero, la loro condotta di vita lo urtava, la gloria del Goethe lo cacciava nell'ombra, le esigenze della numerosa prole lo assillavano. H. trovò allora rifugio presso vecchi miti, come il Wieland, e presso le donne, di cui divenne il confidente e l'amico, come le duchesse Amalia, Luisa e Sophie von Schardt. Ma dopo il 1783 H. si riavvicinò al Goethe; e questa rinnovata amicizia, durata circa un decennio, non mancò d'esercitare il suo benefico influsso sull'inquieto e già un po' stanco scrittore: il raffreddarsi di essa sarà il preannuncio della sua fine. Goethe era appena tornato dall'Italia, che H. (6 agosto 1788) vi andava, invitatovi dal canonico Friedrich von Dalberg cui, inaspettatamente per H., s'accompagnò anche una giovane civetta, la signora di Sekkendorff. H. si venne quindi a trovare nella posizione del terzo incomodo, i quattrini di Dalberg si esaurivano, quando, a liberarlo dalle preoccupazioni e dal disagio, incontrò a Roma la duchessa Amalia. Il gennaio e parte del febbraio del 1789 fu a Napoli; alla fine di febbraio tornò a Roma, dove restò fino al 14 maggio. Era ormai stanco, incapace di trasferirsi in una vita diversa dalla sua: la compagnia degli artisti, raccomandatagli dal Goethe, gli parve quindi insopportabile, l'arte del Rinascimento fu per lui muta, nella scultura antica vide solo l'espressione di una perfezione morale. Tornato in patria, fu trattenuto a Weimar (gli era stata frattanto avanzata un'offerta da parte dell'università di Gottinga) dal duca Carlo Augusto, che s'impegnò a provvedere all'educazione dei suoi figli. Pure, H. si sentiva sempre più solo, e il suo animo si empiva di acrimonia e di amarezza. I rapporti col Goethe si fecero sempre più freddi, con lo Schiller non si trovò; l'arte goethiana la trovava immorale, le idee estetiche dello Schiller gli repugnavano, il kantismo lo preoccupava. Nel 1799 mise fuori, contro Kant, quella Metakritik zur Kritik der reinen Vernunft, della quale il Goethe disse che, se ne avesse avuto prima notizia, lo avrebbe pregato in ginocchio di sopprimerla. L'anno dopo contro la Cronaca del giudizio, pubblicò la Kalligone; e, a cominciare dal 1801, l'Adrastea (10 fascicoli) in cui voleva erigersi a giudice dello spirito contemporaneo. Le sue belle attitudini diedero un ultimo guizzo nella versione del Cid (1802). Riconoscimenti esteriori (nel 1801 fu nominato presidente del Concistoro supremo a Weimar e fatto nobile dall'elettore di Baviera) gli rallegrarono gli ultimi anni.

H. fu quel che si dice un cattivo carattere, sicché, come scrisse il Goethe, "egli amareggiò sempre a sé e agli altri i giorni più belli, perché, uomo, non ebbe la forza di dominare quello scontento da cui, per forza di cose, era stato preso in gioventù". Di qui, quel ricambiare la gentilezza con la malagrazia, quell'atteggiamento - di cui lo stesso Goethe ci ha lasciato il ricordo - di estraneità ironica o di sospetto anche verso amici, che dovevano necessariamente frenare e raffreddare ogni moto di simpatia e fargli a poco a poco il vuoto all'intorno. Parallelo a questo atteggiamento, c'era in H. un grande amore per l'umanità, un amore che spiega il suo successo di uomo di scuola e di chiesa e di cui son pieni i suoi scritti, che da esso derivano il pathos retorico e il tono sermoneggiante, ma da cui anche traggono alcuni dei più profondi motivi.

