NEWTON, Isaac

Enciclopedia Italiana (1934)

NEWTON, Isaac

Gino Loria

Nacque nel villaggio di Woolsthorpe, situato otto miglia a sud della piccola città di Grantham (contea di Lincoln), il 25 dicembre 1642. Essendo il padre morto sin dall'ottobre precedente, la madre contrasse un nuovo matrimonio (27 gennaio 1645) e fu la nonna, essa pure residente a Woolsthorpe, che prese cura del piccolo orfano e sino dal 1654 provvide che egli frequentasse le pubbliche scuole di Grantham. In questa città prese alloggio presso il farmacista Clark; ivi cominciò a interessarsi di questioni di chimica e si addestrò nella tecnica delle relative manipolazioni. Nel 1656 la madre di N., mortole anche il secondo marito, ritornò alla sua primitiva abitazione e volle che il suo primogenito si consacrasse agli affari; ma il giovinetto, mentre dava prova di una sorprendente abilità nell'ideare e costruire apparecchi meccanici complicatissimi, rivelò una completa inettitudine per il commercio. In conseguenza gli fu concesso di riprendere gli studî per potere venire ammesso in un istituto d'istruzione superiore. E infatti il 5 giugno 1660 superò brillantemente l'esame di ammissione al Trinity College di Cambridge e il 6 del mese seguente venne ivi immatricolato studente. Durante il suo periodo di alunnato, N. si fece notare dai suoi maestri per la sua intelligenza straordinariamente sveglia; si narra che essendogli caduti tra mano gli Elementi di Euclide, ne intraprendesse lo studio, ma ben presto li abbandonasse trovandoli eccessivamente facili, per volgersi a Descartes; però in età matura si pentì di quell'atto inconsulto, dichiarando candidamente di non avere saputo allora comprendere o misurare la grandezza del sommo alessandrino. Al termine dei periodo prescritto conseguì (gennaio 1665) il grado di baccelliere. La peste, che in quel torno di tempo infuriava sull'Inghilterra, costrinse l'autorità scolastica per ben due volte (8 agosto 1665, 22 agosto 1666) a chiudere il Trinity College; N. dovette in conseguenza riparare sotto il tetto materno. Gli anni 1665-66 furono per lui di straordinaria fecondità; si fanno, infatti, risalire a quell'epoca la scoperta della formula del binomio per un esponente qualunque e quella di un metodo generale per costruire le tangenti alle curve, l'invenzione del metodo delle flussioni, diretto e inverso, e finalmente l'inizio degli studî che culminarono nella sua teoria dei colori e nella concezione della gravitazione universale.

Riguardo a quest'ultima creazione Voltaire riferisce (sull'autorità di una nipote del grande scienziato) che N. sarebbe stato condotto alla sua più clamorosa scoperta dall'accidentale caduta di una mela da un albero, presso il quale egli stava seduto meditando. Benché Gauss rifiutasse di prestare fede a questa storiella (lo racconta il suo biografo G. Sartorius v. Waltershausen), per lungo volgere d'anni quell'albero fu additato ai visitatori come una delle cose più interessanti del luogo; e quando nel 1820 esso si sfasciò per decrepitezza, i frammenti del tronco furono raccolti quali preziose reliquie; uno di essi si può ancora oggi vedere tra i cimelî newtoniani esistenti presso la Royal Society di Londra.

Cessato il terribile flagello che tante vittime aveva mietute in Inghilterra, N. rientrò nel Trinity College, di cui il 1° ottobre 1667 fu nominato "fellow"; il 16 marzo successivo gli fu conferito il grado di dottore. Nel frattempo aveva immaginato e anche costruito il suo primo telescopio a riflessione. Poco appresso redigeva un breve Tractatus de quadratura curvarum, prima esposizione delle sue idee sull'applicazione alla matematica del concetto d'infinito. Avendola consegnata al suo maestro I. Barrow, questi in data 31 luglio 1668 la spedì a John Collins, segretario della Royal Society; l'entusiastico giudizio pronunciato da questo sopra quanto N. aveva pensato e scritto confermò il Barrow nell'altissima stima che egli aveva concepita per il suo antico alunno e lo condusse nel seguente anno a prendere una deliberazione forse unica nella storia del pubblico insegnamento; egli, cioè, decise di dedicarsi complemente alla teologia, per lasciare le cattedra di professore lucasiano che occupava nell'università di Cambridge, a chi riteneva ne fosse più degno.

