IRRIGAZIONE

Enciclopedia Italiana (1933)

IRRIGAZIONE (lat. irrigatio; fr. ingl. irrigation; sp. riego; ted. Bewässerung)

Renato BIASUTTI
Aristide CALDERlNl
Cesare GRINOVERO
Corrado RUGGIERO
Pietro FROSINI
*
F. G.

Pratica agraria diretta a fornire artificialmente acqua al terreno per favorire la vegetazione alle piante coltivate. Oltre a questo scopo principale l'irrigazione può averne anche altri secondarî, come, per esempio, quelli di evitare un eccessivo raffreddamento del terreno, apportare sostanze fertilizzanti, asportare sostanze nocive, ammorbidire il terreno per facilitarne la lavorazione, ecc. Qui si parlera della storia, della tecnica e della distribuzione; per l'irrigazione nel diritto e nella legislazione, v. acque pubbliche (I, p. 411 segg.).

Storia.

Oriente. - L'Egitto e la Mesopotamia sono i due territorî dell'antico Oriente per la cui vita economica l'irrigazione aveva, come ha tuttora, capitale importanza.

Lo sfruttamento razionale dell'annua inondazione del Nilo era già praticato dagli Egiziani mediante uno sviluppato sistema di canalizzazione; i canali per convogliare le acque nei campi sono frequentemente raffigurati nelle pitture e nei rilievi funerarî, con le scene della vita agricola che su essi s'imperniava. Dal canale principale che costeggiava i fondi si dipartivano numerosi canali secondarî, rettilinei e in curva, che traversavano i campi. Al principio d'agosto, quando la piena del Nilo iniziata nel luglio era al suo colmo, i canali venivano aperti, e le acque si spandevano sui campi dove erano trattenute dalla succesiva chiusura dei canali per prolungare sul suolo la durata del loro effetto fertilizzatore. Oggetto di attentissime cure erano le dighe e le chiuse, sorvegliate nei punti più importanti da appositi corpi militari, e tutelate da severe leggi repressive di ogni danneggiamento (in età romana il danneggiamento delle dighe era punito coi lavori forzati negli ergastoli). Dai canali ai campi l'acqua era poi addotta in Egitto col mezzo ancora in uso e detto con nome arabo dello shādūf (v. appresso).

Lo scavo e la manutenzione della rete di canali per l'irrigazione e il drenaggio della fertile piana alluvionale mesopotamica costituì sempre una delle principali cure dei sovrani sumeri e accadici sin dai tempi più antichi. Le tavolette e le stele assiro-babilonesi ci forniscono molti particolari su questi grandiosi lavori, condotti con una tecnica idraulica assai progredita, dai canali e bacini fatti scavare da Eannatum, a quelli di Gudea e di Hammurabi; il Nār-Hammurabi, dovuto a quest'ultimo sovrano, e di cui il sovrano giustamente si vanta, partiva dall'Eufrate al disotto di Kish, all'altezza di Borsippa, scendeva verso Umma, toccava Larsa e si dirigeva verso il Golfo Persico. Tutta una gerarchia di funzionarî regi sorvegliava la manutenzione della rete, cui materialmente si provvedeva con corvées.

La legislazione babilonese ha svariati provvedimenti per tutto quel che riguarda la canalizzazione, dalle multe per furto di elevatori d'acqua alle indennità per abuso di acque, per negligente manutenzione delle chiuse a danno del vicino, ecc. Naturalmente i maggiori di tali canali non servivano soltanto per l'agricoltura, ma costituivano anche ottime vie di comunicazione.

Si può dire che tutta la storia politica e civile dell'Egitto e della Mesopotamia si rispecchia nell'efficienza delle rispettive reti di canali. Per il primo, l'epoca delle maggiori dinastie faraoniche, la tolemaica, l'imperiale, quella fāṭimidica e ayyūbitica e la moderna fanno riscontro, nella prosperità dell'agricoltura dovuta all'accurata irrigazione, agli squallori dell'epoca del basso impero, della dominazione bizantina, e più tardi dei Mammelucchi e dei Turchi (secoli XVI-XIX), quando, abbandonati e ostruiti i canali, tutto il paese languì nella miseria e nella decadenza. La Mesopotamia ebbe del pari sotto la civiltà nazionale, l'Impero persiano, alcuni fra i Sassanidi, gli ‛Abbāsidi di Baghdād, epoche di floridezza economica e politica, cui va sempre congiunta la massima cura data al sistema idraulico, mentre le guerre, le invasioni e i dominî di stranieri barbari o arretrati (Mongoli e Turchi) han sempre coinciso col languire e deteriorarsi della sua preziosa rete di canali.

È probabile che alle stesse civiltà della Mesopotamia e dell'Egitto risalga il primo sfruttamento delle acque freatiche, il quale doveva fornire una delle armi più efficaci per la conquista del deserto da parte dell'agricoltura. Presso gli odierni rappresentanti della cultura islamica troviamo ancora i congegni più usati fin dai più antichi tempi per il sollevamento delle acque freatiche raggiunte dai pozzi. Primo, la pertica imperniata su un punto d'appoggio, cui è attaccata a una estremità una pietra che fa da contrappeso al recipiente (un sacco di pelle) sospeso con una corda all'estremità opposta (sistema a bilanciere: shādūf): è usata per le acque superficiali (Nilo) o per le freatiche poco profonde. Secondo, il recipiente attaccato a una corda che scorre in una carrucola ed è tirata allontanandosi dal pozzo, di solito su un piano inclinato che attenua lo sforzo: è il sistema usato nella maggior parte delle oasi sahariane con acque assai profonde.

È da menzionare infine la noria, macchina a draga, che consente il sollevamento continuo mediante una serie di recipienti disposti su una ruota, diffusa anche sulle rive europee del Mediterraneo.

Antichità classica. - I Greci e specialmente i Romani seppero già in tempi molto antichi organizzare con lavori talvolta giganteschi l'irrigazione delle terre coltivate, né l'opera loro è certo inferiore a quella dei popoli orientali. Già Omero del resto (Il., XXI, 257 seg.) ricorda opere d'irrigazione riferite ai tempi della guerra di Troia. L'Arcadia, l'Argolide e la Beozia hanno conservato traccia fino a noi di taluno di questi lavori e l'abilità in questo campo dei coloni greci si è esplicata anche in Italia per opera di Taranto nella valle del Galeso, di Sibari nella valle del Crati e del Sibari, di Eraclea in quella del Siri e dell'Aciri; e analoghi lavori vanta la Sicilia, specialmente intorno a Enna. I Romani ci hanno lasciato, sull'esempio del resto anche di Senofonte, nei testi stessi dei loro autori che si sono interessati di agricoltura, da Catone a Varrone a Columella a Palladio a Virgilio, le norme che regolavano la pratiea dell'irrigazione campestre; gli scavi hanno permesso di completare il quadro soprattutto per le scoperte del sistema di cunicoli sotterranei dell'Etruria meridionale e del Lazio e con l'opera meravigliosa che dopo l'esperienza dei Cartaginesi e dei Greci i Romani compirono in Africa, dove un complesso di sistemi di canali e di sbarramenti rese fertile una regione che in seguito, abbandonata dall'organizzazione romana, ridivenne deserto. I Romani continuarono e perfezionarono anche l'opera dei loro predecessori nei territorî conquistati dell'Oriente, dove, soprattutto in Egitto, attraverso lo studio dei papiri possiamo renderci ragione dei procedimenti e degli sforzi degli antichi per sfruttare a scopo agricolo un terreno ora in gran parte improduttivo.

