Istinto

Enciclopedia del Novecento (1978)

Istinto

RRobert A. Hinde

di Robert A. Hinde

Istinto

sommario: 1. Introduzione.  2. L'adattatività del comportamento: a) istinto e comportamento; b) ricerche sull'adattatività. 3. Sviluppo del comportamento: a) comportamento istintivo e comportamento appreso; b) processi implicati nello sviluppo del comportamento; c) studi sperimentali. 4. Il problema della motivazione: a) il concetto di spontaneità; b) fattori che influenzano il comportamento; c) il meccanismo d'integrazione delle influenze sul comportamento; d) integrazione di risposte in sequenze funzionali. 5. Qualche esempio di comportamento istintivo: a) il mangiare nei Roditori; b) attività riproduttive negli Uccelli; c) l'aggressione. 6. Conclusione. □ Bibliografia.

1. Introduzione

L'istinto non è più un concetto scientificamente utile. Naturalmente ciò non significa che le proprietà del comportamento a cui questo termine si riferiva abbiano perso la loro importanza. Anzi, le vicissitudini dei concetti relativi agli istinti, intesi in senso piuttosto diverso da quello di Freud, sono un indice del progresso compiuto dall'inizio del secolo nella comprensione di certi aspetti sia del comportamento umano sia di quello animale.

La difficoltà che sorge col concetto di istinto può essere enunciata semplicemente: esso si riferisce a due diverse proprietà del comportamento che sono risultate valide solo a un livello piuttosto superficiale di analisi e che non sono necessariamente correlate l'una con l'altra. Più precisamente, un tempo si riteneva che il comportamento classificato come istintivo si sviluppasse nell'individuo indipendentemente dall'apprendimento e inoltre che fosse guidato dal di dentro. Ad esempio, quasi tutte le specie di uccelli costruiscono nidi abbastanza elaborati. In ogni caso studiato si è visto che individui allevati fin da prima della schiusa delle uova da genitori adottivi in un tipo di nido diverso dal loro, una volta raggiunta la maturità sessuale costruiscono sempre un tipo di nido caratteristico della loro specie in un periodo appropriato per la deposizione delle uova. Come sapevano questi uccelli in che modo costruire un nido? Che cosa li ha indotti a costruire un nido giusto in tempo per deporvi le uova? La semplice risposta a queste due domande era che gli uccelli hanno costruito i nidi istintivamente. Inteso in questo modo, l'istinto era quindi un misterioso principio esplicativo, capace di spiegare tutto, un pretesto per l'ignoranza: inevitabilmente, perciò, questo concetto si è acquistato una cattiva reputazione. Tuttavia, sebbene il concetto non sia più utile, i problemi comportamentali rimangono.

2. L'adattatività del comportamento

a) Istinto e comportamento

Alla base di entrambi gli aspetti del vecchio concetto di istinto c'è un'idea centrale comune. Negli studi sullo sviluppo, l'istinto veniva postulato non tanto perché si sviluppa un comportamento, ma perché questo si sviluppa in maniera adattativa. Negli studi sul comportamento degli animali adulti, poi, si ipotizzava l'esistenza dell'istinto non semplicemente perché il comportamento cambia di volta in volta, ma perché cambia in modo tale da favorire la sopravvivenza e la riproduzione.

A grandi linee, l'adattatività del comportamento è sufficientemente chiara. La soppravvivenza dell'individuo e la riproduzione della specie dipendono dalla nutrizione, dalla capacità di sfuggire i predatori, dal comportamento sessuale e parentale e così via. È sufficiente una conoscenza superficiale per sapere che individui privi di certi aspetti del normale comportamento della specie non possono avere discendenti.

I quesiti più interessanti sono quelli relativi alle differenze fra caratteri piuttosto che ai caratteri stessi: noi ci chiediamo perché lo struzzo non vola a differenza di altri uccelli, ma non ci chiediamo perché non volano i ratti. In effetti la maggior parte degli interrogativi che riguardano l'adattatività implicano un paragone non espresso. Chiedersi: ‟perché è vantaggioso per questa specie nidificare socialmente?" sottintende: ‟dal momento che quell'altra non lo fa". Di interesse ancora maggiore, in quanto concernenti il progresso dell'evoluzione, sono i quesiti circa le differenze nell'ambito di una specie: ‟sono avvantaggiati gli individui che nidificano socialmente rispetto a quelli che non lo fanno, e perché?"

b) Ricerche sull'adattatività

È abbastanza facile speculare sull'adattatività, ma solo recentemente essa è stata studiata con metodi sperimentali. Qui, per ragioni di spazio, ci limitiamo a un esempio classico, offertoci dagli studi di N. Tinbergen e collaboratori sul comportamento riproduttivo dei gabbiani. Dopo la schiusa delle uova, l'adulto di molte specie di uccelli nidificanti a terra rimuove dal nido i gusci d'uovo rotti. Poiché la rimozione dei gusci d'uovo è più comune in specie in cui i piccoli sono mimetizzati che in quelle in cui sono ben visibili e poiché i frammenti di gusci sono essi stessi ben visibili, Tinbergen suppose che la loro rimozione fosse vantaggiosa per ridurre la visibilità del luogo di nidificazione. Ciò fu dimostrato sperimentalmente nel gabbiano dalla testa nera (Larus ridibundus): uova poste nella colonia con un guscio rotto vicino venivano prese dai predatori più rapidamente delle altre. Tuttavia questo era solo l'inizio del problema: i gabbiani dalla testa nera spesso non rimuovono i gusci d'uovo per un'ora o due dopo la schiusa, mentre molti altri uccelli nidificanti a terra lo fanno immediatamente. Qui di nuovo occorreva spiegare il differente comportamento tra specie: il quale, secondo quanto ipotizzato da Tinbergen, era determinato dal fatto che i gabbiani dalla testa nera, a differenza di qualche altra specie, predano loro stessi pulcini bagnati appena nati, ma non quelli asciutti, così che la presenza continua dell'adulto nel nido può essere necessaria per la protezione dei piccoli durante il periodo immediatamente susseguente alla schiusa delle uova. Questa interpretazione attende una conferma sperimentale. Essa è collegata con l'ulteriore questione del comportamento territoriale del gabbiano dalla testa nera. In questa specie le coppie non nidificano né vicinissime le une alle altre, come fanno certi uccelli. acquatici, né a grandi distanze in estesi territori difesi, ma in colonie con i nidi disseminati su piccoli territori difesi. Tinbergen e collaboratori riuscirono a dimostrare che questa forma di comportamento territoriale riduceva la depredazione delle uova in via di apertura e dei piccoli appena usciti dall'uovo da parte di altri gabbiani e, insieme con la mimetizzazione delle uova, riduceva la depredazione da parte di altre specie. Tinbergen riuscì anche a fare qualche progresso per spiegare il modo in cui i nidi vengono spaziati entro la colonia. Paragonando il comportamento di animali sopraggiunti in territori i cui abituali occupanti erano presenti ma immobilizzati da una sostanza stupefacente con quello di animali sopraggiunti in territori i cui occupanti si comportavano normalmente, mostrò che è il comportamento degli occupanti abituali del territorio che determina lo scaglionamento dei nidi (v. Tinbergen, 1967; v. Tinbergen e altri, 1967).

Questo esempio, che è solo uno dei tanti che si possono citare, dimostra non solo come l'adattatività del comportamento possa essere studiata sperimentalmente, ma anche come lo studio dell'adattatività di un aspetto del comportamento conduca allo studio di altri. Studi comparati di specie strettamente correlate hanno dimostrato che i caratteri di una specie - morfologici, fisiologici e comportamentali - formano un complesso adattativo in armonia con l'ambiente nel quale la specie vive. Un mutamento nel corso dell'evoluzione di un aspetto del sistema può avere estese conseguenze che si ramificano fino a interessarlo tutto. Un esempio notevole è fornito dal lavoro di E. Cullen (v., 1957) sul gabbiano tridattilo (Rissa Tridactyla), la sola specie di gabbiano che nidifica su precipizi scoscesi: questa particolarità lo protegge dai predatori, sia Uccelli sia Mammiferi. Esso differisce nel comportamento dagli altri gabbiani per molti aspetti, ma quasi tutte le differenze possono essere interpretate come conseguenze sulla sua evoluzione della nidificazione sui precipizi. Ad esempio, il gabbiano tridattilo costruisce un nido più elaborato di quello delle specie che nidificano a terra, e i piccoli non corrono via se vengono spaventati.

Perciò, mentre l'adattatività del comportamento è stata a lungo fonte di meraviglia per gli studiosi di storia naturale, le ricerche sperimentali e comparate stanno cominciando a chiarire proprio come e in che misura si giunga all'adattamento, come i vari caratteri attinenti al comportamento di una specie siano in relazione fra di loro, e in certi casi le modalità della loro evoluzione. Perché il comportamento possa essere adattativo, deve svilupparsi in un certo modo, apparire al momento giusto e nel giusto contesto. Nei capitoli seguenti considereremo questi due aspetti del comportamento, entrambi in precedenza ascritti all'istinto.