H. non solo s'interessò sempre alle condizioni e agli ordinamenti dell'insegnamento, ma espresse anche intorno ad esso idee notevolissime fra quelle del tempo. Da un lato, egli si adoperò costantemente per sollevare le misere condizioni dei maestri, per far sì che la scuola cessasse d'essere un carcere polveroso, per conservarle, contro le ingerenze dei governi, la libertà che le è necessaria; dall'altro, movendo da una viva intuizione della libertà, intese l'importanza che il giuoco ha per il bambino; propugnò una forma intuitiva d'insegnamento; scrisse contro il predominio dell'apprendimento grammaticale del latino e a favore dello studio della lingua materna e delle altre moderne, come la francese e l'italiana. Idee, tutte, che nascevano da una fondamentale, quella che "uomini siamo, prima di divenire professionisti; e guai a noi se anche nella nostra professione futura non rimanessimo uomini", che "l'intera vita è per noi un ginnasio", che "tutto il genere umano è in certo modo una scuola continuata attraverso i secoli". Ma se H. era d'accordo con gli spiriti migliori del tempo nel sostenere questi concetti e gli altri di tolleranza e di libero esame, e nel desiderare che le scuole, sotto maestri diversi dai presenti, ignoranti, privi dell'"incanto della grazia", potessero un giorno divenire "colonie dell'umanità", - egli andava poi oltre l'illuminismo e il Rousseau quando vedeva nella storia "una luce dei tempi, una fiaccola della verità"; quando si levava contro le letture amene e lo studio facile, quando ammoniva di "nutrire l'uomo vivente e completo".

In questo "puro, attivo entusiasmo per la verità e la bontà umana" sta anche il motivo dominante della sua opera di pastore e di teologo. Pensare per concetti non fu il forte di H. Anche nella religione, sentimenti e intuizioni determinano il suo atteggiamento, oscillante tra il fervido attaccamento alla Bibbia e la protesta contro la riduzione operata dalla teologia illuminista, del cristianesimo a pura morale, e l'attitudine liberalissima degli anni di Weimar; ma non privo di coerenza nella lotta contro il clericalismo, la superstizione, l'ignoranza, il dogma divenuto formula, la pratica ridottasi a cerimonia, nel richiamarsi costantemente alla Bibbia. Nella Älteste Urkunde des Menschengeschlechts (1774-76), mosse in polemica contro J. J. Spalding e la teologia illuminista; e, indirizzandosi An Prediger, nei Fünfzehn Provinzialblätter (1774) invitò i pastori a ispirarsi alla Bibbia, a conformarsi all'esempio di Cristo, a combattere il sacerdozio come casta. Sono, questi, scritti degli anni di Bückeburg; poi, a Weimar, l'influenza del Goethe, lo studio di Spinoza e dei filosofi inglesi, una più riposata meditazione di Lessing, l'insofferenza per la reazione di J. Ch. Woellner (1788), avvieranno il H. a un atteggiamento sempre più liberale. Nei Briefe, das Studium der Theologie betreffend (1780-81) renderà giustizia ai teologi illuministi, dichiarerà fin dal principio che "il migliore studio teologico è studio della Bibbia, e il miglior modo di leggere questo libro divino è leggerlo umanamente". Necessaria conseguenza di questo suo avviamento fu la separazione, ch'egli operò sempre più netta, fra dogma e religione, fra dottrina e pietà (Vom Geiste des Christentums, 1797; Christentum und Antichristentum, 1798; Religion, Lehrmeinungen und Gebräuche, 1798): a H., ora, il cristianesimo appariva la vera religione dell'umanità, ed egli pensava di rinnovarlo ritornando alla Bibbia. Ma H. non era Lutero, e le condizioni e i tempi non eran più quelli. Il successo pratico fu quindi modesto; grandissima, in compenso, l'influenza esercitata sullo svolgimento della teologia protestante.

