Istruzione e sistemi scolastici

Enciclopedia delle scienze sociali (1996)

ISTRUZIONE E SISTEMI SCOLASTICI

Norberto Bottani e Sherwin Rosen

Sociologia

di Norberto Bottani 

Introduzione

Oggigiorno la possibilità di ricevere un'istruzione è ormai ampiamente diffusa: una rete capillare di istituti scolastici si estende fin nei più remoti paesi, la cultura scolastica è considerata un patrimonio collettivo delle società alfabetizzate, il diritto allo studio è sancito nelle convenzioni internazionali, la quasi totalità dei giovani che appartengono alle classi di età per le quali - nei paesi industrializzati - vige l'obbligo scolastico frequenta la scuola per almeno otto anni, la percentuale della popolazione attiva occupata nel settore scolastico è considerevole. Nei paesi membri dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) la quota della ricchezza nazionale investita nelle attività di formazione era, nel 1990, pari grosso modo al 6% del PIL.

La proliferazione di organismi statali, parastatali o privati che propongono attività di formazione di ogni tipo per persone di ogni età - dai nidi d'infanzia alle università per anziani - ha generato una fitta rete di opportunità educative che si è ormai estesa in tutti gli spazi sociali. L'analisi di questo reticolo e delle opportunità che esso rende disponibili, l'individuazione delle tendenze che si registrano al suo interno, il chiarimento delle sue modalità di funzionamento e del suo impatto culturale, sociale ed economico sulla vita dei singoli e delle comunità sono stati spesso oggetto di indagine, con esiti peraltro poco soddisfacenti (v. Van Herpen, 1992, pp. 27-56). L'ampiezza e la diversità dei campi educativi, la molteplicità delle funzioni e dei fattori operanti in questo ambito rendono la messa a punto di uno schema teorico unico del sistema scolastico un'operazione ardua e forse impossibile. Questa constatazione non deve però indurre a ritenere inutili gli sforzi tesi a costruire un modello della realtà scolastica, né a limitare le analisi al solo campo dell'istruzione formale o della scuola statale. La ricerca di un modello sistemico, per quanto difficile possa essere, è indispensabile per giungere a una conoscenza meno approssimativa e stereotipata, più scientifica e pertinente, della struttura di ogni sistema scolastico, delle sue principali componenti, delle sue caratteristiche specifiche e dei suoi risultati. Essa è inoltre una premessa indispensabile per impostare una politica della scuola di ampio respiro, imperniata su dati empirici e non solo su posizioni massimaliste o su percezioni lacunose e parziali dei problemi da affrontare.

In questo articolo si esaminerà in particolare il concetto di sistema scolastico, un concetto che insieme a quello, più articolato, di modello di sistema scolastico non è privo di conseguenze né sul piano conoscitivo né su quello politico. Dopo aver messo in evidenza le implicazioni teoriche di tale concetto per la conoscenza delle organizzazioni scolastiche, verranno esaminati i paradigmi di analisi proposti dalle ricerche sui modelli di sistemi scolastici. Questa presentazione non pretende di proporre un inventario completo delle teorie sistemiche dell'organizzazione scolastica. Essa si limita a illustrare la ricchezza analitica di un concetto molto comune come quello di sistema scolastico per la comprensione degli apparati e dei dispositivi di produzione e di trasmissione della cultura scolastica.

La principale conseguenza di questa impostazione è che non ci si occuperà qui di descrivere lo sviluppo delle organizzazioni scolastiche e le differenze esistenti tra i vari sistemi scolastici. Numerosi autori hanno trattato questi aspetti; tra questi ricordiamo in particolare M. Archer e il suo monumentale studio sulle origini sociali dei sistemi scolastici statali (v. Archer, 1979). Secondo questa studiosa la nascita dei sistemi scolastici statali nel corso dell'Ottocento è stata la conseguenza sia di cambiamenti sociostrutturali che hanno modificato le interazioni tra gruppi di potere e reso possibile l'integrazione dell'istruzione nell'area politica e in quella delle istituzioni sociali in genere, sia dei nuovi rapporti di forza instauratisi tra potere politico e organizzazioni scolastiche in seguito all'avvento delle moderne democrazie. Integrata nell'apparato politico statale, la scuola si è liberata dalla dipendenza da un solo tipo di potere, acquisendo così un margine di autonomia del tutto nuovo. Questa indipendenza è stata uno dei fattori principali di sviluppo delle organizzazioni scolastiche. Si sono in tal modo create quelle condizioni che rendono possibile l'instaurarsi di procedure di cambiamento endogene con l'emergenza di una dinamica istituzionale propria dell'organizzazione scolastica.

L'aspetto più rilevante e peculiare dello sviluppo delle organizzazioni scolastiche non è tanto la comparsa di complessi apparati scolastici statali quanto l'espansione mondiale dell'istruzione di massa e, di conseguenza, di programmi scolastici e di una cultura scolastica per le masse. Questo fenomeno è stato analizzato in particolare da John W. Meyer dell'Università di Stanford e dai suoi collaboratori (v. Meyer e altri, School knowledge..., 1992). Secondo quello che emerge da uno dei loro studi (v. Meyer e altri, World expansion..., 1992), si può parlare di insegnamento scolastico di massa quando si constata la presenza dei seguenti aspetti: 1) socializzazione degli individui come membri della società; 2) riconoscimento di tutti gli individui come membri a pieno titolo della società; 3) concezione laica e non trascendente del progresso; 4) unificazione e uniformità dei programmi di insegnamento; 5) legame esplicito tra profitto nelle materie curricolari e sviluppo personale, nonché tra quest'ultimo e il progresso dello Stato-nazione. Questo progetto si è realizzato allorché si è imposta la concezione di una società che fonde tutti gli individui di una determinata collettività in una comunità operante con successo nel mondo reale sotto forma di Stato-nazione (ibid., p. 131). Le ricerche più recenti sullo sviluppo e sull'evoluzione dell'insegnamento scolastico di massa hanno dimostrato come esso abbia avuto origine - sia a livello di enunciazione teorica che come attuazione pratica - nei paesi dell'Europa settentrionale prima del 1870 (v. Maynes, 1985; v. Tyack e altri, 1987), congiuntamente allo sviluppo, alla crescita e all'espansione del modello dello Stato-nazione. La nascita e l'espansione dell'insegnamento scolastico di massa non sono dunque collegabili a spiegazioni di tipo funzionalistico, come è stato ormai ampiamente dimostrato da numerosi autori (v. Archer, 1983; v. Boli e altri, 1985; v. Olneck e Bills, 1980; v. Rubinson, 1986).

Per esempio, il progetto di alfabetizzazione universale, antesignano dell'educazione scolastica di massa, si era imposto in parecchi paesi dell'Europa occidentale ben prima dell'industrializzazione, e anzi la sua attuazione è stata più rapida e precoce in paesi poco industrializzati come la Scozia e la Prussia che non nelle aree fortemente industrializzate come l'Inghilterra. Non c'è dunque una correlazione diretta tra sviluppo dell'insegnamento scolastico di massa e sviluppo economico, come non c'è una correlazione con altri fattori politici e culturali. L'insegnamento scolastico di massa, che si è diffuso sia in paesi con una tradizione amministrativa centralizzata, come la Prussia e la Svezia, sia in paesi con un debole potere centrale, come gli Stati Uniti, deve pertanto essere considerato un fenomeno strettamente collegato al grande favore con cui è stato accolto il modello dello Stato-nazione. L'apice di questa evoluzione si ha negli anni cinquanta, cioè nel decennio che ha seguito la fine del secondo conflitto mondiale, come è stato dimostrato in maniera eloquente da Meyer e altri (v., World expansion..., 1992) elaborando i dati raccolti da Benavot e Riddle (v., 1988) sui tassi di scolarità relativi all'insegnamento elementare statale e privato nel mondo. Occorre qui notare che l'esistenza di dati statistici sulla scolarità è direttamente collegata all'espansione dell'insegnamento scolastico di massa. I dati mancano o scarseggiano quando la scolarità è bassa o inesistente, mentre vengono invece raccolti sistematicamente quando la scolarità è in espansione. L'esistenza di statistiche sui tassi di scolarità è quindi già di per sé un indicatore della presenza e della diffusione dell'insegnamento scolastico di massa. Come è stato messo in evidenza da Meyer e dai suoi collaboratori, tali statistiche sono state raccolte già prima del 1870 in 19 paesi, che rappresentavano l'89% dei paesi nordici e anglosassoni. Sono i paesi nei quali il concetto moderno di sovranità e il principio di nazionalità si sono imposti prima che altrove. In questi paesi il tasso di scolarità per il gruppo di età compreso tra i 4 e i 14 anni era superiore al 10% già nel corso della prima metà dell'Ottocento.

Questo fenomeno si è man mano esteso nei paesi occidentali indipendenti geograficamente vicini al mondo scandinavo e anglosassone, cioè nell'Europa meridionale e orientale (35 paesi in tutto), e anche in America Latina, dove peraltro il moderno modello di sovranità ha incontrato maggiori difficoltà ad affermarsi. Tuttavia nel 1880 si possono trovare statistiche sulla scolarità relative al 59% dei paesi latinoamericani. La stessa evoluzione si è avuta poi nelle colonie delle potenze occidentali (52 paesi situati nell'Africa del Nord, in Asia e nei Caraibi): nel 1900 esistono statistiche sull'insegnamento scolastico di massa relative al 58% dei paesi di questo gruppo. Il modello dell'insegnamento scolastico di massa si è in seguito affermato in tutto il mondo nel corso del Novecento: tra il 1920 e il 1930 nei paesi indipendenti non appartenenti all'area occidentale - come per esempio il Giappone, la Turchia, la Cina e la Corea - e nelle colonie britanniche e francesi della zona subsahariana; dopo il 1959 nelle colonie iberiche e portoghesi e infine, verso il 1960 anche in paesi quali l'Etiopia, il Kuwait e la Mongolia.

Diversi paesi, allorché sono stati inseriti per la prima volta nella banca dati di Benavot e Riddle (v., 1988), registravano tassi di scolarità inferiori al 10%, un valore relativamente basso che indica la presenza di un sistema di istruzione di massa in fase solo embrionale. Un'analisi più dettagliata di questi dati rivela che fino alla seconda guerra mondiale la media decennale di queste nuove immissioni era costante e corrispondeva a circa il 10-15% del totale dei paesi registrati. Dopo la guerra questa percentuale ha subito una notevole impennata, arrivando nel corso degli anni sessanta al 72%, un valore che consente di affermare che l'insegnamento scolastico di massa è ormai universalmente diffuso. Lo comprova del resto la continua crescita dei tassi di scolarizzazione: prima della seconda guerra mondiale l'aumento medio era del 5% ogni decennio, mentre si è arrivati al 12% dopo la guerra. Tale valore può essere considerato stabile allorché viene raggiunto il 70% di scolarizzazione delle classi di età comprese tra i 5 e i 14 anni.

