OTTOMANO, IMPERO

Enciclopedia Italiana (1935)

OTTOMANO, IMPERO

Ettore Rossi

. Stato turco musulmano durato dal 1300 circa al 1922. Il nome di "Impero Ottomano" è dell'uso europeo; i Turchi chiamavano il loro stato devlet-i aliyyeh-i osmāniyyeh "l'alto stato ottomano" o semplicemente devlet-i osmāniyyeh o ‛osmānlï devleti "lo stato ottomano", raramente ‛osmānlï salṭaneti "il sultanato ottomano" e il loro governo bāb-i ālī "la Sublime Porta" (v.). "Ottomano", in scrittori antichi anche "Ottomanno", deriva dal turco ‛osmānlï "appartenente a ‛Osmān", dal nome di colui che è considerato come il fondatore della dinastia ottomana (āl-i Osmān) e dello stato.

Storia.

Origine. - L'Impero ottomano va considerato come il successore e il continuatore dello stato turco musulmano dei Selgiuchidi (v.) che dominò in gran parte dell'Anatolia nei secoli XI-XIII. Illanguidita la potenza dei Selgiuchidi, acquistarono crescente autonomia gli staterelli turchi formatisi nelle diverse regioni dell'Asia Minore, specialmente alla periferia. Verso la fine del sec. XIII la situazione politica dell'Anatolia era la seguente:

1. gli ultimi Selgiuchidi (fino al 1302) governavano nel centro dell'Anatolia con capitale Qōnyah (Iconium, Conia), soggetti a pagare tributo ai Mongoli padroni dell'Anatolia orientale e della Persia; all'inizio del sec. XIV quasi tutto il territorio rimasto ai Selgiuchidi passò sotto il principato turcomanno dei Qaramān Oghlu, discendenti di Qaramān, donde il nome, alla regione, di Caramania (corrispondente alla Cappadocia e alla Licaonia), che s'incontra in autori italiani dal sec. XV in poi;

2. in tutto il resto dell'Anatolia centrale e occidentale non occupata direttamente dai Mongoli (Īlkhān, nelle provincie orientali) s'erano formati principati quasi indipendenti sotto famiglie turche o turcomanne, e precisamente i principati di Qarasï (Misia), Sārūkhān (Lidia), Āydïn (Ionia), Menteshe (Caria), Ḥamīd (Pisidia e Isauria), Tekke (Licia e Panfilia), i cui nomi sono rimasti a designare larghe estensioni territoriali, i Ghermiyān (Frigia), quelli che furono poi chiamati ‛Osmān Oghlu o ‛Osmānlï nella regione tra Angora e Brussa (Bitinia e Galazia) e i Giandar su un tratto delle coste del Mar Nero (Paflagonia);

3. a sud dell'Anatolia e nella Siria dominavano i Mamelucchi d ' Egitto;

4. i Bizantini conservavano parte della Bitinia con Brussa, Nicea, Nicomedia, Calcedonia; un Impero bizantino (dei Comneni) si manteneva a Trebisonda (Trapezunte).

Il principato, che fu detto degli ‛Osmānlï, non era allora più forte degli altri piccoli stati turchi; la posizione favorevole, al confine con l'Impero di Bisanzio indebolito, il particolare ardore di conquista dei suoi capi e la naturale tendenza espansionistica incoraggiata dalla fede islamica lo portarono ad assorbire man mano tutte le altre signorie turche dell'Anatolia con un'azione lenta che durò quasi due secoli, a conquistare la penisola balcanica e Costantinopoli stessa e a por fine all'impero bizantino, a diventare lo stato musulmano più forte, padrone di due terzi del territorio dell'Islām (restarono indipendenti dagli Ottomani la Persia, l'Afghānistān, l'India settentrionale, il Turkestān e il Marocco) e a costituire il principale presidio dell'Islām per alcuni secoli. L'Impero ottomano assolvette in questo senso una funzione storica e diede una qualche unità a gran parte del vicino Oriente in un tempo in cui l'Occidente era occupato nel suo travaglio politico e religioso di Rinascimento e di Riforma, sottrasse per lungo tempo parte dell'Europa orientale e dell'Africa settentrionale all'influenza della civiltà europea, che vi si è affermata da circa un secolo con il graduale disfacimento dell'impero.

Si può ritenere che il nucleo dei Turchi ‛Osmānlï derivi dalla tribù turca (o turcomanna) dei Qayï, appartenente alla grande divisione dei Turchi Oghuz (Ghuzz degli Arabi). I Qayï, già stanziati in Persia, nel Khorāsān, emigrarono ad ovest al tempo delle invasioni dei Mongoli di Genghiz Khān, e si stabilirono nella regione di Erzerum verso il 1221. Il capo della tribù, Suleimān Shāh, sarebbe affogato, secondo la tradizione, nell'Eufrate mentre guidava i suoi uomini in direzione di Aleppo; la località, presso Gia‛ber Qal‛asï, è ancora chiamata Türk Mezārï "la tomba del Turco". Suo figlio Erṭoghrul, messosi al servizio del sultano selgiuchide ‛Alā ud-Dīn Kay-Qobād, ebbe assegnata una zona nelle vicinanze di Angora. Egli estese la conquista verso nord nella Bitinia, sul bacino superiore e medio del fiume Saqārya, con centro a Söyüd. Morto Erṭoghrul Bey in età assai avanzata, sul finire del sec. XIII, il figlio ‛Osmān o ‛Osmāngïq (diminutivo) diede al nascente principato maggiore estensione e potenza, così che da lui s'intitolarono la dinastia e lo stato, la cui fondazione è comunemente datata dal 1299. In quell'anno il sultano selgiuchide ‛Alā ud-Dīn III gli avrebbe conferito il governo delle terre conquistate, inviandogli messi con una spada, un tamburo e una bandiera. La critica storica mette in dubbio queste tradizioni posteriori e persino il nome del fondatore della dinastia.

Tra le leggende relative all'origine della famiglia ottomana è il famoso sogno di ‛Osmān (attribuito da alcune fonti al predecessore Erṭoghrul). ‛Osmān avrebbe sognato, mentr'era in casa del pio sheikh Edebālī, che una falce di luna uscita dal petto dello sheikh Edebālī fosse entrata nel petto suo e che dai suoi lombi crescesse un albero che copriva le terre ed i mari, allusione all'impero che la discendenza di ‛Osmān avrebbe esercitato sul mondo. Lo sheikh, udito il sogno, diede in sposa ad ‛Osmān la propria figlia Māl Khātūn, dalla quale nacque il successore Ōrkhān.

Il fatto da ritenersi come sicuro è che alla fine del sec. XIII ai confini dell'impero bizantino in Bitinia s'era stabilito un forte nerbo di Turchi musulmani in lotta con le milizie di frontiera greche (gli akrítai) e continuamente spingentisi in territorio cristiano a fare bottino di uomini e di robe. L'espandersi delle conquiste di ‛Osmān e dei suoi successori si può spiegare con la debolezza della difesa bizantina, il malcontento della popolazione che non oppose molta resistenza agl'invasori e facilmente ne accettò anche la religione. D'altra parte sarebbe errato credere che i Turchi di ‛Osmān fossero rozzi soldati nomadi; essi avevano già ordinamenti sociali e civili. In quel tempo esisteva in Anatolia un organismo a fondo religioso-economico-cavalleresco, quello degli Akhī, che governò anche qualche tempo ad Angora.

Accrescimento fino all'invasione dei Mongoli di Tamerlano. - ‛Osmān I (o ‛Osmāngïq), estendendo il suo dominio intorno a Söyüd, conquistò Bīlegik (bizantina Belokoma), Āinegöl (Angelokoma), Qaragia Ḥiṣār (Melangeia), Āq Ḥiṣār (Asprokastron), Gheive (Gaiukoma), Yārḥiṣār, Yeṅīshehir, Qōyūnḥiṣār (Baphaion) e pose, l'assedio a Brussa, che fu presa nel 1326, l'anno stesso in cui ‛Osmān morì. Suo figlio Ōrkhān, insieme con il fratello ‛Alā ud-Dīn, proseguì le conquiste, vinse a Philokrene un esercito bizantino comandato dall'imperatore Andronico III, che restò ferito nella battaglia, prese Nicea (in turco Iznīq) nel 1330 e Nicomedia (in turco Izmīd). Con l'occupazione di questa città e della costa (dintorni di Qara Mursal, così chiamata dal nome di un guerriero turco), Ōrkhān aveva esteso il suo regno al Mar di Marmara; dalla capitale Brussa egli governava già un territorio abbastanza ampio, che più ancora si accrebbe con la conquista dell'emirato di Qarasï, sulla costa del Mar di Marmara. Egli tenne poi buone relazioni con gl'imperatori di Bisanzio, specialmente con Giovanni (VI) Cantacuzeno (1341-1354), di cui sposò la figlia Teodora e al quale mandò il figlio Solimano in aiuto verso il 1350, quando il serbo Stefano Dušan avanzava in Macedonia e in Tracia e mirava a conquistare Costantinopoli e a fondare un impero serbo-greco. Verso il 1354 i soldati turchi di guarnigione in Tracia (Zympe) e nuove schiere affluite dall'Anatolia sotto il comando di Solimano, figlio di Ōrkhān, occuparono Gallipoli (Gelībōlū) e tutta la penisola omonima. Il racconto dell'avventuroso passaggio di sorpresa di Solimano con pochi compagni attraverso lo stretto dei Dardanelli è poetica tarda finzione; in verità da tempo i Turchi avevano passato lo stretto per invito degli stessi sovrani di Bisanzio, conoscevano luoghi ed usi ed erano preparati a sostituirsi agli antichi dominatori del paese. Resta però il fatto che allora (verso il 1354) si ebbe la prima stabile occupazione turca in terra europea e quindi l'inizio d'una conquista che fu eccezionalmente rapida e vasta. Solimano, che l'aveva iniziata, morì verso il 1358 e pochi mesi dopo morì anche il padre Ōrkhān.

Il nuovo sultano, Murād I (1359-1389), dopo aver preso Pirgo (Lüleburgaz), Zurulo (Çorlū), Dimotica sulla via tra Costantinopoli e Adrianopoli, Rodosto (Tekirdaǧ) sul Mar di Marmara, occupò nel 1361 Adrianopoli (Edirne), poi Filippopoli (Filibe). Mentre si effettuavano queste conquiste nei Balcani con il concorso specialmente di Lala Shāhīn, un altro condottiero, Evrenos Bey, occupava nella Grecia occidentale Makri e Komotinē (v.) sulla via di Salonicco. L'avanzata turca nella Penisola Balcanica non poteva essere fermata dai sovrani di Bisanzio, già chiusi nell'assedio che si andò stringendo sempre più per concludersi un secolo dopo. Dei popoli balcanici, i Serbi erano allora i più direttamente minacciati; ma dopo la morte (1355) di Stefano Dušan, che aveva portato le sue truppe fin presso Costantinopoli, i Serbi avevano perduto ogni coesione politica. Due loro principi. Vukašin e Uglješa, i quali attaccarono nel 1371 i Turchi sulla Maritza a Kermianon (turco Çirmen), a ovest di Adrianopoli, furono vinti e rimasero uccisi con molti dei loro. La località fu chiamata dai Turchi "tomba dei Serbi" (Ṣïrp Ṣandïghï).

In successive conquiste i Turchi Ottomani presero, a detrimento dei Bizantini, dei Bulgari e dei Serbi, la costa tracia del Mar Nero (1372-1373), la Tracia Occidentale (Drama e Sérrai occupate tra il 1373 e il 1374 da Evrenos Bey), Istib, Monastir, Prilep (occupate da Timūrtāsh Pascià), Küstendil, Sofia (1382), Nicopoli, Silistria (conquistate da Yakhshï Bey e da ‛Alī Pascià nel 1388). I Turchi erano così arrivati a nord al Danubio e ad ovest alla Morava e al Vardar. Restavano in mano ai Bizantini solo Costantinopoli, con uno stretto territorio, e Salonicco (temporaneamente occupata dai Turchi nel 1387); Ainos (Enos) alla foce della Maritza era ancora presidiata dai Gattilusio di Lesbo. La conquista turca di quella vasta zona della Balcania si concluse con la battaglia di Kosovo (Kossovopolje "il campo dei Merli") il 15 giugno 1389. I Turchi comandati da Murād I in persona ottennero la vittoria sui Serbi guidati da Lazzaro Grebljanović; Murād cadde nella battaglia, Lazzaro fu preso e decapitato.