Medioevo ed epoca moderna. - La pratica dell'irrigazione risorge, in Italia, sugli avanzi latini, nel sec. XI in quel fervore di vita nuova che gli è particolare. E poiché alla sua diffusione si opponeva la pertinenza delle acque vive di fiume al patrimonio privato dell'imperatore, sono le acque luride: le acque lunghe, le vetre, le cantarane, le acque di scolo e di rifiuto nonché di sorgente (fontanili), che ne alimentano in un primo tempo l'esercizio. Col trionfo del comune, tutte le acque vive vengono rivendicate alla città per il beneficio del contado e rivolte sui campi in canali che seguono, si può dire, il carroccio nella sua marcia trionfale. Naviglio Grande (1176), Muzza (1233), Naviglio Grande Bresciano, Seriola Fusia, Seriola Vetra dell'Oglio, ecc., sono proprio scavate in quest'epoca e così dicasi dei canali derivati dai fiumi appenninici alla destra del Po. Esauritisi i comuni nelle lotte contro l'impero e in quelle intestine, il fervore continua nelle signorie sino a tutto il sec. XV, riprende con la caduta del dominio spagnolo, si accende durante il periodo teresiano, guadagna d' interisità con Napoleone che progetta diversi canali e crea una scuola di acque e strade, continua - soprattutto nel Vercellese e Novarese - dopo la sua caduta, per rifiorire del tutto con la costituzione del regno (canale Cavour, canale Ledra-Tagliamento, canale Villoresi, ecc.). Con l'avvento del fascismo, l'irrigazione, favorita da una legislazione speciale, assume il carattere di opera pubblica. All'uso delle acque sono legate vicende notevoli delle lotte municipali, consuetudini stilate, trattati fra principi e stati, unità di misure dei corpi d'acqua viaggianti che in un primo tempo riflettevano le esigenze dei molini, onde si chiamavano rodigini (milanese), ruote (piemontese), macine (modenese) e poi si resero indipendenti da esse (once, quadretti, canale, punto, penna, ecc.), nonché quella libertà di acquedotto, sancita la prima volta dal comune e dagli Inglesi chiamata: Magna carta delle irrigazioni.

La stessa scienza delle acque ne ha tratto fondamento e sviluppo: italiani ne sono i fondatori, da B. Cavalieri a Leonardo, a Galileo e al bresciano B. Castelli che la diffuse nelle scuole d'Italia durante il Rinascimento, a De Regis, Lechi, P. Frisi, P. Paleocapa, ecc., nei secoli posteriori.

Culture inferiori. - L'apporto d'acqua, per irrigazione, ai campi coltivati non si presenta soltanto con le forme superiori dell'agricoltura. Varî gruppi di agricoltori praticanti la coltivazione alla zappa ricorrono largamente a tale pratica e ne usavano prima di qualsiasi contatto con gli Europei. Nell'India, per es., l'irrigazione fa parte delle pratiche agricole dei Santal e sembra appartenere alle culture pre-arie: nell'Indocina e nell'Indonesia essa appare associata soprattutto alla coltivazione irrigua del riso, ma la sua prima introduzione è probabilmente anteriore alla diffusione di questo cereale e connessa invece, come fu osservato nella Polinesia, con la coltura del taro.

In tali regioni, che godono di un regime assai piovoso, l'irrigazione è praticata con semplici derivazioni dalle sorgenti o dai corsi d'acqua perenni e l'afflusso ai campi coltivati è regolato mediante fosse e canali scoperti: i campi sono in molti luoghi disposti a terrazze sovrapposte sostenute da muri a secco: terrazze di cui la più intensa e perfetta applicazione si trova fra gl'Igorot e gl'Ifugao dell'isola di Luzon. Possiamo dunque ritenere che le pratiche irrigatorie si siano diffuse precocemente nel territorio intertropicale dell'Asia del SE. e dell'Oceania. Ai due lati di questo territorio, l'agricoltura antica ha incontrato però, e conquistato, specialmente mediante l'irrigazione, due serie di regioni a clima arido o semi-arido: l'America messicana e andina, l'Asia del SO. con l'Africa orientale.

Nei distretti aridi americani l'irrigazione si presenta in forme molto simili a quelle già accennate, tanto che il Rivet la elenca fra gli elementi culturali comuni all'Oceania e all'America precolombiana. Nell'antico Perù essa ebbe, soprattutto, grande sviluppo, con la creazione di serbatoi artificiali mediante sbarramenti, una fitta rete di canali di derivazione ai lati delle rare acque correnti e la disposizione delle colture su campi terrazzati (andenes). Nel nord, il quadro di questi accorgimenti si può ancora osservare completo, per quanto in scala ridotta, nei Pueblos del Colorado e dell'Arizona (Forde).

Derivazioni e terrazzature dei campi si osservano pure nella seconda area ricordata, dalle pendici del Hindu-kush e del Pamir ai distretti africani dei Wapare, dei Wahehe e del Konde. Fin'anco a sud del corso inferiore dello Zambesi, nella Rhodesia, vi sono tracce di terrazzamenti nei campi che sembrano testimoniare un'antica maggiore diffusione della coltura del riso (Frobenius). Ma in gran parte di questa seconda area asiatica e africana si è già nel territorio della coltivazione all'aratro e dell'agricoltura superiore.

Tecnica dell'irrigazione.

Terreno e irrigazione. - La precipitazione meteorica è elemento essenziale allo sviluppo della vegetazione; l'acqua unitamente al calore fa sì che le sostanze minerali del terreno si uniscano ai gas dell'atmosfera per dare la nutrizione alle piante. Dal punto di vista delle precipitazioni atmosferiche si possono distinguere quattro categorie di regioni: a) aride: con meno di 250 mm. di precipitazione annua media; b) semi-aride: da 250 a 500 mm. di precipitazione annua media; c) sub-umide: da 500 a 750 mm. di precipitazione annua media; d) umide: con oltre 750 mm. di precipitazione annua media.

Ma l'aridità non dipende unicamente dal grado di piovosità intervenendo altresì la natura del terreno, la temperatura ambiente, ecc. Tuttavia dal punto di vista irriguo si possono distinguere, in corrispondenza, le seguenti classi di territorî:

a) territorî a irrigazione assoluta: in questi terreni lo sviluppo agricolo è possibile solo con l'apporto di acqua d'irrigazione;

b) territorî a irrigazione necessaria: sono i paesi che meglio si prestano allo sviluppo dell'irrigazione, nei quali però possono aversi colture asciutte accanto a quelle irrigue. In Italia rientrano in questa categoria i terreni semi-aridi delle Puglie, della Sicilia, Sardegna, Lucania, di altre regioni del versante adriatico, e della Liguria occidentale;

c) territorî a irrigazione supplementare, i quali sarebbero teoricamente provvisti d'un quantitativo d'acqua sufficiente; ma la distribuzione delle precipitazioni nell'anno può essere tale da rendere proficua l'irrigazione nei mesi estivi, che facilmente presentano deficienze di precipitazioni. A questa categoria appartengono alcune regioni dell'Italia centrale e anche della pianura padana;

d) territorî a irrigazione facoltativa; si tratta soltanto d'intensificare lo sviluppo di determinate colture; così le risaie dell'Italia settentrionale e le marcite lombarde. Questa irrigazione si dice talora anche fertilizzante.

Per mettere in luce completamente le differenze di regime pluviometrico bisognerebbe considerare la frequenza d'una precipitazione di data intensità: allora sarà agevole dedurre il fabbisogno di acqua d' irrigazione da fornire in più, noto che sia il quantitativo d'acqua occorrente a una determinata coltura. Ma altri fattori, e non la sola precipitazione atmosferica, hanno influenza sul fenomeno vegetativo. Esaminando l'andamento delle temperature, in Italia, si osserva che, mentre le precipitazioni presentano una distribuzione, nell'anno medio, tutt'altro che uniforme nelle diverse regioni, le temperature, via via che ci si allontana dal periodo invernale, differiscono assai poco e risultano in alcuni paesi quasi identiche (medie).

Tuttavia esistono diversità, pur nel periodo aprile-settembre tra nord e sud, e cioè nei valori estremi massimi e minimi diurni: bisogna però osservare che non sarà conveniente valutare le necessità irrigue sulla base di questi elementi, giacché le temperature elevate si verificano talora soltanto per brevissima parte del giorno. Un distacco notevole tra nord e sud si verifica in riguardo alle ore di effettiva illuminazione solare: nel nord si hanno infatti valori che ammontano a ¾ di quelli che si constatano nel sud.

Per quanto si riferisce al terreno, bisogna tener presente che la natura del suolo ha grande importanza, in quanto può notevolente modificare i computi che venissero effettuati unicamente in base alle condizioni climatologiche.

Secondo il Gasparin la classifica dei terreni coltivabili sarebbe la seguente: I. Terreri contenenti l'elemento calcare: 1. limi (inconsistenti, mobili, tenaci); 2. argilloso-calcari (argillosi, calcari); 3. crete (fresche, secche); 4. sabbie (sciolte, inconsistenti). II. Terreni non contenenti l'elemento calcare: 1. silicei (secchi, freschi); 2. argillosi (inconsistenti, sciolti [micacei, scistosi, vulcanici, sabbiosi], tenaci). III. Argilla. IV. Terricci: 1. dolci; 2. acidi (terra da brughiera e da bosco, torba).