Tanto sacrificio non fu sterile, ché in data 29 ottobre 1669 N. veniva chiamato a occupare la cattedra già illustrata dal suo maestro e amico. È forse qui il caso di notare che in conseguenza egli era tenuto a fare ogni settimana un'ora di lezione e ad accordare udienza agli studenti due volte nello stesso periodo; delle lezioni da lui impartite durante gli anni 1669-72, 1673-83, 1684, 1695 e 1686 esistono riassunti nella biblioteca dell'università di Cambridge; la sostanza di quelle d'algebra tenute nel periodo 1673-83 si trova nel volume intitolato Arithmetica universalis, che vide la luce nel 1707, a quanto sembra, a insaputa dell'autore.

Gli è circa all'epoca dell'assunzione di N. a una cattedra universitaria che si devono far risalire tanto la redazione di un'importante memoria relativa alle flussiuni e alle serie, pubblicata soltanto nel 1736, quanto la costruzione di un più perfetto telescopio a riflessione. Questo venne presentato alla Royal Society nel dicembre 1671 e fu giudicato con tanto favore, che l'11 gennaio successivo il giovane inventore venne proposto come socio di quel celebre sodalizio; però la sua elezione non poté avere luogo che il 18 febbraio 1675, a cagione delle strettezze finanziarie in cui egli si trovava allora (ogni membro della Royal Society era tenuto al pagamento di uno scellino per settimana) e ciò perché la sua nomina a fellow del Trinity College incontrava opposizione da parte del governo inglese, il quale riteneva che un tale posto non potesse venire occupato che da un ecclesiastico; un provvidenziale decreto reale, imponendo una deroga a favore di N., mise termine al dibattito.

Ma, anche prima di fare parte della più eccelsa società scientifica dell'Inghilterra, N. comunicò a essa i frutti delle proprie osservazioni sui fenomeni luminosi, nonché le ipotesi con le quali egli intendeva spiegarli. L'accoglienza fu ben lungi dall'essere di unanime approvazione. In Inghilterra R. Hooke (1635-1703), nel Belgio Linus e Lucas, in Olanda C. Huygens (v.), criticarono con maggiore o minore fondamento le une e le altre. Oggi a distanza di due secoli si può asserire che sui risultati delle esperienze newtoniane (composizione della luce bianca, anelli, ecc.) ogni dubbio è inammissibile; meno unanime è il giudizio intorno alle spiegazioni date da N. per gl'indicati fenomeni, ché alla teoria dell'emissione, da lui sostenuta, molti preferiscono la teoria ondulatoria di Huygens; però la recente teoria dei quanti sembra indicare un ritorno alle idee di N.

Degli studî matematici compiuti da lui durante gli anni precedenti la comparsa del suo "opus magnum" si ha qualche notizia in due lettere scritte per soddisfare una richiesta direttagli da G. Leibniz per il tramite di H. Oldenburg. Specialmente notevole è quella data il 24 ottobre 1674, dove si legge il teorema del binomio per esponenti qualunque, nonché alcuni corollarî dello stesso. Riguardo alle flussioni vi si trova, sotto la forma anagrammatica usata in quell'epoca, un enunciato, di cui soltanto molto tempo dopo si conobbe il significato, che è il seguente: "Data aequatione quotcumque fluentes quantitates involvente, fluxiones invenire, et viceversa". È appena necessario rilevare che anche chi fosse riuscito a scoprire ll senso di quell'indovinello, ben poco avrebbe conosciuto intorno ai procedimenti usati e ai risultati ottenuti da N.