Il nuovo sultano Bāyazīd I, detto Yïldïrïm "il fulmine", consolidò la conquista in Macedonia e in Bulgaria (Tărnovo fu occupata definitivamente nel 1393) e fino in Valacchia, e affermò la sua influenza ad ovest sui confinanti principati serbi, croati e albanesi. Venezia, che aveva già contatti con i Turchi d'Asia Minore, si trovò ad averli vicini al suo stesso territorio e al suo mare; per difendere l'Adriatico, si indusse a presidiare Durazzo e Alessio sulla costa e Croia nell'interno con il consenso dei principi locali; anche Vallona era sotto la sua protezione. Nella Morea, Venezia si premunì contro l'estendersi delle conquiste turche presidiando, oltre Corone e Modone, che già possedeva, le fortezze di Argo e di Nauplia (Napoli di Romania). Costantinopoli dal 1391 era bloccata dai Turchi, che erano intervenuti più volte anche nelle competizioni interne dei Paleologhi.

Lo stato unitario più forte in quel momento sui confini ottomani era l'Ungheria, anch'essa minacciata dagl'invasori. Per liberare Costantinopoli e frenare l'espansione turca si formò una lega cristiana costituita specialmente di Ungheresi sotto il re Sigismondo, Valacchi comandati dal principe Mircea, nobili di Francia e di Germania, cavalieri teutonici e giovanniti (di Rodi), che assediarono Nicopoli; il sultano Bāyazīd si portò subito ad affrontarli in quella località con forti truppe e vassalli serbi e vinse la battaglia (28 settembre 1396). A questa vittoria sarebbe forse seguita la conquista di Costantinopoli, se una diversione non fosse stata causata dall'attacco dei Mongoli di Tīmūr Lenk (Tamerlano). Dopo aver preso la Persia e la Siria, Tamerlano occupò Sīvās nel 1401, fece uccidere Erṭoghrul, figlio di Bāyazīd, che la difendeva, vinse ad Angora nel 1402 lo stesso Bāyazīd e lo fece prigioniero, conquistò Smirne, devastò l'Anatolia e fece ritorno nell'Asia centrale.

Periodo di restaurazione e di nuova espansione fino alla presa di Costantinopoli. - Bāyazīd morì in prigionia all'inizio del 1403. I suoi figli non furono molestati dai Mongoli, la dominazione dei quali durò ancor meno della fulminea conquista e cessò con la partenza di Tamerlano, ma si combatterono tra loro per un ventennio. ‛Īsà si era stabilito a Brussa; Maometto (Celebī Meḥmed), padrone del resto del sultanato ottomano in Asia, lo vinse ripetutamente e lo fece uccidere. Un altro figlio di Bāyazīd, Solimano, dominava nella Turchia europea; egli passò in Anatolia nel 1406, riuscì a fare riconoscere la sua autorità in gran parte del territorio e domò la velleità di riscossa dei principi turcomanni rimessi da Tamerlano in potere delle rispettive signorie; tornato in Europa, negoziò con Venezia per il miglioramento delle relazioni commerciali e l'accomodamento di incidenti sui confini. Un quarto figlio di Bāyazīd, Mūsà, incoraggiato da Maometto, e aiutato da Ungheresi e Polacchi, suscitò torbidi nella Turchia europea contro Solimano, ma fu vinto nel 1410 a Kosmidion, presso Costantinopoli, e ritornò nelle regioni settentrionali della Balcania. Solimano scomparve presto dalla scena delle competizioni fraterne, ucciso a tradimento da persone del suo seguito il 17 febbraio 1411. Restava così aperta la contesa fra Mūsà e Maometto, il quale passò nella Turchia europea nel 1413 e nel luglio di quell'anno a Ciamurlu, presso Sofia, vinse, catturò e fece mettere a morte il fratello.

Rimasto unico sovrano del ricostituito sultanato, Maometto I, che gli scrittori ottomani designano come secondo fondatore dell'impero, riprese Smirne dall'usurpatore Giuneid, estese le conquiste a sud a danno della dinastia dei Qaramān di Conia, occupò Ṣāmsūn e il territorio circostante sul Mar Nero. Una forte opposizione, che mise ancora in pericolo il regno appena ricostituito, fu sollevata da un pretendente Muṣṭafà, che si dichiarava fratello di Maometto I e aveva ottenuto l'appoggio dei principi turchi autonomi dell'Anatolia. Contemporaneamente Venezia e gli stati cristiani dell'Egeo avevano stretto una lega contro i Turchi; il capitano veneto Pietro Loredano il 29 maggio 1416 distrusse a Gallipoli nei Dardanelli una flotta ottomana. Ciò non impedì a Maometto I e a Venezia di concludere lo stesso anno un accordo amichevole, il primo importante atto diplomatico tra Venezia e i Turchi ottomani, mirante soprattutto a salvaguardare il traffico di Venezia in Levante. Una pericolosa agitazione di carattere religioso e sociale suscitata dallo sheikh Bedr ed-Dīn nel territorio di Smirne e nella Tracia fu soffocata con la sua impiccagione (a Sérrai nel 1417).

Maometto morì nel 1421 a Brussa; il figlio Murād II, appena ventenne, eliminò con l'uccisione del preteso zio Muṣṭafà (1422) ogni contesa dinastica e, poiché questi aveva trovato aiuto nell'imperatore di Bisanzio, mise l'assedio alla città (1423), ma fu costretto a levarlo per tornare in Asia a combattere un suo fratello, anche esso chiamato Muṣṭafà. Lo uccise, confermò la dominazione turca in Anatolia, ottenendo la sottomissione dei Qaramān, tornò in Europa, conquistò Salonicco (Tessalonica) difesa da Veneziani e da Greci (29 marzo 1430). Anche verso l'Ungheria Murād II cercò di allargare la conquista, dopo aver consolidato la sua sovranità nella Valacchia (1437); vinse a Varna nel 1444 le forze cristiane unite in lega per opera del pontefice Eugenio IV e composte di Ungheresi, Polacchi, Valacchi e cavalieri di diverse nazioni, sotto il comando del re d'Ungheria e di Polonia, Ladislao, che restò ucciso nella battaglia. Un secondo esercito di Ungheresi e alleati valacchi, tedeschi e boemi guidato dal principe Giovanni Hunyadi fu sconfitto nel 1448 a Kosovo in Serbia, nella stessa località ove avvenne la battaglia del 1389.

Il massimo ingrandimento dell'Impero. Da Maometto II a Solimano il Magnifico. - Alla morte di Murād II (2 febbraio 1451) l'Impero ottomano era completamente ricostituito e rafforzato con la presa di Salonicco, di parte dell'Albania e della Morea. Il successore Maometto II nell'aprile del 1453 pose l'assedio alla capitale bizantina difesa da Greci, Veneziani e Genovesi, e la conquistò il 29 maggio. Costantino XI, figlio di Manuele, ultimo sovrano di Bisanzio, morì nella mischia finale. Anche Galata, fino allora colonia genovese, fu occupata dai Turchi. Altri possedimenti o stati autonomi cristiani conservarono la loro autonomia, pagando tributo: la Morea governata da due principi della famiglia dei Paleologhi, la Serbia, Chio, il ducato di Nasso nell'Egeo, l'impero greco di Trebisonda, la repubblica di Ragusa sull'Adriatico. La Serbia fu nuovamente invasa nel 1454 e occupata fino al Danubio, Belgrado assediata nel 1456 fu liberata da Giovanni Hunyadi e da aiuti accorsi da ogni parte d'Europa. Nel 1453 la Bosnia e l'Erzegovina (Hersek dei Turchi) furono unite all'impero ottomano. Anche la Grecia passò tutta in potere dei Turchi con la conquista (1458-1460) dei despotati tenuti da Demetrio e Tommaso, fratelli dell'ultimo imperatore di Bisanzio, e di Atene, il cui ultimo duca, Franco Acciaiuoli, fu strangolato per ordine del sultano (1456). Solo poche piazze forti della Morea meridionale (Corone, Modone, Monembasía) e Lepanto erano in potere dei Veneziani. L'isola di Lesbo (Mitilene) fu presa ai Gattilusio nel 1462; l'Eubea (Negroponte) fu strappata ai Veneziani nel 1470; Rodi fu invano assediata per tre mesi (maggio-agosto 1480). Il sovrano greco di Trebisonda, Davide Comneno, capitolò nel 1461 e morì martirizzato coi figli in prigionia a Costantinopoli. La conquista turca del Mar Nero fu completata nel 1474-75 con la presa delle colonie genovesi della Crimea (Caffa, Matrega, Teodosia). Il khān tataro della Crimea diventò vassallo del sultano ottomano e fu suo valido sostegno nella politica verso l'Europa centrale ed orientale. D'altra parte l'Impero ottomano in Asia era minacciato dalle velleità d'indipendenza dei Qaramān di Qānya e più dall'atteggiamento aggressivo dei Turcomanni Qara Qōyūnlū; il sovrano di questi, Uzūn Ḥasan, minacciava le ultime conquiste turche nell'Anatolia di nord-est, Trebisonda soprattutto, e teneva relazioni con gli stati cristiani d'Europa; Maometto II liquidò il pericolo con una campagna (1471-1473) che terminò con la sconfitta di Uzūn Ḥasan.

In Europa il dominio turco andava dall'Egeo al Danubio e dal Mar Nero all'Adriatico. La Valacchia e la Moldavia mantenevano la loro autonomia, ma pagavano tributo ai Turchi; l'Ungheria si conservava indipendente e il suo re, Mattia Corvino, tentò anzi di liberare un tratto della Serbia; la Transilvania attaccata dai Turchi era vittoriosamente difesa da Stefano Báthory 1479). L'Albania resistette per molti anni con l'aiuto di Venezia e per il valore di Scanderbeg, ma, morto questi nel 1468, diventò quasi intieramente possedimento ottomano. Anche Venezia ebbe confinanti in Dalmazia i Turchi padroni della Bosnia e spingentisi in audaci scorrerie fino al Friuli e nella pianura dell'Isonzo (1476-1478). Dalle coste albanesi i Turchi, padroni di Vallona, si gettarono sulla Puglia e tennero per un anno Otranto (agosto 1480-settembre 1481). Ma già il 3 maggio 1481 Maometto II, sopranominato Fātiḥ "il conquistatore", era morto, mentre preparava una spedizione in Asia.

L'epoca che seguì, dei successori Bāyazīd II, Selīm I e Solimano I, è caratterizzata dal contatto dei Turchi con i Mamelucchi d'Egitto a sud e con i Persiani sciiti ad est. A sud la potenza ottomana finì per prevalere, ottenendo un nuovo ingrandimento in Siria, Arabia, Egitto e Africa settentrionale; ad est ottenne vantaggi notevoli, ma non riuscì mai a spezzare la resistenza iranica e a trovare infine la via di un'espansione, che avrebbe significato l'assoggettamento di tutto il mondo musulmano orientale fino all'India. Nella resistenza persiana ad est (sotto Ismā‛īl a ‛Abbās II) e nel fronteggiante cerchio polacco-tedesco-veneziano a nord e ad ovest, dopo la perdita dell'Ungheria, si cristallizzò la situazione d'equilibrio che durò fino al sec. XVIII e fu poi rotta dalla pressione austro-russa e dalle sollevazioni interne.