Una volta conseguita questa meta cominciano a profilarsi nuovi obiettivi: quello della scolarizzazione di massa a livello di scuola secondaria superiore e a livello di insegnamento superiore (universitario e non), e quello - per il momento ancora più indeterminato - delle modalità di insegnamento, determinate non più dalle esigenze dello Stato-nazione, ma dallo sviluppo di nuove entità sovra o infranazionali.

Il concetto di sistema scolastico

L'analisi sistemica degli apparati scolastici esige, in via preliminare, la messa a punto di una rappresentazione schematica, teorica, della realtà scolastica. La possibilità, l'ampiezza e la profondità di tale analisi dipendono in maniera determinante dai moduli adottati per organizzare e guidare l'osservazione dell'attività scolastica. Da questo punto di vista si potrebbe affermare che i sistemi scolastici non sono altro che artifici utilizzati per raffigurare, ma potremmo anche aggiungere per comprendere, il tessuto scolastico. A questo riguardo, vale la pena ricordare l'asserzione quanto mai pertinente di Claude Bernard, uno dei maestri della biologia moderna: "I sistemi esistono non nella natura, ma solo nella mente degli uomini" (v. Bernard, 1865). I sistemi scolastici sono per l'appunto ricostruzioni formali che rappresentano modelli teorici di organizzazione e di funzionamento dell'istruzione.L'espansione della scuola pubblica, l'importanza delle risorse umane per la produzione della ricchezza nazionale, l'incidenza dell'istruzione sulla competizione internazionale, la mercificazione delle conoscenze e del sapere, il monopolio esercitato dalla scuola sulla distribuzione e l'attribuzione delle qualifiche e dei diplomi, e quindi la sua influenza sulla stratificazione sociale, hanno accentuato l'interesse per un'analisi sistemica dell'organizzazione dell'istruzione, delle modalità di funzionamento e soprattutto del rendimento della scuola.

L'evoluzione recente dell'offerta d'istruzione e soprattutto l'apparizione di giganteschi apparati burocratico-amministrativi di gestione della scuola pubblica hanno accentuato l'interesse per i sistemi scolastici, ma non hanno dato origine a indagini di tipo sistemico. Gran parte della produzione della pedagogia comparata riguarda le differenze formali e strutturali tra i sistemi scolastici, descrive gli aspetti superficiali che permettono di distinguere questi sistemi tra loro, ma ignora l'analisi dei meccanismi e delle modalità di funzionamento degli apparati scolastici stessi. Due esempi paradigmatici di questo tipo di studi sono, nell'Ottocento, la celebre ricerca dell'americano John Griscom sulle istituzioni educative di alcuni paesi europei, pubblicata nel 1818-1819 a New York, e la relazione di Victor Cousin del 1833 sulle condizioni dell'istruzione pubblica in Prussia.

La descrizione dell'organizzazione dell'istruzione in termini sistemici non richiede la presenza di realtà scolastiche altrettanto elaborate quanto quelle delle società industriali. I modelli sistemici dell'istruzione scaturiscono infatti non dalle realizzazioni scolastiche concrete ma dalle teorie della scuola. In questo senso, la prima formulazione di un sistema coerente di formazione, di un'organizzazione dell'insegnamento autonoma, concepita come una costruzione virtuale, è stata quella di Platone. Il fatto determinante che rende possibile una presentazione sistemica dell'istruzione è di ordine epistemologico e non pratico. Un sistema scolastico esiste prima di tutto sotto forma di progetto, come realtà ideale costruita attraverso un insieme di elementi di base articolati tra loro in modo da riuscire a conseguire necessariamente determinati risultati e obiettivi. Poco importa dunque lo stadio di sviluppo dei sistemi scolastici nella realtà. Lo stato ancora embrionale in cui si trovavano i sistemi scolastici prima dell'istituzione dell'obbligo scolastico nel corso dell'Ottocento non impedisce di concepirli come un dispositivo articolato di programmi, ovverosia come "un insieme di relazioni formali comuni a scuole di vari livelli, al loro personale nonché alla normativa e alle attività che riguardano l'utenza" (v. Craig e Spear, 1982, p. 66). La Ratio studiorum dei gesuiti, messa a punto tra il 1551 e il 1599, è un esempio brillante di approccio sistemico all'istruzione poiché contempla una struttura articolata del corso di studi, un insieme di regolamenti disciplinari per gli studenti, di istruzioni per i docenti, di norme per la conduzione degli istituti, di prescrizioni didattiche, nonché di programmi di insegnamento per ogni anno, semestre, settimana, e una regolamentazione, ora per ora, della giornata scolastica. Con la Ratio vengono poste le fondamenta del modello burocratico della scuola, per la cui attuazione è necessaria una concezione sistemica dell'istruzione e senza la quale è impossibile impostare e pianificare lo sviluppo dell'istruzione.

Un secolo dopo la Ratio Comenio ha utilizzato presupposti metodologici analoghi per elaborare un progetto di istruzione universale. Per Comenio l'impresa di educare il popolo non poteva riuscire senza una pianificazione sistematica dell'istruzione che collegasse gli obiettivi dell'educazione all'organizzazione delle scuole e ai programmi di insegnamento. Nel capitolo XXXII della Didactica magna Comenio afferma: "Noi vogliamo perfezionare il metodo didattico a un punto tale che tra i procedimenti del passato e la nostra nuova maniera di educare e di istruire ci sia una differenza altrettanto grande e lampante quanto quella che esiste tra l'arte di moltiplicare i libri copiandoli a mano e l'arte recente della stampa. Il procedimento tipografico, quantunque sia più difficile, più costoso e più faticoso, permette di produrre i libri in modo rapido, preciso ed elegante. Alla stessa stregua, il nostro nuovo metodo permetterà, qualora fosse applicato nelle scuole, di istruire in maniera più efficace e con maggiore piacere che non con il metodo del passato, che in realtà non era affatto un metodo, ma era un'assenza di metodo".

Le implicazioni della metafora tipografica sono evidenti: l'insegnamento deve essere organizzato come la produzione di un libro, richiede tecniche particolari, una specializzazione dei compiti, competenze apposite, un materiale adatto, spazi propri. L'ambizione comeniana di insegnare tutto a tutti poteva essere attuata solo con un sistema scolastico completo. Nella Didactica magna Comenio ha abbozzato l'archetipo del sistema scolastico moderno concepito per scolarizzare la totalità di ogni generazione (cap. XXVII): un periodo di formazione prolungata della durata complessiva di ventiquattro anni, dalla nascita fino alle soglie dell'età adulta; una struttura in quattro cicli di sei anni ciascuno: la scuola materna da zero a sei anni, la scuola elementare pubblica da sei a dodici, il liceo da dodici a diciotto e l'università da diciotto a ventiquattro anni; una localizzazione precisa per ogni ordine di scuola: la scuola materna nelle case, la scuola elementare nei comuni, i licei nelle città, l'università nelle regioni; l'universalità dei primi cicli di formazione (la scuola materna e quella elementare), cioè dodici anni di scuola obbligatoria per tutti.

Questo progetto ha costituito lo schema di base sul quale è stata impostata l'evoluzione dell'istruzione durante tutta l'epoca moderna. Comenio era consapevole che per realizzarlo bisognava prescindere da fattori soggettivi, trascendere il modello del precettorato e concepire un meccanismo che fosse insensibile ai fattori di disturbo ambientali. La novità fondamentale della sua proposta è quella di un'organizzazione autoportante. I sistemi scolastici contemporanei, che producono e difendono una propria identità e che rigenerano continuamente le loro stesse strutture con un incessante lavoro interno di trasformazione, di riforma e di ricostruzione, aderiscono perfettamente a questo schema. Analogamente al sistema comeniano, questi sistemi sono omeostatici poiché fanno della loro organizzazione (ossia l'insieme di relazioni che li definisce) una invariante fondamentale. Solo con un modello del genere "diviene possibile - come dice Comenio - moltiplicare, con grande beneficio per la prosperità delle cose umane, il numero dei giovani istruiti" e diventa quindi plausibile il grande progetto di istruzione universale obbligatoria mediante la scolarizzazione di massa.

Aspetti teorici

Il concetto di sistema "è un concetto dai mutevoli aspetti, onnipresente, sempre carico di giudizi di valore, siano essi positivi o negativi" (v. Prigogine e Stengers, 1981, p. 993), che da più di due secoli esercita un dominio incontrastato sul pensiero scientifico. Nelle scienze dell'educazione però questo concetto è stato fin qui poco sfruttato. L'analisi sistemica delle attività scolastiche e di formazione infatti ha suscitato e continua a suscitare diffidenza e opposizione.Può un modello sistemico rappresentare fedelmente l'attività scolastica? In generale, a questa domanda è stato finora risposto negativamente poiché non si sono ancora identificati i parametri determinanti dei comportamenti dei sistemi scolastici. I riscontri empirici delle ricerche scientifiche sul funzionamento delle scuole, sul profitto scolastico, sul rendimento degli allievi sono ancora scarsi perché queste indagini richiedono investimenti importanti, competenze considerevoli, una gran quantità di osservazioni e dati e una rilevante capacità analitica che consenta di verificare e interpretare correlazioni statistiche complesse (v. Green, 1980).

L'evoluzione dei sistemi scolastici è il risultato di interventi che variano a seconda dei loro presupposti teorici, che sono sovente più impliciti che espliciti. Nelle teorie che considerano i sistemi scolastici come istituzioni autoreferenziali, è la struttura stessa del sistema che ne determina l'evoluzione, per cui si può dire che i sistemi si sviluppano solo nelle direzioni presenti in nuce nel progetto educativo iniziale (v. Mintzberg, 1979). Nei modelli teorici delle "anarchie organizzate" (v. Cohen e altri, 1972), oppure in quelli delle "strutture debolmente articolate" (v. Weick, 1976), qualsiasi determinismo nello sviluppo dei sistemi scolastici è invece escluso. Per queste ultime teorie, l'evoluzione dei sistemi scolastici non è predeterminata ma è puramente casuale, perché i sistemi scolastici sono descritti come organizzazioni fluide, prive di tecnologie elaborate, che possono funzionare senza predisposizioni speciali e possono essere gestite senza competenze eccelse.