Meno oscure informazioni intorno a quegli studî si ebbero quando il celebre astronomo E. Halley, nella seduta che la Royal Society tenne il 10 dicembre 1684, narrò che, durante una visita da lui fatta a N. nel mese precedente, aveva avuto notizia di una memoria di eccezionale importanza intitolata Propositiones de motu. La Società, subito interessandosi della cosa, diede incarico allo stesso Halley di adoperarsi perché quel lavoro le venisse comunicato. Tale missione sortì lo sperato risultato, ché quello scritto fu inviato a Londra prima del febbraio 1685. Sembra che soltanto allora sia sorta in Newton l'idea di esporre le proprie investigazioni intorno ai moti e alle forze, compiutamente e metodicamente, cioè, non in una semplice memoria, ma in un'opera estesa; intanto ne fece oggetto delle proprie lezioni dell'anno 1686. L'esecuzione di quel grande progetto richiese meno di due anni (cioè precisamente ventun mesi) ed ebbe per risultato il I libro dei celebri Philosophiae naturalis principia mathematica, da qualcuno giudicati la più eminente produzione dello spirito umano. Il manoscritto fu inviato il 21 aprile 1686 alla Royal Society, che deliberò (19 maggio 1686) di assumerne la stampa, sebbene R. Hooke avanzasse diritti di precedenza intorno alla scoperta della legge di gravitazione universale. È da ricordare che questa era stata proposta, prima di N., non solo dal Hooke, ma anche da altri: fu però N. che, grazie ai nuovi algoritmi da lui creati, poté elevarla al livello di legge di natura (v. gravitazione).

Il II libro dei Principia venne compiuto verso la metà di giugno 1686 e fu presentato alla Royal Society il giorno 20 dello stesso mese. Esso tratta del moto in un mezzo resistente, di idrostatica e di idrodinamica, con applicazione alla teoria del flusso e riflusso del mare e all'acustica, concludendo col rigetto della teoria cartesiana dei vortici, come inconciliabile con i fenomeni accertati e con le leggi del moto.

Il III e ultimo libro è dedicato all'applicazione delle teorie esposte nel I allo studio del sistema solare e delle comete; il relativo manoscritto fu presentato alla Royal Society nella seduta del 6 aprile 1687; essendo stato inviato immediatamente in tipografia, l'opera poté venire pubblicata nel luglio del medesimo anno. Le Philosophical Transactions ne pubblicarono subito una recensione dovuta al Halley; negli Acta eruditorum di Lipsia del giugno 1688 se ne trova un'altra che tutto fa credere scritta dallo stesso N., non esistendo allora alcun altro in grado di analizzare un'opera di così spiccata originalità e di non facile lettura. Dell'ammirazione generale dei contemporanei si fece interprete il poeta Pope dettando i seguenti versi:

Nature and Nature's laws lay hid in the Night;

God said "Let Newton be" and all was light.

Il precipuo significato della grande opera di N. si deve rieereare nel trovarvisi stabiliti i principî della dinamica nell'accezione odierna della parola (v. dinamica), nonché la teoria della gravitazione universale (v. gravitazione). Riprendendo, completando ed estendendo i concetti di Galileo, N. stabilisce ivi le leggi generali del moto, cioè: I, la legge d'inerzia (v. inerzia); II, la legge che si esprime oggi con la relazione forza = massa × accelerazione; III, la legge per la quale ogni azione di una particella materiale sopra un'altra è diretta secondo la loro congiungente e accompagnata da una reazione eguale e contraria. Esse vengono precisate mediante il "principio generale della gravitazione", in base al quale le forze che si esercitano fra le particelle materiali sono proporzionali alle masse e inversamente proporzionali al quadrato della distanza. Questo fecondo principio permette di descrivere i movimenti dei pianeti attorno al Sole e così ritrovare in prima approssimazione le leggi di Keplero; in particolare si giunge alle leggi scoperte da Galileo, che governano la gravità alla superficie della Terra.