Bāyazīd II (1481-1512) fu occupato nei primi anni nella contesa con il fratello Gem, rifugiatosi dapprima in Egitto presso il sultano mamelucco e poi a Rodi presso i cavalieri di San Giovanni, mandato quindi in Francia e a Roma e morto sulla via di Napoli nel 1495. Le sue conquiste non furono molto estese; va segnalata però, per l'importanza strategica delle località, la presa di Lepanto (Naupatto, in turco Āinebakhtī), Corone e Modone nel 1499 durante una guerra con Venezia, che si chiuse con la pace del 1503. Suo figlio Selīm I (1512-1521) conseguì una decisiva vittoria nel 1514 a Ciāldirān (Anatolia orientale) su Ismā‛īl, scià di Persia, fondatore della dinastia sciita dei Ṣafawidi, e compì la conquista della Siria e dell'Egitto (1516-1517) e la distruzione della dinastia dei Mamelucchi. Con questo successo, che faceva ormai dell'Impero ottomano lo stato musulmano sunnita più potente e conferiva al sultano di Costantinopoli il dominio della maggior parte del mondo islamico, i Turchi si sentirono sicuri a sud; anche l'Arabia era entrata sotto la loro influenza e Mecca e Medina riconoscevano l'autorità del loro sultano. Il figlio di Selīm I, Solimano I (1520-1566), libero di agire nelle altre direzioni, compì una serie di conquiste, di cui la semplice enumerazione denota la grande importanza: nel 1521 Belgrado, nel 1522 Rodi, nel 1526 Ofen (Buda, Budin dei Turchi), dopo la vittoria di Mohács con la quasi totale occupazione dell'Ungheria, nel 1534 Tebrīz in Persia, nel 1536 Baghdād e tutta la Mesopotamia, nel 1538-1540 le isole veneziane dell'Egeo (eccetto Cipro) e le fortezze di Venezia nella Morea, Castelnuovo e Risano in Dalmazia, nel 1566 Chio. A queste conquiste vanno aggiunti gl'importanti successi nell'Africa settentrionale, dove i corsari turchi e barbareschi loro alleati s'impadronirono dell'Algeria, di parte della Tunisia (Tunisi presa nel 1533 fu ripresa dagli Spagnoli nel 1535) e di Tripoli (1551). Solo in due imprese le truppe di Solimano I restarono soccombenti: nella spedizione contro Vienna, guidata dallo stesso sultano nel 1529, e nell'assedio di Malta diretto da Muṣṭafà Pascià, Piyāle Pascià e Dorghūt Pascià nel 1565. Anche lo Yemen e tutto il Mar Rosso fino a Aden passarono al tempo di Solimano sotto la sovranità ottomana; il regno degli Özbeg del Caspio e della Transoxiana diventò alleato dei Turchi contro i Persiani. Nei rapporti con gli stati cristiani il regno di Solimano segna lo stabilimento di amicizia (l'"empia alleanza") tra il sultano e il re di Francia (dal 1525) e l'acuirsi dei contrasti con Venezia, la Spagna e l'impero. La forza marittima dei Turchi, padroni del Mediterraneo orientale e delle coste settentrionali dell'Africa, crebbe allora, specialmente per merito di Khair ad-Dīn Barbarossa (v.) fino a bilanciare le flotte riunite cristiane, che furono fronteggiate senza scontri decisivi a Prevesa nel 1538 e vinte a Gerba nel 1560. Nel 1543 e nel 1552-55 le navi turche comandate dal Barbarossa e poi da Sinān Pascià e Dorghūt Pascià, con il consiglio e il concorso degli alleati francesi, devastarono le coste italiane del Tirreno da Reggio a Nizza, le isole d'Elba e della Corsica.

I successori di Solimano. Faticoso mantenimento della potenza dell'Impero. Il periodo dei gran visir Ṣoqollū e Köprülü. - Solimano morì nel 1566 durante la spedizione che valse ai Turchi la conquista di Szigetvár in Ungheria. Al tempo dei suoi successori (Selīm II, Murād II, Maometto III) apparvero i primi segni della decadenza dell'Impero, che esamineremo ancora più oltre, e che si riassumono nel disordine finanziario, nell'indisciplina delle truppe e nell'assenza dei sultani dalla vita politica e militare. In questa situazione acquistarono maggiore importanza l'abilità e il valore personale di alcuni primi ministri (gran visir), come Ṣoqollū Meḥmed Pascià, che fu gran visir dal 1565 al 1579. Sotto il suo governo i Turchi subirono la sconfitta navale di Lepanto nel 1571, ma conquistarono nello stesso anno Cipro, presero Tunisi nel 1574 e consolidarono il possesso dello Yemen (conquista di Ṣan‛ā' e di Aden nel 1569). Ṣoqollū Meḥmed Pascià progettò lo scavo di un canale tra il Don e il Volga in modo da facilitare il trasporto di truppe dal Mar Nero al Caspio, dominare la regione turco-tatara del Volga e avere aperta verso l'Asia centrale la via bloccata dai Persiani sull'altipiano iranico. Dopo questo gran visir, pugnalato nel 1579 da un fanatico, i sultani ebbero ancora buoni ministri energici, come l'albanese Ferhād Pascià, che si distinse nella guerra in Persia, e Sinān Pascià (morto nel 1595), anch'esso albanese, già capitan pascià della flotta e conquistatore di Tunisi nel 1574.

Mentre le relazioni dei Turchi con Venezia, dopo la caduta di Cipro, si mantennero quasi pacifiche per lungo tempo, continue furono le ragioni di contrasto con l'imperatore d'Austria per l'instabilità di confini tra l'Ungheria occupata dai Turchi e il territorio tedesco-magiaro dell'imperatore e gl'intrighi in Transilvania (Erdel in turco). L'Ungheria era stata occupata al tempo di Solimano il Magnifico e il governo di essa era stato conferito a Giovanni Zápolya, principe magiaro della Transilvania, vassallo del sultano. Morto Giovanni Zápolya nel 1540, il sultano riconobbe come successore il figlio Giovanni Sigismondo, sotto la tutela della madre Isabella; durante questa reggenza Ottomani e Imperiali si disputarono la sovranità sull'Ungheria in continue guerre tra il 1543 e il 1545, il 1552 e il 1564, il 1565 e il 1568. Massimiliano II d'Austria nel 1568 riconobbe la sovranità turca sull'Ungheria, la Transilvania, la Valacchia e la Moldavia, ma nel 1591 la guerra riprese con alternative di successi e di sconfitte dalle due parti; i Turchi presero Erlau (Eger ungherese, Eghrī dei Turchi) nel 1596 e Kanizsa nel 1601; ebbero l'aiuto degli Ungheresi e specialmente di Stefano Bocskay, che incoronarono re d'Ungheria; minacciati poi dai Persiani ad est, conclusero con gl'Imperiali la pace di Zsitvatorok (novembre 1606). In base a questo trattato, importante perché rialzò il prestigio degli stati cristiani, i Turchi per la prima volta riconobbero all'imperatore d'Austria il titolo di Cesare Romano (invece di "re di Vienna") e rinunziarono al donativo o tributo annuo di 30.000 zecchini.

La Polonia ebbe ragioni di contrasto con i Turchi (che la chiamavano Lehistān) dopo che essi ebbero sottomesso la Moldavia e il khānato di Crimea; l'intervento polacco negli affari della Moldavia (Boghdān in turco), causò nel 1612 l'apertura di ostilità, che durarono a lungo e si chiusero nel 1621 con la pace di Hotin.

In Asia gli avvenimenti non erano favorevoli agli Ottomani; bande di briganti devastavano l'Anatolia; Baghdād era occupata dai Persiani (1623). Il sultano Murād IV (1623-1640) con fermezza e ferocia restaurò la disciplina nelle truppe, condusse in persona spedizioni contro la Persia, occupò Tebrīz (1635) e Baghdād (1639) e fece strage degli sciiti. In Siria e in Palestina l'emiro druso Fakhr ad-Dīn (v.; Faccardino) s'era costituita una signoria autonoma e manteneva relazioni con principi cristiani; nel 1607 concludeva un trattato di alleanza con il granduca di Toscana e si recava poi in Italia a cercare aiuti; nel 1635 egli e i suoi figli furono presi, mandati a Costantinopoli e giustiziati.

In Occidente la situazione era consolidata a favore dei Turchi padroni delle coste dall'Albania al Levante e ad Algeri e di tutte le isole all'infuori di Creta. Il pretesto per attaccare quest'ultima posizione veneta si presentò nel 1644, quando la squadra delle galere dell'Ordine di Malta attaccò e predò in Levante un convoglio di galeoni turchi; poiché una parte del bottino era stata venduta nei porti cretesi, una spedizione ottomana assalì nel 1645 l'isola di Creta, s'impadronì facilmente nel 1645-46 delle posizioni della Canea e di Réthymnon, ma durò fatica a impadronirsi della piazzaforte di Candia, che s'arrese soltanto nel 1669. La durata straordinaria di questa guerra turco-veneta dipese dall'indebolimento dell'organismo militare e politico della Turchia e dalla resistenza opposta da Venezia, in particolare dal predominio che essa ebbe in mare per alcuni anni, bloccando i Dardanelli in segnalate operazioni navali, come quella del 26 giugno 1656 nella quale si comportò eroicamente il capitano generale Lorenzo Marcello e si distinse Don Gregorio Carafa con le galere maltesi.

Periodo di disorganizzazione interna. Prime perdite di territorî in Europa. - L'ancor notevole capacità di espansione e di conquista dell'impero nel sec. XVII fu merito di una serie di gran visir, soprattutto di Meḥmed Köprülü (1656-61) e di suo figlio Aḥmed Köprülü (1661-76). Il maggiore avversario dei Turchi nella seconda metà del sec. XVII fu l'impero d'Austria, e la causa di conflitto tra le due parti, dopo una lunga pace di 57 anni, venne ancora dalla questione della Transilvania. Alla morte di Bocskay, principe della Transilvania, l'eredità fu contesa dai signorotti locali, prima Gabriele Báthory, poi Gabriele Bethlen, più tardi Giorgio Rákóczy I alleato del sultano e poi dell'imperatore (1643) e Giorgio Rákóczy II, ondeggiante tra gl'Imperiali e i Turchi, insorto contro questi dopo che gli opposero Francesco Rhédey. Morto Giorgio Rákóczy II nel 1660, i Turchi appoggiarono il partito di Michele Ápaffy. L'imperatore d'Austria entrò in guerra con i Turchi nel 1663, sia per sostenere Venezia impegnata nella guerra di Candia sia per estendere la propria influenza nei territorî ungheresi. Il gran visir Aḥmed Köprülü riportò un notevole successo conquistando Ujvár, nell'Ungheria settentrionale, il 24 settembre 1663; ma l'anno seguente fu sconfitto a San Gottardo (1° agosto 1664), sul fiume Raab, ai confini tra la Stiria e l'Ungheria, nella più grande battaglia combattutasi in campo aperto fra Turchi e cristiani dopo quelle svoltesi nella penisola balcanica nel secolo XIV; comandava le forze imperiali l'italiano Montecuccoli. Subito dopo (10 agosto 1664) i Turchi accettarono la pace di Vasvár, che non costò gravi perdite e confermò loro il possesso di Ujvár, ma segnò il punto d'inizio della decadenza ottomana. L'Ápaffy fu riconosciuto dall'imperatore come vassallo del sultano nella Transilvania.

La protezione accordata dai Turchi ai Cosacchi dell'Ucraina portò a nuove guerre turco-polacche. I Turchi penetrarono nella Podolia nel 1672 e occuparono Kamenec. La lotta, in cui cominciò a segnalarsi il re polacco Giovanni Sobieski, durò con brevi parentesi di pace, fino all'accordo detto di Z̊órawna (1676), ratificato a Costantinopoli due anni dopo, per il quale la Polonia si rassegnò a cedere ai Turchi la Podolia e a riconoscere il loro protettorato sull'Ucraina. Incominciò allora l'ingerenza di Mosca negli affari turchi con l'estensione della sua influenza nel territorio dei Cosacchi. Il gran visir Qara Muṣṭafà condusse una spedizione nell'Ucraina, occupò Čihirin (1678) e concluse con i Russi la pace di Radzin.

Una nuova lunga guerra con l'Austria fu suscitata dagli attacchi all'Austria dell'ungherese Emerico Tököly aiutato dai Turchi, proclamato "re d'Ungheria" e animato alla conquista dei territorî ungheresi soggetti all'Austria; influì sugli avvenimenti l'azione diplomatica della Francia, che aveva interesse a impegnare gl'Imperiali con i Turchi. La guerra cominciò nel 1682-83. Il gran visir Qara Muṣṭafà portò i suoi soldati e gli ausiliarî ungheresi e tatari contro Vienna, che assediò dal 13 luglio al 12 settembre del 1683 e dovette abbandonare, volto in fuga dalle truppe imperiali e polacche riunite sotto gli ordini del granduca Carlo di Lorena e di Giovanni Sobieski. Il gran visir pagò con la vita l'onta della sconfitta. Anche i Veneziani entrarono nella lotta assistiti in mare dalle squadre di Malta e del papa e presero Santa Maura, Prevesa, Lepanto, Patrasso, tutto il Peloponneso e Atene (1687). Gl'Imperiali rioccuparono Ujvár nel 1685, Buda nel 1686, Eger nel 1687 e invasero la Transilvania, mentre il Tököly fuggiva a Costantinopoli. Un nuovo gran visir, Fāẓil Muṣṭafà Pascià, figlio di Meḥmed Köprülü, cercò di riorganizzare le forze turche e di contrastare l'avanzata dei Tedeschi e dei Polacchi, che entravano nell'Ungheria centrale, nel Banato, nella Transilvania, nella Valacchia e nella Podolia; cadde egli stesso combattendo a Szlánkemen in Ungheria (1691). Il comandante generale delle forze tedesche, il principe Eugenio di Savoia, batté decisamente gli Ottomani a Zenta l'11 settembre 1697; i Veneziani condotti da Francesco Morosini proseguivano la campagna per terra e per mare (il Morosini, detto il Peloponnesiaco, moriva a Nauplia nel 1694), occuparono nel 1694 Chio con l'aiuto dei Cavalieri di Malta e di Santo Stefano e la tennero fino al 1695. La lunga guerra si chiuse con la pace di Carlowitz nei negoziati della quale si distinse il bolognese conte Luigi Ferdinando Marsigli; l'imperatore d'Austria ottenne tutta l'Ungheria e la Transilvania, tranne Temesvár (Timişoara); Venezia ebbe la Morea, Santa Maura e alcune località della Dalmazia; la Polonia riebbe la Podolia, e la Russia, entrata ultima nel conflitto, conquistò Azov sul Mar Nero.

