Il sistema monetario

Storia di Venezia (1995)

Il sistema monetario

Louise Buenger Robbert

Nel dodicesimo secolo Venezia era già una potenza marittima nel Mediterraneo orientale. Essa rivendicava il controllo sul mare Adriatico settentrionale, e le sue navi navigavano alla volta di Costantinopoli, verso i paesi delle crociate e l'Egitto. Da Rialto, centro degli affari e della vita commerciale di Venezia, i mercanti ed i proprietari terrieri estendevano i loro affari sin nel lontano entroterra italiano. Sale, legname, grano, vino e tessuti di lana prodotti in Europa venivano scambiati con spezie, medicinali, profumi, coloranti, carta, avori, perle, pietre preziose e tessuti pregiati provenienti da Costantinopoli, Acri ed Alessandria. Il presente saggio intende descrivere il sistema monetario di Venezia, che facilitava questo tipo di attività commerciale.

I1 sistema monetario è un sistema di rapporti e correlazioni fra monete di diverso tipo. Anzitutto bisogna chiedersi: cos'è il denaro? Il denaro è il mezzo con il quale gli uomini misurano il valore delle proprie merci ed il valore richiesto sulle merci del vicino. In altre parole, il denaro è un mezzo di scambio o meglio un'unità di misura del valore. Dal momento che il denaro può essere rappresentato sia da merce, sia da moneta, sia da denaro di conto, oppure da crediti, il termine "sistema monetario" implica un'ordinata connessione fra merci, monete, denaro di conto e credito, in un dato luogo. Un sistema monetario cambia continuamente secondo le direttive governative e secondo i cambiamenti di mercato dovuti alle iniziative di intraprendenti uomini d'affari. Tenendo conto delle fonti a nostra disposizione, possiamo soltanto tentare di capire che cosa i Veneziani del Medioevo usassero quale mezzo di scambio e quale standard di valore.

I Veneziani del XII secolo misuravano le loro obbligazioni finanziarie in termini di monete di conto (lire, soldi e denari) in quanto in quel tempo Venezia non possedeva monete abbastanza grandi da rappresentare la lira o il soldo ed anche perché non erano in circolazione abbastanza denari da soddisfare la richiesta (1). I pagamenti venivano effettuati in verghe (d'oro o d'argento), in moneta o in natura. Questo si verificava sia per piccoli pagamenti riguardanti merci, servizi e beni immobili, sia per obbligazioni più consistenti, come quelle riguardanti il commercio internazionale e le spese governative. La documentazione rimastaci dimostra che l'economia veneziana del XII secolo era andata ben oltre lo stadio naturale con larga diffusione del baratto, sebbene tale sistema talvolta venisse ancora impiegato.

Nel XII secolo Venezia usava il sistema monetario e di pesi carolingi comune a tutta l'Europa occidentale. Carlomagno aveva istituito una riforma di pesi e misure seguita ne1 790 circa da una riforma monetaria di grande importanza (2). Egli dichiarò che il solidus, il peso romano più antico, ed anche moneta, corrispondeva a 12 denari; che la libra, un peso romano più grande, equivaleva a 20 soldi oppure 240 denari; ma che le zecche dovessero emettere soltanto denari. In questo modo il sistema monetario carolingio aveva soltanto una moneta (il denaro) e due immaginari multipli di questa moneta (il soldo e la lira) più adatti a transazioni più ingenti. Come ha detto Carlo Cipolla, la lira e il soldo erano "monete fantasma ", rappresentavano valori d'uso comune ma non esistevano come monete effettive, venivano usate soltanto come monete di conto (3).

Il sistema monetario carolingio unì l'Europa fintanto che ciascun denaro emesso mantenne lo stesso peso e lo stesso titolo di qualsiasi altro denaro carolingio, fintanto che ogni zecca accettò la stessa misura di peso e fintanto che un forte governo centrale riuscì ad imporre una tecnologia locale identica a quella carolingia e a non alterare la coniatura. Ma ciò non era destinato a durare. I successivi regnanti carolingi alterarono il peso base della lira (4). I signori feudali locali, che ormai controllavano le zecche, trovarono vantaggioso svalutare la coniatura. Di conseguenza il sistema monetario europeo del XII secolo venne unificato solo dalla terminologia. Venne accettato da tutti il principio che 1 lira corrispondeva a 20 soldi e a 240 denari (1 lira = 20 soldi = 240o denari), ma ogni zecca locale emetteva denari leggermente differenti. In questo modo ogni lira veniva identificata in base al proprio denaro e molti denari di peso e titolo diversi circolavano in Europa. Il cambiavalute ed il mercante dovevano identificare ogni moneta usata e stimarne il valore in base ad uno standard. Questo standard era la lira in denari della zecca locale.