N. medesimo si è reso conto delle prime conseguenze qualitative della sua dottrina, servendosene nel congegnare un'attendibile spiegazione delle perturbazioni planetarie. In generale i suoi sviluppi sono di un'accuratezza perfetta, ragione per cui, anche da questo punto di vista, i Principia sono considerati come opera classica e citati come modello per la trattazione di qualunque teoria fisico-matematica. A questo proposito giova far presente che N. non si sentì autorizzato a equiparare i corpi celesti a punti materiali sino al giorno in cui giunse in possesso delle ragioni che giustificano tale ipotesi semplificatrice (grande distanza fra i corpi che gravitano l'uno rispetto all'altro e forma sferica dei corpi stessi). Con maggiore precisione N. dimostra che una sfera materiale, la cui densità sia distribuita omogeneamente rispetto al centro, agisce sui corpi esterni come se la sua massa fosse riunita nel suo centro. Secondo un'attendibile ipotesi dell'astronomo Adams, oggi generalmente accolta in luogo di un'altra che godeva prima generale favore (v. una memoria di F. Cajori nella miscellanea per il secondo centenario della morte di N., Baltimora 1928), sembra anzi che le difficoltà incontrate da N. nello scoprire tale giustificazione siano state la causa del lungo intervallo di tempo interposto fra la scoperta della legge di gravitazione e la pubblicazione dei Principia.

Il metodo costantemente usato da N. (osserva giustamente F. Enriques) non meno che i risultati conseguiti segnano una data importantissima nella storia della scienza, giacché il razionalismo sperimentale spezzò i quadri del meccanicismo democriteo-cartesiano, per adottare un nuovo concetto positivo della legge naturale. La spiegazione scientifica non è più, secondo N., legata a pure ragioni d'estensione e di moto, ma si presenta nel senso più largo di relazione fra elementi suscettibili di misura, quali sono appunto le forze centrali che spiegano le mutue accelerazioni delle particelle materiali. È vero che N. stesso (al pari dei suoi critici e oppositori, quali Huygens e Leibniz) non poteva appagarsi della supposizione di forze istantanee a distanza; ma l'ulteriore illustrazione di essa col mezzo d'ipotesi meccaniche o di azioni per contiguità era per lui un problema tuttora irresoluto che non era lecito trattare in modo arbitrario. A questo proposito è opportuno osservare che in un passo dei Principia assai spesso citato, N. ha schiettamente dichiarato che introducendo nella scienza le forze attrattive non ha preteso di assegnare le vere cause dei fenomeni studiati; secondo lui i fenomeni del moto avvengono come se i corpi si attraessero ("causas attractionis nondum potui deducere et hypotheses non fingo"); e aggiunge la seguente lucida spiegazione: "Tutto ciò che non si deduce dai fenomeni è un'ipotesi e le ipotesi - metafisiche, fisiche, meccaniche o riguardanti qualità occulte - non hannti posto nella filostifia sperimentale". Chi non vede che con siffatte dichiarazioni N. ci si presenta come precursore e fors'anche come fondatore del moderno positivismo scientifico?

I Principia, prescindendo dal posto che, come risulta da quanto precede, occupano nella storia della meccanica, vanno accuratamente studiati da coloro che s'interessano all'evoluzione del pensiero matematico puro. Ben è vero che chi vuole conoscere il "metodo delle flussioni" mediante cui egli trattò le questioni in cui interviene il concetto d'infinito deve ricorrere ad altre fonti, essendosi N. imposto di usare nella sua esposizione soltanto i procedimenti usati dagli antichi, che ai suoi giorni si giudicavano soli rigorosi e conclusivi. Tuttavia le prime pagine del libro I dei Principia contengono sotto il titolo di "Metodo delle prime e ultime ragioni" i fondamenti di una procedura che permette di applicare l'idea d'infinito alla risoluzione di questioni matematiche; ivi poi il lettore moderno non stenta a ravvisare negli enti ausiliarî denominati "flussioni" le derivate delle variabili considerate rispetto al tempo.