La pressione austro-russa. Decadenza delle istituzioni, risveglio dei popoli soggetti. - Dopo queste sfortune, sotto i sultani Muṣṭafà II e Aḥmed III, i gran visir Ḥusein Köprülü Pascià (1699-1702), Muṣṭafà Dālṭabān e altri cercarono di sviluppare piani politici per ricuperare le provincie perdute; il profugo Tököly e un altro pretendente al trono di Ungheria, Francesco Rákóczy, brigavano con la corte ottomana. Nel 1709 il sovrano di Svezia, Carlo XII, in guerra con i Russi, battuto a Poltava, riparò in territorio ottomano, a Bender sul Dnestr, con pochi suoi cavalieri; questa situazione portò a un conflitto russo-turco che si protrasse fino al 1714. Carlo XII ritornò in patria attraverso l'Ungheria.

Lo spirito di rivincita dei Turchi ebbe una qualche soddisfazione con la riconquista del Peloponneso (1714-15) voluta e diretta dal gran visir ‛Alī Pascià sotto il sultano Aḥmed III. Venezia, rimasta sola, non poté impedire l'avanzata dei Turchi, che presero anche Santa Maura e Cerigo; ma poi le forze imperiali, comandate ancora da Eugenio di Savoia vinsero i Turchi a Petrovaradino (1716) e occuparono Belgrado (1717). Con la pace di Passarowitz (Požarevac, 1718) l'Austria ottenne un tratto della Serbia settentrionale e facilitazioni commerciali; Venezia dovette rassegnarsi alla perdita del Peloponneso.

La Persia, che da un secolo non costituiva più un pericolo per l'Impero ottomano, diventò minacciosa quando vi si costituì il potente, ma effimero, regno di Nādir Scià che invase le provincie orientali dell'Anatolia e la Mesopotamia. I rapporti con la Persia furono definiti nel 1736 e nel 1746 con il ritorno allo statu quo. Una nuova guerra contro gli Austriaci ebbe il suo epilogo nella pace di Belgrado (1739), che doveva durare 27 anni. La Russia contemporaneamente all'Austria, aveva attaccato i Turchi nel 1736, ma non aveva conseguito risultati notevoli; s'era anzi obbligata, con la tregua del 1746, a smantellare la fortezza di Azov, il cui armamento preoccupava la Porta e minacciava la sua sovranità fino allora incontrastata sul Mar Nero; ma nel 1768, sotto Caterina II, riprese le ostilità con forze e mezzi maggiori, battendo i Turchi in Moldavia, in Crimea e nello stesso Mediterraneo, con navi che avevano compiuto il lungo giro dal Baltico per Gibilterra. Nel 1774 a Küčük Qainārge, piccolo villaggio presso Silistria, i Turchi dovettero sottostare a condizioni assai gravi: riconoscimento dell'indipendenza della Crimea, diritto dei Russi di fortificare Azov e Kerč′, protezione russa sulla popolazione greco-ortodossa dell'impero, libertà di commercio nel Mar Nero. Queste clausole, più che i sacrifici territoriali, infirmarono il prestigio turco ed ebbero notevoli conseguenze immediate con il risveglio nazionale delle popolazioni romene e greche. Per la prima volta marinai greci avevano combattuto contro i Turchi su navi russe; Mosca diventava l'ispiratrice del movimento di rivolta dei cristiani sottomessi al sultano.

Guerre napoleoniche. Rivoluzione greca. Tentativi di riforma. - Il riconoscimento turco dell'indipendenza della Crimea era fittizio, poiché il sultano s'era riservata, nella sua pretesa qualità di califfo, l'autorità "spirituale" su quelle popolazioni musulmane; cosa inammissibile, se si considera che non esiste nell'Islām un'autorità spirituale del califfo e che il riconoscimento suddetto significava in realtà il mantenimento della Crimea sotto il vassallaggio ottomano, tanto più che la nomina dei giudici musulmani e dei muftī era lasciata al sultano-califfo. La clausola pericolosa fu confermata nel successivo trattato di Āynalï-Qawāq (Costantinopoli) nel 1779, ma cessò di aver valore nel 1783, quando Caterina II proclamò l'annessione della Crimea che fu contestata ancora dai Turchi e causò una nuova guerra, ma venne riconosciuta con il trattato di Iaşi del 1792.

Gli avvenimenti francesi distrassero poi altrove gli sguardi dell'Austria e della Russia, che già parevano intendersi per una divisione delle spoglie ottomane. Anche la Turchia sentì le ripercussioni delle guerre napoleoniche e fu anzi colpita direttamente con l'occupazione dell'Egitto (1798-1799), che la indusse a cercare l'alleanza degl'Inglesi, degl'Imperiali e dei Russi. Da questo momento data anche l'intervento europeo per la conservazione dell'integrità dell'Impero ottomano contro le aspirazioni di conquista di terzi; così gl'Inglesi si assunsero nel 1799-1801, d'accordo con i Turchi, il compito di sloggiare i Francesi dall'Egitto. Era allora sultano di Turchia Selīm III, uomo di considerevole capacità politica, che spiegava grande attività per rimettere l'ordine nello stato, soprattutto nelle milizie, e aveva istituito a questo scopo il niẓām-i gedīd "nuovo ordinamento (militare)" inteso a riformare l'esercito con metodi nuovi. Il suo tentativo non riuscì; i giannizzeri toccati nei loro privilegi si sollevarono e lo deposero (29 maggio 1807). Eppure mai come allora l'Impero ottomano aveva avuto bisogno di un sovrano illuminato e riformatore che, stabilendo l'ordine al centro dello stato, lo salvasse dal dissolvimento già in atto. Specialmente alla periferia si erano manifestati movimenti rivoluzionarî e autonomistici. Nell'Africa settentrionale, Tunisi dal 1705 e Tripoli dal 1711 avevano bey e pascià ereditarî, lontanamente sudditi della Porta; in Egitto Moḥammed ‛Alī, originario di Cavala in Macedonia, andatovi con truppe turche a combattere gl'invasori francesi, si preparava a istituire un proprio governo; l'Arabia era solo in minima parte soggetta al sultano; in Palestina ‛Omar Ḍāhir s'era insignorito della Galilea e di Acri tenendola dal 1749 al 1775 contro i pascià turchi di Tripoli e di Damasco; nell'interno dell'Anatolia, come nella Macedonia, briganti e facinorosi opprimevano le popolazioni; in Albania Maḥmūd Bushatli di Scutari e ‛Alī Pascià di Tepedelen (v.) fondavano signorie indipendenti e ribelli; sul Danubio Paswān-Ōghlū di Vidin governava e spadroneggiava a suo talento. Selīm III fu ucciso nel palazzo durante una controrivoluzione che mirava a liberarlo; il nuovo sultano Maḥmūd II (v.) seguì il suo programma di riforme e ne attuò coraggiosamente alcune in mezzo a nuovi pericoli e a nuove difficoltà.

La Russia, ripresa la lotta nel 1805, invase i principati danubiani (Valacchia e Moldavia) finché la guerra con Napoleone non la consigliò a firmare la pace di Bucarest (maggio 1812, cessione della Bessarabia alla Russia). Ma più grave era il pericolo delle agitazioni interne dei popoli che tendevano a sottrarsi al giogo ottomano. I Serbi cominciarono nel 1803 a sollevarsi; un Karagjorgjević guidò gl'insorti nel suo paese durante l'ultima guerra turco-russa; Miloš Obrenović nel 1815 riprese la guerriglia, resistendo agli eserciti inviati dalla Porta. Gl'interventi europei, particolarmente la propaganda russa in nome dell'ortodossia e il diffondersi delle idee nuove di libertà che accompagnò la rivoluzione francese, risvegliarono i sentimenti nazionali nella penisola balcanica. Il movimento dei Serbi fu coronato da successo grazie all'appoggio russo (convenzione di Āq Kermān, in Bessarabia, nel 1826, e trattato di Adrianopoli, 14 settembre 1829). La Porta riconobbe nel 1830 l'autonomia del principato di Serbia sotto il governo di Miloš Obrenović. Contemporaneamente un altro popolo riusciva a conquistare l'indipendenza: i Greci sollevatisi nel 1821 cacciavano i Turchi dalla Morea, dalla Grecia continentale e dalle isole; ridotti a mal partito dalle truppe turche ed egiziane, erano salvati dall'intervento delle squadre della Russia, dell'Inghilterra e della Francia, che battevano la flotta egiziana a Navarino (1827), e delle truppe russe che avanzarono fino in Tracia. Nelle convenzioni di Londra del 1829-30 ottenevano il riconoscimento dell'indipendenza del loro stato, che diventò regno nel 1832 con Ottone di Baviera. Anche l'isola di Samo otteneva l'autonomia, pur restando vassalla e tributaria della Porta.

Conseguenze dell'intervento europeo. Processo di dissolvimento e tentativi di riforma. Sviluppo dei nazionalismi dissidenti. - Il sultano Maḥmūd, sotto il quale si susseguirono questi avvenimenti, aveva dato una prova di singolare energia distruggendo nel 1826 i giannizzeri e dando inizio alla riforma dell'esercito, del quale affidò l'istruzione a ufficiali europei. Ma la Turchia non poté più riavere la libertà d'azione d'un tempo. L'intervento europeo non fu limitato agli affari della Grecia; esso si ripetè in occasione del conflitto tra la Porta e Moḥammed ‛Alī Pascià d'Egitto. Quando Ibrāhīm Pascià, figlio di Moḥammed ‛Alī, invase la Palestina e la Siria e penetrò nell'Asia Minore (1831-33), la Russia offrì il suo aiuto alla Porta e concluse con essa un trattato di alleanza (Hunkiār Iskelesi, 1833); tra l'altro la Porta s'impegnò, a favore della Russia, a chiudere i Dardanelli alle navi da guerra straniere. Riaccesasi la guerra turco-egiziana e battuti i Turchi a Nizīb, presso Aleppo, nel 1839, le potenze europee intervennero per salvare l'Impero ottomano e fecero valere la loro autorità per la definizione del dissidio, che terminò con il riconoscimento dell'autonomia dell'Egitto, vassallo della Porta, sotto il governo di Moḥammed ‛Alī e dei suoi discendenti (convenzione di Londra del 1840 e firmani del sultano in data 13 febbraio e 10 giugno 1841). Le sorti dell'impero ottomano da questo momento sono legate agl'interessi e alle rivalità degli stati d'Europa. La cosiddetta "Questione d'Oriente", le cui origini possono essere fatte risalire molto lontano nei secoli, diventa dal 1840 in poi la questione del destino dell'impero ottomano.

Le basi giuridiche dell'ordinamento politico ottomano. - Poiché l'ultima fase dell'impero ottomano è caratterizzata dal tentativo di modernizzare lo stato e dall'intervento delle potenze per l'applicazione delle riforme, è necessario dire qui brevemente delle basi giuridiche dell'ordinamento preesistente e delle modificazioni apportate. Le basi giuridiche dell'impero ottomano erano:

1. la legge religiosa musulmana (sharīah); il rito ḥanafita era ufficialmente seguito dallo stato e dalla maggioranza dei musulmani turchi o turchizzati della Turchia europea e dell'Anatolia e degli Arabi di Siria; in Egitto predominavano i riti mālikita e shāfi‛ita, mentre nel resto dell'Africa settentrionale sottomessa ai Turchi predominava il solo mālikita; ma esistevano qāḍi (giudici) anche per il rito ḥanafita nei centri principali ove erano stabiliti funzionarî e soldati turchi e dove restarono i loro discendenti (Cairo, Tunisi);

2. ordinanze (ḥukm o qānūn) dei sultani, riunite spesso in raccolte dette qānūn-nāmeh. Queste ordinanze contenevano disposizioni emanate dai sultani per regolare la vita amministrativa e sociale nelle questioni per cui mancavano o non erano precise le disposizioni della legge musulmana. I più antichi qānūn-nāmeh conservati sono quelli del sultano Maometto II (1461-1480). Solimano (1521-1566), detto il Magnifico o il Grande dagli scrittori occidentali, fu chiamato dai Turchi Qānūnī il legislatore" precisamente per i molti qānūn con i quali regolò l'amministrazione statale. Sono noti anche qānūn di sultani posteriori nei secoli XVII-XVIII. I sudditi non musulmani erano considerati come dhimmī, liberi di regolarsi in materia di statuto personale e negli affari religiosi secondo i canoni e le consuetudini delle loro comunità, ma posti in condizione giuridica inferiore rispetto ai musulmani, obbligati a pagare una speciale imposta, a vestire in determinate fogge e con determinati colori; erano poi esclusi dalla maggioranza delle cariche e dal servizio militare. Gli stranieri europei viventi nel territorio ottomano godevano dei diritti contemplati nelle capitolazioni (v.), cioè trattati di pace o piuttosto di tregua con gli stati cristiani, contenenti garanzie atte a rendere possibile il soggiorno di infedeli in territorio musulmano ponendoli sotto la giurisdizione dei rispettivi consoli e sottraendoli quindi alla giustizia ottomana.