Al centro dell'analisi sistemica sulla scuola si situa la questione del rapporto causa-effetto nell'insegnamento. Per esempio, si è ancora in dubbio sul tipo di rapporti esistente tra gli investimenti scolastici e il profitto degli alunni, tra il numero di ore di insegnamento e le conoscenze che vengono acquisite, tra il numero di allievi per classe e il rendimento scolastico, tra la competenza di un docente misurata in base ai punteggi conseguiti nei concorsi di ruolo o nelle prove di abilitazione e i risultati scolastici degli alunni. I modelli sistemici non permettono di risolvere, almeno per ora, queste questioni ma permettono almeno di formulare ipotesi interpretative che consentono di orientare la ricerca scientifica e di svolgere quindi osservazioni sistematiche che potrebbero fornire abbozzi di risposta.

L'analisi dell'organizzazione e del funzionamento delle istituzioni scolastiche e dei dispositivi di formazione in termini sistemici è stata condotta in ambiti diversi: in quello educativo, dove ha prevalso un paradigma di interpretazione dei sistemi scolastici di matrice comparativistica; in quello sociologico, dove ci si è soprattutto preoccupati delle regole istituzionali che governano gli apparati scolastici e che ne assicurano la riproduzione e l'espansione; in campo filosofico-politico, dove si sono studiate le origini e la trama dei dispositivi di potere messi in atto per regolare la volontà di sapere e per controllare la formulazione del discorso scientifico-razionale; in quello della teoria dell'organizzazione, che ha esplorato la dinamica dei sistemi scolastici. Queste diverse prospettive sono brevemente analizzate qui di seguito.

Modelli sistemici

Il paradigma comparativista delle scienze dell'educazione

Le scienze dell'educazione non hanno ancora risolto il problema della morfologia dei sistemi e quindi neppure quello della classificazione degli elementi che li compongono, e men che meno quello delle funzioni di questi sistemi. La conoscenza teorica dei sistemi scolastici è ancora embrionale, nonostante l'ampiezza delle ricerche nel campo della pedagogia comparata. Il confronto fra sistemi scolastici con strutture, moduli di decisione e di finanziamento, programmi di insegnamento diversi potrebbe contribuire a conseguire una migliore conoscenza dei sistemi scolastici. Per Kandel, uno dei maestri della pedagogia comparata statunitense, "lo scopo dell'educazione comparata è quello di scoprire le differenze tra le forze e le cause che producono a loro volta i diversi sistemi educativi, così come succede nel diritto comparato, nella letteratura o nell'anatomia comparata" (v. Kandel, 1936). Si può dire che Kandel avesse una concezione idealistica dell'educazione: mediante il confronto di istituzioni diverse svolgenti però funzioni analoghe, egli puntava a ritrovare un metasistema scolastico ideale, un sistema originario, che si sarebbe man mano differenziato nel corso delle sue varie realizzazioni storiche. Le disparità di vedute sugli obiettivi degli studi comparati dei sistemi scolastici non hanno però permesso di realizzare progressi consistenti in questa direzione.

Per N. Postlethwaite, una delle figure di primo piano di questi ultimi vent'anni nel campo degli studi comparati sul profitto scolastico degli studenti, la pedagogia comparata ha quattro obiettivi principali: a) la ricerca in altri sistemi scolastici di soluzioni che permettano di migliorare il proprio sistema scolastico; b) la descrizione e la spiegazione delle somiglianze e delle differenze di risultati ottenuti da sistemi scolastici diversi; c) la stima degli effetti relativi delle variabili scolastiche sui risultati conseguiti (sia all'interno di ogni sistema che tra i vari sistemi scolastici); d) l'identificazione dei principî generali riguardanti gli effetti dell'istruzione (v. Postlethwaite, 1988, pp. XIX-XX). Secondo questa classificazione, la pedagogia comparata tenderebbe, da un lato, a promuovere la comprensione dei sistemi scolastici e, dall'altro, a identificare i sistemi scolastici migliori, quelli più efficienti, con il migliore rapporto costi-benefici, che possono quindi essere proposti come modelli da imitare.

A partire dagli anni cinquanta, la competizione tra sistemi scolastici - in parte corollario della competizione economica tra le nazioni in una società di mercato sempre più aperta - ha generato una ricerca pressoché ossessiva del sistema scolastico migliore. In questo contesto, molto interesse ha destato il sistema scolastico giapponese. Il seguente brano, tratto dall'introduzione di un volume preparato per il Ministero americano della pubblica istruzione, spiega molto bene le ragioni di questa attenzione: "Il Giappone è un caso speciale. Questo paese, dopo le devastazioni subite nel corso della seconda guerra mondiale, è riuscito a innalzarsi al primo posto o quasi al primo posto tra le nazioni in rapporto a più indicatori oggettivi. Con uno dei redditi pro capite più elevati, la speranza di vita più elevata, il più basso tasso di mortalità infantile, un tasso di criminalità molto debole, prestazioni e servizi eccellenti, il Giappone è piazzato nei primi posti in tutta una serie di indicatori sulla qualità della vita e rappresenta un caso di progresso eccezionale nei tempi moderni. Non possiamo ritenere che questa prosperità e questo benessere siano imputabili soltanto all'educazione, ma è logico supporre che i risultati educativi straordinari del Giappone debbano essere stati una delle cause importanti di progresso in altri campi. Per esempio, se si considerano in una prospettiva internazionale l'insegnamento elementare e quello secondario, gli Stati Uniti sono orgogliosi di aver realizzato un sistema scolastico di massa che porta tutti gli studenti fino al termine della scuola secondaria superiore, tanto è vero che al giorno d'oggi tre quarti degli studenti americani conseguono un titolo di studio equivalente alla maturità. L'Europa, tradizionalmente, ha curato standard di istruzione elitari, ma dopo la seconda guerra mondiale l'adozione del modello della scuola media unica ha permesso una certa democratizzazione degli studi. Il Giappone, invece, sembra essere riuscito a sintetizzare quanto di meglio c'è nelle due situazioni precedenti e a realizzare un sistema di élite per la gran massa degli studenti [...]. Questa riuscita eccezionale merita di per sé un esame specifico delle peculiarità dell'educazione giapponese, e più particolarmente un confronto con le pratiche e le politiche in corso negli Stati Uniti e in altri paesi" (v. Walberg, 1992, p. 2). Qui si parla del Giappone, ma al posto del Giappone ci potrebbe essere un altro paese, per esempio la Francia, perché il termine di paragone conta molto meno del modo, dell'uso, delle finalità del confronto.

La ricerca comparata è un metodo per evidenziare le peculiarità dei singoli sistemi scolastici, per ricercarne le differenze. Questa conoscenza è una via di passaggio obbligata di qualsiasi elaborazione teorica ed è un elemento integrante dell'analisi dei sistemi scolastici. Essa è però fortemente condizionata dalle ipotesi su cui si basa, perché i metodi e i contenuti dell'osservazione sono determinati dai loro stessi presupposti teorici. Un grande numero di ricerche comparate è stato così impostato per confrontare i risultati conseguiti dagli studenti e quindi per valutare la funzione produttiva del sistema; un'altra parte consistente di queste ricerche ha descritto e spiegato le differenze tra i programmi di insegnamento e l'organizzazione della valutazione e delle modalità di inquadramento degli utenti della scuola, ossia la statica dei sistemi, la loro anatomia. Scarse sono state finora le indagini sulle modalità di trasmissione delle informazioni e delle risorse all'interno dei sistemi scolastici. In generale, l'impianto teorico di queste indagini ruota attorno a due stereotipi antagonisti: il sistema scolastico centralizzato, controllato da un unico centro di potere, e quello decentralizzato, composto di una costellazione di microcentri che si ripartiscono la responsabilità dello sviluppo e della gestione dell'istruzione. I sistemi scolastici della Francia, dell'Italia, del Portogallo sono stati in genere collocati nella prima categoria, quelli dell'Inghilterra, della Germania, della Svizzera o degli Stati Uniti nella seconda. Questa semplificazione ha indotto a riservare un ampio spazio ai moduli di ripartizione del potere e di controllo, anziché ai meccanismi di coordinamento, e ha distolto l'attenzione dai meccanismi regolatori che operano all'interno di ogni sistema. Gli indicatori dell'OCSE sulla ripartizione delle competenze amministrative nei vari ordini di scuola propongono nuovi indirizzi di ricerca sulla natura e sul funzionamento dei sistemi scolastici. I dati recentemente raccolti indicano che il fattore principale di diversità tra i sistemi può esser fatto risalire non tanto alla concentrazione delle decisioni in alcuni poli, quanto alla differente distribuzione dei poteri decisionali attribuiti ai vari livelli (v. OCSE, 1993, pp. 133-143). Le differenze tra modelli centralizzati e decentralizzati di gestione dell'istruzione sono molto meno importanti delle differenze riguardanti la distribuzione del potere decisionale in settori unici per la qualità dell'istruzione, come per esempio lo stile di conduzione degli istituti, l'organizzazione dell'insegnamento, la ripartizione delle risorse a disposizione delle scuole o dei sussidi trasferiti agli enti locali. Per esempio, nel sistema scolastico francese, che è sempre stato considerato come il prototipo dei sistemi centralizzati, gli istituti scolastici godono di maggiore autonomia che non in Svizzera o negli Stati Uniti, due paesi con un sistema scolastico decentralizzato. Tutte le organizzazioni scolastiche centralizzate hanno, in questi ultimi anni, trasferito molte competenze dal potere centrale ai livelli inferiori. In Francia si è così imposto un modello in cui il potere decisionale è ripartito grosso modo in parti uguali tra gli istituti, i provveditorati o le regioni da un lato, e lo Stato dall'altro. In Spagna le competenze sono state ridistribuite in parti uguali fra i tre livelli inferiori (gli istituti, il livello locale e quello regionale). Una evoluzione analoga si è manifestata anche in Italia, dove però il grosso delle competenze è rimasto nelle mani dello Stato. Nei paesi con un sistema decentralizzato è prevalso un movimento diverso: i livelli intermedi tra il potere centrale e gli istituti (gli enti locali o i cantoni, le regioni o le province) hanno perso una parte delle loro prerogative, mentre invece sono aumentate le competenze degli istituti e quelle dell'amministrazione centrale. Questi trasferimenti di potere sono in genere il risultato di ritocchi amministrativi successivi, di adattamenti e correzioni che modificano gradualmente il baricentro del potere. Tutti i sistemi scolastici sembrano rispondere agli stessi criteri: quando sono i livelli intermedi a detenere gran parte del potere decisionale, questo avviene a scapito del livello più elevato e di quello più basso (l'istituto); quando invece il potere decisionale è concentrato al livello più elevato, a soffrirne sono soprattutto i livelli intermedi ma non quelli più bassi. L'autonomia degli istituti è minacciata non tanto dal potere centrale quanto dai livelli intermedi: è questo il caso di Svizzera, Germania, Norvegia e Stati Uniti. D'altronde, in tutti i paesi con livelli intermedi potenti - la sola eccezione è la Norvegia - la configurazione della struttura decisionale è rimasta stabile. Si può quindi supporre che questa ripartizione delle competenze sia più conservatrice di altre. Questa però è una ipotesi da verificare, perché si incontrano anche situazioni di segno opposto, che combinano livelli intermedi forti con istituti dotati di ampia autonomia, come avviene ad esempio in Finlandia, Svezia e Danimarca. La distribuzione delle competenze all'interno dei sistemi scolastici varia moltissimo, ma è per il momento impossibile sapere se questa diversità ha un'incidenza sull'efficienza e il rendimento delle scuole.