3. Sviluppo del comportamento

a) Comportamento istintivo e comportamento appreso

È un'osservazione comune che molti tipi di comportamento sono già quasi perfetti nella forma la prima volta in cui si manifestano senza alcuna istruzione o pratica precedente. In effetti in molte circostanze dev'essere così: una farfalla non può certo permettersi di fare una serie di svolazzamenti abortivi prima di volare in modo appropriato; un uccello di nido appena uscito dall'uovo deve pigolare, altrimenti non verrebbe nutrito; e una topina primipara deve prendersi cura dei piccoli appena sono nati. Tali casi sono così evidenti, il loro sviluppo è così chiaramente diverso da quello, diciamo, del parlare o del guidare la macchina, e inoltre sembrano così inesplicabili, da richiedere addirittura un nome speciale. Divenne così consuetudine stabilire una dicotomia: il comportamento veniva classificato come appreso, se il suo sviluppo poteva (presumibilmente) essere spiegato, e come istintivo, quando i principi già noti dell'apprendimento sembravano non potersi applicare. Questa dicotomia è stata utile agli studiosi dell'evoluzione interessati al modo in cui il comportamento viene a contribuire alla sopravvivenza e alla riproduzione (v. Lorenz, 1965), ma si è rivelata sterile per lo studio dello sviluppo: il cosiddetto comportamento istintivo doveva essere accettato com'era, e il suo sviluppo sembrava non poter essere analizzato oltre. In ogni caso, la dicotomia incontrava un certo numero di difficoltà.

Una di queste era che il comportamento istintivo veniva definito solamente in termini negativi - si riferiva cioè a un tipo di comportamento nel cui sviluppo non era stato fino a quel momento rilevato alcun processo di apprendimento. In certi casi quest'affermazione era basata solo sull'osservazione che tutti i membri della specie si comportavano in modo analogo. Era però trascurato il fatto che ciò che gli individui apprendono può essere influenzato dalla loro struttura, cosicché una somiglianza di comportamento fra individui può essere dovuta semplicemente a una somiglianza strutturale. Ad esempio, tutti gli individui di ciascuna specie di fringuello tendono a scegliere gli stessi tipi di seme, ma vi sono marcate differenze fra le specie nella preferenza per i vari tipi di seme. Queste sono correlate con differenze fra le specie nelle dimensioni del becco, e sulla base di ciò si era soliti ritenere che la dimensione del becco fosse la risultante di un fenomeno di adattamento che permetteva all'uccello di cavarsela meglio con la grandezza del seme scelto. È stato tuttavia dimostrato che è più vicino alla verità il contrario: l'apprendimento ha un grande ruolo nello sviluppo delle preferenze per i semi, infatti gli individui imparano a selezionare quei semi che possono aprire meglio con i loro becchi. Individui di una data specie vanno a prendere lo stesso tipo di seme in parte perché hanno un becco simile (v. Kear, 1962).

In altri casi la prova dell'assenza di apprendimento si basava su esperimenti di isolamento: il comportamento mostrato da un animale allevato in isolamento dagli altri del suo genere era ritenuto ‛istintivo'. Un tale esperimento però elimina solo certi tipi di apprendimento, come l'imitazione: altre forme di apprendimento sono ancora possibili. Infatti pulcini domestici allevati in isolamento sociale imparano a discriminare tra oggetti commestibili e non commestibili sulla base di un apprendimento per prova ed errore.

A questo proposito è necessario sottolineare che lo stesso concetto di apprendimento non è affatto facile da definire. Mentre esistono effetti dell'esperienza che per consenso unanime debbono essere ascritti all'apprendimento, ve ne sono altri per i quali la questione è aperta e altri ancora per cui l'uso del termine implica una grossa distorsione del linguaggio comune. Per esempio un roditore adulto, messo in uno spazio aperto, resta immobile o va in esplorazione secondo un comportamento che è presumibilmente adattativo nella situazione naturale. Il tipo di comportamento mostrato, tuttavia, è marcatamente influenzato dall'esperienza acquisita nell'infanzia: l'essere stato tenuto in mano dallo sperimentatore per pochi minuti al giorno a una o due settimane di vita influenza il suo comportamento successivo in campo aperto. Eppure, sarebbe assurdo dire che mentre era tenuto in mano durante quel primo periodo della sua vita, stava imparando come comportarsi da adulto nel campo aperto. Mentre è possibile dimostrare che certi specifici tipi d'apprendimento non sono implicati nello sviluppo di particolari aspetti del comportamento, l'esperienza in senso lato è sinonimo di vita.

Ancora, un altro criterio per definire un comportamento istintivo era il suo manifestarsi immediatamente dopo la nascita o dopo la schiusa delle uova. Tuttavia gli embrioni mostrano una notevole ricchezza di comportamento nell'utero, ed è stato stabilito che l'esperienza acquisita nell'utero può influenzare il comportamento successivo: così ad esempio il comportamento riflesso del neonato umano è influenzato dalla postura assunta nell'utero prima della nascita. Tra i bambini nati con parto podalico, i riflessi implicanti estensione delle gambe sono accentuati in coloro che avevano le gambe estese prima del parto e viceversa (v. Prechtl, 1965).

Perciò, mentre è talvolta utile pensare in termini di un continuum fra aspetti stabili e labili del comportamento, definiti così a seconda della misura in cui sono soggetti a essere modificati da parte di fattori extraorganismici durante lo sviluppo, una dicotomia fra comportamento istintivo e appreso ha necessariamente un valore limitato.

b) Processi implicati nello sviluppo del comportamento

Una classificazione alternativa è quella che distingue non tipi di comportamento bensì processi implicati nello sviluppo. Questi venivano distinti in processi implicanti l'apprendimento e in processi implicanti la ‛maturazione'. Il concetto di maturazione non era dapprima chiaramente definito e comprendeva vaghi processi di crescita e maturazione dei tessuti. Tuttavia successivamente sembrò acquisire una base più solida per merito degli esperimenti di Coghill (v., 1929) e di altri che mostrarono come lo sviluppo del comportamento natatorio nell'anfibio Ambystoma fosse strettamente parallelo allo sviluppo di connessioni, presumibilmente funzionali, fra fibre nervose nel midollo spinale. Inoltre, la misura in cui un tale sviluppo di fibre nervose anatomicamente appropriate possa essere indipendente dall'esperienza è stata elegantemente dimostrata da Sperry (v., 1958). Una delle sue classiche serie di esperimenti riguardava lo sviluppo di connessioni fra l'occhio e il cervello della salamandra. Se il nervo ottico è sezionato, la salamandra, naturalmente, diventa cieca. Tuttavia, dopo un certo tempo, le fibre nervose rigenerano e la vista è ripristinata. Poiché la coordinazione visuo-motoria della salamandra si ristabilisce, sembra logico supporre che si siano ristabilite fra occhio e cervello connessioni funzionali in tutto simili a quelle esistenti prima dell'operazione. Se ora l'occhio viene ruotato nell'orbita, la coordinazione visuo-motoria della salamandra è disturbata: se una mosca le viene presentata dall'alto, la salamandra colpisce in basso, nella direzione in cui l'immagine sulla retina indica esservi la mosca. Se la rotazione dell'occhio nell'orbita è accompagnata dalla sezione del nervo ottico, il comportamento della salamandra dopo il recupero della vista indica che le connessioni fra il cervello e la retina sono rigenerate in un modo che è anatomicamente ma non funzionalmente corretto: la salamandra colpisce sopra l'orizzontale quando le viene mostrata una mosca al di sotto e viceversa. Perciò le fibre nervose devono avere rigenerato in modo tale che ciascun punto sulla retina è connesso a quel punto nel cervello al quale sarebbe stato connesso nell'animale normale sebbene ora la retina sia in posizione invertita. Il comportamento non migliora mediante l'apprendimento e sembra essere indipendente dall'esperienza in situazioni di condizionamento con rinforzo alimentare (v. Sperry, 1958; v. Sperry e Hibbard, 1968; v. Gaze e Jacobson, 1963; v. anche condizionamento, meccanismo del).

Tali esperimenti dimostrano chiaramente che la base neurale di almeno alcuni tipi di comportamento può svilupparsi più o meno indipendentemente dall'ambiente extraorganismico. Ma forniscono anche una base per dividere i processi relativi allo sviluppo del comportamento in quelli implicanti maturazione e quelli implicanti apprendimento? Bisogna fare due considerazioni. Primo, anche quando i processi di crescita dei nervi conducono a connessioni appropriate anatomicamente, una funzione normale può ancora dipendere da fattori extraorganismici. Anche l'occhio della salamandra non funziona normalmente se non è stato esposto alla luce. In effetti, nel sistema visivo del gatto le connessioni funzionalmente appropriate fra la retina e le cellule della corteccia visiva, che sono presenti alla nascita, decadono se manca l'opportunità di una visione coordinata fra i due occhi (v. Hubel e Wiesel, 1965). Inoltre, l'abilità di una scimmia nell'afferrare un oggetto visibile dipende dall'aver avuto adeguate possibilità di osservare i movimenti delle proprie mani iniziati volontariamente (v. Held e Bauer, 1967). Secondo, il concetto di maturazione è strettamente legato all'universo preso in considerazione. La costanza di sviluppo delle strutture fisiche nell'organismo, inclusa quella delle fibre nervose, è dovuta alla costanza dell'ambiente intraorganismico: i processi di maturazione sono quelli che avvengono nell'omeostaticamente controllato milieu intérieur. Alterazioni di questo - vale a dire, cambiamenti nell'‛esperienza' delle strutture che crescono - producono cambiamenti nei processi di maturazione che possono rivelarsi come cambiamenti nel comportamento. Sebbene alcuni processi di maturazione appaiano indipendenti dall'ambiente extraorganismico, ciò avviene soltanto o perché questo è costante o perché quelli sono sufficientemente stabili da progredire in modo più o meno normale in ogni tipo di ambiente nell'ambito dei limiti vitali. Ma limiti ve ne sono sempre. Possiamo sperare che, prima della fine del XX secolo, si riesca a capire molto di più sui processi di sviluppo dai geni all'organismo adulto; ma, anche per il solo fatto che le reazioni chimiche dipendono dalla temperatura, nessun processo è interamente indipendente dall'ambiente in cui si verifica.

