Maxwell, James Clerk

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Fisico scozzese (Edimburgo 1831 - Cambridge 1879). Contribuì allo sviluppo della fisica con la teoria del campo elettromagnetico e la prima formulazione statistica della teoria cinetica dei gas. Appartenente a una famiglia della piccola nobiltà terriera della Scozia, fu ben presto inserito nella vita scientifica e culturale di Edimburgo, che si svolgeva principalmente nella locale Accademia. Il giovane M. ebbe l'occasione di pubblicarvi le sue prime ricerche e di incontrarvi persone, a cui si legherà di amicizia per tutta la vita, come lo studioso di Platone L. Campbell e lo scienziato newtoniano P. G. Tait. A sedici anni entrò nell'università di Edimburgo, dove fu sotto la guida del fisico J. D. Forbes e del matematico filosofo kantiano Sir W. Hamilton e, dopo la laurea, si iscrisse alla prestigiosa università di Cambridge per conseguirvi il dottorato. Ivi ebbe come tutore W. Hopkins, un rigoroso ed esigente insegnante di matematica, e seguì le lezioni del fisico matematico G. G. Stokes e di W. Whewell, una caratteristica figura di scienziato filosofo, alle cui idee si rifaceva gran parte della filosofia scientifica dell'Inghilterra del tempo. Ottenuto nel 1854 il dottorato, nel 1855 divenne fellow del Trin ity College. Da allora la sua attività sarà quasi sempre più o meno direttamente legata a quella della prestigiosa università, come esaminatore, consulente e infine, dal 1871, titolare della nuova cattedra di fisica sperimentale. Una ricerca sulla stabilità degli anelli di Saturno (1859), che gli valse l'assegnazione del premio Adams, lo rivelò come uno dei maggiori fisici matematici del suo tempo. Dal 1860, per cinque anni, fu professore al King's College di Londra. Sono di questo periodo, che passò a contatto con M. Faraday e con altri insigni studiosi, le sue memorie principali: sulla teoria dei colori, sulla teoria cinetica dei gas, sulla termodinamica, circa la quale aveva già pubblicato una memoria nel 1859, e sulla teoria dinamica del campo elettromagnetico. Intorno al 1865, M. pose mano alla stesura di una grande opera, A treat ise on electricity and magnetism (pubblicato nel 1873), che era al contempo una summa di tutte le teorie elettriche e magnetiche del tempo e l'esposizione, in forma più matura, della sua nuova teoria del campo elettromagnetico, su cui aveva già cominciato a lavorare dal 1855. Verso la metà dell'Ottocento, i fisici inglesi cominciavano ad accumulare indizî di una possibile correlazione fra i fenomeni ottici ed elettromagnetici, sia in sede di applicazioni tecniche (trasmissione di segnali elettrici), sia in sede più propriamente scientifica (ricerche di Faraday e W. Thomson). Ma tali indizî furono significativi solo nell'ambito di una corrente di pensiero, quella di Faraday-Maxwell. Si può citare un esempio, fra molti altri, che dimostra come i dati sperimentali hanno bisogno di teorie adeguate per diventare significativi: in quegli anni, fisici di formazione accademica, come Thomson, e anche tecnici e scienziati dilettanti, erano impegnati nel miglioramento della trasmissione di segnali lungo linee aeree o sottomarine. Nuove invenzioni che facilitassero la trasmissione a distanza erano richieste dall'industria, dal commercio, dai trasporti che cominciavano a intensificarsi anche oltre Atlantico. La trasmissione telegrafica attraverso cavi aerei era già stata perfezionata. Minori progressi si avevano invece nella trasmissione mediante cavi sottomarini: il primo fu posato nel 1850 fra l'Inghilterra e la Francia, ma si ruppe quasi subito per difetti di resistenza meccanica. Altri cavi furono posati con maggiore successo, ma i segnali trasmessi si affievolivano o distorcevano in modo da diventare indecifrabili. Un passo importante per la comprensione della natura di questi disturbi fu compiuto nel 1864, quando Faraday mostrò sperimentalmente che un cavo sottomarino può essere assimilato a un'immensa bottiglia di Leida, cioè a un immenso condensatore le cui armature sono costituite dal metallo e dall'acqua del mare e il dielettrico dalla guaina isolante. La teoria della trasmissione di segnali mediante cavi ebbe origine in una corrispondenza fra Stokes e Thomson, nel 1864. Thomson, ricorrendo al suo metodo preferito di esprimersi mediante modelli, osservava, riprendendo Faraday, che la differenza fra la propagazione dei segnali in un filo telegrafico aereo e in un cavo sottomarino è la stessa di quella che passa fra la propagazione di un impulso di pressione in una lunga colonna di fluido, contenuta rispettivamente in un tubo rigido oppure elastico (l'elasticità corrisponde, nel modello, agli effetti elettrostatici della capacità). Non è difficile individuare in questa immagine di Thomson un possibile spunto all'idea maxwelliana di assimilare a fenomeni elastici gli effetti del dielettrico, introducendo nella teoria il celebre termine della corrente di spostamento. Anche sul