Ma più che nella sistematica, l'originalità di H. sta nel lavoro storicoesegetico. La Älteste Urkunde era un'interpretazione del principio della Genesi; le Erläuterungen zum Neuen Testament, aus einer neueröffneten morgenländischen Quelle (1775) intendevano mostrare, partendo dall'Avestā, allora tradotto da A.-H. Anquetil du Perron, l'influenza che il pensiero orientale ha avuto sul giudaismo, e, quindi, sul cristianesimo; in Maran Atha (1779) commentava l'Apocalisse interpretandola in relazione alla distruzione di Gerusalemme e alla tradizione dei profeti; gli scritti" Vom Erlöser der Menschen nach den drei ersten Evangelien (1796) e Von Gottes Sohn, der Welt Heiland (1797) staccavano la tradizione sinottica dalla giovannea e riconoscevano in Marco una delle forme più antiche di quella. L'orientalistica era allora in culla, e d'altronde H. non fu mai uno studioso metodico. I risultati positivi a cui giunse hanno quindi minor valore dello spirito critico ch'egli infuse all'esegesi testamentaria, soprattutto visibile nell'interpretazione della Bibbia come opera di p0esia.

Come filosofo e storico, H. mostra, sotto altro aspetto, gli stessi tratti: un grande entusiasmo umano, una buona dose di ottimismo, debolezza e confusione nei concetti interpretativi, singole intuizioni geniali. Circa la sua filosofia, basterà osservare che, formatosi dapprima sotto il giovane Kant, Hamann e Rousseau, subì poi l'influenza dello Shaftesbury, del Leibniz e, soprattutto, di Spinoza, le cui idee fondamentali accettò nei dialoghi intitolati Gott (Einige Gespräche) (1787), mettendosi in opposizione a F. H. Jacobi, il quale poco prima aveva indirizzato a M. Mendelssohn le sue Lettere sulla dottrina di Spinoza. I suoi interessi speculativi fanno quindi manifestamente tutt'uno con la sua teologia, nella quale rientra in gran parte anche la polemica antikantiana.

Impronta teologica portano manifestamente anche i suoi scritti di filosofia della storia, Auch eine Philosophie der Geschichte zur Bildung der Menschheit, Beitrag zu vielen Beiträgen des Jahrhunderts (1774) e, ancor più, le Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menscheit (1784-91), i quali mostrano insieme quanto H. sia strettamente legato al suo tempo e ai suoi precedenti. Teologica è infatti l'impostazione generale d'un corso della storia umana governato da un principio trascendente; illuministico il generico ottimismo, di Rousseau risente l'entusiasmo per la natura e i selvaggi e l'odio per il dispotismo, di Montesquieu la funzione attribuita al clima, di Winckelmann l'ammirazione per i Greci. Si può anche aggiungere che, a parte la confusione e fiacchezza dei concetti, garbatamente rilevata dal Kant nella recensione delle Ideen, il H. sta indietro ai migliori storici del tempo per la genericità del discorso, la mancanza di concreti interessi politici, di conoscenze economiche e giuridiche, e l'intervento della provvidenza. Perfino alla sua celebrata comprensione dei popoli antichissimi e orientali è stata fatta molta tara, in quanto quei popoli non rientravano nello schema teologico-cristiano di svolgimento unitario fatto proprio dal H. Pure, la ferma fede nel progresso, la concezione della storia non come serie di avvenimenti militari, diplomatici e dinastici, ma come storia dell'"umanità", l'esigenza, sempre proclamata, che ogni fenomeno deve essere compreso nello spirito che gli è proprio, non condannato in un antistorico confronto col presente europeo, erano motivi vivi e in parte nuovi che saranno poi svolti dalla storiografia romantica e opereranno nel moto delle "nazionalità". Più che le Ideen, "système doux et enthousiaste" (B. Constant) ma, fra parentesi, il libro più fortunato del H., merita attenzione il giovanile Beitrag, nel quale si rinvengono già i motivi e le linee della visione storica herderiana: l'affermazione del progresso dedotta da un piano provvidenziale e divino; la serie Oriente-Egitto-Grecia-Roma, ecc., considerata come puerizia-fanciullezza-adolescenza-virilità, ecc., del genere umano; il rilievo dato alle individualità nazionali; la riabilitazione del Medioevo; la difesa delle genti di colore contro lo sfruttamento degli Europei; la polemica antilluministica; lo scarso senso politico per i fenomeni economici e sociali, che gl'impedisce p. es. di capire la funzione delle città. Nelle Ideen il piano s'allarga, e H. comincia addirittura col descrivere la posizione della terra nell'universo, il regno vegetale e l'animale, per venire poi all'uomo, alla sua costituzione, alla sua origine, e, da ultimo, alla sua storia: il piano classico della storia teologica. L'influenza di Spinoza è evidente nell'uso del concetto di natura, e la novità maggiore rispetto all'abbozzo giovanile è nell'allargamento del concetto di "umanità". L'uomo non ha nessuna parola più nobile per designare il suo fine che Sé stesso, in cui vive impressa l'immagine del Creatore della nostra terra"; "il fine della nostra attuale esistenza è l'educazione all'umanità". Questo motivo dell'umanità gl ispirera ancora i Briefe zur Beförderung der Humanität (1793-97), dove ripercorrerà la storia dell'arte e della civiltà occidentale, dai Greci ai contemporanei, considerata ome strumento di cultura e di umanità, e dove poi scenderà in campo più vivacemente che mai per propugnare la fratellanza dei popoli, mostrare l'assurdità e l'orrore della guerra, avversare la pura politica, opporsi alla glorificazione dei cosiddetti "eroi"; per purificare il patriottismo in una superiore visione dell'umanità. Non era la prima volta che H. prendeva un atteggiamento politico, poiché egli aveva sempre combattuto per la libertà nella cultura, nella scuola, nella religione, e aveva mostrato che sotto la tirannia anche le arti decadono (Ursachen des gesunkenen Geschmacks bei den verschiedenen Völkern, da er geblüht, 1775). Ma ora la Rivoluzione francese, ch'egli salutò con gioia, pareva avviare davvero verso forme sociali più libere e più alte. Sennonché, costretto in una corte della politicamente arretrata Germania del suo tempo, il H. fu obbligato a moderare in pubblico i suoi sentimenti; non che li rinnegasse. Anche gli eccessi rivoluzionarî non gli fecero perdere di vista l'enorme vantaggio acquisito, né scossero la sua fede che "esiste una sola classe nello stato, il popolo". E a questo H. apostolo di umanità che si volsero con simpatia e rispetto alcuni dei più alti spiriti del primo Ottocento, più nobile di tutti il Mazzini.