c) Studi sperimentali

Se i tentativi di distinguere tra comportamento istintivo e appreso, o fra maturazione e apprendimento, come fattori dello sviluppo del comportamento, non sono fecondi, come dobbiamo procedere? È possibile che i tentativi di svelare i processi di sviluppo naufraghino per mancanza di una base concettuale? Fortunatamente, ritornando a problemi con una certa base empirica, il progresso è possibile. Se troviamo che due animali o gruppi di animali identici geneticamente differiscono nel comportamento, possiamo con sicurezza attribuire la differenza agli ambienti nei quali si sono sviluppati. Inversamente, se due animali sono soggetti a identiche influenze durante lo sviluppo, differenze nel loro comportamento possono essere attribuite a differenze nella costituzione genetica. A questo punto, possiamo chiederci in che modo le differenze di ambiente o di costituzione genetica producano i loro effetti. Noi perciò miriamo prima a stabilire una dicotomia di ‛sorgenti' di differenze, e poi ci chiediamo in quale modo queste producano i loro effetti. Ad esempio, se alleviamo alcuni individui di due ceppi di moscerini della frutta su identici substrati e troviamo che quando sono cresciuti un ceppo vola e l'altro no, dobbiamo attribuire la differenza fra abilità e inabilità al volo alla differenza genetica fra i due ceppi. Come la differenza genetica produca poi questa differenza di comportamento è un altro problema. Può darsi che uno dei ceppi non sviluppi le ali, oppure che abbia le ali ma sia privo di alcuni dei muscoli necessari per volare; oppure può essere che i meccanismi extraneurali del volo siano intatti, ma che uno dei ceppi abbia delle deficienze nei sistemi di controllo nervoso. Alternativamente, potremmo allevare gruppi di individui provenienti da un solo ceppo di Drosophila su substrati identici ma a differenti temperature: se risultassero delle differenze nella capacità di volo, potrebbero essere attribuite alla diversità ambientale, e la base di queste differenze sarebbe di nuovo l'oggetto di un ulteriore studio (v. Harnly, 1941). Questo tipo di approccio rivela rapidamente la superficialità della dicotomia istinto-apprendimento. Per esempio, possiamo trovare che una differenza nel comportamento di due specie è determinata geneticamente, anche se il comportamento in questione si sviluppa mediante l'apprendimento. Tutte le cincie del genere Parus sono capaci di tenere oggetti sotto i piedi: esse possono, per esempio, aprire un seme tenendolo contro un ramo e beccandolo. I fringuelli (Fringilla coelebs) non mostrano mai questa forma di comportamento, anche se vengono allevati fin da quando sono dentro l'uovo in un nido di cincie. Poiché in quest'ultimo caso l'ambiente di sviluppo è virtualmente identico (trascurando le differenze intrauovo, che è improbabile siano importanti in questo caso), la differenza fra le specie per ciò che riguarda la presenza o l'assenza di questa forma di comportamento è determinata geneticamente. Ciononostante un attento esame dello sviluppo di questo comportamento nelle cincie indica che l'apprendimento vi gioca un ruolo considerevole: non soltanto esse si esercitano e mostrano un miglioramento graduale, ma se vengono loro tolti tutti gli oggetti adatti a essere messi sotto i piedi, lo sviluppo di questo comportamento viene ritardato (v. Vince, 1964).

Un caso particolarmente interessante, che si rivela inaspettatamente complesso, è rappresentato dallo sviluppo del canto negli uccelli (v. Thorpe, 1961; v. Marler, 1970; v. Nottebohm, 1970; v. Hinde, 1969). Se uccelli canterini vengono allevati fin da quando sono ancora dentro le uova in stanze insonorizzate così da essere isolati acusticamente dagli altri membri della specie, nella maturità essi producono un canto che quasi sempre differisce da quello caratteristico della loro specie. Questo suggerisce che l'esperienza acustica normalmente ha un ruolo nello sviluppo del canto. Ciononostante, in certe specie, le alterazioni rispetto al normale tipo di canto proprio di quelle specie non sono marcate, e rimangono notevoli differenze fra i canti prodotti dai membri di specie diverse. Perciò anche le differenze tra specie dipendono da differenze genetiche.

Come interagiscono fra di loro i fattori genetici e ambientali nello sviluppo del canto? Il fringuello (Fringilla coelebs) si è rivelato un buon soggetto per lo studio di questo problema. In questa specie i maschi non emettono un canto completo fino alla loro prima primavera. Tuttavia lo sviluppo del canto inizia gradualmente qualche settimana o mese prima. I primi tentativi consistono in una specie di canto piuttosto amorfo e sconnesso che gradualmente si perfeziona nel canto completo mediante un processo di differenziazione, di omissione delle frequenze estreme e via dicendo. Ora, fringuelli allevati sin dai primi giorni di vita in isolamento acustico producono da adulti soltanto un canto semplice, a cui manca la struttura della frase e il finale caratteristici di un canto normale. Se a fringuelli isolati acusticamente viene permesso di udire qualche canto durante il loro primo autunno, quello che produrranno successivamente sarà molto più vicino al normale. Quindi un certo apprendimento avviene prima che l'uccello cominci a cantare. Questi e altri fatti suggeriscono che durante il suo primo autunno il fringuello maschio può imparare ‛quale dovrebbe essere' il canto dei fringuelli, e che durante la sua prima primavera impara a modellare la propria produzione vocale in modo da corrispondervi. Da ciò seguono due previsioni. Primo, per gli uccelli che hanno udito il canto degli altri fringuelli e quindi ne hanno appreso il modello, l'ascoltarne il canto dovrebbe avere un valore di rinforzo nel senso che, se l'udire il canto è reso dipendente da qualche altra forma di comportamento, come ad esempio posarsi in un posto particolare, la frequenza di questo comportamento dovrebbe aumentare. Secondo, l'assordamento dovrebbe rendere il fringuello incapace di controllare la propria produzione vocale e quindi di profittare del modello. Entrambe queste previsioni sono state confermate (v. Stevenson, 1969; v. Nottebohm, 1970).

Tuttavia sembra possibile che, oltre a fornire un modello, l'esperienza di avere udito il canto di altri fringuelli influenzi lo sviluppo canoro anche in un altro modo. Gruppi di individui allevati dall'uomo e tenuti per il resto in isolamento acustico producono una forma di canto più elaborata, di quella di individui allevati in totale isolamento. Sembra che l'udire altri individui sia uno stimolo all'‛improvvisazione'.

Una curiosa caratteristica dell'apprendimento canoro nei fringuelli è che, sebbene sia loro necessario udire canti normali per produrne uno proprio, essi non imparano qualunque canto ascoltino. Pare che questo, per poter essere imparato, debba avere una struttura di note che somigli a quella caratteristica del canto dei fringuelli. In altre specie restrizioni a ciò che viene appreso sono imposte in altri modi - per esempio il ciuffolotto (Pyrrhula pyrrhula) impara a cantare soltanto un canto che somigli a quello del ‛genitore' che lo ha allevato anche se questi è un genitore adottivo di un'altra specie. Quindi le differenze fra i canti di specie diverse dipendono in parte da fattori genetici che operano indipendentemente dall'udire il canto caratteristico della specie, e in parte da un processo a due stadi piuttosto complesso, guidato dall'esperienza uditiva, il cui corso è limitato dalle determinanti genetiche.

La complessità che può caratterizzare l'interazione fra fattori genetici e ambientali è illustrata ulteriormente dall'esame di certe conseguenze dei rapporti madre-figlio nei Mammiferi. In tutti i Mammiferi la madre costituisce l'elemento più importante del primo periodo di vita, e quindi il corso dello sviluppo può essere molto influenzato dal genere di cure materne ricevute. Per esempio, Ressler ha studiato il comportamento di due ceppi di topi allevati da genitori adottivi appartenenti agli stessi due ceppi, in tutte le possibili combinazioni. I neonati di entrambi i ceppi mostrarono, sulla base di vari criteri di giudizio, uno sviluppo più rapido e una più alta probabilità di sopravvivenza se allevati dai genitori di un ceppo piuttosto che da quelli dell'altro. Queste differenze devono essere attribuite alla diversità delle cure ricevute. Anche queste tuttavia sono a loro volta influenzate dal comportamento dei neonati, cosicché perfino una tecnica di allevamento adottivo incrociato può non essere sufficiente a separare completamente le influenze genetiche da quelle ambientali (v. Ressler, 1963). In altri esperimenti è stato dimostrato che certi aspetti del comportamento dei topi possono essere influenzati dal ceppo di topi dai quali i genitori degli animali sperimentali erano stati allevati (v. Ressler, 1966) e che l'esperienza acquisita nella prima età dai topi può influenzare il comportamento dei loro nipoti (v. Denenberg e Rosenberg, 1967). Occorre perciò cautela nel concludere che le differenze fra ceppi diversi sono dovute a fattori genetici.