Questo ordinamento giuridico restò immutato sino ai primi decennî del sec. XIX, cioè fino a che lo stato ottomano fu tanto forte da imporsi al mondo esterno e ai suoi sudditi, o, comunque, poté vivere una propria vita autonoma; ma doveva modificarsi necessariamente quando le relazioni con l'Europa cristiana avvennero in condizioni di inferiorità. Questo bisogno determinò il movimento tipico delle riforme (Tanẓīmāt).

Le riforme (Tanẓīmāt). - Esse meriterebbero un lungo esame; basti qui accennare sommariamente le date e i fatti più importanti. Il 3 novembre 1839 fu promulgato il khaṭṭ-i sherīf o rescritto sultaniale, detto di Gülkhāneh dal luogo ove venne letto (entro il recinto del Serraglio di Costantinopoli), annunziante importanti innovazioni per garantire a tutti i sudditi la sicurezza della vita e dei beni senza distinzione di religione (implicito riconoscimento dell'eguaglianza fra musulmani e non musulmani), assicurare la giusta distribuzione e abolire il sistema d'appalto (iltizām) delle imposte, regolare la coscrizione e ridurre il servizio militare. Questo programma, la cui enunciazione era però accompagnata dalla prudenziale riserva che le leggi da emanare erano dirette solo ad elevare "la religione (musulmana) e lo stato", ebbe un principio di esecuzione tra il 1839 e il 1856; fu abolito il sistema di appalto delle imposte, si introdussero riforme nella procedura civile e penale su modello francese; si istituirono tribunali di commercio e tribunali misti (dal 1847) per giudicare cause tra stranieri e sudditi ottomani, fu soppresso il mercato degli schiavi negri a Costantinopoli; nel 1854 per la prima volta fu ammessa (ma solo in cause penali) la testimonianza di un non musulmano.

La difficoltà enorme dell'applicazione delle riforme consisteva nel contrasto fra le istituzioni musulmane, che erano alla base della società e dello stato, e il riconosciuto bisogno di equiparare giuridicamente i cristiani e gli ebrei ai musulmani e di stabilire su nuove basi le relazioni con il mondo esterno non musulmano (fino a pochi decennî prima considerato dār ul-ḥarb, "territorio di nemici da combattere"). I trattati di commercio, che cominciarono a concludersi dal 1838 con la Francia e l'Inghilterra, furono uno sviluppo delle capitolazioni; lo ius gentium di ispirazione sciaraitica cominciò da allora a non aver più ragione d'essere e diventò caduco nel 1856 con l'entrata della Turchia nel concerto delle nazioni europee (guerra di Crimea e congresso di Parigi). Nel 1849 la Porta cominciò a tenere proprî rappresentanti diplomatici fissi presso gli stati europei; fin'allora usava mandare messi e ambasciatori in caso di bisogno per trattative, annunzî di vittoria, ricambî di doni.

I principî delle riforme furono ribaditi e meglio enunciati nel rescritto imperiale (khaṭṭ-i humāyūn) del 18 febbraio 1856, che fu il presupposto dell'ammissione della Turchia al congresso europeo di Parigi; con quel rescritto si garantiva ancora la sicurezza della vita e dei beni di tutti i sudditi "di qualunque religione o rito", si promettevano riforme giudiziarie e fiscali, s'insisteva nell'assicurare il libero esercizio di tutti i culti, nel vietare per l'avvenire qualsiasi espressione ufficiale che suonasse offesa ai sudditi non musulmani, si disponeva che "nessuno potesse essere costretto a cambiare di religione o di rito" e che tutti i sudditi indistintamente fossero ammessi negl'impieghi pubblici e nelle scuole.

I rappresentanti delle potenze radunati a Parigi nel 1856 presero atto (art. 9 del trattato di Parigi) di queste disposizioni, aggiungendo che esse non davano loro il diritto d'intervenire negli affari interni dello stato ottomano. Ma accadde proprio quello che i Turchi temevano, cioè che da allora in poi le potenze d'Europa s'immischiassero nella questione dei rapporti dell'impero ottomano con i suoi sudditi; tale intervento dominò le vicende dell'impero fino al suo completo disfacimento.

Nel secondo periodo delle riforme, che va dal 1856 al 1876, furono compiuti notevoli progressi con la legge sui vilāyet e l'organizzazione di tribunali civili e penali (dal 1864 in poi) detti niẓāmiyyeh (cioè regolati da ordinamenti laici, niẓām), aventi carattere collegiale (cosa nuova nell'islamismo) e distinti dai tribunali sciaraitici, che continuarono a giudicare in materia civile per lo statuto personale dei musulmani e in materia penale per domande di taglione e simili. La magistratura sciaraitica considerava la giustizia miẓāmiyyeh come innovazione eretica da subire e possibilmente da ostacolare.

In realtà la legge religiosa musulmana subì una restrizione giurisdizionale solo in materia penale e nei metodi procedurali; il codice penale fu via via modificato su modelli europei; il diritto di famiglia, di successione, di beni waqf rimase conforme alle norme della sharīah; la Megelleh (v. megella), impropriamente chiamata codice civile ottomano, pubblicata tra il 1870 e il 1876, si riduceva a un'esposizione, ordinata per articoli, del diritto musulmano ḥanafita per quello che concerne le obbligazioni, parte dei diritti reali e la procedura.

Dal 1839 al 1876. - Ritornando al racconto delle vicende dell'impero, è necessario insistere sul predominio acquistato dalla Russia nei territorî slavi o comunque di rito greco. Con il trattato di Balta-Liman (i maggio 1849) i Russi avevano fatto riconoscere dal sultano il diritto d'intervento nei principati della Moldavia e della Valacchia, che diventarono quasi un condominio turco-russo; la pretesa russa di assumere la protezione dei sudditi di rito greco-ortodosso nell'impero (questione dei Luoghi Santi) portò alla guerra di Crimea in cui la Turchia fu sostenuta dall'Inghilterra, dalla Francia e dal Piemonte e, benché non attivamente, dall'Austria. Nel congresso di Parigi (30 marzo 1856) la Turchia fu ammessa "a partecipare ai vantaggi del diritto pubblico e del concerto europeo", previa emanazione del khaṭṭ-i humāyūn del 1856 che abbiamo analizzato qui sopra; il confine con la Bessarabia fu modificato a favore della Moldavia; l'autonomia dei principati della Moldavia e della Valacchia e l'indipendenza della Serbia furono poste sotto la garanzia delle potenze e sottratte all'esclusiva protezione della Russia. Con altro atto fu confermato il principio della neutralizzazione del Mar Nero e quello della chiusura degli Stretti alle navi da guerra di tutte le potenze, già fissato nella convenzione di Londra del 1841. Inoltre, con atto del 15 aprile 1856, l'Austria, la Francia e l'Inghilterra s'accordarono per garantire l'integrità e l'indipendenza dell'Impero ottomano.

La costituzione del 1876. Guerra turco-russa. Il trattato di Berlino. Distacco di nuovi territorî. Difficoltà dell'applicazione delle riforme. - Gli anni che seguirono alla guerra di Crimea furono contrassegnati dallo sforzo crescente di migliorare, sotto i sultani ‛Abd ul-Megīd (1839-1861) e ‛Abd ul-‛Azīz (1861-1876), l'efficienza militare dell'impero; la flotta fu ricostruita con armamenti moderni, l'esercito fu istruito con sistemi europei. Cominciò allora anche un risveglio intellettuale e politico; un gruppo esiguo di patrioti si raccolse nell'associazione YeṅīOsmānlïlar "i nuovi Ottomani" formulando un programma di riforma costituzionale che portasse il popolo a partecipare al governo della cosa pubblica. La tendenza liberale costituzionale, era capeggiata da Midḥat Pascià (v.), quella conservatrice e reazionaria da Maḥmūd Nedīm Pascià (v.). Nel 1876 il partito liberale, deposto ‛Abd ul-‛Azīz e costretto ad abdicare anche il successore, il debole e incapace Murād V, ottenne dal sultano ‛Abd ul-Ḥamīd II la concessione della costituzione (23 dicembre 1876). Il 17 marzo 1877 si riunì il primo parlamento ottomano.

A questi avvenimenti interni non fu estraneo l'atteggiamento delle potenze e soprattutto della Russia, che, nel 1871, approfittando della guerra franco-turca e del turbato equilibrio europeo, aveva annullato per suo conto le clausole del trattato di Parigi (1856) relative al divieto di tenere forze marittime nel Mar Nero e proseguiva la propaganda a favore dell'ortodossia e dello slavismo nei territorî danubiani e balcanici. Sollevati i Romeni e i Bulgari, l'esercito russo penetrò nel 1877 in territorio ottomano, ebbe ragione della valorosa difesa di ‛Osmān Pascià a Plevna, varcò i Balcani al passo di Šipka e giunse alle porte di Costantinopoli, imponendo l'armistizio detto di Santo Stefano. Radunatesi le potenze a Berlino nel 1878, fu convenuto di riconoscere l'indipendenza del Montenegro (Qarādāgh dei Turchi) della Serbia e della Romania e di costituire un principato di Bulgaria e una provincia autonoma della Rumelia orientale (Bulgaria meridionale) sotto la sovranità della Porta. (Nel 1885 i Bulgari della Rumelia si sollevarono e proclamarono l'unione con la Bulgaria settentrionale, formando il regno di Bulgaria). Alla Grecia fu garantita una rettifica di frontiera, che portò alla cessione della Tessaglia (1881). L'Austria-Ungheria ottenne di occupare la Bosnia-Erzegovina (annessa nel 1908); l'Inghilterra riuscì ad occupare l'isola di Cipro. La questione degli Stretti fu liquidata con il mantenimento delle clausole relative alla loro chiusura alle navi da guerra con facoltà del sultano di lasciare passare in tempo di pace navi di potenze amiche ed alleate; la Russia fu libera di tenere navi ed arsenali nel Mar Nero. L'Impero ottomano s'impegnò inoltre di accordare regolamenti speciali alle provincie europee abitate da cristiani. Pochi anni dopo la Tunisia (1881) e l'Egitto (1882) furono occupate dalla Francia e dall'Inghilterra. L'Impero mantenne nell'Africa il solo possesso della Tripolitania e Cirenaica (Ṭarābulus-i Gharb) dove la Porta aveva ristabilito la sua sovranità diretta nel 1835. Dopo il 1878 il punto debole della Turchia diventò la questione della Macedonia e delle riforme promesse nel congresso di Berlino. Nel 1893 si formò l'organizzazione interna rivoluzionaria macedone i cui membri (comitagi, cioè affiliati ai comitati rivoluzionarî, o cetegi, cioè appartenenti a bande) presero a condurre la guerriglia contro le truppe turche regolari e irregolari (bāshïbōzūq).

In seguito a intervento della Russia e dell'Austria il sultano, con firmano del 2 dicembre 1902, stabilì per la Macedonia un piano di riforme, che fu successivamente modificato per imposizione delle due potenze (accordo di Mürzsteg del 1903); esso importava la nomina di due agenti civili russo e austro-ungarico presso l'ispettore generale ottomano in Macedonia, la riorganizzazione della gendarmeria sotto la direzione di un generale europeo (che fu l'italiano De Giorgi) e di ufficiali delle sei grandi potenze d'Europa, il riordinamento dell'amministrazione e della giustizia. Il prolungamento di questo stato eccezionale fu nuovamente imposto dalle potenze alla Porta nel 1905. Ma la Macedonia continuava a essere inquieta, devastata dagl'irregolari turchi e dalle bande cristiane. Anche l'Albania si agitava; il Libano aveva dal 1860 un regime speciale con un governatore cristiano. L'isola di Creta chiedeva l'annessione alla Grecia; l'appoggio dato da Atene ai Cretesi provocò la guerra turco-greca del 1897; la Grecia dovette consentire a una lieve rettifica di confine in Tessaglia e alla nomina del principe Giorgio di Grecia ad Alto commissario in Creta, che restò nominalmente dipendente dal sultano.