Se nei suoi grandi quadri di storia universale il H. rimase in fondo un teologizzante, con in più un caldo ottimismo, nella critica letteraria fu veramente un precursore: il romanticismo è in gran parte suo figlio, e, quanto al rinnovamento operato nel gusto dei suoi connazionali, il Goethe disse che senza Klopstock e H. la letteratura tedesca "non sarebbe divenuta ciò ch'essa ora è". H. era un lettore vorace e scrittore feracissimo e occasionale, ciò che spiega come quasi tutte le sue opere siano rimaste incomplete. Di una tale abitudine di scrivere per l'occasione offrono già prova i frammenti Über die neuere deutsche Litteratur (1767), nei quali si possono notare in nuce molte delle sue idee migliori (il H. fu un precoce, poi arrestatosi): l'attenzione data, sull'ispirazione del Hamann, al linguaggio come organo dello spirito e della poesia di un popolo ("il genio della lingua è anche il genio della letteratura di una nazione"), la distinzione fra lingue primitive e poetiche e lingue coltivate e libresche, la polemica contro il purismo. Ugualmente, dei Kritische Wälder (1769), il secondo e il terzo sono diretti contro un pedante, quel Klotz di Halle già fatto bersaglio dal Lessing, il primo è un esame critico scarsamente istruttivo del Laocoonte, mentre la quarta "selva" è diretta contro uno scrittore d'estetica, F. J. Riedel.