Il paradigma istituzionale

La sociologia dell'educazione ha prodotto molteplici teorie funzionaliste della scuola, ma poche analisi sistemiche dell'organizzazione e delle istituzioni scolastiche. Archer afferma perfino che "i sistemi scolastici non hanno mai stimolato l'immaginazione dei sociologi" (v. Archer, 1982, p. 1). Uno dei contributi più fertili della sociologia alla comprensione del funzionamento dei sistemi scolastici è rappresentato dall'analisi degli scambi tra questi ultimi e il contesto economico, sociale e culturale nel quale essi si collocano.

Le interazioni tra l'esterno e l'interno dei sistemi scolastici sono regolate da procedure, norme, riti, dispositivi mediante i quali si realizza lo scambio di informazioni indispensabili per la conservazione e la crescita dei sistemi scolastici. Questi non possono sopravvivere isolati, ma prosperano solo se sono riconosciuti e sostenuti dalle collettività entro le quali operano, se sono cioè socialmente legittimati. Gli scambi con l'ambito extrascolastico sono regolati dalle procedure e dalle tradizioni scolastiche. La loro importanza è determinante, come si può facilmente desumere dall'osservazione del funzionamento degli istituti scolastici. I complessi problemi che pone la quotidiana convivenza in un istituto scolastico di duecento, mille, duemila persone (studenti, professori e varie altre categorie di collaboratori) non sarebbero affrontabili senza dispositivi appositi (v. Hutmacher, 1990, p. 27). Una moltitudine di studenti e professori non diventa una collettività di lavoro per incanto. La coesistenza e la cooperazione esigono regole accettate da tutti. Le modalità di organizzazione del tempo e dello spazio scolastici, la molteplicità delle forme di classificazione degli studenti sono soluzioni pratiche adottate non solo per strutturare l'apprendimento e l'acquisizione del sapere, ma anche e soprattutto per ottenere la coesione di insiemi poco amalgamati, artificiosi, come sono quelli scolastici. Le modalità di funzionamento delle scuole, le tradizioni e le regole che si coltivano negli istituti scolastici, i valori trasmessi dagli insegnanti o dai manuali scolastici non risultano da scelte operate per migliorare la produttività delle scuole o da opzioni prettamente pedagogiche dedotte dalla ricerca scientifica nel campo dell'insegnamento, ma dai miti razionalistici delle organizzazioni burocratiche entro le quali i sistemi scolastici sono sorti. Per i sociologi americani Meyer e Rowan (v., 1977 e 1978) i sistemi scolastici moderni sono burocrazie pedagogiche la cui funzione non è quella di istruire i giovani o qualsiasi persona desiderosa di imparare, né quella di aiutare le famiglie a istruire i figli, ma quella di essere un servizio educativo della società per la società. L'attività di questi sistemi è secondaria rispetto allo sviluppo dei sistemi stessi, la cui mera esistenza è più importante dei risultati che le scuole riescono a ottenere. Da questo punto di vista i criteri di valutazione del rendimento scolastico e del funzionamento degli istituti non possono essere quelli in vigore nel campo aziendale. La scuola infatti è un'istituzione basata su un'organizzazione impersonale e razionale, contraddistinta dal fatto che "i risultati delle sue azioni dipendono in parte da attori (i subordinati) che non hanno nessun intrinseco interesse per quei risultati" (v. Coleman, 1990, p. 79). Meyer e Rowan ritrovano nei sistemi scolastici tutti i difetti tipici delle organizzazioni burocratiche formali: debole articolazione tra gli elementi che li compongono; correlazioni pressoché inesistenti tra le strutture e i compiti da svolgere; regolamenti poco rispettati, normativa impunemente disattesa; decisioni trasgredite o male applicate; tecnologie inadeguate e insufficienti; valutazioni solo formali.

I sistemi scolastici, per esempio, non valutano in maniera rigorosa né l'insegnamento né il profitto degli alunni. Le ispezioni o i test, che sono le due modalità di valutazione più comuni impiegate nelle scuole, non sono comparabili alle tecniche di controllo della produzione o della qualità dei prodotti applicate nelle aziende. È raro, per esempio, che i risultati degli alunni vengano utilizzati per valutare le prestazioni dei docenti o delle scuole; che la promozione o il passaggio da una classe all'altra avvengano solo dopo che sia stato accertato che gli studenti conoscano quanto è stato insegnato nella classe precedente; che i contenuti e i metodi di insegnamento siano coordinati da una classe all'altra. In genere, le scuole minimizzano il problema dell'interdipendenza tecnica delle varie sequenze di insegnamento, sottovalutano il problema del coordinamento posto da pratiche di insegnamento diverse e contano sull'abilità personale dei docenti per correggere o compensare queste sfasature. Si potrebbero citare infiniti esempi di situazioni scolastiche che dovrebbero essere gestite con procedure organizzative rigorose e che invece sono affrontate in maniera disordinata e saltuaria. I sistemi scolastici sono diventati mastodonti burocratici, poco efficienti e inefficaci. Meyer e Rowan contestano però questa conclusione. In realtà, i sistemi scolastici funzionano benissimo e sono perfettamente adeguati al compito loro affidato che è quello di produrre e classificare studenti, docenti e conoscenze scolastiche. Le scuole sfornano a getto continuo diplomati stereotipati, istruiti da docenti di uno stesso tipo, che insegnano tutti nello stesso modo. Un risultato del genere presuppone un apparato burocratico potente, che svolge perfettamente la funzione di socializzazione ad esso affidata. I risultati dell'apprendimento scolastico contano assai meno del valore dei diplomi oppure delle classifiche che misurano il prestigio degli istituti scolastici. La scuola è importante per il valore sociale riconosciuto ai diplomi che rilascia, ed è rispettata per la conformità tra il valore dei diplomi e le aspettative sociali che sono loro connesse. I sistemi scolastici possono pertanto fare a meno di tecnologie d'avanguardia, di spirito imprenditoriale, di docenti qualificati, purché la collettività si riconosca nella scuola, purché questa continui a esercitare - tramite l'impatto professionale e sociale dei certificati e dei diplomi scolastici - quella funzione di controllo e di stratificazione sociale di cui la società ha bisogno. È il grado di isomorfismo tra contesto sociale e istituzione scolastica che determina la solidità e l'efficienza dei sistemi scolastici.

Il paradigma disciplinare

I sistemi scolastici sono organizzazioni che producono un determinato tipo di sapere e che gestiscono un tipo particolare di cultura, quella scolastica, costituita da una selezione di conoscenze e nozioni classificate e strutturate in funzione di criteri derivati dalle teorie pedagogiche. La scuola non ha il monopolio delle conoscenze, ma concorre solo, come dice Foucault, in un ambito che le è proprio, a sostenere la volontà di verità di ogni sistema di potere. La selezione scolastica, la distribuzione dei diplomi e degli attestati riconosciuti dalle istituzioni pubbliche e private, le promozioni, l'assegnazione di onorificenze, l'esclusione dal cursus scolastico sono pratiche pedagogiche sulle quali si basa questa volontà di verità che è all'opera all'interno dei discorsi prodotti nell'ambito della scuola. Poiché la scuola è una delle sedi privilegiate di elaborazione delle pratiche discorsive su cui si fonda la volontà di verità, essa occupa un posto importante nell'arsenale degli strumenti di potere delle società moderne. La lezione foucaultiana sfronda di tutti gli orpelli moralistici il dibattito pedagogico sull'istruzione e sulla scuola, dissolve stratificazioni di enunciati sull'impegno educativo e mette a nudo la funzione essenziale della scolarizzazione: la relazione con la verità e col sapere, l'organizzazione di forme discorsive che imbrigliano la libertà di espressione, il flusso dei discorsi, la proliferazione dei testi. Il progetto della scolarizzazione tratteggiato nel Cinquecento e realizzato gradualmente nei secoli successivi, fino al trionfale apogeo nei decenni della fine del XX secolo, più che un progetto di emancipazione delle masse va visto come l'affermazione di una prepotente volontà di verità attuata mediante l'imposizione di barriere che incanalano il discorso entro schemi prestabiliti, per controllarne o eliminarne gli aspetti più pericolosi e provocatori: "C'è sicuramente nella nostra società, e immagino in tutte le altre, per quanto con un profilo e scansioni diversi, una profonda logofobia, una sorta di sordo timore contro questi eventi, contro questa massa di cose dette, contro il sorgere di tutti questi enunciati, contro tutto ciò che ci può essere, in questo, di violento, di discontinuo, di battagliero, di disordinato e di periglioso, contro questo brusio incessante e confuso del discorso" (v. Foucault, 1971; tr. it., p. 39). L'imposizione della volontà di verità va di pari passo con l'adozione di un insieme di esclusioni necessarie per eliminare o neutralizzare gli ostacoli che impediscono la realizzazione di questo programma. I sistemi scolastici sono un elemento di questo dispositivo di esclusione. Tutto quanto costituisce l'apparato scolastico - "lo spessore di pratiche come la pedagogia, certo, come il sistema dei libri, dell'editoria, delle biblioteche" ma soprattutto il "modo in cui il sapere è messo in opera in una società, [...] è valorizzato, distribuito, ripartito e in certo qual modo attribuito" (ibid., pp. 15-16) - concorre a questa operazione. Solo i legami affettivi o sentimentali che si intessono, incontrollabili e imprevedibili, fra gli attori scolastici, fra docenti e discenti, ma non solo tra loro, sfuggono a questa impresa di normalizzazione. Nella lezione inaugurale dei suoi corsi al Collège de France Foucault ha svolto un'analisi magistrale di questi dispositivi di controllo del discorso generati dalle stesse pratiche discorsive. È facile ritrovare nella trama dell'operato pedagogico contemporaneo numerose componenti di questi dispositivi. Per esempio, le procedure di classificazione e di ordinamento delle conoscenze che si applicano nella costituzione delle discipline scientifiche sono utilizzate per costruire programmi di insegnamento i quali sono una compilazione particolare di conoscenze selezionate in funzione della prova di verità che esse possono offrire; oppure le formule grammaticali e lessicali, la sintassi degli enunciati, le regole espositive e di presentazione, gli orizzonti teorici autorizzati, il linguaggio che rende vero e socialmente accettabile il discorso.