La seconda costituzione. La guerra italo-turca. Le guerre balcaniche. - Un nuovo spirito di libertà, insieme con il desiderio di salvare l'unità dell'impero, s'era maturato intanto nella classe più evoluta, particolarmente negli ufficiali. Salonicco era il centro di una cospirazione, che aveva guadagnato gran parte dell'esercito, animata dall'associazione "Unione e Progresso" (Ittiḥād ve Taraqqī), la quale aveva stretti legami con la massoneria europea, soprattutto francese. Il sultano ‛Abd ul-Ḥamīd II aveva lasciato decadere tacitamente la costituzione del 1876 e governava coi metodi del più rigido assolutismo. Egli era sostenuto dall'elemento conservatore e cercava di dare una base di sicurezza al crollante impero con la politica del panislamismo, che avrebbe dovuto raccogliere attorno al sultano-califfo le forze di tutti i musulmani suoi sudditi e l'appoggio materiale e morale dei musulmani di tutto il mondo. Ma il 13 luglio (24 nuovo stile) 1908 egli fu costretto da un pronunciamento delle truppe della Turchia europea a promulgare ancora la costituzione e il 27 aprile 1909 fu deposto in seguito a un tentativo reazionario fomentato dal suo seguito. Il nuovo governo, impropriamente detto in Europa dei Giovani Turchi, non valse a ritardare lo sfacelo dell'impero, anzi forse l'affrettò con la tendenza irreligiosa e con una politica di turchizzamento violento. Gli elementi non turchi, ossia Arabi, Curdi, Armeni, Greci, Serbi, Bulgari, Albanesi non aderirono all'appello di collaborazione dell'Unione e Progresso, sebbene il programma loro fosse presentato come una comune azione sotto la bandiera dell'ottomanesimo. A tutti i motivi di disgregazione dell'impero s'era aggiunto negli ultimi anni il movimento per l'indipendenza degli Arabi (dal 1905 circa) con centri di propaganda a Damasco, alla Mecca e al Cairo e nelle capitali europee. Gli Armeni pure si organizzarono in comitati rivoluzionarî; massacrati dai Turchi e dai Curdi delle provincie orientali e meridionali dell'Anatolia e di Costantinopoli nel 1894 e nel 1896, persistevano nella loro agitazione, che destava simpatie in Europa. Anche gli Albanesi si organizzavano per l'indipendenza.

Nel 1911-12 l'Italia occupò la Tripolitania, la Cirenaica e le isole dell'Egeo; mentre ancora durava la guerra italo-turca, gli Stati balcanici si allearono nel 1912 e mossero guerra alla Turchia (v. balcaniche, guerre). L'impero perdette la Macedonia, divisa tra Serbi e Greci, la Tracia occidentale toccata alla Bulgaria (1913) e le isole greche occupate dalla Grecia (tranne Imbro e Tenedo); la definizione delle sorti dell'Albania fu affidata alle grandi potenze.

La guerra mondiale. Fine dell'impero. - Nell'estate del 1914, quando ebbe inizio la guerra mondiale, la Turchia non era legata da impegni internazionali; il timore della Russia e la fiducia nelle forze tedesche (dal 1913 il generale Liman von Sanders si trovava in Turchia a capo d'una missione militare tedesca) la indussero il 2 agosto 1914 a firmare con la Germania un patto segreto d' alleanza che sarebbe entrato in vigore nell'eventualità di un attacco russo alla Turchia. Dal gennaio 1913 era al potere un ministero composto di gente affiliata al Comitato Unione e Progresso; vi predominavano Enver Bey (v.), Gemāl Bey (v.) e Ṭal‛at Bey. Uno scontro nel Mar Nero tra le navi russe e turche, rafforzate da due navi da guerra tedesche, trascinò la Turchia nel conflitto (29 ottobre 1914). La posizione della Turchia nella guerra era importantissima; un rapido successo degli alleati avrebbe potuto stabilire la comunicazione con la Russia e affrettare a loro favore l'esito finale; i Turchi aiutati dai Tedeschi resistettero nella penisola di Gallipoli facendo fallire il tentativo anglo-francese; in quelle azioni si distinse l'allora colonnello Muṣṭafà Kemāl Bey (aprile-agosto 1915). Un altro punto sensibile del teatro della guerra era il Canale di Suez; una spedizione turco-tedesca attaccò il Canale (gennaio-febbraio 1915), ma fu costretta a ritirarsi con gravi perdite. Sul fronte orientale i Russi minacciarono seriamente l'Anatolia e penetrarono fino a Erzerum; tuttavia il loro sforzo cessò con la rivoluzione interna. In Mesopotamia gl'Inglesi non poterono avanzare molto; invece nelle altre regioni arabe conseguirono successi mediante l'alleanza con lo sceriffo della Mecca e l'appoggio dei nazionalisti arabi; Gerusalemme cadde in loro potere il 9 dicembre 1917. La lunga guerra dimostrava che i Turchi dovevano ormai contare soltanto sulle proprie forze e che la comunanza di religione non bastava a tenere uniti gli Arabi all'Impero. L' invito alla guerra santa (gihād), rivolto dal sedicente califfo Maometto V, capo di uno stato ormai di tendenze antireligiose, non trovò risonanza nel mondo musulmano; tuttavia emissarî turchi e tedeschi riuscirono ad alimentare rivolte locali, specialmente in Africa. L'Impero ottomano accettò il 30 ottobre 1918 l'armistizio detto di Mudros (località dell'isola di Lemno); le trattative di pace si protrassero a lungo, mentre la Grecia occupava Smirne (16 luglio 1919) e s'ingolfava nella guerra anatolica e gli Alleati presidiavano Costantinopoli (16 marzo 1920). A Sèvres (10 agosto 1920) i delegati ottomani firmarono un trattato di pace, che importava: 1. cessione della Tracia ai Greci fino quasi ai sobborghi di Costantinopoli; 2. controllo interalleato su una vasta zona degli Stretti (compresa Costantinopoli); 3. regime speciale per Smirne e il suo territorio affidato all'amministrazione greca; 4. rinunzia ai paesi arabi dell'impero e alle isole dell'Egeo; 5. riconoscimento dell'indipendenza dell'Armenia entro confini da determinare; 6. autonomia locale del Kurdistān; 7. ripristino delle capitolazioni (abolite dalla Porta con dichiarazione unilaterale il 9 settembre 1914) sotto forma di un regime giudiziario misto. Inoltre Francia, Italia e Inghilterra con accordo in pari data si concertavano per dividersi le sfere d'influenza economica in Anatolia.

Il trattato di Sèvres non fu accettato dai nazionalisti di Angora, i quali dal 1919, sotto la guida di Muṣṭafà Kemāl, avevano iniziato la lotta per l'indipendenza (istiqlāl mügiādelesi). Il racconto degli avvenimenti del 1919-1922 appartiene anche alla storia della formazione della repubblica di Turchia (v.). Basti dire qui che, sconfitti i Greci in Anatolia in agosto-settembre 1922, fu concluso l'armistizio di Mudania (15 ottobre) e si giunse a sistemare la questione turca con il trattato di Losanna (24 luglio 1923). La Turchia rinunziò ai territorî arabi e ai possedimenti africani, ma riebbe la Tracia orientale; non si parlò più di cessione di Smirne né di Armenia indipendente, Kurdistān autonomo, privilegi e concessioni economiche e politiche. La questione degli Stretti fu definita con il principio della libertà di passaggio in pace e in guerra con alcune riserve, la smilitarizzazione della zona costiera e l'istituzione di una commissione internazionale di controllo. Il trattato di Losanna fu firmato per la Turchia dai delegati del governo della Grande assemblea nazionale. Il sultanato era stato soppresso dalla stessa assemblea il 1° novembre 1922 e da quella data era cessato di esistere l'impero ottomano. Il 29 ottobre 1923 fu proclamata la Repubblica di Turchia e il 3 marzo 1924 fu abolito il califfato (v. turchia).

L'impero ottomano fu l'ultimo grande impero islamico e rappresentò l'ultima fase di espansione dell'Oriente verso l'Occidente. Erede dell'impero turco dei Selgiuchidi e dell'impero di Bisanzio (il sultano infatti continua nella stessa titolatura la denominazione musulmana dell'imperatore bizantino) si esaurì rapidamente quando trovò barriere insuperabili all'ardore di conquista col quale era nato e cresciuto. Si è discusso sul carattere del suo ordinamento statale e specialmente sulle influenze bizantine, che gli avrebbero dato un'impronta particolare dopo la conquista di Costantinopoli. In realtà l'impero ottomano riprodusse, sviluppandolo, l'ordinamento interno dei precedenti stati musulmani, soprattutto dei Selgiuchidi, con qualche usanza turca; ma qualche influenza bizantina potrebbe riconoscersi, ad esempio, nel sistema di assegnazione dei tīmār; va notato che alcune analogie con istituzioni bizantine si devono spiegare anche con i rapporti corsi tra i Selgiuchidi e i Bizantini prima della formazione dell'impero ottomano. Alcuni usi e alcune applicazioni dell'arte della guerra e dell'ordinamento della marina vennero agli Ottomani per imitazione e importazione dagli stati europei, prima mediante l'opera dei molti rinnegati e poi con l'assunzione di istruttori e tecnici e con l'invio di studenti in Europa (seconda metà del sec. XIX).

Possiamo dire che l'indebolimento dell'Impero dipese da cause sia esterne (accresciuta potenza di stati confinanti) sia interne, in particolare dalla mancanza di coesione tra gli elementi che costituivano l'impero, diversi di razza, di lingua e di religione, tenuti soggetti al tempo della potenza conquistatrice, divisi poi da aspirazioni diverse e contrarie. Non si può dire che i popoli sottomessi fossero molto maltrattati nei primi secoli dell'impero, tenendo conto anche delle condizioni generali di quei tempi. Ma la discriminazione tra musulmani e non musulmani diventò una causa di disgregazione quando l'Europa cristiana tornò con nuova forza e autorità a influire sui destini dell'impero. Anche l'apparente unità religiosa, che il dominio ottomano aveva dato ai cristiani della penisola balcanica, estendendo l'autorità del patriarcato greco-ortodosso di Costantinopoli e abolendo il patriarcato bulgaro di Ochrida (1765) e serbo di Peć (1767) e favorendo così l'ellenizzazione dei paesi balcanici, si spezzò con il sorgere dei nazionalismi; l'istituzione dell'Esarcato bulgaro nel 1872 significò l'inizio dell'indipendenza bulgara.

Altra causa di debolezza risiedeva nell'instabilità delle cariche del governo centrale, nella mancanza di una classe dirigente, che si tramandasse l'onore e il carico del governo della cosa pubblica. Nei primi secoli i sultani furono assistiti da famiglie come i Giandarlï (che si trasmisero di padre in figlio la carica di ministro per tutto il sec. XIV), gli Evrenos, i Mīkhālōghlū, gli Isḥāqbey; in seguito prevalsero l'arbitrio, il capriccio e la venalità. L'impero ottomano difettò anche di un organismo economico capace di dare consistenza allo stato. L'elemento dirigente, il turco, prediligeva la carriera delle armi e degli uffici pubblici; le iniziative commerciali e industriali erano dovute a stranieri e a sudditi non musulmani: Greci, Armeni, Ebrei; l'attività bancaria era esercitata specialmente dai ṣarrāf "cambiavalute, banchieri" stranieri e levantini. La fondazione della Banca ottomana (1853) e della Banca dell'agricoltura (1888) ebbero tuttavia effetti benefici. I lavori pubblici (porti, strade, ferrovie) furono compiuti nell'ultimo secolo senza un programma definito e soltanto con il concorso di capitali stranieri, che aggravarono l'indebitamento dello stato.