Riassumendo, quindi, vediamo che l'istinto non è un concetto utile quando proviamo a usarlo per distinguere o un comportamento il cui sviluppo non dipende dall'esperienza o processi di sviluppo autonomi. Lo sviluppo sia di parti sia dell'intero organismo dipende in ogni stadio da una complessa interazione fra il sistema che si sta sviluppando e il suo ambiente. Soltanto ricostruendo questa interazione in ogni stadio si può capire il processo di sviluppo. Un modo vantaggioso d'iniziare quest'analisi è quello di stabilire se le cause di differenza siano genetiche o ambientali, e poi di determinare in che modo queste differenze vengano prodotte. Considerevoli progressi sono stati fatti per quanto riguarda qualche aspetto del comportamento in alcune specie, ma siamo ancora lontani da una completa comprensione di ciascun caso.

Deve poi essere menzionato un altro problema. Abbiamo visto prima che l'adattatività del comportamento è al centro del vecchio concetto di istinto. È necessario considerare però non solo l'adattatività del prodotto finito, ma anche come i processi di sviluppo si sono adattati per dar vita a quel prodotto. Lorenz (v., 1965) ha fatto rilevare che, proprio perché il comportamento è nell'insieme adattativo, si deve spiegare il fatto che l'organismo risponde in modo appropriato e non inappropriato a quei fattori ambientali che intervengono nello sviluppo del comportamento. Noi accettiamo come un fatto di ordinaria amministrazione che un mammifero che cresce in un ambiente freddo abbia una pelliccia più spessa di quella di animali allevati in climi più miti, e che gli animali imparino ad accostarsi ai luoghi dove hanno trovato del cibo e a evitare quelli dove hanno avuto paura, piuttosto che fare l'inverso; ma tutto ciò implica che i meccanismi di sviluppo siano stati selezionati in modo da produrre risultati adattativi.

Oltre a ciò, tuttavia, la presenza di differenze fra le varie specie nei processi di sviluppo pone ulteriori questioni circa il problema dell'adattatività. Perché, per esempio, la coordinazione visuo-motoria nelle salamandre si sviluppa in maniera largamente autonoma, mentre nei Mammiferi dipende dall'esperienza visiva dei movimenti autoiniziati? È fortuita questa differenza, oppure è in relazione a una differenza globale esistente nella flessibilità del comportamento? O che altro? Inoltre, in almeno una specie di uccello canterino il canto caratteristico della specie si sviluppa normalmente in individui allevati in isolamento acustico fin da quando erano dentro l'uovo; mentre in altre, come il fringuello citato prima, il canto deve essere appreso da altri membri della specie. Nelle specie nelle quali gli individui imparano da altri il loro canto, è necessario un mezzo per assicurare che venga appreso proprio il canto della specie e non qualche altra sequenza di suoni. Sembra che il fringuello apprenda solamente canti con una caratteristica struttura di note, ma in altre specie gli uccellini imparano a cantare il canto del proprio padre. Perché queste differenze? In certi animali, poi, il riconoscimento della specie appare indipendente dall'esperienza, in altri invece strettamente determinato da essa. Perché? Solo da poco tempo abbiamo conoscenze sufficienti sul processo dello sviluppo che ci stimolano a porci queste domande, ed è tuttora difficile trovare un metodo appropriato d'approccio. Ma le domande sono fondate.

4. Il problema della motivazione

Abbiamo visto prima che il concetto di istinto veniva in precedenza applicato a due proprietà indipendenti del comportamento non necessariamente correlate l'una con l'altra. Ci siamo occupati finora della prima di queste - cioè in quale misura il comportamento possa svilupparsi indipendentemente dall'apprendimento. Passeremo ora alla seconda in quale misura il comportamento sia ‛guidato dal di dentro'.

a) Il concetto di spontaneità

La tendenza a ipotizzare l'esistenza di forze istintive che spingono l'organismo all'azione deriva dal fatto che in un particolare contesto l'animale può mostrare sia un'uniformità sia una varietà di comportamento, e inoltre dalla nostra frequente incapacità di individuare qualche cambiamento esterno all'animale che abbia provocato quel determinato comportamento la prima volta che si è verificato. Per il fatto che la rondine parte spontaneamente per un viaggio di centinaia o migliaia di miglia, durante il quale dovrà attraversare mari e catene montuose e superare innumerevoli pericoli, nessun'altra spiegazione sembrava possibile eccetto quella che fosse guidata da un impulso istintivo. Una tale spiegazione però è tautologica allo stesso modo in cui lo sono affermazioni del tipo: ‛l'uomo mangia perché ha fame' o ‛l'uomo deve avere fame perché sta mangiando'. Mentre siamo ancora molto lontani dal capire perché mai la rondine parta per il suo pericoloso viaggio, qualche progresso è stato fatto nella comprensione del modo in cui sono controllati determinati tipi di comportamento in certi animali.

Il problema può essere formulato più chiaramente se ci soffermiamo sul concetto di ‛spontaneità'. In un contesto scientifico, questo concetto può essere utilmente applicato ogni volta che l'uscita di un sistema cambia in assenza di un corrispondente cambiamento nell'entrata. Quando un canarino in gabbia comincia a cantare, diciamo che ha iniziato il canto spontaneamente, proprio perché non sappiamo ciò che lo ha indotto a cominciare. Ma l'uso di questo termine ci obbliga a specificare il sistema la cui uscita è cambiata senza un cambiamento nell'entrata. Se suona una sveglia, un osservatore sprovveduto potrebbe dire che lo fa spontaneamente, poiché non c'è stato nessun cambiamento nell'entrata, ma noi sappiamo che il meccanismo d'allarme dentro la sveglia è stato in effetti messo in azione da un cambiamento interno. Una variazione di comportamento può perciò essere considerata spontanea a un livello di analisi, ma non a un altro, e la nostra ricerca deve consistere in un'analisi del modo in cui alcuni sistemi ne controllano altri a loro subordinati e sono a loro volta controllati da sistemi a loro sovraordinati.

Poiché il comportamento appare così spesso spontaneo o ‛guidato dal di dentro', molti psicologi della prima metà del XX secolo usavano ‛modelli energetici' per spiegare la motivazione. Questi implicavano il postulato dell'esistenza di una sorgente interna di energia che era alla base dell'attività dell'organismo e che veniva spesa nell'azione. Le teorie differivano considerevolmente nei dettagli: Freud chiamò questa energia ‟libido", Lorenz (v., per es., 1950) ‟energia specifica d'azione". Nel caso di Lorenz ciascun tipo di comportamento aveva una sorgente di energia specifica, mentre in altri casi l'energia era o poteva essere di carattere più generale. In taluni casi l'energia era ‛psichica', ma in molti altri le proprietà dell'energia fisica erano casualmente associate a essa. E la tentazione di confondere il modello con la realtà fisiologica era sempre presente: Tinbergen, elaborando il modello di Lorenz, scrisse di ‟impulsi motivazionali" immagazzinati in ‟centri nervosi". Mentre tali modelli sono stati validi per sintetizzare fatti diversi riguardanti il controllo del comportamento, hanno poi cessato di essere utili per due ragioni principali. Una è la confusione fra energia fisica, psichica e fisiologica a cui ci siamo or ora riferiti. L'altra è che ognuno di questi modelli implica che il comportamento venga a cessare quando l'energia immagazzinata sia stata scaricata nell'azione. Vedremo fra breve i difetti di questo punto di vista.

b) Fattori che influenzano il comportamento

Dalle nostre nuove acquisizioni sulla natura del sistema nervoso nasce un modo diverso di considerare il problema della spontaneità. Al tempo delle prime teorie dell'istinto il sistema nervoso era considerato come essenzialmente passivo, essendo la sua attività suscitata dalla stimolazione proveniente dall'esterno. Noi ora sappiamo che questo quadro è lungi dall'essere corretto, poiché il sistema nervoso mostra una continua attività elettrica, anche durante il sonno. La domanda ‟perché l'animale ha un comportamento?" diventa perciò ‟perché fa questo invece di quello?". Il problema che ci siamo posti richiede quindi che noi per prima cosa esaminiamo quale sia la natura dei fattori che determinano ciò che un animale fa. Considereremo due categorie di tali fattori.

È ora noto che molte variazioni di comportamento sono in relazione a cambiamenti nella concentrazione di ormoni circolanti nel sangue. Questi ormoni possono influenzare il comportamento in molti modi.

Primo, possono agire precocemente in modo da influire sul corso dello sviluppo. Ad esempio, lo stato ormonale prima o subito dopo la nascita può determinare il ‛sesso comportamentale' di un animale. Nei ratti, l'ormone sessuale maschile agisce all'incirca al momento della nascita nell'influenzare in direzione della mascolinità il sistema nervoso che si va differenziando. Se a un individuo geneticamente maschio vengono rimossi i testicoli alla nascita, egli si comporta successivamente come una femmina e mostra cambiamenti ciclici di comportamento. Ma se l'ormone sessuale maschile viene iniettato all'età giusta nel castrato, o in un individuo geneticamente femmina, l'animale si sviluppa come un maschio da un punto di vista comportamentale (v., per es., Young, 1961; v. Harris e Levine, 1965).

Secondo, gli ormoni possono avere un effetto diretto sul sistema nervoso centrale. Ad esempio, minime quantità di ormone sessuale femminile cristallino, impiantate stereotassicamente in una parte dell'ipotalamo, fanno sì che una gatta mostri un comportamento tipico dell'estro (v. Harris e altri, 1958). Risultati paragonabili sono stati ottenuti con altre specie, con altri ormoni e altri tipi di comportamento. Veramente, non sono soltanto quelle speciali sostanze chimiche che noi chiamiamo ormoni a provocare questo tipo di effetti, poiché anche una soluzione salma ipertonica iniettata in particolari parti del cervello provoca l'atto comportamentale del bere.