Fu nell'Abhandlung über den Ursprung der Sprache (1772) che il H. espose per la prima volta in forma coerente le sue idee più originali in fatto di estetica e di critica. Contro la pretesa origine divina del linguaggio, contro la sua identificazione con l'immediatezza delle sensazioni, contro le teorie che ne facevano un prodotto d'imitazione o convenzione, il H. sostenne che "dal primo atto della ragione discende in modo affatto naturale il linguaggio". Ora, se il linguaggio s'identifica con la ragione, la storia della lingua fa tutt'uno con la storia della civiltà umana. È questa una delle intuizioni più acute del H., completata dall'altra, di sapore vichiano, che la poesia è più antica della prosa, che l'umanità bambina vide la natura animata; che, quindi, all'origine delle parole deve stare un'idea sensibile; che il linguaggio, nelle sue forme primitive, dovette essere "una continua poesia favolosa, piena di passione e d'interesse". Quanto più antiche, tanto più ardite e intuitive le lingue; e, per converso, quanto più culte, tanto più ripiene di astrazioni. Il H. non era un linguista disciplinato; e, d'altronde, ai suoi tempi la linguistica doveva ancor nascere: ma il suo augurio che si facesse una storia della grammatica, l'aver visto che le lingue quanto più barbariche tanto più sono soggette a mutamenti, che attraverso la storia delle adozioni è possibile ricostruire le vie di diffusione della cultura, che la lingua, infine, è "il tesoro dei pensieri umani, a cui ognuno ha contribuito a suo modo", fanno di H. un precursore della linguistica romantica.

Contemporaneamente il H. elaborava le sue idee sulla poesia popolare. Lessing e Hamann lo avevano avviato a studiare gl'Inglesi e shakespeare, ad apprezzare il primitivo. E H. fu il primo a cogliere storicamente, nei suoi varî aspetti, l'individualità dello Shakespeare e a studiarne le opere come mondi poetici, a farne un classico (Shakespeare, 1773, e due redazioni precedenti); s'entusiasmò per Ossian; e appassionatamente si volse ai canti e alle tradizioni popolari per ascoltare le voci dell'umanità fanciulla, per comprendere l'animo e la mentalità delle varie genti, nella fiducia, ricostruendo le patrie tradizioni poetiche, di dare finalmente alle lettere tedesche un appoggio "sulla terra tedesca" (Auszug aus einem Briefwechsel über Ossian und die Lieder alter Völker, 1773; Von Ähnlichkeit der mittleren englischen und deutschen Dichtkunst, 1777). Il monumento innalzato da questa sua passione furono i Volkslieder (1778-79), ai quali poi fu dato il titolo, alquanto ricercato, di Stimmen der Völker in Liedern, che, insieme con le traduzioni della Bibbia, sono ciò che di meglio ha fatto il H. nel campo delle lettere; e, insieme con gli altri suoi scritti sull'argomento, appartengono agl'incunaboli del concetto, che poi avrà tanta fortuna, di una poesia "popolare". Da alcuni decennî a questa parte questo concetto è stato corroso dalla critica; ma allora esso, proprio per la sua genericità e amplitudine, fu una novità, e aiutò alla liberazione dalla poetica classicistica, alla scoperta del primitivo ideale e storico, a intendere e ricercare forme poetiche fino allora trascurate o disprezzate, ad allargare l'orizzonte a tutti i popoli della terra, oggi o una volta fanciulli. "Canto popolare" ha del resto in H. un significato molto diverso da quello che oggi gli attribuiamo; e i suoi Volkslieder sono infatti una raccolta di belle liriche di ogni paese e di ogni tempo. Poesia popolare era infatti per H. sinonimo di vera e schietta poesia, e Omero e Dante poeti popolari. Grandissima fu l'influenza esercitata dai Volkslieder, che aprivano anche nuove prospettive alla critica letteraria, introducendo un nuovo gusto e un nuovo concetto all'arte. Il nuovo gusto si volgeva a ciò ch'era, o appariva, primitivo, diretta effusione del cuore; la nuova estetica riconduceva la poesia ai sensi e alle passioni, e storicamente l'andava a ricercare nelle epoche aurorali e barbariche. Sorgeva, anche, insieme, la visione augusta che "la poesia appartenesse al mondo e ai popoli, che non fosse un privilegio ereditario e privato di alcuni pochi raffinati e colti" (Goethe).