Non si può dire che l'impero ottomano sia scomparso senza lasciare traccia alcuna. Nell'Africa settentrionale da Algeri a Tripoli i giannizzeri e i corsari turchi e levantini e, a Tripoli, il più recente diretto dominio turco (1835-1911) hanno influito parzialmente sulla composizione etnica delle popolazioni cittadine e della campagna adiacente (famiglie turche, tribù kologhle), sul lessico della parlata araba nelle città (un centinaio di parole turche, in via di eliminazione, a Tripoli). In Egitto l'apporto etnico e culturale è stato più intenso e si mantiene tuttora, non ostante i cambiamenti avvenuti dal 1882 in poi. Nei paesi arabi staccati dopo la guerra mondiale l'impronta del dominio ottomano, che nella penisola araba fu lievissima, va cancellandosi rapidamente, fuor che nella Siria settentrionale. Nella penisola balcanica conviene distinguere l'apporto etnico dei Turchi ‛osmānlīda quello anteriore dei Peceneghi, dei Comani e dei Turco-Tatari impiantatisi nella Bulgaria e alle foci del Danubio (Dobrugia, Silistria) tra il sec. X e il XIII. I Turchi ottomani e anatolici contribuirono anch'essi a modificare etnicamente la penisola; tribù turcomanne dell'Anatolia furono stabilite nei territorî conquistati; ma sarebbe errato credere Turchi tutti i musulmani esistenti o che esistevano nella Penisola Balcanica; essi sono per la massima parte discendenti di Albanesi, Bosniaci, Serbi e Greci che accettarono la religione musulmana per tornaconto (come fecero i proprietarî di terre della Bosnia allo scopo di conservare i loro beni) o per dissensi religiosi (come i Bogomili della Bosnia) o furono obbligati a diventare musulmani mediante il sistema di leva forzata dei giannizzeri. Con lo scambio delle popolazioni tra la Grecia e la Turchia effettuatosi tra il 1923 e il 1925, l'elemento musulmano turcofono si è ridotto in Grecia a circa 100.000 abitanti della Tracia occidentale, mentre in Albania, in Bulgaria, in Romania e in Iugoslavia rimangono notevoli gruppi musulmani parlanti turco, slavo e albanese. Il dominio ottomano nella penisola balcanica ha lasciato tracce nel vocabolario, nella toponomastica e negli usi, oltre che negli edifizî religiosi. Nelle isole del Mediterraneo restano 7000 Turchi a Rodi e 70.000 a Cipro.

Nella Tracia orientale e nell'Anatolia dal 1923 è sorta, sulle rovine dell'impero, la Repubblica di Turchia (Türkiye Cümhuriyeti), che ha ripudiato la denominazione di ‛osmānlī e ha stabilito la nuova capitale ad Angora, nel cuore dell'Anatolia.

Ordinamento interno dell'impero.

Per le basi giuridiche dell'ordinamento politico ottomano v. sopra, p. 790.

Il sultano e la corte. - Il sultano (Sulṭān, Pādishāh; nelle monete e nelle intitolazioni ufficiali anche shāh, khāqān, khān), "Gran signore" o "Gran turco" o "Signor turco" degli scrittori italiani del tempo, era il capo dello stato, con autorità assoluta nei limiti dell'osservanza della legge religiosa. I primi sultani seguirono un tenore di vita molto semplice e, come s'è visto, governarono direttamente e presero parte alle azioni di guerra; poi si appartarono dal popolo e si dedicarono ai divertimenti e alle cacce, mentre il cerimoniale di corte si complicava nello sfarzo e nel lusso. Selīm III e Maḥmūd II ripresero contatto con la cosa pubblica. Con il trattato russo-turco di Küčük Qainārge (1774) i sultani ottomani si arrogarono, di fronte all'Europa, la qualità di califfi, interpretata dagli Europei come equivalente a quella di capo della religione musulmana, e quindi abilmente sfruttata dai Turchi a scopo politico, come in occasione della pace italo-turca del 1912 per la Libia. La qualità di califfo fu apertamente attribuita ai sultani (benché in disaccordo con la dottrina musulmana) nella costituzione ottomana del 1870 e del 1908 e mantenuta nella famiglia ottomana quando fu abolito il sultanato (1° novembre 1922); ma durò pochi mesi e finì con l'abolizione del califfato (3 marzo 1924).

La corte del sultano dal sec. XV in poi risultò separata in due parti: pubblica e privata; alla prima sovraintendeva il capo degli eunuchi bianchi detto Qapï Aghasï "Agha della Porta (sultaniale)"; alla seconda presiedeva il capo degli eunuchi negri detto Qïzlar Aghasï "Agha delle donne". Il Serraglio (Sarāy) era presidiato dalle guardie qapïgï, bostāngï, balṭagï, ṣōlāq, peik; al suo servizio erano addetti i ciāush "messi" e i muteferriqah. Un gran numero di servi e confidenti (compresi i muti e i nani) attendevano ai servizî della cucina, delle scuderie, dei giardini e agli svaghi del palazzo. Dal sec. XVI in poi, cominciando da Solimano il Magnifico, crebbe nella corte l'influenza delle donne. Spesso la favorita (khāṣṣeki) disponeva a suo talento della volontà del sovrano e dei ministri e se il figlio saliva al trono continuava come sultana-madre (vālide) a ingerirsi negli affari della corte e dello stato. Sono noti i nomi di Khurrem (Rosselana), favorita di Solimano il Magnifico, Nūr Bānū, un'ebrea, favorita di Selīm II e madre di Murād III, Ṣafiyyeh, forse una Baffo di Corfù originaria da Venezia, favorita di Murād III e madre di Maometto III, Kösem Māh-peiker, favorita di Aḥmed I, la vālide Turkhān, madre di Maometto IV. Gl'intrighi di corte erano aggravati dall'uso di dare principesse in moglie a ministri e capi militari che diventavano generi (dāmād) o cognati del sultano. I primi sultani contrassero legami di matrimonio con famiglie principesche turche dell'Anatolia (i Ghermiyān, i Qaramān) e cristiane della Balcania (Paleologhi, re di serbia); dopo Maometto II quest'uso cessò e le mogli e le concubine dei sultani furono per lo più schiave greche, slave e circasse.

Nella casa ottomana non esisteva una legge di successione; a ‛Osmān succedette nel 1326 il figlio Ōrkhān, che fonti posteriori agli avvenimenti dicono essere stato minore dell'altro figlio ‛Alā ud-Dīn. In seguito vediamo in pratica, ma non per disposizione di legge, succedere al sultano defunto il maggiore dei figli viventi e si afferma l'uso di uccidere i fratelli del nuovo sultano. La trista usanza fu inaugurata da Bāyazīd I, salito al trono nel 1389, fu interrotta con Aḥmed I, chè nel 1603 risparmiò la vita al fratello Muṣṭafà, il quale gli succedette sul trono (1617). Da allora alla moltiplicazione degli eredi si ovviò con la soppressione dei nati e si andò stabilendo nella pratica, ma non per legge, il principio della successione del maggiore della dinastia (seniorato). Dalla fine del sec. XVI i principi del sangue vissero nel ḥarem imperiale segregati dal resto del mondo, con poca esperienza quindi degli affari dello stato e della situazione del paese. Il sultano ‛Abd ul-‛Azīz cercò di far sancire il principio della successione in linea diretta discendente maschile, come chiese e ottenne nel 1866 il khedive d'Egitto; ma incontrò opposizione. Il principio del seniorato (successione del principe più anziano della famiglia) fu introdotto nella costituzione del 1876 (art. 3) e confermato in quella del 1908.

Il governo. I ministri. - L'organizzazione del governo si compì assumendo nel sec. XV, sotto Maometto II, la forma che mantenne con poche modificazioni fino a un secolo fa, con la suddivisione in diversi grandi uffici, detti in turco qapï "Porta".

La Porta del gran visir o Sublime Porta (bāb-i ālī) sovraintendeva agli affari generali dello stato. Il sultano fu assistito dapprima da un solo ministro (vezīr, da cui il nostro visir), poi da parecchi, alcuni onorarî; il primo ministro, già al tempo di Maometto II aveva il titolo di vezīr-i aẓam (anche ṣadr-i aẓam), nell'uso europeo "gran visir". Il re'īs ulkuttāb o re'īs Efendi, poi ministro degli Esteri, era alle sue dipendenze. Quando il gran visir andava personalmente a capo delle spedizioni militari, lasciava a Costantinopoli il suo luogotenente ('im-maqām o kiāhya), specie di ministro degli Interni. Il gran visir aveva in consegna il sigillo dello stato. Lo sheikh ul-Islām, o primo muftī, che presiedeva agli affari religiosi e giudiziarî, acquistò importanza sotto Maometto II; veniva subito dopo il gran visir. La fetwà (v.) "parere" dello sheikh ul-Islām serviva di norma per decisioni talora importanti, ma spesso lo sheikh ul-Islām era strumento del sultano e di ministri. I Defterdār amministravano le finanze statali.

Gli affari dello stato erano discussi nel Consiglio imperiale (dīvān-i humāyūn), un tempo presieduto dal sultano; vi intervenivano il gran visir, i due giudici supremi detti qāẓīasker (l'uno per la Turchia europea o Rūmeli, l'altro per l'Anatolia), i Defterdār, il Nishāngï (cancelliere). Dal 1830 in poi si costituì un consiglio dei ministri di tipo europeo presieduto dal gran visir.

Divisioni territoriali e amministrative. - Il territorio era diviso in eyāleh "grandi provincie", governate da un beylerbey "bey dei bey", che alla fine del sec. XVI, epoca della massima estensione, erano le seguenti: 1. Rūmeli ("paese dei Rūm" o Turchia europea, poi suddivisa nelle eyāleh di Rūmeli, Silistria, Morea); 2. Bosnia; 3. Temesvár; 4. Buda (Budin in turco); 5. Anatolia (Anadolu); 6. Qaramān; 7. Isole dell'Egeo (gezā'ir-i baḥr-i sefid), comprese Gallipoli e Smirne, dipendenti dal Qapūdān Pascià o Qapūdān-i Deryā "capitano del mare", comandante della flotta ottomana; 8. Cipro; 9. Dhū 'l-Qadriyyeh (Malatia, ‛Aintāb ecc.); 10. Rūmiyyeh-i Ṣughrà "Piccola Romania" (centro a Sīvās); 11. Erzerūm; 12. Shām (Damasco e Palestina); 13. Tripoli di Siria; 14. Aleppo; 15. Raqqah (sede Ūrfā); 16. Qārṣ; 17. Ciāldir; 18. Trebisonda; 19. Caffa (Crimea); 20. Mossul; 21. Diyārbekr; 22. Vān; 23. Baghdād; 24. Baṣrah; 25. el-Aḥsā (Golfo Persico); 26. Yemen; 27. Ḥabesh (Abissinia, propriamente i porti di Massaua, Sawākin e Gedda); 28. Egitto. Nel sec. XVII si aggiunse la eyāleh di Creta (Grīd).

Le tre provincie di Tripoli, Tunisi e Algeri avevano un ordinamento speciale ed erano chiamati Gharb ōgiāqlarï "Ogiāq di Ponente". Il Ḥigiāz, governato dallo sceriffo della Mecca, aveva un regime privilegiato. I seguenti territorî erano vassalli della Porta; la Crimea governata da un khān; la Valacchia (Eflāq) e la Moldavia (Boghdān) governate da principi locali, poi, dal sec. XVIII, dai Fanarioti (v. fanaro) mandati dalla Porta; la Transilvania (Erdel) governata da un principe magiaro. La repubblica di Ragusa dal 1459 pagò, quasi regolarmente, un tributo annuo, conservando la sua nominale indipendenza fin che fu annessa all'Austria (1815).

Le eyāleh si suddividevano in sangiaccati (sangiāq), governati da bey e, in sottordine a questi, da ṣūbāshï.

Questo ordinamento sussistette fino all'inizio del sec. XIX; nel 1864 fu attuato un primo ordinamento delle provincie, dette da allora vilāyet.

Alla vigilia della guerra mondiale l'impero ottomano comprendeva:

1. possedimenti immediati: 23 vilāyet d'Asia e d'Europa (e precisamente Adrianopoli, Costantinopoli, Khudāvendghiāṛ o Brussa, Āydïn, Angora, Qōnya, Adana, Diyārbekir, Ma‛mūret ul-‛Azīz, Sīvās, Qasṭamūnī, Trebisonda, Vān, Bitlīs, Erzerūm, Aleppo, Siria o Damasco, Beirut, Ḥigiāz, Yemen, Baṣra, Baghdād, Mossul); 12 livà autonomi (Ciatālgia, Dardanelli, Qarasï, Izmīd, Bōli, Giānīk, Ūrfā, Libano, Gerusalemme, Deir ez-Zōr, Medina, ‛Asīr). I vilāyet erano divisi in 59 livà, questi erano suddivisi in 422 kazà, che si suddividevano in nāḥiyeh;

2. possedimenti mediati: a) territorî occupati e amministrati da stati stranieri: l'isola di Aḍah Qal‛eh sul Danubio, dal 1878 sotto la sovranità ottomana, con un mudīr turco e un presidio austriaco; Cipro occupata dagl'Inglesi nel 1878; Rodi e le isole dell'Egeo occupate dall'Italia nel 1912; b) stati semisovrani: Egitto (e Sūdān) occupato dagli Inglesi nel 1882.

Ordinamento militare. - L'impero ottomano ebbe nel periodo di maggiore potenza un saldo ordinamento militare. I primi sultani si valsero di armati turchi e di prigionieri di guerra e mercenarî, tanto a cavallo (musellem) quanto a piedi (yāyā); la milizia appiedata fu riorganizzata nella seconda metà del sec. XIV con il corpo dei Yeṅīčerī "giannizzeri" (v.).