Terzo, gli ormoni possono influenzare il comportamento agendo su di un organo periferico e perciò influenzando gli impulsi che da quell'organo giungono al cervello. Per esempio, uno dei modi in cui l'ormone sessuale maschile influenza il comportamento copulatorio dei ratti è l'aumento della sensibilità del pene. Se il livello di ormone è inadeguato, il ratto può montare la femmina e compiere la penetrazione, ma il pene non è sufficientemente sensibile da fornire la stimolazione afferente necessaria per l'eiaculazione (v. Beach e Levinson, 1950). Un ulteriore esempio: sotto l'influenza di ormoni le femmine di molte specie di uccelli sviluppano durante il periodo della procreazione una ‛placca della cova', che consiste in uno spiumamento delle superfici ventrali del corpo, in un aumento di vascolarizzazione delle aree spiumate e in un aumento di sensibilità tattile. Attraverso quest'area il canarino femmina riceve una stimolazione dal nido che ha costruito e dalle uova che ha deposto. Come vedremo, questa stimolazione influenza il suo comportamento di costruzione del nido e d'incubazione (v. Hinde, 1965).

Quarto, gli ormoni possono avere un effetto più generale sul sistema nervoso centrale agendo sulla sua responsività generale agli stimoli esterni. Questo effetto può essere mediato dal ‛sistema reticolare del tronco dell'encefalo' o da un suo equivalente funzionale.

Quinto, essi possono influenzare strutture periferiche che agiscono come segnali per altri individui. Un esempio ben noto è la cresta del gallo, le cui dimensioni sono condizionate dal livello di ormone sessuale maschile. Un altro esempio è fornito dall'estrogeno, l'ormone sessuale femminile che nella scimmia rhesus oltre a influire sulla recettività sessuale della femmina mediante un effetto diretto sul sistema nervoso centrale, agisce anche sulla vagina in modo da produrre un cambiamento nell'odore della femmina. Questo ‛feromone' aumenta l'attrazione del maschio verso la femmina (v. Michael e Saayman, 1968; v. Herbert e Trimble, 1967).

Gli ormoni, perciò, possono influenzare il comportamento in vari modi. Analogamente agiscono anche gli stimoli. Innanzitutto questi possono immediatamente dar luogo a risposte come ad esempio il riflesso rotuleo provocato da un colpetto sul tendine patellare. Talvolta l'effetto è cumulativo: una presentazione dello stimolo non ha alcun effetto apparente, ma diverse presentazioni producono una risposta. Oppure uno stimolo può creare un'occasione per una risposta a uno stimolo diverso: per esempio un piccione può essere addestrato a beccare un tasto quando la scatola dove egli si trova è illuminata con luce di un certo colore, ma non quando è illuminata con luce di un colore diverso. In questo caso il differente modo di rispondere nelle due situazioni verrebbe normalmente descritto come una conseguenza dell'apprendimento, ma talvolta l'esposizione a uno stimolo produce variazioni nelle modalità di risposta che devono essere spiegate in termini del tutto diversi. Ad esempio, la prontezza del topo a recuperare i piccoli appena nati e più o meno permanentemente alterata dall'esposizione ai richiami ultrasonici emessi dai topolini - un fenomeno talvolta descritto come ‛effetto d'innesco' (v. Noirot, 1972). Un altro tipo ancora di meccanismo è rappresentato da quei cambiamenti nel ritmo giornaliero di luce e oscurità che fanno sì che molti uccelli di latitudini temperate mostrino un comportamento di riproduzione: questo è una conseguenza di variazioni nei livelli di ormone in circolo risultanti da variazioni intervenute nell'attività dell'ipotalamo, dell'ipofisi e delle gonadi.

Oltre a influenzare particolari risposte, gli stimoli, come gli ormoni, possono avere un effetto generale sul sistema nervoso, influenzandone la modalità di risposta ad altre sorgenti di impulsi. La stimolazione afferente totale può influenzare la gamma di attività possibili di un animale: alcune attività, come l'esplorazione attiva, si verificano infatti solo quando la stimolazione afferente totale è alta; altre, come il sonno, solo quando questa è bassa. Ma quale sia a ogni dato momento il tipo di attività mostrato dall' animale fra le varie possibili è determinato dagli stimoli e da altri fattori a essi specifici (v. Moruzzi, 1969).

Fino ad ora ci siamo occupati degli effetti positivi degli stimoli, i quali esercitano però un ruolo importante anche nel porre termine al comportamento. Quella serie di atti comportamentali che costituisce un pasto viene interrotta da stimoli nella bocca, nella gola e nello stomaco, provocati dal cibo ingerito. L'animale a cui sia stata praticata una fistola nell'esofago, attraverso la quale fuoriesca il cibo, continuerà a mangiare molto più a lungo a causa dell'assenza di stimoli ‛consummatori' nello stomaco. Se il cibo viene immesso direttamente nello stomaco, la risposta dell' animale al cibo si riduce. Un altro caso ben analizzato riguarda il corteggiamento nello spinarello. In questa specie il maschio costruisce un nido e poi corteggia ogni femmina carica di uova che entri nel suo territorio; quindi conduce la femmina al nido, dove essa deposita le uova. Dopo che il maschio ha fertilizzato le uova, il suo comportamento verso le femmine che entrano nel territorio cambia. Questo cambiamento non è una conseguenza dell'atto dell'eiaculazione, come si potrebbe pensare, ma dell'odore delle uova fresche nel nido. Queste agiscono come stimoli consummatori per il corteggiamento (v. Sevenster-Bol, 1962).

Perciò gli stimoli, come gli ormoni, possono influenzare il comportamento in modi diversi. Qualche volta, tuttavia, le modificazioni del comportamento non possono essere ricondotte nè a cambiamenti degli stimoli nè a variazioni del bilancio ormonale. Se un lombrico che se ne sta fuori del suo buco viene stimolato, si ritrae rapidamente; la risposta è mediata dalle fibre nervose giganti nella corda nervosa centrale. Se viene stimolato un certo numero di volte in successione, la capacità di rispondere decresce: registrazioni elettrofisiologiche mostrano che i cambiamenti avvengono a livello della sinapsi fra la fibra di senso e quella gigante e a livello di quella fra la fibra gigante e la fibra motrice (v. Roberts, 1962). Modificazioni paragonabili si verificano anche negli animali superiori, ma naturalmente sono molto più complicate. Per esempio quando un fringuello vede una civetta la ‛provoca' emettendo una serie di richiami dal suono caratteristico. La frequenza dei richiami aumenta per un minuto o due, e poi lentamente decresce in una complessa serie di ‛salve' che si sovrappongono ad altre ‛salve'. L'analisi rivela che queste variazioni possono essere ricondotte a processi diversi, che a loro volta si possono classificare a seconda che conducano a un aumento o a una diminuzione nell'intensità della risposta, a seconda della loro durata, che può variare da frazioni di secondo fino a settimane, e a seconda della loro specificità nei riguardi dello stimolo che li ha provocati (v. Hinde, 1960). La complessità di tali effetti è stata illustrata anche da uno studio sul comportamento di succhiamento di neonati umani in cui venivano usati due stimoli di diversa efficacia: un pezzo di tubo di gomma e un ciucciotto da biberon. Alcuni neonati venivano sottoposti a una serie di prove in ciascuna delle quali lo stimolo era sempre lo stesso: in questo caso il tubo di gomma risultava essere lo stimolo meno efficace. A un altro gruppo di neonati invece venivano presentate serie alternate di 5 prove con uno stimolo e 5 prove con l'altro. In questo gruppo la frequenza delle risposte era più bassa all'inizio e più alta alla fine di ciascuna serie di prove con lo stimolo più efficace rispetto a quando veniva usato sempre il medesimo stimolo in tutte le prove della serie. Le risposte allo stimolo meno efficace nelle serie alternate mostravano invece una tendenza opposta. Sembrava perciò esservi implicata una specie di effetto di contrasto (v. Lipsitt e Kaye, 1965).

Vediamo pertanto che il comportamento di un animale può essere influenzato da fattori ambientali esterni, come gli stimoli, da variazioni nell'ambiente interno, come le modificazioni ormonali, e infine da variazioni nel sistema nervoso centrale stesso. Inoltre ciascuna di queste categorie di fattori può agire in modi diversi. Evidentemente siamo già molto lontani dal ricondurre il comportamento a un ‛istinto' unitario.