continente, in Germania, i fisici si occupavano della propagazione elettrica: nel 1857, G. R. Kirchhoff per la prima volta era giunto a calcolare per via teorica la velocità di propagazione di un segnale elettrico in un filo conduttore. Nel caso ideale di un filo privo di resistenza, essa risultava uguale al fattore di conversione fra unità elettromagnetiche ed elettrostatiche di corrente. Tale velocità appariva a Kirchhoff molto e stranamente vicina alla velocità della luce nel vuoto. Egli non ritenne però di attribuire a questa uguaglianza un significato fuor che casuale. Né diverso fu il comportamento di Weber, uno dei due autori della misura del detto fattore, quando, più tardi (1864), si accorse che la sua teoria elettronica lo portava a prevedere, in un circuito ideale perfettamente conduttore, l'esistenza di correnti oscillanti la cui velocità di propagazione era la stessa di quella della luce. Ecco come, prima della teoria maxwelliana, la velocità della luce fa la sua apparizione anche nelle teorie elettrodinamiche dell'azione a distanza. Weber preferiva però, e a ragione dal suo punto di vista, discutere il caso di fili reali di resistenza non nulla, in cui la velocità è variabile con la frequenza e la resistenza. Per quanto riguarda la quasi uguaglianza fra la velocità di propagazione di queste oscillazioni di corrente e quella della luce, egli concludeva che "non sembra esser tale da sollevare grandi aspettative". Una lettura ben diversa di questa coincidenza venne data da M.: la vera ragione per cui la velocità della luce figura nella teoria elettrodinamica è data dal fatto che anche la luce è un fenomeno di natura elettromagnetica. È interessante apprendere che M. si occupò anch'egli, nella scia degli interessi del suo tempo, della risoluzione di problemi particolari riguardanti la misura di grandezze elettriche, problemi che oggi si chiamerebbero tecnici. Nel 1862-63 fece parte della commissione della British Association incaricata di dare una migliore definizione delle unità di misura elettriche. In questa sede ripeté personalmente la misura, con maggiore precisione, della velocità di propagazione di un segnale elettrico. M. si ricollegava per la parte sperimentale al lavoro di Faraday, introducendo però una sua originale concezione dei fenomeni elettromagnetici quali moti dell'etere nell'intorno, e anche all'interno, dei corpi elettrici e magnetici. La teoria prevedeva che le forze si sarebbero dovute propagare con velocità finita nello spazio che circonda tali corpi, per mezzo di onde elettriche e magnetiche concatenate. Questo spazio e le forze presenti in esso veniva chiamato campo, per cui la teoria è passata alla storia col nome di teoria del campo elettromagnetico. Il suo potere unificante si spingeva sino a prevedere che le onde della luce fossero dello stesso tipo delle onde elettromagnetiche (teoria elettromagnetica dell'ottica). M. sosteneva la sua teoria mediante prove empiriche indirette, quali la presenza della velocità della luce in alcuni rapporti fra grandezze elettromagnetiche e l'uguaglianza fra l'indice di rifrazione ottico e il risultato di alcune relazioni fra le costanti elettriche dell'etere. Una verifica più diretta della sua teoria sarà opera di H. Hertz (1887). Fra gli altri contributi di M. alla scienza che possono confrontarsi, per la loro importanza, alla teoria elettromagnetica, spicca la sua originale formulazione di una teoria cinetica dei gas, principalmente in due saggi del 1860 e del 1867. Egli introdusse metodi statistici nel calcolo della distribuzione delle velocità delle molecole i cui urti interni e sulle pareti del recipiente erano stati considerati da R. Clausius la causa della pressione e degli altri fenomeni dei gas. La teoria di M. aveva previsto che l'attrito interno del gas avrebbe dovuto essere indipendente dalla pressione e, per quanto ciò potesse sembrare contrario al senso comune, il risultato fu verificato in esperimenti da lui stesso eseguiti. Questi suoi contributi alla teoria cinetica aprirono il campo agli sviluppi della meccanica statistica, una componente fondamentale della fisica moderna. Nel 1871, assieme alla nomina a titolare della cattedra di fisica sperimentale, ebbe la direzione del nuovo laboratorio di fisica, il Cavendish Laboratory, che diventerà celebre in seguito con le ricerche sull'elettrone di J. J. Thomson e sul nucleo atomico di W. Rutherford. M. si dedicò con grande impegno sia all'insegnamento che alla realizzazione di nuovi metodi di misure elettromagnetiche, nell'intento di specializzare il laboratorio in misure di alta precisione. In quest'ultimo periodo della sua vita svolse prevalentemente attività divulgativa e anche variamente letteraria; curò inoltre la laboriosa pubblicazione delle Electrical researches di H. Cavendish, del quale volle pazientemente ripetere tutti gli esperimenti per poter meglio ricostruire il pensiero dell'autore.

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