Non basta. Dopo che Keplero aveva insegnato che le traiettorie degli astri sono sezioni coniche, il posto fondamentale che, sino dai tempi di Platone, la circonferenza occupava nella geometria del cielo, fu ceduto alle curve di secondo ordine. In conseguenza N. si trovò nella necessità di completare quanto sopra queste celebri curve aveva lasciato scritto Apollonio Pergeo. E infatti le sezioni 4ª e 5ª del libro I dei Principia insegnano la costruzione di una conica, tanto quando se ne conosca almeno un fuoco, quanto nei casi in cui essa sia individuata per punti o per tangenti. In conseguenza N. si deve ben più di Descartes riguardare come primo risolutore del problema "ad tres aut quatuor lineas" attorno a cui si erano affaticati gli antichi matematici.

Giova qui aggiungere l'osservazione che non è questo l'unico contributo dato da N. alla geometria. Infatti, facendo pubblicare nel 1712 alcune sue memorie, egli ve ne comprese una dal titolo Enumeratio linearum tertii ordinis, che inaugura la letteratura, oggi ricchissima, sopra la teoria delle cubiche piane. Inoltre, poiché lo strumento investigativo usato è rappresentato dalle coordinate, N. ha la gloria di avere per primo mostrato l'utilità della geometria analitica per scoprire le qualità delle figure geometriche. Fra i risultati a cui egli pervenne va ricordato il celebre teorema secondo cui tutte le curve piane di terzo ordine si possono ottenere mediante proiezioni ("per umbras") da cinque di esse (v. cubiche).

Un'indiscutibile prova del credito di cui N. godeva presso i colleghi si ebbe quando, nel febbraio 1687, egli fu scelto dall'università di Cambridge come difensore dei suoi storici diritti minacciati da Giacomo II, che allora occupava il trono d'Inghilterra. Il modo lodevole con cui egli seppe assolvere il delicato ufficio è implicitamente dimostrato dal fatto che la stessa università lo volle proprio rappresentante nel parlamento, che sedette dal gennaio 1689 al febbraio 1690.

Ritornato a Cambridge, benché costernato per la morte della madre, riprese gli studî interrotti; ma nell'autunno del 1692 fu colpito da un attacco di nevrastenia, che alcuni contemporanei, malevoli o inesattamente informati, qualificarono pazzia; a torto, perchè il carteggio tenuto da lui in quell'epoca prova che egli era sempre in grado di proseguire con frutto le sue ricerche scientifiche. In particolare le lettere da lui scambiate con J. Flamsteed, direttore dell'Osservatorio astronomico di Greenwich, attestano che egli aveva allora preso ad applicare le proprie idee allo studio delle perturbazioni lunari e documenta i suoi diritti alla creazione della teoria delle rifrazioni astronomiche.

Nel 1693 l'esistenza di N. subì una metamorfosi profonda. Carlo Montagu, quarto figlio del conte di Manchester e noto nella storia sotto il nome di Lord Halifax che assunse divenendo pari d' Inghilterra, essendo allora cancelliere dello scacchiere, escogitò una riforma radicale del sistema monetario allora vigente, e, per tradurla in atto, fece nominare (19 marzo 1693) ispettore della zecca di Londra il N., che egli aveva conosciuto quando erano entrambi deputati e che a tale ufficio era designato, a tacer d'altro, per le sue ricerche sperimentali di fisica e chimica. Le aspettative riposte in lui dal Governo inglese non andarono deluse; i servigi che egli prestò in quell'ufficio furono talmente rilevanti che, resasi vacante nel 1697 la carica di direttore di quell'istituto, N. fu chiamato a occuparla. In conseguenza nel 1701 rinunciò alla cattedra lucasiana; ciò nonostante egli rappresentò l'università di Cambridge, per volere dei suoi antichi colleghi, anche nel parlamento, che sedette dal novembre 1701 al luglio 1702. Nel nuovo altissimo ufficio egli riuscì pure sommamente utile allo stato e lo conservò sino al giorno della sua morte.