Fra le terre di natura calcarea, i limi sono generalmente i più fertili: si sviluppano in questi terreni le piante che dànno buoni foraggi, specie se non sono limi troppo tenaci. Le terre argilloso-calcari si prestano assai bene allo sviluppo delle praterie. Le crete, invece, in assenza dell'umidità sono assolutamente improduttive: se irrigate dànno produzione abbondante; sono terreni però molto permeabili e quindi di difficile irrigazione. Le sabbie calcari, se irrigate, si prestano allo sviluppo di ricche praterie. I terreni non calcari, argillosi, sono improduttivi senza acqua, quando siano irrilati possono dare buone praterie. Le argille, cioè terreni con più dell'88% di argilla, sono pochissimo produttive, quando non si disponga di opportuni correttivi. Il terriccio dolce è molto fertile e si presta allo sviluppo di orti e giardini. La coltivazione a prato dei terreni ottenuti dal dissodamento di antichi boschi o delle terre da brughiera non contiene nei primi tempi, essendo più opportuno coltivare per due o tre anni cereali o radici. I terreni torbosi vanno prima asciugati; la produzione foraggera è però mediocre.

Quantità d'acqua occorrente nelle irrigazioni. - Conosciuto il quantitativo d'acqua che una determinata coltura esige, agevole risulta la determinazione del fabbisogno irriguo. Si può dedurre che esso dipende essenzialmente dalla natura del terreno. Per effettuare un bilancio dell'acqua irrigua, cioè determinare l'integrazione necessaria, caso per caso, dell'umidità del terreno, bisognerà tener conto delle perdite varie, principalmente di quella dovuta all'evaporazione.

Sull'evaporazione influiscono principalmente la temperatura, l'umidità e il vento, in modo speciale naturalmente il primo elemento, poi anche la vegetazione, la natura topografica e geologica del suolo e sottosuolo, ecc. Se si tenesse però conto del solo effetto della temperatura, l'evaporazione potrebbe raggiungere valori dai 10 ai 200 mm. mensili nei mesi irrigui. Ma dopo una forte pioggia l'evaporazione è intensa e va poi man mano scemando con il diminuire dell'umidità delle piante e del suolo. Una pioggia torrenziale dà luogo a un'evaporazione meno intensa che non piogge minute e suddivise. La vegetazione facilita l'evaporazione dell'acqua caduta sulle piante, ma nello stesso tempo ha un effetto contrario, ostacolando l'evaporazione dal suolo: una parte dell'acqua meteorica viene poi assorbita dalle piante. L'azione protettiva delle vegetazioni, che produce una diminuzione dell'evaporazione dal suolo, dipende poi dalla natura del terreno, in quanto l'acqua può più o meno facilmente filtrarvi.

Dedotte dalle precipitazioni dei mesi estivi le perdite per evaporazione, si determinerà il quantitativo d'acqua che bisognerà ulteriormente fornire al suolo, mercé l'irrigazione.

Una soluzione generale non si può avere, soprattutto per la difficoltà di valutare tutte le cause dirette e indirette che influiscono su questi fenomeni. Ritenendo che un buon raccolto possa dare in media 100 quintali per ettaro di materia secca e che mediamente (terreni coperti di vegetazione) l'assorbimento delle piante per il mantenimento del fenomeno vegetativo sia di 0,40 h, h essendo l'altezza d'acqua in m. necessaria nei mesi irrigui, e che per ottenere 1 kg. di materia organica secca occorrano 350 kg. di acqua (Niccoli); la sostanza organica producibile su un ettaro sarà di quintali q:

per q = 100 si avrebbe dunque mediamente h = 880 mm. nei mesi irrigui (cioè 8800 mc. per ettaro). Se la stagioné irrigua durasse 90 giorni, si avrebbe un quantitativo di 1,13 litri al secondo per ettaro; se la durata fosse di 180 giorni (1° aprile-30 settembre) il quantitativo si ridurrebbe a 0,565 litri al secondo per ettaro. Per tener presenti le condizioni medie di terreno e di clima e il fatto che il quantitativo ora determinato è quello puramente necessario a evitare l'arresto del fenomeno vegetativo, mentre più complessi sono gli scopi che ha l'acqua nella sua azione sui terreni coltivati, si può portare il volume d'acqua a 10.800 mc., cioè 6 mm. giornalieri per 180 giorni.

In pratica le quantità d'acqua sono ancora superiori e in generale più forti nei paesi a precipitazioni uniformi e clima fresco che non in quelli a clima caldo e asciutto e ciò sia perché la funzione fertilizzante è in generale maggiormente necessaria nei climi nordici, sia perché nei paesi più caldi e asciutti la scarsità d'acqua disponibile impone dei sacrifici, limitando lo scopo dell'irrigazione a quello di tener fresco il terreno.

È bene osservare poi che le cifre citate sono convenzionali, in quanto servono unicamente a computare la quantità complessiva d'acqua per irrigare un territorio di una determinata estensione. In effetto le irrigazioni vengono eseguite a intermittenza, cioè con un dato turno o ruota, per una durata pure determinata, detta orario. Il quantitativo parziale da assegnare per ogni turno (o il numero dei giorni del turno) si deduce dalla capacità per l'acqua del terreno da irrigare, cioè dal suo grado di saturazione. Tra l'orario O, la ruota R (in giorni), la portata continua q e la portata Q realmente distribuita per ogni turno, sussiste evidentemente la relazione:

Il turno e l'orario dipendono, come si è detto, dalla natura del suolo, ma anche dal genere di coltura che si vuole sviluppare.

Opere richieste dall'irrigazione. - Le acque per uso irriguo si possono ottenere da svariate fonti: e cioè possono essere derivate da fiumi o torrenti, con prese superficiali eseguite per mezzo di sifoni o chiaviche, in presenza o meno d'una diga di sbarramento dell'alveo; può essere sfruttata la falda subalvea per mezzo di gallerie o pozzi; si possono captare le sorgenti di varia origine. I laghi offrono grandi riserve d'acqua, che con opportune derivazioni possono essere utilizzate in parte per uso irriguo. Quando poi non si abbiano disponibili né acque superficiali, né di sottosuolo si ricorrerà ai serbatoi artificiali, mercé la costruzione di dighe di sbarramento nelle valli montane. In ogni caso il deflusso delle acque dal luogo di captazione a quello di distribuzione potrà avvenire per gravità o per mezzo di sollevamento meccanico.

Nelle opere per derivazione irrigua da corsi d'acqua possono mancare le traverse di sbarramento tutte le volte che il pelo di magra del fiume sia superiore alla quota di campagna: in tal caso di solito la derivazione è costituita da un sifone posto a cavaliere dell'argine, oppure attraversante il corpo dell'argine. Si può anche disporre una chiavica di derivazione diretta. Nella derivazione mediante sifone si dovrà avere riguardo alla velocità dell'acqua nel condotto, velocità che dovrà essere sufficiente a impedire l'accumularsi dell'aria nella sommità della tubazione, così da garantire un funzionamento regolare e sicuro. Le maggiori altezze d'aspirazione esigono maggiori velocità: ora, dato che di solito nelle derivazioni da fiume l'altezza d'aspirazione è notevole, mentre il dislivello di carico disponibile tra il pelo di magra del fiume e la quota dell'incile del canale di derivazione è assai piccolo, bisognerà proporzionare opportunamente il diametro del tubo. È bene che il centro della bocca di derivazione sia notevolmente depresso, sotto il più basso livello dell'acqua; anche la bocca di scarico va sommersa; si devono ridurre al minimo i gomiti della tubazione. La pompa di adescamento va raccordata con un tubo al punto culminante del sifone.

Degli sbarramenti di forma economica, a carattere stabile o meno, vengono spesso disposti attraverso i torrenti per derivare piccole quantità d'acqua a scopo irriguo; anche su corsi d'acqua importanti e per derivazioni di notevole entità assai spesso sono state effettuate in passato derivazioni munite di traverse parziali di sbarramento o di semplici pennelli d'invito per la corrente, la costruzione di vere e proprie dighe di sbarramento risultando assai costosa. Oggi molte circostanze sono mutate potendosi, ad es., abbinare il fine irriguo a quello idroelettrico.

Le traverse di tenuta dell'acqua possono essere a tipo fisso, a struttura cioè interamente muraria, o a tipo mobile, quando le condizioni create nel fiume coi rigurgiti delle acque e l'entità delle piene del corso stesso non permetterebbero la disposizione di una soglia fissa nell'alveo. Questa seconda classe di dighe comprende una numerosa serie di tipi differenti: si tratta di paratoie di varia forma regolabili a seconda delle condizioni idrometriche del corso d'acqua.