Il H. non diede a questi suoi pensieri un'organizzazione speculativa, ne limitò egli stesso la portata nel campo della critica letteraria, e l'unico - d'altronde importantissimo - svolgimento che ne fornì fu in relazione alla poesia ebraica. Contemporanei alla prima parte dei Volkslieder sono, infatti, i Lieder der Liebe, ammirevole traduzione del Cantico dei cantici, che il H. (seguito poi dalla critica indipendente) interpretò come una raccolta di canti varî, d'ispirazione esclusivamente amorosa. Inoltre, nel libro Vom Geist der Ebräischen Poesie (1782-83), seguendo il concetto del linguaggio come opera dei sensi e della fantasia, il H. considerò la lingua ebraica come organo dell'antica poesia degli Ebrei, e poesia la Bibbia, sorta all'aurora della civiltà del mondo.

Attratto dalle costruzioni di storia universale, preso dall'interesse teologico, entusiasmato dall'idea dell'"umanità", il H. abbandonò questi studî sulla poesia dei popoli. Vi tornò alla fine dei suoi giorni, traducendo con la solita aderenza allo spirito, per quanto non si servisse dell'originale, il Cid. Ma era ormai estraneo al presente, e il presente più non lo capiva, tanto che lo Schiller si domandava come H. avesse "mai potuto essere l'uomo di doti straordinarie che si è fatto di lui".

Anche se rapidamente superato, a H. bisogna risalire quando si vogliano intendere storicamente concetti, tendenze e sentimenti che hanno avuto tanta parte nella civiltà moderna: il vichianismo dell'unione di filosofia e filologia, il concetto della poesia come immagine e come senso, il gusto per il primitivo e popolare, l'idea di un Volksgeist, il concetto di organismo, l'interpretazione della Bibbia come poesia, l'aver penetrato, come nessun altro prima di lui, l'arte dello Shakespeare, l'aver giustificato le patrie nel sentimento dell'umanità che tutte le comprende.

Ediz.: Sämtliche Werke, ed. B. Suphan, voll. 33, Berlino 1877-1913. Degli epistolarî i più importanti sono: H.s Briefwechsel mit Caroline Flachsland, ed. H. Schauer, Weimar 1926-28; H.s Reise nach Italien: H.s Briefwechsel mit seiner Gattin, ed. H. Düntzer e F. G. Herder, Giessen 1859; H.s Briefwechsel mit Nicolai, Berlino 1887 e H.s Briefe an J. G. Hamann, Berlino 1889, ed. O. Hoffmann; Aus H.s Nachlass, ed. H. Düntzer, voll. 3, Francoforte 1856-57; Von und an H., ed. H. Düntzer e F. G. v. Herder, voll. 3, Lipsia 1861-62; Erinnerungen aus dem Leben J. G. v. H., gesammelt und beschrieben von Maria Caroline von H., geb. Flachsland, Tubinga 1820; E. G. von Herder, J. G. v. H.s Lebensbild, Erlangen 1846-47. Traduzioni in italiano: Intorno la Grecia: pensieri di G. G. H., trad. di E. de Tipaldo, Venezia 1846; Fiori lirici tedeschi, trad. G. Peruzzini, Firenze 1870; Versi di varî autori, tr. A. Zardo, Padova 1876; Leggende scelte, tr. G. Tamburini, Pesaro 1906-07; Scritti pedagogici trad. e riassunti da G. Harasim, Palermo 1910. Delle Ideen notissima la traduzione di E. Quinet, 1827.