Che, malgrado le gravi cure del governo della zecca di Londra, egli non abbia abbandonato le occupazioni scientifiche, è dimostrato tanto dall'opera sua svolta nella carica di presidente della Royal Society - a cui fu chiamato il 30 novembre 1703 e in cui fu sempre confermato - quanto dal carteggio che egli tenne con R. Cotes quando lo incaricò di presiedere alla stampa di una nuova edizione dei Principia.

Nominato nel 1699 uno dei soci stranieri della rinnovata Académie des Sciences di Parigi, decorato del titolo di sir in occasione della visita fatta, addì 15 aprile 1705, dalla regina Anna all'università di Cambridge, nessuna occasione veniva lasciata sfuggire, in Inghilterra e sul continente, di rendergli i debiti onori. Tuttavia la questione sulla priorità d'invenzione dei nuovi calcoli, scatenò una tempesta che si protrasse durante parecchi lustri, persino dopo la morte dei contendenti. Oggi ancora ogni oscurità al riguardo non si può dire completamente dissipata e con ogni probabilità non lo sarà prima del giorno in cui verranno pubblicati tutti gli scritti inediti dei due giganti del pensiero che rispondono ai nomi di Leibniz e N.

Per gli episodî di questa grande contesa si veda il vol. II della Storia delle matematiche di Gino Loria (Torino 1931). Qui basti notare come il più importante documento che vi si riferisce è il volume intitolato Commercium epistolicum D... Collins et aliorum de analysi promota (v. bibliografia), pubblicato sotto gli auspici della Royal Society. È però da notare che non si tratta di uno scritto imparziale da equipararsi a una sentenza di tribunale, ma piuttosto simile alla conclusionale d'un avvocato. Né va taciuto che D. Mahnke (v. la memoria Zur Keimegeschichte der Leibnizschen Differentialrechnung, in Sitzungsberichte der Gesell. zu Beförd. der gesamten Naturwissenschaften zu Marburg, LXVII, 1932), in seguito a un profondo esame di manoscritti originali, ha riconosciuto che molti dei documenti ivi riprodotti furono tratti da copie infelici, cosicché non possono servire di base sicura per un sereno esame della questione e fanno desiderare un'edizione critica del Commercium epistolicum.

Se oggi, per il suindicato motivo, è estremamente difficile pronunciare una sentenza con sicura base documentaria, esaminando invece la questione con criterî dottrinali, viene fatto di rilevare che i calcoli creati da N. e Leibniz non si possono dichiarare opera del tutto nuova, giacché completano in modo originale un edificio le cui basi furono gettate nell'antichità da Eudosso da Cnido e Archimede e che s'era gradatamente innalzato grazie alle secolari fatiche di una schiera di pensatori di varia stirpe. Però quanto vi aggiunse ciascuno di quei due sommi è di stile talmente personale che (senza escludere qualche possibile influenza dell'uno sull'altro) l'assoluta proprietà di ciascuno sopra quanto lasciò scritto non può venire ragionevolmente revocata in dubbio. Disgraziatamente, come troppo spesso avviene, impegnata la lotta, i due avversarî, pur di cogliere gli allori della vittoria, ricorsero talora a mezzi che forse essi stessi, nel fondo, non potevano approvare; un'assoluzione si può solo pronunciare tenendo conto dei benefici che l'umanità trasse dalle loro opere.

Conviene qui accennare anche all'attività svolta da N. in altre due discipline: la cronologia e la teologia.