Tra le procedure di controllo e di rarefazione del discorso utilizzate per canalizzare la produzione della conoscenza e controllare gli scambi che si operano nelle pratiche discorsive, Foucault ne menziona due che sono state ampiamente sfruttate nell'ambito scolastico: la procedura del commento e quella del principio d'autore. Il docente moderno è rimasto un commentatore di testi, come lo era il maestro medievale (v. Alessio, 1987, pp. 151-164): le tecniche del commento sono cambiate, ma la procedura si è conservata. Essa presuppone che la verità sia depositata in certi testi e che la si possa ritrovare grazie al commento autorizzato e autorevole del docente. L'insegnamento diventa studio di testi e ripetizione di formule veridiche. Questa impostazione è sempre attuale e costituisce l'impalcatura di base di tutti i sistemi scolastici contemporanei.

Il paradigma autopoietico

Le rappresentazioni dei sistemi scolastici variano a seconda delle funzioni che le teorie dell'istruzione assegnano alla scuola. Già si è visto che nella prospettiva comparativistica il sistema scolastico ha soprattutto una funzione conoscitiva, ed è quindi descritto come un apparato che tratta e trasmette conoscenze. L'analisi istituzionale a sua volta ha considerato la scuola come un tipo particolare di organizzazione burocratica il cui funzionamento è retto da principî e regole che poco hanno a che fare con l'istruzione. Foucault ha a sua volta spiegato che la scuola è un elemento di un dispositivo di potere più ampio, che determina le forme del sapere nonché le procedure intellettuali proprie della modernità. In tutte queste teorie la scuola ha finalità estrinseche, imposte da istanze estranee alla scuola stessa.Nella teoria autopoietica (dal greco αὐτόϚ, sé, e ποιεῖν, produrre) questa funzione strumentale della scuola scompare perché per essa non serve a niente altro che alla riproduzione di se stessa. I sistemi scolastici sono meccanismi autosufficienti, la cui funzione principale non è né la trasmissione di conoscenze, né la riproduzione della stratificazione sociale (v. Bourdieu e Passeron, 1964 e 1970), né l'imposizione di una volontà di verità a sostegno di determinati rapporti di forza e di potere. I sistemi scolastici sono piuttosto apparati che funzionano per proprio conto, del tutto autonomi rispetto all'ambiente nel quale si trovano.

Lo sviluppo dei sistemi scolastici nelle società moderne non è il risultato di un progetto disinteressato che propugna l'istruzione per tutti come un bene in sé, e che merita di essere perseguito senza remore e senza risparmi, ma piuttosto il prodotto di una crescita incontrollata dei sistemi. Ne è un esempio il divario impressionante tra il tasso di crescita del numero dei docenti e quello del numero degli alunni, due parametri critici di tutte le politiche scolastiche, che sembrano evolvere in modo del tutto indipendente. Questo comportamento va associato al concetto di istruzione obbligatoria per tutti la cui attuazione ha convogliato verso la scuola la totalità di ogni generazione. L'effetto di questa volontà educativa non è però quello scontato, ossia la promozione e la diffusione dell'istruzione, dell'etica della conoscenza, dell'amore per il sapere e la cultura scientifica, del rispetto del pensiero critico, ma qualcosa d'altro, come il depauperamento delle competenze conoscitive, la riduzione del ventaglio di abilità socialmente riconosciute, l'imposizione di criteri di eccellenza sociale conformi a quelli scolastici. Il trionfo della scolarizzazione genera schiere di esclusi e marginali più o meno sottoistruiti da recuperare con uno sforzo educativo ulteriore. Si innesca in questo modo un meccanismo perverso di crescita degli apparati scolastici: in un primo tempo l'istituzione scolastica crea il bisogno di istruzione più di quanto non lo soddisfi; in un secondo tempo, quando la domanda è alta, essa fa valere le proprie insufficienze per esigere maggiori risorse e maggiori investimenti, che le permetteranno di espandersi ulteriormente e di imporre una scolarizzazione sempre più estesa, più precoce e più lunga.

Nelle società poco alfabetizzate, secondo I. Illich, non esisteva la consapevolezza dell'incompetenza né quella del fallimento individuale perché, in queste società, ogni individuo aveva una propria competenza e una propria funzionalità. Nelle società alfabetizzate invece si riconosce e promuove un solo criterio di eccellenza, quello della mente scolarizzata, dell'intelligenza scolastica, capace di orientarsi nello spazio alfabetizzato perché conosce le norme e le procedure necessarie per accedere alla cultura scolastica e per servirsene (v. Gardner, 1983 e 1991). Nelle società in cui l'informazione abbonda e le conoscenze non sono più riservate a pochi, l'esistenza di grosse burocrazie scolastiche che gestiscono la distribuzione del sapere potrebbe sembrare anacronistica; essa è invece indispensabile perché l'accesso al sapere specializzato, la produzione di diplomati, il funzionamento del mercato del lavoro, l'esercizio delle professioni non sono lasciati al caso, ma sono controllati e regolati ad arte. I sistemi scolastici svolgono appunto una parte di queste funzioni ed è per questa ragione che sono diventati una componente indispensabile e forse insostituibile delle moderne burocrazie sociali. Quando si entra nella sfera d'azione della scolarizzazione non se ne può più uscire, perché non si può più fare a meno non solo della scuola ma anche di tutta una serie di istituzioni che la fiancheggiano (v. Illich, 1977, p. 71). Il prezzo da pagare, spiega Illich, è elevato: come l'ipertrofia del servizio medico ha effetti iatrogeni, quella dei trasporti rallenta fino alla paralisi la circolazione, quella delle prestazioni sociali accentua la povertà invece di sconfiggerla, così quella dell'istruzione porta a disapprendere. La logica che conduce ad affidare a un'istituzione specializzata come la scuola la responsabilità di istruire è analoga a quella che induce a dipendere da altre istituzioni per curarsi, spostarsi, evitare la povertà e la miseria, affrontare la vecchiaia, divertirsi. L'espansione dei sistemi scolastici non è che un caso particolare di un fenomeno più generale, caratteristico dell'evoluzione delle società del benessere. È ormai cosa nota e comprovata che i servizi sociali di ogni genere riescono a espandersi e a ottenere un alto grado di consenso con una manipolazione della domanda di prestazioni che consente di pilotare la crescita delle istituzioni. Nella scuola questo procedimento comincia con l'imposizione di un programma di insegnamento unico, basato su principî generali definiti e utilizzati dagli esperti del sapere scolastico. Ciò però non basta per impostare un intervento educativo sistematico. A questo si giunge solo con un'organizzazione razionale dell'offerta d'istruzione che definisce in astratto i fabbisogni educativi, prescindendo da qualsiasi analisi del potenziale educativo esistente. In questo modo si avvia un processo incontrollabile di sviluppo, incapace di autolimitarsi, che finisce con il soffocare, sotto il peso di un apparato amministrativo mastodontico e schiacciante, le prospettive di rinnovamento o di riforma (v. Dumouchel e Dupuy, 1979, p. 118). I sistemi diventano macchine autopoietiche, istituzioni autonome che producono e riproducono gli elementi di cui sono costituite: "Tutto quel che il sistema può fare è determinato da considerazioni interne al sistema. Ogni decisione fa riferimento ad altre decisioni dello stesso sistema [...] e le singole decisioni possono esperire il proprio senso solo in tale riferimento interno, come contributo al perseguimento o all'impedimento di altre decisioni, come anello di una catena" (v. Luhmann, 1981; tr. it., p. 67). Tali sistemi sono autoreferenziali, poiché si sviluppano, crescono, si diversificano senza correlazioni con l'ambiente, funzionano come circuiti chiusi. Questa analisi, che costituisce il nerbo delle teorie sistemiche autoreferenziali (v. Varela, 1980; v. Maturana e Varela, 1980), è pure al centro dell'approccio istituzionale di Meyer e Rowan. Per sopravvivere i sistemi scolastici non possono fare altro che perfezionarsi ed espandersi incorporando nei propri piani di sviluppo le attese da loro stessi suscitate e promosse. Rinchiusi in questa circolarità, i sistemi scolastici rischiano la paralisi o il collasso. Per scongiurare questo pericolo se ne dovrebbe controllare la crescita, ma questo obiettivo implica che si accetti di rimettere in discussione un certo numero di postulati educativi e di limitare - conclusione per certi aspetti paradossale - non tanto il desiderio di conoscenza quanto la volontà di verità che li sottende. (V. anche Educazione; Scuola; Sistemi, teoria dei).

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Economia

di Sherwin Rosen

1. Gli aspetti economici dell'istruzione

L'analisi economica dell'istruzione si occupa del modo in cui questa incrementa le risorse umane, considerate in senso ampio come investimenti fatti dagli individui e dalla società al fine di migliorare le proprie qualificazioni professionali nel mercato del lavoro. Sebbene alcuni elementi di questa analisi si ritrovino già negli economisti classici, le idee su cui essa si fonda hanno avuto ampia diffusione solo negli ultimi quarant'anni, via via che il numero crescente di dati economici a disposizione ha messo in luce le strette connessioni tra livello di istruzione e standard di vita, sia all'interno dei singoli paesi sia su scala mondiale. In quasi tutte le economie, indipendentemente dalla loro forma di organizzazione, è ormai accertato che gli individui più istruiti sono in media più produttivi e hanno un reddito più elevato rispetto a quelli meno istruiti. Lo stesso fenomeno si riscontra a livello internazionale. Al contrario di quanto accade nei paesi poveri, nelle economie avanzate quali quelle dell'Europa occidentale vi è un numero consistente di lavoratori specializzati e con un alto livello di istruzione. Inoltre in molti dei paesi che sono progrediti più rapidamente negli ultimi anni lo sviluppo è stato preceduto da un miglioramento dell'istruzione dei cittadini.