Qualora si debba ricorrere alla creazione di grandi serbatoi di ritenuta che immagazzinano le acque in determinati periodi dell'anno per restituirle regolate nella stagione irrigua, i problemi che il tecnico è chiamato a risolvere sono molteplici, per le svariate condizioni di carattere geologico, topografico, idrologico, ecc., da esaminare. Un'alta diga deve essere costruita in località favorevole, per trattenere le acque scorrenti sul fondo della vallata e quelle di pioggia.

La località si presterà allo scopo quando la natura del terreno di posa dell'opera di sbarramento sia tale da garantire la sicurezza statica e la tenuta, quando la vallata nel punto prescelto non presenterà eccessiva larghezza, in corrispondenza del ciglio dello sbarramento, per evidenti ragioni economiche. Occorrerà poi che il serbatoio che viene a crearsi a monte della diga sia di notevole capacità, per poter immagazzinare il massimo volume d'acqua, compatibilmente con la portata del fiume o torrente, con le precipitazioni meteoriche sul bacino di raccolta; volume d'acqua che dovrà essere tale da garantire nel miglior modo il servizio irriguo. Lo studio di questi serbatoi è assai complesso, specie poi se il loro fine, come oggi generalmente avviene, è contemporaneamente irriguo e idroelettrico. Oltre alla diga, la cui struttura può essere assai varia, a seconda della natura del suolo di fondazione, dell'altezza dello sbarramento, dei mezzi d'opera disponibili e di altre svariate circostanze (v. diga), bisognerà disporre l'edificio o torre di presa, che nei serbatoi moderni è generalmente staccato dal corpo della diga e contiene gli organi di manovra delle paratoie d'immissione dell'acqua nel canale o galleria di derivazione; il canale di erogazione, che parte dall'edificio di presa, attraversa le montagne di solito in galleria a conveniente distanza dalle spalle della diga e sbocca a valle di questa in un bacino munito di luci di scarico, dal quale ha inizio poi il canale atto a portare l'acqua a destinazione. Nei moderni impianti di derivazione in pressione lo schema è differente, essendo la prima utilizzazione delle acque quella idroelettrica; soltanto allo scarico della centrale esse vengono adibite all'irrigazione. Per la descrizione di queste opere v. derivazione. Altro organo connesso alla diga è lo scaricatore di fondo che è un condotto attraversante o meno il corpo della diga stessa, regolato anch'esso con apposite paratoie o saracinesche e avente lo scopo di vuotare eventualmente il serbatoio e di spurgarlo, in parte, degl'interrimenti o depositi di materiali, che in quantità notevole vengono a formarsi a monte della diga, per la diminuita velocità dell'acqua. Infine lo scaricatore di superficie deve impedire che il livello d'acqua nel serbatoio superi il massimo limite consentito, in relazione all'altezza della diga. Esso può essere costituito da un semplice sfioratore di sufficiente lunghezza e carico tale da poter smaltire le portate di massima piena affluenti dal bacino di raccoglimento, o da luci regolabili mercé paratoie o da sifoni funzionanti automaticamente quando venga raggiunto il livello massimo, ecc.; le acque vengono raccolte in apposita galleria o canale scavato nel fianco della montagna, anche questa lontana dal corpo della diga, per ragioni di sicurezza, e scaricate a valle dello sbarramento nell'alveo del corso d'acqua. Esistono anche dighe che in determinate circostanze possono lasciar tracimare le acque dal loro ciglio: in tal caso però il paramento a valle dello sbarramento dovrà essere opportunamente sagomato. Per studiare la regolazione del deflusso mediante serbatoio è necessario conoscere le portate del corso d'acqua per un lungo periodo di anni. In mancanza di queste misure dirette si ricorre spesso ai dati di pioggia relativi al bacino imbrifero alimentante il serbatoio: i risultati che se ne deducono sono naturalmente più incerti. Si sottraggono, in questo caso, le perdite dovute all'evaporazione, all'assorbimento della vegetazione, e alla filtrazione quando attraverso fratture sotterranee l'acqua potesse uscire dai confini del bacino imbrifero, e si procede poi a un bilancio delle acque disponibili e di quelle necessarie per l'irrigazione, calcolando quindi la capacità del serbatoio. I regimi pluviometrici sono assai differenti, come si è già accennato, da una regione all'altra dell'Italia e quindi diversa risulta da caso a caso la capacità integrativa del serbatoio. Per dare un'idea, un serbatoio alpino dovrebbe avere la capacità di circa 10.000.000 di metri cubi per assicurare 1 metro cubo al secondo continuo per tutto l'anno, mentre in Sardegna la capacità di serbatoio necessario sarebbe di 15÷17 milioni di metri cubi. Negli stessi bacini alpini si hanno notevoli differenze a seconda che si tratti di bacini alimentati da ghiacciai o no. Il deflusso medio per un anno di magra ordinaria per le alte zone alpine si può ritenere di circa 30 litri al secondo per chilometro quadrato di bacino, se non alimentato da ghiacciai, e 40 litri se fornito da ghiacciai.

Oltre ai grandi serbatoi stagionali di raccolta d'acqua, si hanno piccoli serbatoi, detti comunemente serbatoi a corona, i quali benché con modeste capacità regolatrici, possono tuttavia utilmente concorrere alla rapida messa in valore di piccole plaghe bisognose d' irrigazione. Sono dei bacini costruiti alla base di regioni collinose e qualche volta anche in pianura, che raccolgono sia le acque scolanti da terreni superiori, sia acque derivate da torrenti, superficiali o sottoalveari, addotte allora a mezzo di appositi canali nel serbatoio stesso. Se la vasca o serbatoio è costruita in regione pianeggiante essa è di solito di forma quadrilatera, recinta da arginature da ogni lato, essendo gli argini costruiti con terra scavata in prossimità; se in terreno declive, gli argini sono soltanto su due o tre lati; se infine si tratta di una conca naturale l'argine è disposto soltanto a valle della conca. La capacità della raccolta può variare da alcune centinaia di metri cubi a centomila e anche più, raggiungendo allora gli argini altezze di 8÷10 metri. Analogamente ai grandi serbatoi occorrerà disporre l'edificio di presa delle acque, che in questo caso è assai semplice. Questo manufatto deve essere tale da permettere di prendere l'acqua sempre dagli strati superficiali, per averla a temperature più elevate, essendo ciò di gran vantaggio per le colture irrigate. Il fine si può ottenere con una presa a tubo girevole il cui orifizio può essere mantenuto al livello che si desidera: il movimento del tubo è ottenuto per mezzo di un arganello situato sull'argine o anche automaticamente, provvedendo la sua bocca di opportuni galleggianti. Altro tipo di presa è quella costituita da una colonna cava in muratura, di sezione quadrata, provvista di bocche di presa disposte a varie altezze e munite di saracinesche manovrabili dall'alto. La massima cura va data alla costruzione delle arginature in terra che devono risultare stabili e impermeabili. Quando l'alimentazione del serbatoio è fatta per mezzo di acque scolanti da terreni superiori, vengono di solito disposti dei canaletti di raccolta che seguono le curve di livello, a distanza reciproca d'un centinaio di metri, comunicanti con altri canaletti discendenti, che mediante un collettore adducono le acque nel laghetto. Esempî di questi piccoli serbatoi si hanno in Piemonte: lago di Ternavasso (prov. di Torino) della capacità di 500.000 metri cubi, con diga di altezza massima di 7 metri, lago della Spina, di Arignano, ecc., e in Emilia, specie nelle provincie di Parma e Piacenza.

Le acque di sorgente sono usate più per acquedotto che per irrigazione, data la loro temperatura per lo più bassa, più frequentemente si sfruttano le acque di risorgenza, per mezzo dei così detti fontanili o teste di fonte. L'acqua scaturisce alla superficie del terreno o a poca profondità; notorio è lo sfruttamento dei fontanili della pianura lombarda, le cui acque sono ottime per la proprietà di mantenersi a temperatura costante, più fresca l'estate e più calda l'inverno di quella dell'aria e del suolo circostanti; deriva da queste caratteristiche la loro applicazione alle marcite. Si scavano numerose fosse della profondità di 3,50÷4 metri, prossime fra loro, e costituenti nell'assieme la testa di fontanile per lo più risultante della lunghezza da 50 a 100 metri e di larghezza iniziale di 10 a 40 metri, a mano a mano minore fino all'asta del fontanile, cioè al canale collettore. La scarpata di contorno ha varie pendenze secondo i terreni. Successivamente si affondano appositi tini in legno, senza fondo, con aperture al labbro superiore, funzionanti a stramazzo: ne risulta una portata complessiva spesso notevole. In luogo dei tini in legno, facilmente deteriorabili, si affondano pozzi in muratura o in calcestruzzo di cemento; in tal caso si raggiungono profondità maggiori. La zona più ricca di fontanili è situata fra la Sesia e l'Oglio e nella pianura bresciana.