Le forze militari all'epoca del maggiore sviluppo dell'impero erano costituite da tre categorie di armati:

a) truppe permanenti stipendiate, residenti a Costantinopoli in caserme, quando non fossero impegnate in campagne di guerra, o stanziate in fortezze all'interno e sui confini dell'impero; erano dette Qapïqulu "schiavi della Porta", cioè "servi" del sultano. Predominavano in questa categoria i giannizzeri.

b) truppe territoriali (tōprāqlī) a cavallo dette sipāhī, fornite dalle provincie mediante un ordinamento speciale che sarebbe improprio chiamare feudale. Le terre dei non musulmani conquistate in Anatolia e in Europa erano considerate terre dello stato (erz-i memleket); le imposte gravanti su di esse venivano per lo più assegnate a soldati, funzionarî, gente della corte. Questi assegni, detti, con parola d'origine persiana, tīmār o, con termine generale, dirlik "mezzo per vivere", si distinguevano secondo l'entità loro, in tīmār, ziāmet o khāṣṣ. I beneficiarî dei tīmār (detti sipāhī o süvārī o tīmārgï, "timarioti" dei nostri scrittori) erano obbligati in caso di guerra e proporzionalmente alle rendite a intervenire di persona con cavallo e armi e a fornire un certo numero di uomini armati a cavallo (gebeli "corazzati" e ghulām "serventi"), i quali si riunivano sotto i rispettivi čerībāshï o ṣūbāshï, alāybey, sangiaqbey e beylerbey, affluendo là dove la Porta li chiamava.

c) truppe degli stati vassalli, specialmente Tatari della Crimea, cristiani della Transilvania e dei principati danubiani. Durante le campagne di guerra si univano ai corpi regolari anche milizie irregolari di gönüllü "volontarî" e āqïngï "invasori, guastatori" ecc.

In molti territorî (Egitto, Mesopotamia, Arabia, Siria, Isole dell'Egeo) non vigeva il sistema del tīmār; le imposte fondiarie e d'altro genere erano riscosse direttamente e spedite alla cassa dello stato, dopo detratte le somme occorrenti a pagare i soldati e i funzionarî; queste provincie erano dette sālyāneh. Anche nei territorî vassalli della Crimea e dei principati danubiani, come negli ōgiāq di Tripoli, Tunisi e Algeri, non vigeva l'istituzione del tīmār. Alcune terre poi erano esentate da imposte e affidate come ōgiāqlïq o yūrtluq a difensori di zone di confine e a famiglie benemerite, ad esempio ai Curdi in seguito all'aiuto prestato a Selīm I contro i Persiani; in questi territorî si formarono perciò grandi proprietà terriere (derebeylik).

Tanto le milizie permanenti quanto le territoriali, dopo essere state lo strumento della potenza ottomana, furono cagione del suo indebolimento. I giannizzeri diventarono turbolenti, indisciplinati, imbelli quando il governo centrale decadde e al sistema di reclutamento sopra illustrato si sostituì l'arruolamento dei figli dei giannizzeri e l'infiltrazione di elementi profittatori, che miravano solo ad avere il foglio d'iscrizione nei registri delle compagnie per ricevere le paghe. Lo stesso avvenne dei sipāhī pagati direttamente dalla Porta; le milizie territoriali diventarono meno numerose e valide con la perdita di provincie e con la disorganizzazione del sistema finanziario che le alimentava (appalto, iltizām, di terreni demaniali a fraudolenti accaparratori). A riformare l'esercito pensarono fin dal sec. XVIII i sultani Maḥmūd I e ‛Abd ul-Ḥamīd I (1774-1789); quest'ultimo formò un corpo di 2000 artiglieri e vietò la vendita dei fogli d'iscrizione nel corpo dei giannizzeri. Selīm III istituì il niẓām-i gedīd, che non ebbe successo; Maḥmūd II (1808-1839) condusse a compimento il suo disegno, distrusse nel 1826 i giannizzeri (il fatto è ricordato dagli storici turchi come vaqah-i kheiriyyeh "il fausto avvenimento") e li sostituì con gli eskingi, chiamati poi ‛asākir-i moḥammediyyeh, comandati da un serasker, che prese il posto dell'Agha dei giannizzeri. Maḥmūd II abolì anche l'istituzione dei tīmār e dei ziāmet (che davano ancora da 20 a 30.000 sipāhī).

I beneficiarî rimasti furono compensati con pensioni.

Gli equipaggi della marina erano costituiti specialmente da abitanti delle coste del Mar Nero, del Mar di Marmara e dell'Egeo; sulle galere e negli arsenali lavoravano molti schiavi cristiani, per lo più addetti alla fatica dei remi. Il sultano Maḥmūd II, dopo la rivoluzione greca del 1821, allontanò dalla marina i Greci che non davano più affidamento.

Le finanze. - Le entrate dello stato erano costituite dai seguenti cespiti: le prede di guerre (ghanā'im); la gizyah (detta anche usualmente kharāǵ, negli scrittori italiani "caraggio"), ch'era un'imposta personale (capitatio) pagata dai sudditi non musulmani; l'imposta fondiaria proporzionale detta ‛ushur ("decima") sui prodotti delle terre; l'imposta fondiaria fissa (cift resmi); imposte sul bestiame, sui molini, ecc.; diritti doganali, appalti, tasse di consumo, tributi di stati vassalli e tributarî ecc. Il modo di divisione e di percezione delle imposte variò con i tempi ed i luoghi e fu regolato successivamente con qānūn dei sultani. Occorre tenere presente che fino agli inizî del sec. XIX le imposte gravanti sulle terre demaniali in gran parte dell'impero, specie nella Turchia europea, non erano versate direttamente allo stato ma erano riservate, come beneficio, ai possessori dei tīmār, come s'è detto sopra. La gizyah (kharāǵ) dei non musulmani fu abolita nel 1855 e ristabilita sotto forma di imposta per l'esonero dal servizio militare e poi nuovamente soppressa nel 1909.

La moneta base turca per molti secoli fu l'āqče ("bianco"; cfr. greco aspron), d'argento; al tempo di Solimano I (1520-1566) un āqče valeva 1/60 di zecchino veneziano, poi peggiorò; alla fine del sec. XVI valeva circa 1/100 e nel 1622 era sceso a 1/130. Gli āqče erano computati a kīse "borsa" = 500 āqče e yük "soma o peso" = 100.000 āqče; all'inizio del sec. XVIII fu introdotta l'unità monetaria qurush "piastra", divisa in 40 pārā. Si coniarono anche monete d'oro con varî nomi (altïn, sherīfī, megīdī ecc.). Il primo a coniare monete fu il sultano Ōrkhān. Le monete di Venezia e di altri stati europei ebbero sempre corso in Turchia.

Una considerevole fonte di entrate era quella delle fondazioni musulmane, waqf, pron. turca vaqïf, il cui reddito serviva agli edifici del culto, a opere di utilità pubblica e alle scuole religiose (medrese).

L'impero ottomano non contrasse prestiti esteri fino al 1854. Il Debito consolidato anteriore al 1881 era di 63 milioni di lire turche; tra il 1881 e 1908 furono contratti altri prestiti per 51 milioni e nel 1908-1910 si aggiunsero 16 milioni.

Il bilancio statale del 1909-1910 prevedeva entrate per 25.078.962 e spese per 27.998.440 lire turche, di cui 8.742.336 erano riservate al pagamento degl'interessi e all'ammortamento del debito pubblico.

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Un'importante raccolta di documenti turchi, non tutti attendibili, intitolata Münsha'āt us-Salāṭīn fu composta da A. Ferīdūn nel 1574 e pubblicata a Costantinopoli in due ediz. nel 1264-1265 e 1274-1275 ègira; in parte analizzati da J. Rypka, Briefwechsel der Hohen Pforte mit den Krimchanen, in Festschrift G. Jacob, Lipsia 1932. Tra le raccolte moderne di documenti turchi editi in Turchia vanno citate quelle di A. Refīq, Costantinopoli nei secoli X, XI, XII, XIII dell'ègira (in turco), Costantinopoli 1916-32, voll. 4.

Fonti turche (cronache): Sono elencate con notizie bio-bibliografiche da F. Babinger, Die Geschichtsschreiber der Osmanen und ihre Werke, Lipsia 1927. Di pochissime esistono traduzioni più o meno attendibili in lingue europee. Per le prime fonti si veda P. Wittek, Zum Quellenproblem der ältesten osm. Chroniken, in Mitt. f. osm. Geschichte, 1921; F. Giese, Altosmanische Chroniken (testo e trad.), Breslavia e Lipsia 1922 e 1925; F. Babinger, Die frühosmanischen Jahrbücher des Urudsch, Hannover 1925.

Opere turche moderne: ‛Abd er-Raḥmān Sheref, Ta'rīkh-i devlet-i osmāniyyeh, 2ª ed., Costantinopoli 1892-93; Muṣṭafà Nūrī, Netā'iǵ ul-vuqūat, 2ª ed., ivi 1909-1910; A. Gevdet, Ta'rīkh, voll. 12, 3ª ed., ivi 1891-1892; A. Luṭfī, Ta'rīkh, voll. 8, ivi 1273 (1910); M. Sureyyā, Sigill-i osmānī (biografie), voll. 4, ivi 1890-97; Shems ud-Dīn Sāmī Frāsheri, Qāmūs ul-Alām (Dizionario biografico e geografico), voll. 6, ivi 1889-98; Aḥmed Rāsim, ‛Osmānlï Ta'rīkhi, voll. 4, ivi 1914-17; Kāmil Pascià, Ta'rīkh-is iyāsī-i devlet-i aliyyeh-iosmāniyyeh, voll. 3, ivi 1909-1910; Aḥmed Refiq, Köprülüler, Ṣoqollu, Sulṭān Gem, ecc., varî volumetti (cfr E. Rossi, Gli studi di storia ottomana in Europa e in Turchia nell'ultimo venticinquennio, in Oriente moderno, VI [1926], pp. 443-460); Tarih, III, ivi 1931, a cura della Società per lo studio della storia turca.

Fonti bizantine: cronache di N. Gregoras, G. Pachimere, G. Cantacuzeno, G. Franza, D. Calcondila.

Prime relazioni europee, viaggi, storie dei primi secoli: B. de la Broquière, Voyage d'outremer, Parigi 1892; H. Schiltberg, Reisebuch (1394-1427), Tubinga 1885; [Mühlbacher], Tractatus de moribus turcarum, edito nel 1481; Angiolello, Come l'anno 1468, ecc., Vicenza 1881; L. Bassano da Zara, I costumi e i modi particolari della vita dei Turchi, Roma 1545; G. A. Menavino, Trattato de' costumi et vita de' Turchi, Firenze 1548; A. Cambini, Della origine dei Turchi e impero degli Ottomani, ivi 1539; G. Spandugino, Dell'origine dei principi turchi, Venezia 1551; 1ª ed., Parigi 1519; P. Giovio, Comm. delle cose dei Turchi, Venezia 1535; Donà da Lezze, Historia turchesca, ed. da L. Ursu, Bucarest 1910; Guer, Mœurs et usages des Turcs, Parigi 1576; F. Sansovino, Hist. univ. dell'origine et imperio de' Turchi, Venezia 1568; id., Gli annali ovvero le vite dei principi della Casa ottom., ivi 1571; Lonicerus, Chronicorum turcicorum, Francoforte 1578; Leunclavius, Annales Sultanorum, ivi 1588; id., Historiae, ivi 1591; M. Crusius, Turco-Graecia, Basilea 1584; A. Geropoldi, Bilancia storico-politica dell'Impero Ottomano, Venezia 1686; L. Soranzo, L'Ottomano, Napoli 1600; G. Sagredo, Memorie storiche de' monarchi ottomani, Bologna 1674; N. Formanti, Historie delle vite degli imperatori ottomani, Venezia 1684; D. Cantemir, Histoire de l'Empire Ottoman, Parigi 1673; R. Knolles, General History of the Turks, Londra 1605; id., contin. Ricaut, Londra 1687-1700; R. Montecuccoli, Memorie, Colonia-Ferrara 1704; M. W. Montague, Lettere, traduzione italiana. Corfù 1838; V. Abbondanza, Dizionario storico delle vite di tutti i monarchi ottomani, Roma 1786.

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Riviste speciali: Ta'rīkh-i Osmānī enǵümenin meǵmūasï (Rivista del Comitato di storia ottomana; dal 1908 al 1923; dopo il 1924 intitolata Türk Ta'rīkh Enǵümenin Meǵmū'asï, cessata nel 1931, in turco); Mitteilungen zur osmanischen Geschichte, I-II, Vienna 1921-1926.

Si veda anche la bibliografia data per i singoli sultani e alle voci albania; balcanica; regione; bulgaria; costantinopoli; egitto; giannizzeri; turchi; turchia.

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