Gran parte dell'analisi economica dell'istruzione riguarda gli incentivi economici privati e sociali che inducono gli individui a migliorare le proprie qualificazioni professionali. In termini economici l'istruzione ha un valore sia di consumo che di investimento. Pur riconoscendo il valore di consumo dell'istruzione, l'analisi economica nella maggior parte dei casi ha privilegiato l'aspetto dell'investimento, poiché è più facile da quantificare. L'istruzione è un investimento in quanto essa consente di acquisire determinate competenze e capacità che hanno un valore futuro. Le capacità sono esse stesse una forma di capitale inseparabile dall'individuo che le possiede. Il complesso di tali capacità viene definito a volte nella teoria economica 'capitale umano' (o risorse umane), una definizione che mette in luce le strette connessioni tra la teoria generale del capitale e gli investimenti nell'istruzione. Dal punto di vista giuridico la principale differenza tra il capitale non umano e quello umano è data dal fatto che la proprietà di quest'ultimo nelle società moderne non può essere alienata. Si tratta comunque di un divieto piuttosto recente nel quadro complessivo della storia mondiale; in effetti nel mondo antico esistevano tra gli schiavi numerosi artigiani altamente specializzati (v. Finley, 1973). Gli incentivi economici che inducono gli individui a sopportare i costi e gli oneri necessari per migliorare le proprie capacità professionali sono legati agli incrementi di reddito - normalmente sotto forma di salari - che essi possono ottenere in qualità di agenti della produzione più efficienti. Questa connessione tra capacità professionali e investimento è essenziale per lo studio economico dell'istruzione, sia al macro che al microlivello.

Una rudimentale trattazione del tema dell'investimento nell'istruzione viene condotta da Smith nella Ricchezza delle nazioni (1776), là dove egli spiega perché medici e avvocati guadagnino in media più della maggior parte degli altri professionisti. Il reddito più alto, secondo Smith, sarebbe una compensazione dei maggiori costi sostenuti per apprendere tali professioni, incluso il periodo particolarmente lungo di scolarizzazione. Questo tema fu sviluppato da alcuni economisti del XIX secolo, ma non attirò l'attenzione generale se non a partire dagli anni cinquanta e sessanta del nostro secolo, allorché divenne chiara la sua importanza per comprendere sia la crescita economica che la distribuzione del reddito. Venne individuata una evidente correlazione, comprovata da numerosi riscontri empirici, tra l'incremento dell'istruzione, l'urbanizzazione, la crescita dell'industria manifatturiera, il reddito pro capite e il relativo declino dell'agricoltura nel processo di sviluppo economico (v. Kuznets, 1966; v. Clark, 1940). Si scoprì inoltre che in una determinata economia la produzione pro capite aumenta più rapidamente dei corrispondenti inputs di capitale e lavoro, e che i miglioramenti nei fattori di produzione, specificamente nella produttività del capitale e nelle capacità dei lavoratori, sono essenziali per comprendere il processo di crescita economica (v. Denison, 1962; v. Schultz, 1961; v. Kendrick, 1976). L'interesse degli economisti per la distribuzione individuale del reddito venne risvegliato dall'accresciuta attenzione riservata dal mondo politico ai problemi della distribuzione del reddito e dell'ineguaglianza, nonché dallo sviluppo delle fonti di dati microeconomici che resero possibili misurazioni precise. Il calcolo delle differenze di reddito in base all'età e al livello di istruzione e lo studio dei redditi in determinate professioni diedero un contenuto specifico alle precedenti teorie (v. Friedman e Kuznets, 1954; v. Becker, 1964; v. Mincer, 1974).

Attualmente esiste un corpus sterminato di analisi economiche dell'istruzione e delle risorse umane; tale letteratura comprende, oltre alle analisi dell'istruzione formale, numerosi studi sull'addestramento pratico all'esercizio di un mestiere, analisi dei costi-benefici dei programmi di riqualificazione professionale per i disoccupati finanziati dallo Stato, studi sull'influenza degli investimenti nella sanità e dei progressi della medicina sulla speranza di vita, nonché studi sull'organizzazione politica e sociale delle istituzioni scolastiche e sui meccanismi di produzione dell'istruzione. Inoltre gli effetti dell'istruzione sulle informazioni riguardanti il mercato del lavoro e le segnalazioni di attitudini professionali che da essa provengono continuano a essere oggetto di accesi dibattiti. In questa sede dovremo limitarci a delineare solo le problematiche principali, rimandando il lettore per ulteriori approfondimenti all'importante studio di Becker (v., 1964), nonché alle rassegne di Rosen (v., 1977), Willis (v., 1986), Blaug (v., 1976) e Sahota (v., 1978).

2. Il tasso di rendimento dell'istruzione

Il concetto di tasso di rendimento sintetizza gli aspetti essenziali dell'istruzione intesa come investimento. Il tasso di rendimento di un investimento è connesso alla quota del flusso di reddito futuro che esso genera, espressa come frazione dei suoi costi. Gli investimenti i cui tassi di rendimento sono superiori a quelli ottenibili con investimenti alternativi massimizzano la ricchezza e dovrebbero essere effettuati, laddove quelli il cui rendimento è inferiore ai costi di opportunità sono sconsigliabili da un punto di vista puramente finanziario. Ovviamente nel determinare se gli investimenti nell'istruzione siano vantaggiosi per il singolo individuo occorre considerare anche altri fattori non monetari. Il primo interrogativo che si pone in proposito è se tali fattori non monetari abbiano un ruolo preponderante nelle decisioni di investimento. I vantaggi personali che derivano dall'investire nell'istruzione sono superiori ai costi? Tali investimenti sono finanziariamente vantaggiosi per gli individui che li effettuano? I dati a disposizione indicano che la risposta è affermativa.

L'utile puramente economico che si ricava da un incremento di istruzione - ad esempio conseguendo un diploma di scuola superiore - è costituito dal potenziale addizionale di reddito che esso genera nell'arco della vita. Una maggiore istruzione offre migliori opportunità di lavoro e la possibilità di raggiungere una maggiore produttività nell'arco della vita. Questi guadagni puramente monetari si misurano confrontando il flusso di reddito medio che un individuo avrebbe qualora conseguisse un livello di istruzione superiore con il flusso di reddito medio che otterrebbe rinunciando a proseguire gli studi. Esiste una differenza tra rendimento privato e rendimento sociale in quanto oggi l'istruzione è in gran parte pubblica e fortemente sovvenzionata dallo Stato in tutto il mondo.

Una quota dei costi privati dell'istruzione è costituita evidentemente dalle spese immediate legate alla scuola, come ad esempio le tasse scolastiche, l'acquisto di libri e di divise, ecc. Restano escluse le spese di sussistenza in quanto queste sarebbero sostenute in ogni caso, a prescindere dal fatto che l'individuo prosegua o meno gli studi. Un'altra forma meno evidente di spese personali, che non comporta esborsi diretti, è rappresentata dalle opportunità di guadagno e di reddito cui si deve rinunciare durante il periodo trascorso nella scuola, ed è perlomeno altrettanto importante quanto i costi diretti, dato che l'istruzione è sovvenzionata dallo Stato in misura così massiccia. I guadagni a cui si rinuncia a causa del differimento dell'ingresso nel mercato del lavoro sono più sostanziosi ai livelli superiori di istruzione, e aiutano a capire perché i lavoratori qualificati e con un grado elevato di istruzione in genere guadagnino più di quelli meno qualificati. La professione medica, ad esempio, è una delle specializzazioni più remunerative in tutto il mondo. Essa richiede un periodo di formazione assai lungo e arduo, e le entrate annuali debbono essere sufficientemente elevate da compensare i potenziali studenti dei costi che tale formazione comporta. In caso contrario i giovani sarebbero meno incentivati a intraprendere la carriera medica. La maggior brevità della potenziale vita lavorativa è un altro punto a sfavore della carriera medica, come lo è il calcolo degli interessi. Spesso gli studenti - o i loro genitori - devono chiedere a prestito il denaro necessario a sostenere le spese dell'istruzione. Se essi lavorassero invece di studiare, i guadagni così ottenuti potrebbero essere investiti in modo da fruttare un interesse che si accumulerebbe. Il calcolo degli interessi rende i guadagni realmente persi a causa dell'istruzione molto più alti delle sole entrate a cui si rinuncia.

Il calcolo economico ottimale dal punto di vista del privato consiste nel continuare a investire nell'istruzione fintanto che il tasso di rendimento marginale di quest'ultima supera il tasso ricavabile da investimenti alternativi. È interessante notare l'analogia tra l'analisi economica formale e il famoso problema - posto dalla teoria del capitale della scuola austriaca - di quale sia il momento migliore per tagliare l'albero o per sturare il vino. La risposta è la stessa in tutti e tre i casi: gli studi vanno interrotti, l'albero va tagliato e il vino va sturato non appena il tasso di rendimento marginale che si ottiene differendo queste azioni per un'ulteriore unità di tempo eguaglia il tasso di interesse. Va osservato peraltro che nel caso dell'istruzione entrano in gioco anche considerazioni di ordine non monetario. Una maggiore istruzione influenza inevitabilmente la 'qualità' del lavoro svolto, consentendo spesso di sostituire ad attività manuali e ripetitive attività di tipo intellettuale. Questi fattori non monetari vanno presi anch'essi in considerazione nella misura in cui hanno valore per i lavoratori. Inoltre un maggior grado di istruzione influisce sul livello di informazione dei consumatori e incrementa contatti sociali che migliorano le opportunità di vita; si tratta di elementi dotati anch'essi di un valore e che vanno pertanto considerati. È stato rilevato, ad esempio, che gli individui più istruiti hanno una maggiore speranza di vita. Ciò in parte è da attribuirsi alla minore esposizione ai rischi per la salute sul lavoro, ma è anche dovuto alla migliore informazione sulle conseguenze dannose di determinati consumi, come ad esempio quello di sigarette.