La falda freatica può essere captata per mezzo di pozzi ordinarî o gallerie filtranti. Queste ultime sono costituite da condotti, che possono essere in muratura, cemento, pietrame a secco, misti, disposti in corrispondenza alle depressioni naturali degli strati impermeabili, ove convergono i filetti liquidi sotterranei, cioè in corrispondenza al letto dei fiumi o torrenti. Se la falda sotterranea è piuttosto profonda e contemporaneamente risulta debole la pendenza del terreno, non sussiste più la convenienza delle gallerie emungenti, per l'eccessiva profondità della trincea da scavare per effettuare la loro posa; soluzione più economica sarà allora quella dei pozzi. La portata che assorbe un condotto filtrante è funzione diretta della sua lunghezza e della depressione prodotta nei filetti liquidi sotterranei e inversa della distanza da cui il flusso viene richiamato. I pozzi ordinarî si spingono fino alla prima falda acquifera prossima al suolo, sono costruiti in muratura o cemento e si affondano comunemente per peso proprio scavando all'interno.

Ai pozzi artesiani si ricorre quando la falda freatica non è sufficiente; essi giungono fino alle falde artesiane, che possono essere a profondità variabili da 20 ÷ 30 metri, fino a 100 e anche più. Queste falde acquifere scorrono in materiale ghiaioso o comunque permeabile, compreso tra strati impermeabili, che costituiscono le pareti di condotti naturali provenienti da forti distanze. Quando si perforano questi strati, ne deriva una portata assai notevole, che praticamente non si esaurisce, per la vastità dei bacini sotterranei interessati e continuamente alimentati. L'acqua risale per la propria pressione fino a poca distanza del suolo e talora anche al di sopra del livello del terreno. I tubi che si adottano per raggiungere la falda acquifera sono, per profondità limitate, in ferro, lunghi 2 ÷ 3 metri e collegati fra loro a vite; terminano a punta: la parte inferiore è in acciaio ed è provvista per tre metri di fori circolari o rettangolari di mm. 3 ÷ 6 di larghezza. L'infissione avviene per percussione a mano o a macchina (pozzi Norton).

I pozzi trivellati o forati si adottano quando il terreno da attraversare è assai compatto e cosparso di grossi ciottoli o lo strato acquifero è assai profondo, diventando allora quasi impossibile l'infissione per percussione. La trivellazione viene eseguita a mezzo di apposite sonde (scalpelli in ferro lunghi 1 ÷ 2 metri) azionate da motore.

Può accadere nella captazioné di acque sia superficiali (derivazione da fiume) sia sotterranee (pozzi), che l'acqua sia disponibile a una quota depressa rispetto a quella del terreno da irrigare. Bisognerà in tal caso ricorrere al sollevamento meccanico delle acque.

Nel caso dei pozzi, si usa disporre prima del vero pozzo trivellato, un avampozzo in muratura, cilindrico, di diametro tale da potervi accedere facilmente ed eventualmente disporvi il gruppo motopompa, restando il motore al livello del suolo: questo dispositivo è necessario quando la quota cui giunge l'acqua sotterranea non permetta, per l'eccessiva altezza di aspirazione che ne risulterebbe, l'installazione delle pompe al livello del terreno. Si giunge con l'avampozzo anche a 20 m. e più dal piano di campagna; dal suo fondo parte il pozzo tubolare il cui diametro raggiunge di solito i 40 ÷ 50 centimetri. Comunemente si adottano in impianti moderni pompe ad asse verticale, il motore è all'esterno collegato con albero d'acciaio verticale alla pompa. La pompa si colloca nel pozzo tubolare quando l'avampozzo dovesse riuscire troppo profondo. Naturalmente in tal caso la pompa ha una speciale struttura, così da permetterne l'inserzione nel pozzo. Il motore può essere elettrico o termico. In questa seconda ipotesi la trasmissione del movimento avviene a cinghia quando, come accade spesso in impianti irrigui, si voglia utilizzare un motore a scoppio o una trattrice. Le acque sollevate dal pozzo possono essere direttamente utilizzate per l'irrigazione, oppure, se i pozzi sono parecchi, concentrate in un unico punto, dal quale si dipartono i canali e i condotti irrigui.

Vi sono naturalmente dei limiti oltre i quali l'altezza di sollevamento delle acque non risulta più economicamente conveniente. Si ricorre talora alla suddivisione in successivi sollevamenti a seconda dell'altimetria del terreno, per non elevare inutilmente tutta l'acqua ai terreni più alti.

Nelle derivazioni da fiumi, quando occorra effettuare il sollevamento dell'acqua, si dispone il tubo d'aspirazione della pompa (per lo più centrifuga) in modo che peschi direttamente nel corso d'acqua, con la bocca a quota più depressa del minimo livello raggiunto dalle acque di magra. Un esempio di derivazione con sollevamento delle acque da fiume si ha nel Consorzio irriguo di sinistra dell'Adige. Questo consorzio provvede all'irrigazione d'una vasta zona in prossimità di Verona, dell'estensione di circa 2700 ha. Il sollevamento ha luogo dall'Adige a Ponton, per mezzo di due gruppi centrifuga-motore di 800 e 330 HP. Il primo corrisponde a una portata di 2600 litri al secondo e 17 metri di prevalenza, il secondo a 450 litri al secondo e 35 metri di prevalenza.

Se il fiume è arginato l'impianto di sollevamento può essere disposto in golena oppure a una certa distanza dalla scarpata verso campagna. Nel primo caso gli edifici devono essere tali da resistere alle piene del corso d'acqua: talora occorre che le opere siano d'altezza notevole per consentire che in tutte le condizioni di livello, dalla magra alla piena, l'edificio sia sempre accessibile. Le pompe però lavorano facilmente in aspirazione con una disposizione di questo genere. Con la disposizione a sifone e collocamento dell'impianto elevatorio verso campagna occorre provvedere all'adescamento delle tubazioni, mercé apposita pompa d'aria.

Talora si adotta per il sollevamento di acque sotterranee il motore a vento; il suo uso sarà economicamente possibile laddove il vento spira con forte intensità e frequenza. In America, per l'irrigazione delle praterie, sono assai diffusi questi motori: bisogna notare che in quelle immense pianure il vento si mantiene a velocità media di 7 ÷ 10 metri al secondo per 8 0 10 mesi dell'anno. Tuttavia diverse regioni costiere ben si presterebbero anche in Italia, come si prestano nella Francia meridionale, in Germania, Olanda, ecc.

Procurata l'acqua per irrigare, si tratta di condurla ai fondi: la rete dei canali ha lo scopo di convogliare le acque irrigue dalla presa, successivamente attraverso il mnale derivato, il principale, i secondarî, terziarî, distributori, ecc., sino ai singoli appezzamenti, dai quali da ultimo vengono restituite le colature agli appositi condotti colatori. Il canale principale deve avere tale tracciato che l'acqua possa raggiungere, per deflusso naturale, i punti più elevati e distanti del comprensorio irriguo, quando, naturalmente, non sia necessario, in via assoluta, il sollevamento meccanico. Più elevato risulta il pelo d'acqua nel canale principale, più estesa è la regione da esso dominata. Dal principale si staccano i successivi secondarî, seguenti di solito le linee di massima pendenza del terreno, con intercalati opportuni salti quando la pendenza sia eccessiva. Il principale va diminuendo di portata a mano a mano che da esso si diramano i canali secondarî, ciascuno dei quali serve una determinata porzione della totale superficie da irrigare. L'acqua passa poi, se necessario, ai canaletti terziarî e di qui infine ai distributori, che hanno il compito di versarla sul terreno. Le portate di questi ultimi canaletti saranno determinate in base al turno e orario stabilito per le colture esistenti o da svilupparsi e alla portata complessivamente disponibile, secondo i criterî esposti in precedenza.

Sistemi d'irrigazione. - L'irrigazione si può effettuare con diversi sistemi a seconda che essa sia estiva o invernale, continua o discontinua, a seconda della pendenza del suolo, della sua permeabilità, della sua esposizione, della quantità d'acqua, ecc.