c) Il meccanismo d'integrazione delle influenze sul comportamento

Il problema successivo riguarda il meccanismo con il quale vengono integrate le influenze di questi vari fattori. A questo punto naturalmente dobbiamo soffermarci sugli studi relativi al sistema nervoso centrale. Un tempo sembrava possibile identificare ‛centri' cerebrali le cui variazioni di attività rendessero conto dei cambiamenti di comportamento dell'animale. Piccole lesioni localizzate in particolari regioni del cervello provocano la perdita selettiva di particolari aspetti del comportamento. Lesioni nell'area ventrolaterale dell'ipotalamo dei ratti causano una perdita del comportamento di nutrizione, mentre lesioni nell'area ventromediale agiscono sui meccanismi che determinano la cessazione del mangiare, cosicché gli animali aumentano rapidamente di peso (v., per es., Miller, 1957). Altri esperimenti hanno dimostrato che la stimolazione elettrica mediante elettrodi molto fini riproduce proprio quel tipo di comportamento che viene eliminato da una lesione in quella stessa zona. Così la stimolazione dell'area ventrolaterale dell'ipotalamo dei ratti induce un comportamento di alimentazione, mentre la stimolazione dell'area ventromediale lo fa cessare (v., per es., Smith, 1961). Gli altri tipi di comportamento che sono stati ottenuti con la stimolazione ipotalamica mediante impianto di elettrodi, comprendono: il bere, reazioni di attacco, di rabbia, di fuga, di raffreddamento della temperatura corporea, e inoltre l'urinazione, la defecazione, il corteggiamento, il comportamento copulatorio, il sonno e l'attività motoria. Sebbene in certi casi il comportamento prodotto dalla stimolazione elettrica consista puramente in movimenti stereotipati, in altri si ottengono vere e proprie sequenze funzionali di comportamento. Queste possono consistere, per esempio, in sequenze di movimenti di corteggiamento simili a quelle osservate nel normale contesto funzionale oppure in un comportamento appetitivo propriamente orientato che conduce l'animale a una fonte di cibo o a un posto adatto per dormire, luoghi questi in cui compie le attività consummatorie per quella determinata sequenza comportamentale. Spesso la comparsa del comportamento dipende dalla disponibilità dell'appropriato oggetto-stimolo: cibo, acqua, animale dell'altro sesso e così via. I più adatti a giudicare se il comportamento indotto dalla stimolazione elettrica del cervello sia veramente normale sono forse gli altri membri della specie. Mediante stimolazione elettrica controllata a distanza del cervello di scimmie che vivono in un gruppo, Delgado (v., 1967) ha dimostrato che gli altri membri del gruppo rispondono appropriatamente ai movimenti espressivi suscitati dalla stimolazione. Inoltre, le complesse sequenze di comportamento agonistico provocate erano regolate a seconda della posizione gerarchica degli altri animali nel gruppo. In un esperimento una scimmia subordinata imparò a premere una leva che, stimolando il cervello della scimmia capo, ne inibiva il comportamento aggressivo.

Dati sperimentali di altro tipo, che fanno ritenere che specifiche forme di comportamento sono controllate da particolari regioni del cervello, provengono dagli esperimenti d'impianto di ormoni e altre sostanze in loci cerebrali, nonché dalla registrazione elettrica derivata da particolari regioni.

Tuttavia è ora evidente che tali risultati non possono essere interpretati in termini di ben definiti centri del sistema nervoso centrale, specifici per quelle determinate attività. Non solo, come è stato indicato sopra, molti tipi di comportamento sembrano dipendere da sistemi antagonistici dei quali alcuni aumentano e altri diminuiscono il comportamento in questione, ma i punti dove le lesioni o gli stimoli elettrici producono particolari effetti non sono localizzati distintamente nel cervello. Piuttosto, ciascun tipo di comportamento può essere ottenuto dalla stimolazione in molte regioni del cervello, poiché i loci implicati nei diversi tipi di comportamento si sovrappongono ampiamente. L'interazione di differenti regioni cerebrali è stata dimostrata anche in esperimenti nei quali la terapia sostitutiva ormonale veniva combinata con ablazioni corticali. Così una considerevole serie di prove del tipo già discusso indica che gli ormoni sessuali influenzano il comportamento sessuale attraverso un'azione sull'ipotalamo. Ma il comportamento sessuale dei ratti può essere influenzato anche da ablazioni corticali, poiché l'entità del deficit comportamentale aumenta con l'entità del danno corticale. Beach (1940) ha dimostrato che tale deficit può essere compensato dalla somministrazione di ormone sessuale - tanto maggiore è il danno corticale, tanto più ormone è necessario per ripristinare il normale livello di comportamento sessuale. Perciò il controllo di un certo tipo di comportamento dipende dall'attività di diverse parti del cervello.

Vediamo, quindi, che i fattori che influenzano le probabilità che si verifichi un determinato tipo di comportamento sono verosimilmente molteplici e possono produrre i loro effetti mediante meccanismi diversi. Inoltre, i meccanismi cerebrali che controllano determinate forme di comportamento implicano circuiti nervosi complessi che si ramificano attraverso il sistema nervoso centrale. Perciò ogni concetto di ‛istinti' unitari che controllano il comportamento è necessariamente fuorviante; in compenso gli studi sperimentali stanno fornendo una considerevole serie di conoscenze sul modo in cui vari fattori producono i loro effetti e sulla natura dei meccanismi nervosi implicati.

d) Integrazione di risposte in sequenze funzionali

Prenderemo in esame fra breve qualche esempio specifico, ma prima dobbiamo tornare a quella che è l'idea centrale posta alla base del concetto di ‛istinto', l'adattatività del comportamento. Quasi tutto quello che è stato detto nei paragrafi precedenti poteva essere riferito a forme isolate di comportamento. Ora, per comprendere l'adattatività del comportamento dobbiamo considerare anche come queste forme vengono integrate in sequenze funzionali. Come abbiamo visto dagli esperimenti di stimolazione elettrica del cervello, l'integrazione deve parzialmente dipendere da relazioni nervose centrali fra i meccanismi implicati nelle diverse attività. Vi sono però coinvolti altri fenomeni.

Primo: le attività funzionalmente collegate tendono ad avere in comune i loro fattori causali. Ad esempio, il livello di androgeni nel sangue, la presenza di stimoli dal proprio territorio e fattori intrinseci che fluttuano sia con ritmo circadiano sia anche in una più corta scala di tempo, tutti questi fattori influenzano un certo numero di diverse attività riproduttive del fringuello: comportamento aggressivo, canto, corteggiamento, e così via. Dove le attività hanno in comune fattori causali, è probabile che esse appaiano in relazione temporale l'una con l'altra, sebbene vi sia un certo numero di meccanismi ai quali possono essere dovute tali associazioni. Dove poi le attività hanno soglie diverse per i comuni fattori causali, questi ultimi possono produrre un certo ordinamento delle attività. Ad esempio, van Iersel e Bol (v., 1958) hanno suggerito che i diversi movimenti di rassettamento nelle rondini marine hanno soglie diverse per i loro comuni fattori causali, cosicché l'incidenza di variazioni nell'arco di un periodo di rassettamento è dovuta a cambiamenti nell'intensità di questi fattori.

Fattori consummatori comuni sono un caso speciale di fattori causali comuni, poiché la loro influenza è inibitoria piuttosto che facilitante. Così, stimoli prodotti come conseguenza dell'ingestione di cibo possono ridurre la probabilità di comparsa di tutta una serie di attività di ricerca e di assunzione del cibo.

Secondo: le relazioni fra fasi successive del comportamento possono dipendere da una concatenazione delle risposte - vale a dire ciascuna attività nella sequenza porta l'animale in una situazione di stimolazione appropriata per ricevere la successiva. Tinbergen infatti ha messo in evidenza che il comportamento di caccia della vespa Philanthus, che attacca le api, dipende da una fase iniziale in cui la vespa vola di fiore in fiore. In questa fase essa è responsiva a stimoli visivi provenienti dalle api, ma non al loro odore. Se viene percepita un'ape, la vespa le vola sottovento. A questo punto la vespa è responsiva all'odore. Se questo è quello giusto, essa afferra l'ape con un balzo improvviso. Ulteriori risposte dipendono da altri susseguenti stimoli provenienti dall'ape (v. Tinbergen, 1951). Nel comportamento sociale la successione di stimoli può essere fornita alternativamente da due (o più) individui. Per esempio, nel corteggiamento, il comportamento A della femmina può provocare il comportamento B del maschio, che a sua volta provoca il comportamento C della femmina e così via. Generalmente, tuttavia, queste catene sono lontane dall'essere rigide: alcuni anelli possono essere saltati, oppure il comportamento può ritornare continuamente a uno stadio precedente anche se sono disponibili gli stimoli per il successivo

Terzo: le diverse attività nella catena possono avere relazioni reciprocamente inibitorie; tale possibilità assicura così che quando inizia una nuova attività quella precedente venga a cessare. Di nuovo, può esservi implicata una serie di meccanismi diversi.

Quarto: come l'esecuzione di un tipo di comportamento può influenzare la probabilità che si verifichi successivamente la stessa risposta (v. sopra), così può anche influenzare la probabilità che se ne verifichino altre. Ad esempio, se l'attività A decresce con il tempo, è sempre più facile che essa sia interrotta da altri tipi di attività. Un esempio un po' più complesso di questo fenomeno è stato studiato da Kennedy (v., 1966). L'insetto Aphis fabae dopo essere divenuto adulto vola per un certo periodo di tempo e poi si posa su di una foglia. La produzione di uno dei due tipi di comportamento - volare o posarsi sulla foglia - ha un effetto inibitorio sull'altro. Quando uno dei due viene a cessare, l'altro a seconda delle circostanze può manifestarsi sia con maggiore (induzione antagonistica) sia con minore (depressione antagonistica) intensità.

Infine, molte sequenze comportamentali comprendono risposte che sembra siano state selezionate o dirette in modo tale da portare l'animale a una meta. Mentre il concetto di scopo è spesso usato in modo inesatto, viene riferito qui a casi nei quali il comportamento è controllato da una discrepanza fra la situazione presente e quella legata alla meta da raggiungere: quando queste divengono le stesse, il comportamento di ricerca cessa e ne segue o un nuovo tipo di comportamento o la quiescenza. Come esempio di un semplice tipo di comportamento diretto a uno scopo, possiamo considerare la risposta optomotoria della mosca Eristalis. Se posta al centro di un cilindro a strisce verticali, la mosca tende a mantenere la sua posizione rispetto alle strisce. Se il cilindro viene ruotato essa si muove insieme con questo. Il movimento della mosca è regolato dalla velocità angolare relativa del cilindro. Se però il corpo della mosca viene tenuto fermo, e si fa sì che i movimenti delle sue zampe mettano in moto un disco ruotante posto al di sotto di essa, non c'è alcuna riduzione della velocità angolare del cilindro, ed è probabile che la velocità angolare della mosca superi quella del cilindro (condizione di circuito aperto). Nella condizione normale (circuito chiuso) la velocità angolare della mosca si avvicina a quella del cilindro, per lo meno per basse velocità del cilindro (v. Mittelstaedt, 1964).