Bibl.: R. Haym, H. nach seinem Leben und seinen Werken, Berlino 1877-85; Ch. Joret, H. et la Renaissance littéraire en Allemagne au XVIIIe siècle, Parigi 1875 (biografia di H. fino al 1773); pregevoli le introduzioni di H. Meyer, H. Lambel, E. Kühnemann ai H.s Werke della raccolta Kürschner; F. Gundolf, Shakespeare und der deutsche Geist, 7a ed., Berlino 1923, pp. 198-221. La bibliografia herderiana fino a dopo il 1910 è registrata nel Grundriss di K. Gödeke, 3a ed., IV, 1 (Dresda 1916), p. 700 segg. Qui, alcune indicazioni di scritti importanti o recenti: W. Koeppen, H.s Reisetagebuch vom Jahre 1769, Greifswald 1926; J. M. Andreas, H. as an educator, New York 1916; C. Siegel, H. als Philosoph, Stoccarda 1907; M. Schütze, The fundamental ideas in H.s thought, in Modern Philology, XVIII (1920-21), pp. 65-78, 289-302; XIX (1921-22), pp. 113-130, 361-82; XXI (1923-24), pp. 29-48, 113-32; Th. Litt, Kant und H.s Geschichtsphilosophie, Lipsia 1930; R. Fester, Rousseau und die deutsche Geschichtsphilosophie, Stoccarda 1890; A. Farinelli, L'"umanità" di H. e il concetto della "razza" nella storia evolutiva dello spirito, in Studi di filologia moderna, I (1908), pp. 4-53; R. Stadelmann, Der historische Sinn bei H., Halle 1928; A. Gerbi, La politica del Romanticismo: le origini, Bari 1932, pp. 115-61. Sulle Ideen: I. Kant, Werke, ed. dell'Accademia Prussiana, VIII, pp. 45-66; E. Fueter, Geschichte der neueren Historiographie, Monaco 1911, pp. 408-11. Sul "carattere dei popoli": K. Borries, Die Romantik und die Geschichte, Berlino 1925 e B. Croce, nella Critica, XXVIII (1930), p. 471 segg. A. Stern, Der Einfluss der französischen Revolution auf das deutsche Geisteleben, Stoccarda-Berlino 1928, pp. 119-128; K. Bittner, H.s Geschichtsphilosophie und die Slawen, Reichenberg 1929. Sull'estetica e critica letteraria: M. H. Dewey, H.s Relation to the aesthetic theory of the 18th Century, Menasha (Wisconsin) 1920; K. May, Lessings und H.s Kunsttheoretische Gedanken in ihrem Zusammenhang, Berlino 1923; B. Croce, La forma primitiva della poesia secondo Hamann e H., in Conversazioni critiche, I, 2a ed., Bari 1924, pp. 53-58; H. Wolf, Die Genielehre des jungen H., nella Deutsche Vierteljahrsschrift für Literaturwissenschaft und Geistesgeschichte, III (1925), pp. 401-30; G. Jacoby, H.s und Kants Ästhetik, Lipsia 1907; ampia esposizione dell'estetica di H., in senso antikantiano; H. Baer, Beobachtungen über das Verhältnis von H.s Kalligone zu Kants Kritik der Urteilskraft, Heidelberg 1907. Su H. e la musica: H. Goldschmidt, Die Musikästhetik des 18. Jahrhunderts, Zurigo e Lipsia 1915, pp. 174-86. Sulla linguistica di H. e i romantici: E. Fiesel, Die Sprachphilosophie der deutschen Romantik, Tubinga 1927; M. Wedel, H. als Kritiker, Berlino 1928; G. Weber, H. und das Drama, Weimar 1922; B. Markwardt, H.s Kritische Wälder, Lipsia 1925; Ph. Aron, Die deutsche Erweckung des Griechentums durch Winckelmann und H., Heidelberg 1929; H. Isaacsen, Der junge H. und Shakespeare, Berlino 1930; E. Blochmann, Die deutsche Volksdichtungsbewegung im Sturm und Drang und Romantik, nella Deutsche Vierteljahrsschrift cit., I (1923), pp. 419-52; B. Croce, Poesia "popolare" e poesia "d'arte", nella Critica, XXVII (1929), pp. 321-39, 401-28; P. Levy, Geschichte des Begriffes Volkslied, Berlino 1911; A. Wegner, H. und das lettische Volkslied, Langensalza 1928; W. Kohlschmidt, H.-Studien, Berlino 1929: sullo stile di H. critico e i suoi concetti. Relazioni con precedenti e susseguenti: E. Auerbach, Vico und H., nella Deutsche Vierteljahrsschrift cit., X (1932), pagine 671-86; A. E. Berger, Der junge H. und Winckelmann, Halle 1913; F. H. Adler, H. and Klopstock, New York 1914; R. Haym, Die romantische Schule, 4a ed., Berlino 1920; H. Tronchon, La fortune intellectuelle de H. en France, I: La Préparation, Parigi 1920.