I sistemi più comunemente adottati sono i seguenti:

a) irrigazione per scorrimento: l'acqua defluisce in canaletti, dal bordo dei quali si versa in sottile lama sul terreno, animata da velocità moderata;

b) irrigazione per sommersione: l'acqua ricopre il terreno, sia restando perfettamente stagnante, sia animata da una velocità appena sensibile;

c) irrigazione per infiltrazione: l'acqua giunge alla radice delle piante, filtrando nel terreno, da canaletti superficiali o da condotti sotterranei;

d) irrigazione per aspersione o a pioggia: l'acqua, mediante condotti in pressione, viene distribuita sotto forma di pioggia.

Si ha anche un ulteriore sistema di sub-irrigazione e drenaggio combinati, in modo che la rete di condotti sotterranei può alternativamente, a seconda delle circostanze, assorbire umidità dal terreno o distribuire acqua.

L'irrigazione per scorrimento può essere poi naturale o a canaletti orizzontali; artificiale o a piani inclinati, a raggi o spiga e ad ali. Il sistema in genere può essere applicato per pendenze del suolo anche assai diverse. Nel metodo a canaletti orizzontali si hanno fossetti diretti circa secondo le curve di livello del terreno; essi lasciano scolare l'acqua da un solo bordo quando ne sia procurato artificialmente il rigurgito mercé l'infissione di apposite piccole paratoie portatili. Si dice naturale perché ottenuto senza speciali sistemazioni del terreno; la pendenza deve essere uniforme e il suolo deve presentare andamento planimetrico regolare.

È conveniente l'irrigazione a canaletti orizzontali per pendenze, normalmente al canale, comprese tra il 3% e il 10%. A seconda della permeabilità e pendenza la distanza tra un canaletto e l'altro è diversa: più il suolo è permeabile, più i canaletti sono vicini; per dislivelli piccoli la distanza può giungere a 20 ÷ 25 metri; con pendenze forti essa sarà anche di 4 ÷ 5 metri. Si ricorre al metodo a fossatelli orizzontali, artificiale, quando la pendenza naturale del suolo è troppo debole, cioè compresa tra il 2,5 e il 3%. Bisogna allora sistemare il terreno a piani uniformemente inclinati con pendenza almeno del 4%; con pendenza minore si può temere la penetrazione dell'acqua nel sottosuolo e quindi un eccesso di umidità. Data la vicinanza dei fossi adacquatori, con questo metodo occorre meno acqua che non con quello naturale. Il metodo però è un po' d'impaccio all'agricoltura per il gran numero e la ristrettezza delle superficie inclinate, e risulta alquanto costoso. L'irrigazione a raggi o a spiga è applicabile a terreni con pendenza dal 2 al 6%: non è però di applicazione generale, ma solo quando il suolo sia regolarmente disposto a contrafforti e piccoli avvallamenti, regolarmente succedentesi. Si tracciano allora i distributori seguendo le linee di colmo e nel senso della loro pendenza; i canaletti adacquatori partono da questi, con disposizione planimetrica a forma di spiga e diretti obliquamente rispetto alle curve di livello. Allorché il terreno offre pochissima pendenza, inferiore al 3%, ed è permeabile, non si potranno più adottare i metodi precedenti: bisognerà ricorrere al metodo ad ali.

Si creano cioè delle pendenze artificiali, in doppio senso; il distributore corre sulla sommità o linea di displuvio e i colatori nel compluvio fra due ali successive. La pendenza delle ali è collegata a quella del terreno e alla sua natura: in terreni leggieri è del 4%, in terreni forti del 6%; la lalghezza normale delle ali è di 8 metri; in certe sistemazioni dette ad ali larghe, si giunge tuttavia ai 30 metri; ciò vien fatto per risparmiare acqua e favorire il movimento delle macchine agricole. La lunghezza delle ali varia con la pendenza, essendo minore ove la pendenza è maggiore; le ali possono essere poi dirette secondo la pendenza del terreno o in senso normale. Questo metodo assicura uno scolo regolare del suolo, esige però una sistemazione assai costosa.

È il classico metodo adottato nelle marcite lombarde, o prati iemali, che sono prati destinati a fornire l'erba in tutto l'inverno e vengono irrigati dall'ottobre o dicembre fino al marzo, con acque a temperatura abbastanza elevata (fontanili). Le ali sono strette per evitare che l'acqua si raffreddi; non sarebbe applicabile il metodo a canaletti orizzontali, data la lievissima pendenza del suolo.

L'irrigazione per sommersione, come gli altri sistemi di cui si dirà, non è di applicazione generale. Essa non soddisfa a tutte le condizioni per una buona irrigazione e cioè facilità di dar acqua, poca altezza della vena liquida fluente, minime perdite di colature. Una porzione del terreno viene sommersa sotto uno strato di 30 a 40 centimetri d'acqua, il quale dopo un certo tempo viene portato in un successivo scomparto posto più a valle. Si hanno sommersioni ad acqua stagnante o in moto. Il terreno deve essere pressoché orizzontale con pendenza al più del 2‰ per evitare che gli arginelli provvisorî dei varî casseri risultino eccessivamente alti o troppo vicini fra loro.

Il sistema è utile in caso di scarsezza d'acqua ed è specialmente applicato alla coltura del riso. In terreni a sottosuolo impermeabile si dà ai compartimenti in cui viene suddivisa la zona da sommergere la massima estensione possibile. Se si ha acqua in abbondanza si procederà al suo rinnovo in modo continuo, riuscendo in tal modo aerato il suolo, il che è impossibile col metodo ad acqua stagnante. Il terreno, nelle risaie, deve essere livellato con la massima esattezza, affinché lo strato d'acqua sia dappertutto uniforme. La superficie degli scomparti, in terreno perfettamente piano, è di 2÷3 ettari fino anche a 7. L'acqua in movimento passa da uno scomparto all'altro per mezzo di apposite chiaviche o sfioratori che ne regolano l'altezza. Nel Vercellese si fanno precedere i casseri da un compartimento speciale, detto caldana, dove l'acqua circola al fine di riscaldarsi.

Il sistema per infiltrazione, per quanto non possa risultare che imperfetto, può essere assai semplice, specie quando si utilizzino gli stessi fossi di scolo delle acque sovrabbondanti, come cavi irrigui. Basterà disporre delle chiaviche d'interclusione, munite di paratoie di regolazione, perché l'acqua immessa nella stagione asciutta in questi condotti, salga a poco a poco e s'infiltri nel suolo, giungendo per capillarità alle radici delle piante.

Il terreno dovrà essere naturalmente permeabile e a poca pendenza. Si dispongono anche fossetti superficiali assai vicini tra loro, nel qual caso l'acqua filtrerà dalle pareti e anche dal fondo. Sono spesso utilizzate acque di fognatura: allora le materie organiche contenenti germi infettanti non entrano in contatto con le foglie e i fusti, ma lasciano sul suolo le sostanze fertilizzanti.

Si applica questo metodo alle colture ortensi e anche a frutteti e colture arbustive. Si possono adottare, anziché canaletti superficiali, dei condotti sotterranei porosi. Si hanno esempî di acque pompate da sorgenti o fiumi in appositi serbatoi o vasche di raccolta, da cui partono tubi di cemento posti a 0,60÷0,80 metri di profondità: da queste tubazioni si diramano poi tubi secondarî muniti di orifizî, che permettono l'infiltrazione dell'acqua nel terreno (metodo detto seppage in California).

L'irrigazione per aspersione o a pioggia eseguita nel passato su zone limitate, come orti o giardini, con sistemi più o meno primitivi, va oggi assumendo notevole importanza per la sua diffusione su vaste estensioni di terreni, con impianti sempre più perfezionati. Gl'impianti d'irrigazione a pioggia dispongono di apposite tubature mobili o fisse o parte fisse e parte mobili, ove l'acqua defluisce con la pressione fornita di solito da apposite pompe e si sprigiona poi sotto forma di getti, che dànno luogo alla pioggia artificiale, mediante apparecchi di svariata natura (ugelli). Un'irrigazione a pioggia razionalmente eseguita, si presta a evitare molti inconvenienti o a eliminare certe esigenze, insite nei soliti sistemi d'irrigazione. Col sistema a scorrimento, che è il più comunemente diffuso, necessita quasi sempre la sistemazione preventiva del suolo; nella sommersione è pure necessario effettuare spianamenti, costruire arginelli, ecc., e anche l'infiltrazione non va esente da lavori di terra, sia che venga effettuata per canaletti scoperti, sia per condotti sotterranei.