Degli studi cronologici, da lui compiuti per riposarsi da più gravi occupazioni, si ebbe casuale notizia nel corso di una conversazione da lui tenuta con la principessa di Galles. Alla quale piacque tanto il sistema proposto da N., ch'ella gliene chiese un'esposizione scritta e N. la soddisfece, con l'obbligo di tenerla segreta, consentendo un'unica eccezione a favore dell'abate A. Schinella Conti. Questi la tenne per sé finché visse in Inghilterra; ma, giunto in Francia, non seppe resistere alla tentazione dì comunicare il lavoro di N. a N. Fréret, dalle mani del quale finì per giungere a quelle di un libraio, G. Cavalier. Quest'ultimo, avendo formulato il progetto di pubblicarlo con i commenti del Fréret, per ben tre volte scrisse a N. per ottenere il relativo permesso, ma non ricevendo risposta, finì con dare il tutto alle stampe. Alle critiche del dotto francese, N. rispose nelle Philosophical Transactions del 1725, ma decise di esporre completamente le proprie idee al riguardo mediante apposito scritto; ciò egli fece, ma la sua memoria non fu pubblicata che dopo la sua morte. I limiti del presente articolo non consentono di esporre il sistema cronologico di N., tanto più che esso non venne generalmente accettato, considerando che le osservazioni astronomiche degli antichi, che egli scelse come proprio fondamento, sono troppo grossolane, per potere servire quale fondamento di una ricerca tanto delicata.

Che poi l'autore dei Principia abbia volto la sua alta mente anche alla teologia, non deve recare meraviglia a chi rifletta che si trattava di un soggetto ai suoi tempi reputato della massima importanza e che egli era profondamente religioso (benché abbia sempre opposto il più reciso rifiuto ai tentativi fatti per indurlo ad abbracciare lo stato ecclesiastico). Egli se ne occupò sino da giovane con tanto successo che nel momento in cui pubblicò quella grande opera era riguardato un ottimo teologo. Seguendo le tendenze del tempo, egli compose un'opera, pubblicata postuma nel 1733, in cui espone, con profonda erudizione, le profezie di Daniele e dell'Apocalisse, tentandone un'applicazione allo svolgimento degli eventi storici.

Tornando dall'opera all'autore, va notato che N., il quale, nel primo periodo della sua vita, era gracile e mingherlino, si fece, col volgere degli anni, più robusto, malgrado gli eccessi di lavoro a cui si abbandonò, specialmente negli anni in cui maturarono ì Principia. Usandosi poi i debiti riguardi, non ebbe bisogno di ricorrere ai medici del suo tempo, in cui aveva ben poca fiducia; e, superato l'attacco di nevrastenia di cui s'è parlato, egli poté regolarmente attendere alle proprie occupazioni scientifiche e ufficiali. Soltanto nel 1722 (quando si appressava agli ottant'anni) fu colpito da una dolorosa indisposizione che venne diagnosticata come male della pietra. Tre anni dopo, superata una violenta polmonite, giudicò opportuno abitare in località più salubre che non fosse il centro di Londra e scelse Kensington, che ne era allora un sobborgo. La sua salute migliorò in conseguenza così notevolmente, che il 2 marzo 1727 egli poté presiedere una riunione della Royal Society; ma il giorno seguente si rinnovarono sotto forma violenta gli antichi disturbi. Era il principio della fine. Poiché, sebbene le sofferenze gli abbiano poi concesso alcune ore di tregua (tanto che il 18 di quel mese poté ancora leggere i giornali quotidiani), il 20 marzo 1727 l'Inghilterra costernata piangeva l'irreparabile perdita del genio che, durante un lungo periodo, le assicurò un indiscusso primato nelle scienze positive. Fu sepolto nell'abbazia di Westminster; e nell'epigrafe sepolcrale è giustamente celebrato quale "humani generis decus".