Questo è un esempio molto semplice di risposta diretta a uno scopo, comprendente un solo tipo di comportamento. Più di frequente l'espressione ‛diretto a uno scopo' è riferita a casi nei quali possono essere, implicati vari tipi di comportamento e l'animale seleziona alcuni fra questi in modo tale da raggiungere efficacemente lo scopo. Deutsch (v., 1960), ad esempio, ha sostenuto che un animale per percorrere un labirinto deve apprendere una sequenza di traguardi parziali che, se raggiunti a turno, portano al traguardo finale rappresentato dalla scatola con il cibo. La distinzione fra comportamento diretto a uno scopo (nel senso di comportamento controllato da una discrepanza fra la situazione presente e quella richiesta) e quello che non lo è, è importante e mette in luce molti nuovi e interessanti problemi. Ad esempio, quei segnali sociali emessi da un neonato umano che influenzano la madre, come il sorridere, il tendere le braccia e il piangere, sono dapprima di tipo riflesso, adattati, ma non diretti allo scopo di influenzarne il comportamento. In seguito tuttavia essi divengono diretti a uno scopo. In considerazione dei problemi semantici associati con il concetto di scopo, l'argomento non può essere ulteriormente discusso in questa sede (v. Hinde e Stevenson, 1970).

Questo breve resoconto dell'integrazione di risposte in sequenze funzionali riguarda principalmente risposte caratteristiche della specie. In laboratorio si possono produrre sequenze complesse per mezzo del concatenamento operante (v. Kelleher, 1966), e simili principi sono certamente importanti in natura.

5. Qualche esempio di comportamento istintivo

Nelle pagine precedenti abbiamo visto che il concetto di istinto non è utile né come espressione di una forza determinante il corso dello sviluppo né per spiegare i vari fenomeni della motivazione. Se continuiamo l'analisi dello sviluppo in termini di origini di differenze e quella della motivazione in termini di fattori responsabili delle variazioni nel comportamento, la necessità di un concetto di istinto non sussiste proprio. Per illustrare ciò, possiamo prendere in considerazione alcuni casi di comportamento classicamente descritti come ‛istintivi'. Riferimenti bibliografici ai dati discussi si possono trovare in Hinde (v., 19702) e in altre rassegne.

a) Il mangiare nei Roditori

Il mangiare è una conseguenza di meccanismi centrali eccitatori e inibitori. Come abbiamo visto, questi meccanismi non sono affatto semplici e si ramificano attraverso il sistema nervoso centrale. Essi controllano sia il comportamento legato alla ricerca del cibo sia quello legato all'ingestione.

Il comportamento alimentare è influenzato da diversi fattori. Come abbiamo visto, stimoli provenienti dalla bocca, dalla gola e dallo stomaco, conseguenti alla ingestione, hanno un effetto inibitorio su di un ulteriore apporto alimentare. Sebbene i fattori oro-faringei normalmente prendano parte al controllo del mangiare, essi non sono essenziali: ratti portatori di una sonda gastrica a permanenza che esdude i recettori oro-faringei, e capaci di regolare l'apporto alimentare attraverso la sonda mediante l'abbassamento di una leva, riescono a mantenere costante il peso corporeo. Nell'animale normale vi sono probabilmente complesse interazioni fra fattori orali e gastrici, che insieme concorrono a limitare la quantità del pasto.

Altri fattori, che sono probabilmente di primaria importanza nell'influenzare non la quantità del pasto ma l'apporto alimentare totale, sono rappresentati dalle variazioni nella composizione del sangue e dagli scambi di calore che seguono all'ingestione, assimilazione e ossidazione. Di nuovo gli effetti sembrano essere prevalentemente inibitori, poiché sangue proveniente da ratti sazi, se trasfuso in ratti affamati, causa una riduzione del loro comportamento nutritivo, ma il sangue di ratti affamati non induce i ratti sazi a mangiare. Sembrerebbe perciò che fattori a lungo termine (forse correlati con le riserve metaboliche del corpo) tendano a produrre un comportamento alimentare quando non vengono inibiti dalle conseguenze dell'ingestione, sebbene la reale funzione del mangiare o meno dipenda anche da altri fattori fra cui i cambiamenti giornalieri di attività.

Questi vari fattori presumibilmente agiscono influenzando l'attività dei meccanismi nervosi centrali a cui ci siamo riferiti prima. Tuttavia è semplicistico ritenere che questi meccanismi producano degli effetti puramente eccitatori o inibitori. Intanto, una lesione ventromediale dell'ipotalamo non provoca un aumento di tutti gli aspetti del comportamento alimentare. Sebbene la quantità di cibo ingerito generalmente aumenti, il ratto diviene più intollerante all'adulterazione del cibo con chinino, e meno pronto a correre o ad abbassare una leva per ottenere cibo. Il fatto che tali ratti ingeriscano pasti più abbondanti dell'ordinario, ma non mangino più spesso, potrebbe essere in relazione a una aumentata sensibilità alle proprietà di stimolo del cibo, anche se non è ancora chiaro se l'iperfagia sia necessariamente correlata a un'aumentata sensibilità orale. Le variazioni di sensibilità possono far parte di cambiamenti affettivi di carattere più generale.

In ogni caso, il peso corporeo di questi animali, che dapprima aumenta, si stabilizza in seguito su di un nuovo livello più alto, mentre l'ingestione di cibo cade fino a un valore poco più alto del normale. Questo suggerisce che un altro effetto della lesione è di disturbare un meccanismo ipotalamico regolante l'ingestione di cibo in relazione al peso corporeo. Gli effetti di lesioni laterali dell'ipotalamo sono similmente complessi. Dapprima provocano afagia e adipsia, ma poi, se gli animali vengono tenuti in vita artificialmente, si ha un graduale recupero. Di nuovo, l'appetibilità del cibo sembra essere una variabile importante nel determinare il recupero.

In ogni caso, l'effetto delle lesioni o della stimolazione elettrica dei meccanismi ipotalamici può essere quello di influenzare o puramente l'atto motorio del mangiare oppure un'appropriata responsività agli stimoli rappresentati dal cibo. Perciò un ratto stimolato nell'area del mangiare non berrà acqua semplice ma acqua zuccherata o latte, anche se sazio.

Tutti questi studi mostrano che l'idea di semplici meccanismi contrapposti della ‛nutrizione' e della ‛sazietà' implica una grossolana semplificazione. Bisogna considerare inoltre che i meccanismi coinvolti si trovano in molte parti del cervello oltre che nell'ipotalamo.

Il comportamento alimentare implica inizialmente un tipo di comportamento appetitivo tale da portare l'animale alla presenza del cibo e che include anche un'aumentata sensibilità agli stimoli provenienti da questo. Ma difficilmente si può sopravvalutare la diversità dei fattori che controllano la relativa attrazione esercitata dai differenti tipi di cibo. Questi fattori comprendono richieste nutritive speciali, novità nel tipo di cibo, fattori sociali e soprattutto l'esperienza.

Per venire all'altro aspetto dell‛istinto', il ruolo dell'esperienza nello sviluppo del comportamento nutritivo è davvero enorme. Sebbene gli atti motori del mangiare possano svilupparsi con autonomia considerevole, i rapporti esistenti fra il comportamento alimentare e il grado di privazione, la frequenza del mangiare, la selezione di sostanze commestibili, il loro valore corroborante, le variazioni giornaliere di alimentazione e molti altri aspetti del comportamento alimentare, sono marcatamente influenzati dall'esperienza. Lo studio dell'ontogenesi del comportamento alimentare è in effetti appena iniziato.

b) Attività riproduttive negli Uccelli

Alcuni dei problemi di cui ci stiamo occupando possono essere illustrati prendendo in considerazione il comportamento riproduttivo del canarino domestico. Da un punto di vista funzionale, il canarino femmina per riprodursi con successo deve accoppiarsi con un maschio, copulare, costruire un nido, deporvi delle uova e incubarle: ciascuno di questi tipi di comportamento dev'essere effettuato nella giusta successione e in appropriata relazione rispetto alle altre fasi del comportamento proprio e di quello del maschio. Il controllo di queste attività viene effettuato mediante una complessa interazione fra cambiamenti che avvengono nel mondo esterno, nello stato endocrino e nel comportamento della femmina. Secondo quanto si è riusciti a capire del fenomeno fino a oggi, gli eventi si succedono pressappoco così. Primo, l'aumentata durata del giorno in primavera causa variazioni nell'attività dell'ipofisi della femmina, che a loro volta sono responsabili dell'ingrossamento delle ovaie e della secrezione dell'ormone sessuale femminile, l'estrogeno. Questi cambiamenti sono intensificati dalla presenza e dal corteggiamento del maschio. Si verifica poi una serie di altre variazioni ormonali consistenti nella secrezione dell'ormone ipofisario prolattina, e di altri due ormoni che probabilmente provengono dall'ovaio - il progesterone e l'androgeno. Le variazioni ormonali portano a cambiamenti comportamentali nella femmina. Essa forma una coppia con il maschio da cui viene nutrita e con cui successivamente copula; inizia anche a costruire un nido; se ha erba e piume a disposizione, costruisce l'esterno del nido con l'erba e poi fodera l'interno con le piume.