Tutti questi lavori, costituenti quella che si è chiamata irrigazione artificiale, risultano costosi, per cui prima di ricorrere a questi metodi bisognerà bene accertarsi del buon risultato economico dell'impresa. Le perdite per evaporazione e filtrazione hanno notevole valore per lo sviluppo di canali e fossi di vario ordine. Di più, coi sistemi esposti precedentemente non è possibile dosare esattamente il quantitativo d'acqua necessario a una data coltura: per esempio, in terreno impermeabile, un eccesso d'acqua fa sì che il suolo asciugandosi dopo l'irrigazione, si trasformi in uno strato assai compatto difficile a lavorare e non adatto alla penetrazione delle radici. Col sistema a pioggia, ben attuato, l'acqua viene distribuita sotto forma di minute goccioline che non comprimono il terreno e vengono da questo assorbite gradualmente; non è necessario sistemare il suolo, poiché i tubi in pressione possono adattarsi a tracciati anche irregolari altimetricamente e planimetricamente; si ottiene una distribuzione d'acqua che segue il fenomeno naturale della pioggia, ed è uniforme in ogni zona, al contrario di quanto avviene con lo scorrimento, ove le parcelle di terreno più vicine al canale distributore ricevono più acqua di quelle più lontane. Coi tubi in pressione si possono convogliare portate assai ridotte e ben determinate per ogni specie di terreno o coltura, laddove i canaletti scoperti non possono scendere a portate piccolissime, data l'entità delle perdite per evaporazione e filtrazione. Si hanno, di fronte a questi indubbî vantaggi, degli svantaggi o inconvenienti che limitano talora l'applicazione del metodo. Così è necessario fornire con la pompa una notevole pressione agli acquedotti da campo, sia per vincere le perdite per attrito e d'altro genere lungo le tubazioni stesse, sia per rendere possibile, attraverso gli ugelli, la polverizzazione dell'acqua e la formazione del getto a conveniente distanza. In media occorre una pressione di 4 atmosfere. Occorre quindi una spesa d'impianto e di esercizio del macchinario; questa però è in impianti bene eseguiti, compensata dalla diminuzione di spesa per sistemazione del terreno, dalla minore portata necessaria, ecc. Altro inconveniente, cui però oggi si può provvedere, è quello dovuto all'inaffiamento da due lati, che conduce al calpestamento del terreno bagnato, quando si sposta l'ala piovana. Soprattutto però occorrono impianti semplici e assai solidi.

Un impianto è essenzialmente costituito: dal gruppo generatore della pressione, applicato in corrispondenza della sorgente, del pozzo o del canale alimentante e costituito di una pompa centrifuga mossa da motore elettrico o trattore o motore a scoppio; dalla tubazione adducente, che parte dalla premente della pompa e può essere mobile alla superficie del terreno su appositi cavalletti o fissa (interrata), e dalla cosiddetta ala piovana che è una tubazione che parte dal condotto principale (o di adduzione) e attraverso gli ugelli serve a distribuire l'acqua sul terreno. L'ala piovana è sempre mobile e viene spostata successivamente sulle varie porzioni del terreno, non appena è terminato il tempo necessario all'irrigazione (orario). Naturalmente l'estensione delle zone che vengono successivamente irrigate è legata al turno e orario degli adacquamenti, alla portata disponibile, al numero degli ugelli esistenti sull'ala piovana e alla superficie da ciascuno di essi coperta.

Oggetto di particolare studio sono gli ugelli, i giunti delle tubazioni, la costituzione delle tubazioni stesse; ve ne sono in ferro, acciaio, alluminio, ecc. I giunti possono essere a catenaccio, a forchetta, ecc. Gli ugelli che sono costruiti in modo da effettuare un'irrigazione a quadrati o rettangoli (va esclusa l'irrigazione irrazionale a cerchî) possono essere fissi, oppure dotati di movimento rotativo, oscillatorio, alternativo o centrifugo, in ogni caso ottenuto mercé la pressione stessa dell'acqua. Gl'impianti più comodi ed economici sono quelli che si riferiscono a superficie né troppo limitate, per le quali la spesa per tubazioni, ecc., risulterebbe piuttosto elevata, né eccessivamente estese, nel qual caso assai notevole può essere la spesa d'esercizio: praticamente sarà quindi opportuno riferirci alla piccola e media irrigazione, con portate cioè dai 2 ai 30 litri al secondo.

Distribuzione dell'irrigazione.

Fuori d'Italia. - La maggior parte dei paesi irrigui appartiene alle regioni semi-aride, dove l'irrigazione ha carattere di necessità, ma non assoluta, come si è già osservato, nel senso cioè che anche le colture asciutte possono svilupparsi accanto a quelle irrigue.

Tra i paesi ove l'irrigazione deve essere considerata come di assoluta necessità, va ricordato l'Egitto: infatti dove le grandissime piene del Nilo sono utilizzate a pro' dei terreni laterali, ivi lo sviluppo dei prodotti risulta meraviglioso, mentre dove i canali irrigui non giungono, domina il deserto. L'irrigazione era una volta effettuata a "bacino" cioè a mezzo della periodica inondazione delle acque di piena del Nilo; il metodo che tende sempre più oggi a diffondersi è quello a irrigazione "perenne" che consente la coltura del cotone e della canna da zucchero. È necessaria però la costruzione di grandi serbatoi di compenso stagionale per poter irrigare anche nei periodi di magra del grande fiume. Grandioso è il serbatoio di Assuan, che, dopo la sopraelevazione del 1912, immagazzina circa 2 miliardi di metri cubi. Nuovi serbatoi di vastissima capacità sono in costruzione sul Nilo azzurro, sul Nilo bianco e nell'Alto Egitto, per l'irrigazione dell'Egitto e del Sūdān.

Negli Stati Uniti, la maggior parte della totale superficie irrigata (6 milioni di ettari), si trova a occidente. Le irrigazioni avvengono, oltre che col diretto sfruttamento delle portate estive dei corsi d'acqua, anche mediante l'utilizzazione dell'acqua invasata in un grandissimo numero di serbatoi all'uopo costruiti, specie in California, Colorado, Texas, Washington, Idaho e Nuovo Messico; un grande sfruttamento è pure quello delle acque di sottosuolo per mezzo di pozzi.

Il paese ove l'irrigazione è stata praticata su più vasta scala e nel modo più efficace è certamente l'India. Essa occupa infatti il primo posto fra tutti gli stati del mondo, con una superficie irrigata di 18.500.000 ettari (1912) di cui 8 milioni irrigati da canali, 3 milioni da serbatoi, 5 milioni da pozzi e 2,5 milioni con altri mezzi. Le colture principali sono riso, frumento, cotone, miglio. Nell'Africa del nord, oltre all'Egitto, altri paesi hanno una tradizione irrigua: Algeria e Tunisia in specie. L' irrigazione è fatta prevalentemente mercé serbatoi, di cui alcuni sono assai antichi. Altri costruiti più recentemente non sempre hanno dato risultato economicamente vantaggioso. Si sfrutta anche la falda sotterranea, per mezzo di pozzi artesiani, talora comunicanti con piccoli serbatoi, alimentati mediante l'ausilio di aeromotori che mettono in funzione pompe aspirantiprementi, installate nei pozzi.

Altro paese ove l'irrigazione fu curata fin dalle epoche più remote è la Spagna. Esistono tuttora le opere irrigue dei frutteti di Valenza e di Murcia, dei territorî di Malaga, Granata, ecc. Caratteristica è la vendita all'asta dell'acqua, che avviene, ogni giorno, in alcune regioni della penisola iberica, nei periodi di grande siccità.

Territorî ove l'irrigazione ha carattere più che altro supplementare si trovano nella Francia sud-occidentale, Germania nord-occidentale, parte degli Stati Uniti, ecc.

Con metodi razionali avviene la distribuzione dell'acqua in Francia. Per la Germania e per i varî stati dell'Europa settentrionale, come il Belgio, le precipitazioni meteoriche non scendono mai a quei bassi limiti che rendono precario il fenomeno vegetativo; pure l'irrigazione è praticata, per evitare alle piante le conseguenze di periodi sia pur brevissimi di siccità. Sono usati grandi quantitativi d'acqua a scopo fertilizzante: così nella Campine belga si raggiungono i 31 litri al secondo per ettaro, con 18 bagnature nell'anno, restando forse soltanto al di sotto delle dotazioni assegnate in Normandia e nei Vosgi.

In Italia. - Lo sviluppo della pratica irrigua in Italia è stato, ed è tuttora, legato, oltre che alle condizioni topografiche dei terreni posti a coltura, al clima e alle disponibilità idriche.