Opere: Philosophiae naturalis Principia mathematica, Londra 1687; 2ª ed., 1712; 3ª ed., 1726 (numerose edizioni dopo la morte dell'autore e versioni nelle principali lingue; in italiano F. Enriques e U. Forti ne pubblicarono le parti essenziali con note e commenti, Roma 1925); Opticks: or a Treatise of the Reflexions, Inflexions and Colours of Light. Also two Treatises on the species and magnitude of curvilinear Figures, Londra 1704; 2ª ed., 1717; 3ª ed., 1721; trad. latina, 1706; Arithmetica universalis: sive de compositione et resolutione arithmetica, Cambridge 1707; 2ª ed., 1722; Analysis per quantitatum, series, fluxiones ac differentias; cum Enumeratione linearum tertii ordinis, Londra 1712; The Methods of fluxions and Infinite series; with its Application to the Geometry of Curves lines. Translated from the author's Latin original yet made public by J. Colson, Londra 1736; The Chronology of ancients Kingdoms amended. To which is prefixed a short Chronicle from the first memory of things in Europe to the conquest of Persia by Alexander the Great, Londra 1728; Observations upon the Prophecies of Daniel and the Apocalipse of St John, Londra 1733; Three Reports by Sir I. N., as Master of the Mint, dated 3. March 1711, 12. and 23. June 1712; 21. Sept. 1717, in A short Essay on Coins, 1737; Monetary Reports (1701-2) signed by Sir I. N. Printed from mss. in the Tower Mint and the Public Records Office, in S. D. Horton, Silver Pound, Londra 1887.

Nell'attesa di un'edizione critica completa degli scritti editi e inediti di N., vanno ricordate le due seguenti collezioni: I. N. Opera mathematica, philosophica et philologica. Colligit partimque latine vertit ac recensuit Joh. Castillioneus, voll. 8, Losanna e Ginevra 1744, I. N. Opera quae extant omnia. Commentariis illustravit S. Horseley, voll. 5, Londra 1779-1785.

Carteggi: Commercium epistolicum D. Johannis Collins et aliorum de analysi promota, Londra 1712; 2ª ed., 1722; 3ª ed., per cura di Biot e Lefort, Parigi 1856; S. P. Rigaud, Correspondence of scientific men of the XVIII Century, including Letters of Barrow, Flamsteed, Wallis, and Newton, printed from the Originals in the Collection of the Earl of Macclesfeld, Oxford 1841, J. Edleston, Correspondence of Sir Isaac Newton and Professor Cotes, including Letters of eminent man, now first published, Cambridge 1850; Francis Baily, Account of John Flamsteed, compiled from his own manuscripts and other authentics documents, never published, Londra 1835; Supplemento, 1837.

Bibl.: Minuti particolari intorno agli scritti editi e inediti di N. si possono ricavare dai seguenti volumi: A Catalogue of the Portsmouth Collection of Books and Papers written by or belonging to I. N., Cambridge 1888; G. J. Gray, A Bibliography of the Works of Sir I. N., together with a List of Books illustrating his Works, 2ª ed. riveduta e ampliata, Cambridge 1907.

Innumerevoli sono le biografie di N., sia in pubblicazioni speciali che in storie della matematica e della fisica, in enciclopedia e in opere biografiche generali. Fra esse emerge ancora sempre la seguente: D. Brewster, Memoirs of the Life, Writings and Discoveries of Sir I. N., voll. 2, Edimburgo 1855; 2ª edizione, 1860. - Vanno poi segnalati come singolarmente importanti i due volumi seguenti: A. De Morgan, N.: his Friends and his Niece, Londra 1885; Essays on the Life and Work of N., con note e appendici a cura di E. B. Jourdain, Chicago e Londra 1914. - Documenti di carattere personale e intimo furono resi di pubblica ragione per la prima volta da R. De Villamil, N.: the man, Londra 1932, opera che, secondo l'autore, si sarebbe potuto intitolare "N. en robe de chambre".

Fra i lavori comparsi in occasione del secondo centenario della morte vanno ricordati: I. N., 1642-1727. A memorial volume edited for the mathematical Association, Londra 1927; Sir I. N., 1727-1927. A Bicentenary evaluation of his Works. A series of papers prepared unter the auspices of the History of Science Society, Baltimora 1928 (ivi lo scritto di F. Cajori citato nel tewsto). - Estese informazioni intorno all'iconografia newtoniana si possono attingere nell'articolo di D. E. Smith, The Portraits of I. N., in Bibliotheca mathematica, s. 3ª, IX (1908-09), pp. 301-08.