Gli ormoni causano anche altri cambiamenti strutturali nella femmina. Ad esempio gli ovidotti si ingrossano in tempo per il passaggio delle uova: conseguenza questa dell'azione dell'estrogeno e di altri ormoni, probabilmente l'androgeno o il progesterone, o di entrambi. Si ha anche la formazione della ‛placca della cova', cioè cadono le piume da un'area del petto e la pelle diviene vascolarizzata ed edematosa. Questa è in parte una preparazione per l'incubazione, poiché in conseguenza di queste modificazioni il calore passa più rapidamente dalla femmina alle uova. Inoltre queste modificazioni sono associate con un'accresciuta responsività della femmina agli stimoli tattili nella regione della placca della cova. Questo è di grande importanza nel controllo del comportamento di costruzione del nido, per due ragioni. Innanzi tutto, il passaggio dalla scelta dell'erba per la parte esterna del nido alla scelta di piume per il rivestimento interno è causato da stimoli provenienti dalla parte di nido che la femmina ha costruito fino a quel momento. E poi, gli stimoli provenienti dal nido causano una diminuzione nel comportamento complessivo della femmina legato alla costruzione del nido. Ora, i cambiamenti ormonali sono probabilmente essi stessi in parte una conseguenza di stimoli provenienti dal nido. Quindi, le variazioni ormonali nella femmina fanno sì che questa costruisca il nido e diventi sensibile agli stimoli provenienti dal nido stesso; questi stimoli a loro volta inducono ulteriori cambiamenti comportamentali ed endocrini che a loro volta danno luogo a ulteriori effetti e così via.

La costruzione vera e propria del nido dipende da un limitato numero di movimenti stereotipati, come la ‛tessitura', in cui la femmina, stando all'interno del nido, tira verso di sé pezzi di materiale sporgente e li infila nel tessuto, e la ‛modellatura', in cui essa ruota nella concavità del nido, modellandola con il petto. Altre specie costruiscono nidi molto più complessi di quello del canarino, ma anche in queste il repertorio di movimenti è limitato.

Se canarini domestici vengono allevati in isolamento da altri individui del loro genere e tenuti senza materiale adatto alla costruzione del nido fino al periodo della riproduzione, compiono movimenti di costruzione anche senza il materiale, come fossero fra ramoscelli o in qualche altra circostanza tale da dare loro qualche stimolo normalmente rappresentato dalla concavità del nido. Inoltre, quando viene dato loro del materiale, la loro risposta è appropriata e costruiscono un nido normale. Perciò l'imitazione non è necessaria per la costruzione del nido e la pratica sembra giocarvi un ruolo poco importante. Tuttavia se le femmine vengono tenute per un periodo prolungato senza materiale, sviluppano degli atteggiamenti bizzarri che permettono loro di compiere parte della sequenza di costruzione del nido. Ad esempio, possono prendere una delle loro piume, volare con essa a un luogo potenzialmente adatto per il nido e là compiervi i movimenti di costruzione. Inoltre, allo stato libero esse devono imparare quali sono le caratteristiche del luogo adatto al nido, e i luoghi dove possono trovare il materiale per la costruzione. Perciò l'apprendimento deve avere un certo ruolo anche nello sviluppo di questo classico esempio di ‛comportamento istintivo'.

c) L'aggressione

L'aggressione rappresenta un altro tipo di comportamento spesso classificato come istintivo - e in effetti è talvolta considerata inevitabile perché appare ‛guidata dal di dentro'. È perciò molto importante comprendere il meccanismo del suo controllo e del suo sviluppo. Sfortunatamente gli esempi attualmente a disposizione provengono da specie diverse.

Chiaramente, lo stimolo primario per l'aggressione è la vicinanza di un altro individuo della specie. Ma la probabilità che un animale mostri un comportamento aggressivo è anche influenzata dal suo stato interno. È noto che l'ormone sessuale maschile aumenta l'aggressività dei maschi di molte specie. Alcune femmine sono particolarmente aggressive subito dopo la nascita dei piccoli e anche in questo caso sembra probabile un effetto ormonale. Tuttavia gli ormoni possono esercitare influenze sull'aggressione agendo non tanto direttamente sulla sua intensità quanto piuttosto sul contesto nel quale essa si attua. Perciò gli effetti prodotti dagli ormoni sull'aggressività del fringuello tessitore Quelea variano a seconda che un eventuale incontro sia o non sia in relazione col materiale per la costruzione del nido. La privazione di cibo causa un aumento della frequenza di scontri aggressivi in stormi di certi piccoli uccelli posti in una gabbia comune, ma questo sembra essere solo un effetto indiretto dello stato interno. Esperimenti con fringuelli mostrano che la privazione di cibo mentre non influenza la distanza alla quale un altro individuo viene tollerato, agisce invece sul numero di voli effettuati dagli uccelli e perciò sulla frequenza con la quale questi giungono in prossimità l'uno dell'altro; e inoltre anche sulla facilità con cui un uccello subordinato vola via dal cibo quando viene avvicinato da un superiore.

In aggiunta a questi fattori interni, la tendenza di un animale a mostrare un comportamento aggressivo può essere accresciuta da stimoli dolorosi. Quando due ratti vengono rinchiusi insieme in una piccola gabbia il cui pavimento è costituito da una griglia elettrica attraverso la quale possono essere somministrati brevi shock elettrici, essi in genere si combattono ogni volta che ricevono lo shock. Un altro potente fattore causa di aggressione è la frustrazione. Se un piccione ha nella gabbia un disco connesso a un recipiente contenente cibo, in modo tale che il beccare il disco produca come premio la somministrazione del cibo, esso imparerà presto a beccare per ottenere il premio. Se il recipiente viene temporaneamente disinserito, il piccione si comporterà aggressivamente verso un altro piccione tenuto legato li vicino per tutto il tempo in cui i suoi tentativi di ottenere il cibo vengono frustrati.

In circostanze normali il combattimento viene a cessare quando il rivale è sconfitto e si arrende, oppure quando scappa o è ucciso, sebbene vi possa anche essere una lenta diminuzione del comportamento di lotta se la presenza del rivale è continua. Quindi il combattere differisce sia dal mangiare sia dalla costruzione del nido in quanto gli stimoli consummatori giocano una parte meno importante nel suo controllo.

Sebbene le tecniche usate nel combattimento, e i relativi atteggiamenti di minaccia o di sottomissione, siano generalmente caratteristici della specie, l'esperienza ha un ruolo importante nello sviluppo del comportamento aggressivo in tutti gli animali superiori. Per esempio le condizioni dei primi periodi di allevamento influenzano l'aggressività successiva. L'allevamento in isolamento sociale talvolta porta a un aumento e talvolta a una diminuzione dell'aggressività. Nei topi e nelle scimmie è noto che la natura delle attenzioni materne ricevute può influenzare l'aggressività successiva. Sembra possibile, sebbene non vi siano prove sperimentali, che altre condizioni di allevamento, quali ad esempio la frustrazione cronica, possano influenzare la successiva aggressività, che può anche risentire delle esperienze fatte durante i combattimenti. Le sconfitte e le vittorie che l'animale ha conseguito e le gratificazioni ricevute dal combattere influenzeranno la misura in cui egli in seguito cercherà o eviterà il combattimento. Ma anche a prescindere da ciò, è stato dimostrato che l'opportunità di combattere di per se stessa può avere valore di rinforzo: è probabile che un animale ripeta un certo tipo di risposta se questa lo conduce a uno scontro con un rivale. Ad esempio, un maschio di pesce siamese da combattimento imparerà a nuotare ripetutamente attraverso un cerchio nell'acquario se tale esercizio è seguito dalla presentazione di quegli stimoli che causano lo spiegamento del suo repertorio aggressivo. Inoltre va aggiunto che gli stimoli che determinano un comportamento aggressivo sono soggetti a modificazione.

6. Conclusione

Appare chiaro che gli sforzi combinati di molti ricercatori, con tecniche che vanno dalla diretta osservazione degli animali in natura alle complicate manipolazioni di singole cellule nervose, hanno reso inutile il ricorso a un misterioso ‛istinto' per spiegare sia la perfezione sia l'apparente spontaneità di molta parte del comportamento animale. Per concludere, un'ultima considerazione. Gli scritti dei primi teorici dell'istinto erano pieni di un senso di meraviglia, e a volte si pensa che, con l'aumento delle nostre conoscenze, questo senso di meraviglia e di mistero debba inevitabilmente scomparire. Per varie ragioni, però, questo punto di vista è sbagliato. Infatti, le nostre conoscenze hanno appena scalfito la superficie del problema del reale funzionamento degli organismi, e il progresso che è stato compiuto è più esaltante per gli ulteriori problemi che ha posto, che per quelli che ha risolto. In ogni caso, la meraviglia dei primi naturalisti proveniva dal senso di affinità con ciò che osservavano; mentre l'esame della vita attraverso il binocolo o il microscopio, la sua dissezione e analisi, inevitabilmente ci spingono in un mondo di oggettività dove la partecipazione affettiva sembra impossibile, e la nostra comprensione delle interazioni fra i risultati dell'analisi serve solo ad accrescere la nostra meraviglia per il funzionamento del tutto.

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