Gli elementi che caratterizzano il clima in relazione all'irrigazione si possono ridurre, per una visione sintetica, alla temperatura dell'aria e alle precipitazioni durante il periodo irriguo, periodo che, salvo qualche rara eccezione ed esclusa l'irrigazione delle marcite, va dall'aprile al settembre di ogni anno.

La temperatura media di ciascun mese del periodo aumenta dalle regioni settentrionali a quelle meridionali; nei mesi di luglio e agosto, i più caldi dell'anno, la temperatura media è inferiore ai 24° in Piemonte, Lombardia e Veneto, mentre nelle isole e in Puglia supera i 25°. Differenze ancora più sensibili si riscontrano nei mesi di aprile e settembre. Di contro le precipitazioni vanno diminuendo da nord a sud. Mentre nella Val Padana e nel Veneto in nessuno dei mesi del semestre irriguo la precipitazione media risulta inferiore ai 40 mm., nelle isole questa si riduce anche a meno di 5 mm. Ciò consegue ai diversi regimi pluviometrici che vi predominano.

Tenuto conto anche dei quantitativi medî annui di pioggia, in Italia si può dire che manchino le regioni aride; sono da classificare fra le semi-aride il tavoliere di Puglia e qualche parte della Sicilia e della Sardegna; fra le sub-umide, quelle a nord dell'Adige, il litorale delle Marche e dell'Abruzzo, la Penisola Salentina e il litorale ionico; tra le umide la valle del Po, la Riviera Ligure, la Toscana, il Lazio e la Campania. Dal punto di vista irriguo mancano perciò i territorî a irrigazione assoluta; vi sono abbastanza estesi quelli a irrigazione necessaria, mentre nelle regioni a clima umido o semi-umido l'irrigazione è o facoltativa o supplementare.

Se le condizioni climatiche sono quelle che determinano la necessità o meno dell'irrigazione, le disponibilità idriche ne determinano principalmente lo sviluppo.

Anche nei riguardi delle disponibilità idriche risulta una spiccata differenza tra le regioni settentrionali e quelle meridionali. Ciò è conseguenza, oltre che della distribuzione delle precipitazioni, del fatto che nelle regioni settentrionali e in particolare nel versante alpino, si hanno, nei ghiacciai e nei grandi laghi, delle forme grandiose d'immagazzinamento e di regolazione dei deflussi. Nelle regioni centrali, un notevole immagazzinamento e conseguente regolazione è compiuto dai grandi massicci calcari dell'Appennino, mentre nelle regioni meridionali mancano tutte queste forme di regolazione naturale, e la distribuzione dei deflussi è quindi conseguente esclusivamente a quella delle precipitazioni anch'essa sfavorevole allo sviluppo agrario.

Nei corsi d'acqua del versante alpino i deflussi del semestre estivo, sempre molto elevati, rappresentano una frazione del deflusso annuo, la quale varia da un minimo del 57% per il Piave a un massimo del 65% per l'Adige. Nell'Appennino settentrionale queste percentuali scendono subito a valori più bassi, che vanno da un minimo del 18% per l'Ombrone a un massimo del 33% per il Serchio; in quello centro-meridionale scendono aneora fino al 13% (Bradano) e solo il Tevere e il Pescara, com bacino in prevalenza permeabile, superano il 40%. Nelle isole infine si scende al 18% per il Simeto e al 24% per il Tirso.

È da tener conto poi che nell'Italia settentrionale e in particolare modo nella valle Padana vengono utilizzate le abbondantissime acque di risorgiva e quelle sotterranee; nell'Italia centrale e meridionale mancano completamente le prime, mentre le seconde, salvo qualche rara eccezione, vi sono sempre scarse.

Che le condizioni sopra esposte siano le determinanti dello sviluppo irriguo in Italia, lo dimostrano i dati del prospetto appresso riportato indicanti (in valori approssimativi) l'estensione delle zone irrigate nelle varie regioni d'Italia.

L'irrigazione ha raggiunto uno sviluppo particolarmente notevole in Piemonte e in Lombardia; in 7 provincie di queste due regioni il rapporto fra superficie irrigata e superficie agraria supera il 50% per giungere fino all'80,5% in quella di Vercelli.

I sistemi d'irrigazione più diffusi sono quelli per scorrimento o per infiltrazione, i quali peraltro subiscono modifiche talvolta sostanziali sia in rapporto alle colture, sia alla sistemazione dei terreni soggetti all'irrigazione, sia alle disponibilità idriche. Nelle colture ortive specialmente, pur praticando sistemi sostanzialmente identici ai precedenti, questi vengono modificati da regione a regione, allo scopo di ridurre il più possibile le perdite d'acqua e per far beneficiare alle colture tutta l'acqua che loro è somministrata.

I consumi d'acqua, che si usano nelle varie regioni d'Italia, non presentano differenze sostanziali da regione a regione; risulta però che detti quantitativi sono più bassi nell'Italia meridionale. Ciò dipende dal fatto che ivi l'acqua è sempre disponibile in quantità limitata e pertanto nell'usarla si cura di ridurre al minimo le perdite. Inoltre è da tenere presente che nell'Italia meridionale molte volte non si tratta di vera e propria irrigazione ma bensì di pochi adacquamenti necessarî ad assicurare il raccolto.

L'opera irrigua più importante del Piemonte è il Canale Cavour che con tutta la rete dei canali demaniali da esso dipendente dispone attualmente di circa 290 mc/sec., e irriga un comprensorio di circa 500.000 ettari. Il Canale Cavour, ideato dal vercellese Pellegrino Rossi e costruito dall'ing. Noè per volontà del conte di Cavour, deriva dal Po, sotto Chivasso, una portata di 100÷110 mc/sec. e scarica nel Ticino. Altri canali importanti sono il Canale d'Ivrea che deriva dalla Dora Baltea (24 mc/sec.), il Canale Depretis (40 mc/sec.) e quello Farini (70 mc/sec.) ambedue derivanti dalla Dora Baltea; quest'ultimo è sussidiario del Canale Cavour.

Nella Lombardia la rete dei canali irrigui è più estesa che in Piemonte, sebbene vi manchino opere della grandiosità di quelle dei canali demaniali Cavour. Fra le più importanti vanno ricordate il Naviglio della Martesana, che deriva dall'Adda (46 mc/sec.) e ha un comprensorio irriguo di ettari 14.000; il canale della Muzza derivante anch'esso dall'Adda (75 mc/sec.) con un comprensorio irriguo di 55.000 ettari; il canale Villoresi (20÷30 mc/sec.) con un comprensorio irriguo di 55.000 ettari e infine il Naviglio Grande (64 mc/sec.) con un comprensorio di 50.000 ettari. Questi due ultimi canali derivano dal Ticino.

Fra le opere irrigue più importanti delle altre regioni d'Italia vanno ricordate, le seguenti. Nel Veneto: il Canale Brentella-Pederobba che deriva dal Piave, in località Fener, 32 mc/sec. e domina un comprensorio di 33.000 ettari di cui 30.000 irrigati nei comuni di Montebelluna, Crocetta Trivignana, Vedelago, ecc.; il canale della Vittoria che deriva pure dal Piave a Nervesa della Vittoria, 25 mc/sec. suddivisi in tre canali: della Priula (9,75 mc/sec.), di Ponente (8 mc/sec.) e Piavesella (7,25 mc/sec.); vengono irrigati 25.000 ettari. Il canale del Consorzio dell'alto agro veronese che deriva dall'Adige, a Scione, 18,5 mc/sec. per irrigare 18.500 ettari nei comuni di Verona, Bussolungo, ecc.

Nell'Emilia, oltre alla costruzione del grande serbatoio nella Val Tidone (prov. di Piacenza) a scopo principalmente irriguo e che alimenta un numeroso gruppo di canali, va ricordata la grande derivazione del canale di Burana derivante dal Po (25 mc/sec.) e infine l'impianto di sollevamento dello stesso Po (27,5 mc/sec.) per l'irrigazione d'una parte dei terreni delle bonifiche di Bentivoglio e Parmigiana Moglia (ettari 30.000 circa).

In Toscana sono da ricordare le derivazioni del Serchio e, nell'Umbria, quelle della pianura ternana quasi interamente irrigata con le acque del Nera.

Nelle isole il serbatoio di Piana dei Greci in Sicilia, oltre a produrre energia elettrica, serve anche per l'irrigazione dei terreni della Conca d'oro; quello ancora più importante sul fiume Tirso in Sardegna ha una capacità di oltre 300 milioni di metri cubi e può destinare per l'irrigazione dei 40.000 ettari del Campidano d'Oristano una portata continua di oltre 20 mc/sec.

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