Il tasso di rendimento privato è calcolato in base a costi e benefici che riguardano esclusivamente la persona che effettua l'investimento. In tale calcolo vengono considerati i redditi al netto delle imposte e solamente quei costi che l'individuo ritiene gli derivino dalla scelta di proseguire gli studi. Vengono escluse dal computo tutte le imposte addizionali, ma non i sussidi. La distinzione tra tasso di rendimento sociale e tasso di rendimento privato è legata al modo in cui vengono considerati i sussidi e le imposte. Il tasso sociale include tra le voci attive tutte le imposte ed esclude tutte le sovvenzioni, che vengono registrate invece tra i costi; esso si riferisce quindi al rendimento che deriva dall'investimento nell'istruzione alla società nel suo complesso. Poiché gli individui più ricchi pagano più imposte e un maggior livello di istruzione aumenta il reddito, aggiungere le imposte tra le voci attive tende a incrementare il tasso di rendimento sociale rispetto a quello privato, mentre l'aggiunta delle sovvenzioni ai costi ha l'effetto contrario. In pratica i due effetti tendono ad annullarsi a vicenda, sicché il tasso di rendimento sociale e quello privato non si differenziano in misura significativa.

I tassi di rendimento dell'istruzione sono stati calcolati per numerosi paesi in anni recenti. In tutti i paesi per i quali è stato effettuato tale calcolo i tassi di rendimento sociale dell'istruzione sono risultati paragonabili a quelli ricavabili da investimenti alternativi. All'interno di ogni paese, comunque, i rendimenti hanno un andamento decrescente man mano che si passa a livelli superiori di istruzione, e tendono a essere minori nelle economie sviluppate che non in quelle meno avanzate (v. Psycharopolous, 1973 e 1981). Nei paesi sottosviluppati dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina i tassi di rendimento sociale superano il 25% annuo per l'istruzione primaria, oscillano tra il 15 e il 18% per l'istruzione secondaria e tra il 13 e il 16% per l'istruzione superiore. Nelle economie avanzate dell'Europa, del Nordamerica e dell'Asia non si possono calcolare tassi di rendimento significativi per i livelli di istruzione inferiori, in quanto l'istruzione primaria è estesa a quasi tutta la popolazione. In queste economie l'alfabetismo ha un grandissimo valore e le prospettive per chi resta analfabeta sono così scarse che praticamente tutti investono nell'istruzione primaria. Nei paesi sviluppati i tassi di rendimento sociale dell'istruzione secondaria oscillano tra il 10 e l'11%, quelli dell'istruzione superiore tra l'8 e il 9%.

Dalle stime risulta che nel settore dell'istruzione la legge del decremento progressivo dei rendimenti è operante in due modi. All'interno di una data economia i tassi di rendimento degli investimenti nell'istruzione sono inferiori per le persone più istruite che per quelle meno istruite. I vantaggi economici derivanti dalla prosecuzione degli studi diminuiscono al crescere del livello di istruzione raggiunto. Di conseguenza il decremento dei rendimenti marginali pone limiti precisi agli incentivi ad acquisire un'istruzione, e la scolarizzazione tende a essere circoscritta alle prime fasi del ciclo di vita. Le comparazioni tra diversi paesi hanno messo in luce che il tasso di decremento tende a essere più elevato nei paesi poveri, e questo è uno dei motivi per cui in essi si riscontra un minor livello di istruzione della popolazione. Inoltre i tassi di rendimento a ogni livello di istruzione sono inferiori nei paesi più avanzati in quanto in essi l'offerta di forza lavoro qualificata è maggiore che nei paesi sottosviluppati. In questi ultimi il periodo di scolarizzazione è in media di soli tre-quattro anni, laddove nelle economie occidentali avanzate tale media si avvicina ai dieci-dodici anni - il periodo di tempo necessario a conseguire un diploma di scuola media superiore - sicché i due concetti economici di decremento dei rendimenti sono correlati. In ogni caso il livello di istruzione è aumentato in tutto il mondo, specialmente a partire dalla seconda guerra mondiale.

Paesi quali gli Stati Uniti e il Regno Unito - per i quali disponiamo di dati relativi ai livelli salariali e all'istruzione per lunghi archi di tempo - dimostrano che il tasso di rendimento dell'istruzione tende a diminuire al crescere del livello di sviluppo economico del paese e del livello di istruzione della popolazione. La rimuneratività del lavoro qualificato e i vantaggi economici derivanti dalla scolarizzazione sembra siano stati maggiori nel XIX che non nel XX secolo. Anche questo dato sembrerebbe confermare la progressiva diminuzione dei rendimenti dell'istruzione e del lavoro qualificato, ma il discorso è più complicato. Nel periodo del secondo dopoguerra, per il quale disponiamo di dati più attendibili, non si riscontra una tendenza secolare al decremento dei tassi di rendimento dell'istruzione, nonostante il notevole incremento del livello di istruzione nei paesi sviluppati. Inoltre non esiste una differenza sostanziale tra le economie avanzate e quelle in fasi intermedie di sviluppo per quel che riguarda i tassi di rendimento dei livelli d'istruzione superiori, e ciò nonostante vi siano tra di esse notevoli differenze negli standard di vita.

La ragione di questo fatto è che l'istruzione è complementare alla tecnologia avanzata e al cambiamento tecnologico. Quando la tecnologia è primitiva e arretrata il rendimento di molte qualificazioni professionali è inferiore a quello che si ha quando la tecnologia è più avanzata e può essere adattata a una forza lavoro qualificata. Le innovazioni introdotte da una costante accumulazione di conoscenze fanno sì che il decremento del rendimento dell'istruzione si verifichi a un ritmo più ridotto, in quanto le nuove tecniche aumentano la domanda di forza lavoro qualificata. Pertanto il tasso di rendimento può restare elevato per periodi di tempo molto lunghi, come è avvenuto nella maggior parte delle economie occidentali sviluppate. Questa è stata una delle principali cause dell'incremento del livello di istruzione che si è verificato negli ultimi cinquant'anni in tutto il mondo.

3. L'istruzione e lo Stato

Sino a un secolo e mezzo fa l'istruzione era esclusivamente privata e di solito veniva impartita all'interno della famiglia, spesso con l'assistenza della Chiesa. Questo stato di cose cominciò a cambiare nel XIX secolo, e con un ritmo piuttosto rapido; attualmente in quasi tutti i paesi del mondo lo Stato ha un ruolo dominante nell'istruzione formale. Senza dubbio sussistono differenze sostanziali per quel che riguarda il grado di decentramento del controllo statale e la relativa importanza del settore privato. Nondimeno gran parte dell'istruzione attualmente è fornita direttamente dallo Stato, viene ampiamente finanziata col gettito fiscale ed è praticamente gratuita per gli studenti, i quali pagano al più tasse puramente nominali che rappresentano una frazione infima dei costi diretti. In passato l'istruzione era un 'privilegio' di pochi, specialmente ai livelli superiori; oggi è considerata quasi universalmente un diritto dei cittadini. In effetti pressoché tutte le legislazioni dei paesi del mondo sviluppato prevedono un livello minimale di istruzione garantito dallo Stato.

L'enorme incremento del livello di istruzione della popolazione mondiale nel XX secolo è ben noto. Poiché la tecnologia moderna premia in misura crescente l'istruzione e le qualificazioni professionali sempre più elevate, il livello di istruzione sarebbe comunque cresciuto notevolmente, anche in assenza dei sussidi statali, in quanto una maggiore istruzione risulta economicamente vantaggiosa per il privato. Se la rimuneratività dell'istruzione è elevata, gli studenti e le loro famiglie ne domandano una quantità maggiore. Non si può escludere la possibilità che i sussidi statali siano stati incanalati in questo modo attraverso i processi politici, ma la domanda di molti altri generi di beni è quasi sempre aumentata senza che lo Stato svolgesse un ruolo così importante. Quale che sia la causa, l'intervento pubblico ha senza dubbio accelerato l'innalzamento del livello di istruzione.

La teoria economica classica spiega che l'azione collettiva interviene quando coloro che decidono (decision-makers) non valutano appropriatamente gli effetti collaterali. Nel caso dell'istruzione sono stati individuati due effetti sociali benefici. In primo luogo l'istruzione di base contribuisce al funzionamento complessivo della società, incluso l'adattamento del comportamento individuale alle norme sociali, alle procedure e alle norme giuridiche in base alle quali opera la società. Il fatto che l'istruzione contribuisca a formare il buon cittadino ha senza dubbio un ruolo importante nell'istituzione dell'istruzione pubblica, ma non spiega l'entità dell'intervento dello Stato nel settore dell'istruzione, soprattutto a livello superiore. Il secondo benefico effetto sociale dell'istruzione è dato dal fatto che essa contribuisce a creare nuove preziose conoscenze di cui può fruire la società nel suo complesso. L'istruzione non solo trasmette il sapere esistente a nuove generazioni, ma, individuando nuovi problemi, chiarendo e rettificando idee esistenti, contribuisce anche ad accrescere il capitale totale di conoscenze che possono essere apprese da tutti. Poiché non riguardano direttamente il singolo individuo, tali benefici non sono valutati dai potenziali studenti, e di conseguenza l'istruzione tenderebbe a essere trascurata senza l'intervento dello Stato. Questo fattore influisce maggiormente ai livelli superiori dell'istruzione.

Gli effetti egualitari dell'istruzione sono la causa principale dell'aumento dell'intervento pubblico in questo settore. Lo straordinario incremento del livello di istruzione nelle nazioni altamente sviluppate ha accresciuto notevolmente nel corso del tempo la mobilità economica e sociale nonché l'eguaglianza di reddito e di status economico. Le sperequazioni salariali in questi paesi sono oggi assai minori che cinquanta o cento anni fa. L'istruzione obbligatoria ha contribuito inoltre a diminuire in misura notevole l'ineguaglianza intergenerazionale. Destinatari dell'istruzione sono i giovani, che ne sostengono i costi immediati. Tuttavia per la maggior parte delle persone i benefici economici dell'istruzione arrivano assai più tardi nella vita, come avviene per la maggior parte dei progetti di investimento su larga scala. Questi ultimi, però, possono essere finanziati più facilmente attraverso gli intermediari finanziari e la compartecipazione nel mercato azionario, oppure utilizzando il capitale stesso come garanzia reale nel mercato delle obbligazioni. Nessuna di queste due alternative è possibile per gli investimenti nell'istruzione nelle società libere. I lavoratori non possono vendere crediti giuridicamente vincolanti sui loro guadagni futuri, tranne che in casi molto limitati. Le famiglie svolgono necessariamente un ruolo assai importante nel finanziare l'istruzione dei giovani, e anche con i sussidi dello Stato l'istruzione dipende in misura notevole dalle condizioni socioeconomiche delle famiglie stesse. Il livello finale di istruzione conseguito dagli studenti è senz'altro correlato al grado di istruzione dei genitori, ma tale connessione è meno rigida di quanto sarebbe se lo Stato non sovvenzionasse in misura così massiccia l'istruzione pubblica. La consapevolezza che l'istruzione svolge un ruolo fondamentale nel futuro successo economico dell'individuo ha ingenerato la convinzione che tutti dovrebbero avere eguali opportunità di studio, indipendentemente da circostanze fortuite quali le origini sociali ed economiche. Per quanto l'influenza dell'istruzione sulla mobilità economica e sociale e sull'ineguaglianza non sia stata ancora valutata con precisione, a livello pratico se ne è tenuto conto nel progettare le politiche scolastiche in quasi tutti i paesi del mondo.

Tuttavia, uno dei principali problemi che si trovano ad affrontare i giovani che si affacciano all'età adulta resta quello di attuare la transizione dal mondo della scuola al mondo del lavoro, di trovare un proprio spazio in un mercato del lavoro estremamente diversificato. L'appropriata allocazione dei lavoratori nelle aziende in presenza di informazione incompleta costituisce inoltre un problema economico di grande rilevanza. Si tratta di un problema che di solito viene risolto in maniera abbastanza soddisfacente nel corso della carriera, ma le cose si presentano più difficili agli inizi, per i giovani che non hanno ancora alcuna esperienza di lavoro. L'informazione incompleta incentiva ulteriormente gli studenti a migliorare il proprio rendimento scolastico, poiché i potenziali datori di lavoro considerano quest'ultimo un importante indicatore di doti e capacità produttive che altrimenti sfuggono all'osservazione. Questo fatto può indurre gli studenti a investimenti eccessivi nell'istruzione sul piano sociale, economico e non da ultimo psicologico.

4. La produzione di istruzione

L'organizzazione economica del settore dell'istruzione pone parecchie questioni interessanti, in primo luogo quella relativa alla produttività dei vari inputs nella funzione di produzione dell'istruzione (v. Hanushek, 1976). I punteggi ottenuti dagli studenti nei test standardizzati sono stati correlati statisticamente con gli inputs acquistati dalle scuole e con le caratteristiche degli studenti e delle loro famiglie. Quando le scuole sono decentrate, controllate e finanziate da amministrazioni locali, vi sono notevoli differenze tra di esse per quanto riguarda la spesa e la qualità degli studenti.

Gli inputs acquistati sono complementari o alternativi rispetto agli inputs costituiti dagli studenti? È meglio dedicare maggiori risorse educative agli studenti più dotati oppure a quelli meno dotati? La differenziazione qualitativa dei colleges e delle università in base al livello degli insegnanti e degli studenti, che si riscontra in vari paesi del mondo, indica che gli inputs sono un complemento nell'istruzione superiore. Gli studenti più capaci apprenderebbero di meno se fossero costretti a studiare in colleges di qualità scadente, e lo stesso effetto negativo avrebbero scuole più impegnative e di miglior livello per studenti meno dotati. Risulta più difficile rispondere alla questione nel caso delle scuole elementari e secondarie, in quanto il loro livello qualitativo tende a diversificarsi in base al reddito e allo status sociale delle famiglie, oltreché in base agli inputs della scuola (almeno per quanto riguarda gli Stati Uniti, da cui proviene la maggior parte dei dati). Le scuole frequentate dai figli di genitori più ricchi tendono ad avere studenti migliori e una maggiore quantità di inputs acquistati. Ciò va interpretato come un esempio di complementarità tra risorse, o si tratta solo degli effetti tipici della ricchezza e del reddito, nel senso che i genitori più ricchi 'comprano' scuole di qualità migliore per i propri figli esattamente come fanno per altri beni quali l'abitazione, il vestiario e il cibo? La risultanza empirica più sistematica è che gli inputs costituiti dagli insegnanti sono importanti per il rendimento degli studenti. Gli studenti che hanno insegnanti migliori imparano di più. Gli effetti di altri inputs acquistati sull'apprendimento sono risultati meno facili da accertare. Alcuni dati dimostrano inoltre che le politiche di compensazione possono migliorare il rendimento degli studenti, soprattutto se questi ne usufruiscono in età precoce. Così quando i bambini provenienti da famiglie povere sono inseriti in ambienti prescolari più stimolanti il loro successivo rendimento scolastico migliora. Inoltre quando nelle scuole elementari e superiori vengono posti nella stessa classe studenti con diversi livelli di capacità, sembra che i meno dotati si avvantaggino del contatto con quelli più capaci, e che a questi ultimi non derivi alcuna conseguenza negativa. Le scuole tuttavia si sono mostrate riluttanti ad adottare il sistema della 'classe aperta' implicato da questo modello, e la formazione delle classi in base alle capacità è assai più comune della mescolanza di studenti di diverso livello, specialmente nelle scuole superiori. Infine è sempre più dimostrato che l'entità delle spese affrontate dalle scuole influenza i guadagni futuri di un individuo. Quanti hanno frequentato scuole in cui la spesa per studente era maggiore hanno redditi superiori rispetto a quanti hanno frequentato scuole in cui spendevano meno. Non si è ancora riusciti a conciliare questi risultati con quelli relativi ai punteggi riportati nei test.

Più complicata risulta l'attuabilità di politiche compensatorie generalizzate nel settore educativo. L'istruzione infatti è un prodotto congiunto della scuola e della famiglia, e occorre tener conto delle interazioni tra le due istituzioni. Se lo Stato fa affluire maggiori risorse finanziarie nelle scuole, ciò può indurre i genitori a diminuire l'impegno diretto e il tempo dedicati all'educazione dei figli. Molte micropolitiche educative in anni recenti possono aver risentito di questo problema, e l'effetto di compensazione che si è in tal modo determinato probabilmente fa apparire le politiche nel settore educativo peggiori di quanto non siano in via di principio. Interazioni di questo genere tuttavia si verificano anche nella direzione opposta. A seguito dei cambiamenti nelle strutture familiari - maggiore incidenza del divorzio e della separazione, accresciuta presenza delle donne nel mondo del lavoro nella maggior parte dei paesi - le scuole si trovano sempre più spesso a dover fornire una serie di servizi sociali per l'infanzia di cui prima si facevano carico le famiglie. La gamma dei servizi offerti dalle istituzioni preposte all'istruzione è mutata nel corso degli anni, e ciò va tenuto presente quando si valuta la produttività complessiva delle scuole.

La questione se l'istruzione debba essere pubblica o privata è concettualmente diversa da quella dell'auspicabilità o meno dei sussidi statali. Sebbene l'istruzione pubblica sia attualmente il modello dominante in tutto il mondo, le recenti tendenze verso la privatizzazione ci ricordano che l'aver ereditato dal passato tale modello non costituisce un motivo sufficiente per continuare ad adottarlo. Se le scuole fossero privatizzate, l'istruzione potrebbe essere sovvenzionata dallo Stato attraverso sussidi per gli studenti che questi potrebbero spendere a loro piacimento, sempre però nell'ambito dell'istruzione. In questa situazione le scuole continuerebbero a essere regolamentate o autorizzate dallo Stato, ma sarebbero in competizione tra loro per attirare il maggior numero di studenti.

L'idea di privatizzare la scuola può sembrare un ritorno all'epoca in cui l'istruzione era appannaggio dei ricchi, ma ciò non è necessariamente vero. Nei pochi paesi in cui esistono università private, esse assolvono l'importante funzione di ampliare la gamma dei livelli qualitativi a disposizione degli studenti. Anche il decentramento dei colleges pubblici ne ha migliorato la qualità complessiva grazie alla concorrenza. L'istruzione pubblica primaria e secondaria tende a essere più decentrata rispetto all'istruzione superiore. Tuttavia una maggiore concorrenza e la potenziale nascita di nuove scuole offrirebbero una scelta più ampia agli studenti, favorendo altresì una più rapida innovazione nel processo educativo e un'istruzione meno costosa. Ciò consentirebbe inoltre di evitare la deplorevole prassi di distribuire le risorse tra le unità amministrative in base al potere politico anziché in base alle scelte del consumatore.

Il rendimento della qualificazione professionale

Il cambiamento tecnologico e il decentramento dell'organizzazione economica sono considerati elementi essenziali della crescita economica. Il mutamento tecnologico può porre rimedio alle conseguenze più negative della 'legge del decremento progressivo del profitto', e così è stato effettivamente in passato. Nell'epoca moderna sussiste una stretta connessione tra il livello di istruzione dei lavoratori e il livello tecnologico di una data economia. Sebbene il sapere tecnologico astratto sia ampiamente conosciuto in tutto il mondo, le tecniche di produzione effettivamente impiegate variano notevolmente da paese a paese. In genere i paesi avanzati si servono di tecniche più sofisticate, mentre quelli meno sviluppati usano tecniche più arretrate. Un aspetto importante del processo di sviluppo è la diffusione dell'utilizzo effettivo della tecnologia avanzata nelle economie più arretrate. Tuttavia non si tratta solo di importare tali tecnologie nei paesi in cui esse mancano. La costruzione di un nuovo impianto di alto livello tecnologico, progettato in conformità delle condizioni di paesi quali l'Italia o la Francia, raramente ha successo in paesi più arretrati, in quanto le loro risorse umane non sono adeguate al compito, e di conseguenza il nuovo capitale non può essere utilizzato in modo efficiente. Gli investimenti in risorse umane sono altrettanto importanti degli investimenti in macchinari e attrezzature.Il processo di modernizzazione e la liberalizzazione del commercio hanno determinato un notevole tasso di incremento del reddito nazionale in alcune regioni dell'Asia e dell'Europa a partire dal 1945, trasformando altresì la domanda e l'offerta a livello mondiale di svariate specializzazioni professionali. È sempre più dimostrato che il valore del lavoro altamente qualificato è aumentato negli ultimi vent'anni. È importante che i lavoratori migliorino le proprie qualificazioni professionali per trarre vantaggio da questa situazione. Il tasso di rendimento dell'investimento nella qualificazione professionale è oggi assai elevato. I paesi avanzati hanno risposto in modo adeguato a questi mutamenti, mentre la situazione è più difficile nei paesi poveri, dove i costi della scolarizzazione sono eccessivi per la maggior parte delle famiglie; ci vorranno decenni per superare tali svantaggi. Le politiche educative a lungo termine non colpiscono l'attenzione quanto le importazioni di alta tecnologia, ma sono probabilmente almeno altrettanto importanti. (V. anche Educazione; Produttività; Scuola).

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