Riassumendo, generalmente i Veneziani del Medioevo presentavano i loro conti e registravano i loro contratti in termini di conto, cioè in lire-soldi-denari. Effettuavano i loro pagamenti in monete d'argento o monete in lega di argento e rame emesse dalle zecche italiane, in monete d'oro, in lingotti d'argento o d'oro, oppure in merce.

Venezia nel 1150 non coniava monete, sebbene avesse una zecca operante già molto tempo prima di questa data. La zecca veneziana ebbe origine tra 1'819 e 1'822, quando Venezia emetteva denari che portavano il nome dell'imperatore carolingio Luigi il Pio sul recto, e "Venezia" sul verso. Sebbene Venezia non fosse stata conquistata dai Carolingi, il partito a loro favorevole batté queste monete, probabilmente per facilitare il commercio con 1'Impero (5). Dall'822 fino all'855, anno della morte dell'imperatore Lotario, durante il declino del potere carolingio, Venezia probabilmente emise due altri denari, ma questi sopravvivono soltanto in rarissimi esemplari e privi di una coeva documentazione scritta (6). Allorché gli imperatori Ottoni apparvero in Italia nel X secolo, Venezia coniò anche questa volta un denaro con il nome della città sul verso e con l'iscrizione "Cristo regna" sul recto (7). Nell'XI secolo sotto gli imperatori Salici, le zecche veneziane continuarono a lavorare, emettendo denari con il nome dell'imperatore, "Enrico", sul recto, e "Venezia" sul verso. I denari "Enrico ", coniati tra il 1056 e il 1125, vennero progressivamente svalutati, e diminuiti nel titolo da 250 a 220/1.000 e nel peso da grammi 0,828 a grammi 0,414. Queste monete recavano sul verso la scritta "S. Marco di Venezia" (8). Dopo il 1125 la zecca di Venezia apparentemente cessò di emettere monete (9). Verso la metà del XII secolo i Veneziani ricorsero ancora occasionalmente alla moneta di conto, basata sul denaro veneziano, la "lira dei denari nostri" (libra denariorum nostre monete). Molto frequentemente, tuttavia, adottarono lo standard di Verona (10).

Anche la città di Verona aveva avuto una zecca imperiale sin dai tempi carolingi ed essa aveva continuato a funzionare nel XII secolo. La lira di Verona (libra denariorum veronesium) corrispondeva a 240 denari di Verona. Anche i Veronesi avevano prodotto denari con il nome "Henricus" sin dal 1056 per gli imperatori Enrico IV, Enrico V, Lotario II, Corrado III e durante i primi anni del regno di Federico Barbarossa, cioè dal 1056 circa fino al 1185 (11). Questi circolavano in tutto il Veneto. Consistevano in piccolissime monete in lega d'argento e rame di forma concava(12). Il 56% dei documenti veneziani sopravvissuti contenenti riferimenti al denaro fra il 1151 e il 1183 si riferiscono a questa lira di Verona (13).

A Venezia, per acquisti, affitti, lavori su terra da arare, foreste, paludi o acquitrini, tratti di spiaggia e saline si richiedevano non solo pagamenti in denaro e moneta di conto ma anche pagamenti annuali in natura. In aggiunta ai pagamenti in natura questi accordi di solito prevedevano anche il pagamento di uno o due denari. Spesso i proprietari terrieri veneziani ricevevano in pagamento sale e vino dai loro affittuari. Talvolta essi misuravano il vino secondo il volume, ma molto spesso il proprietario richiedeva un terzo di "quanto Dio aveva elargito" alla vendemmia. I pagamenti in sale al padrone venivano misurati in base alla quantità di sale raccolto in estate in un determinato numero di giorni in ciascuna salina. L'affittuario si impegnava a portare al padrone con la propria barca il vino e il sale messi in contenitori (14). L'affittuario che creava un nuovo vigneto o una nuova salina aveva tempo da tre a cinque anni prima che il padrone gli chiedesse un pagamento in natura. Altri pagamenti in natura erano galline, grano, una spalla di porco, olio per illuminazione, incenso, legname e tela di lino. Raramente i proprietari chiedevano agli affittuari ospitalità, o un pasto o una focaccia (15). Il numero ridotto di pasti negli esempi che possediamo testimonia una schiacciante superiorità di un'economia del denaro nel XII secolo a Venezia. Gli affitti per case sia in legno che in pietra nelle lagune veneziane erano fissati in denaro piuttosto che in natura.

Tabella

Due esempi del XII secolo riferiscono di affitti annuali di singole proprietà totalmente pagati in natura. La soluzione nel 1195 di una lite tra il monastero della SS. Trinità in Brondolo e il convento veneziano di S. Zaccaria descrive i proventi delle saline che il monastero aveva ricevuto dal convento. Tredici saline fruttavano tutto il sale raccolto in 32 giorni. Nello stesso anno due altri affittuari si impegnavano a pagare al monastero annualmente il raccolto di sale di 21 giorni da un'altra salina; e ventisette uomini appartenenti ad un consorzio acconsentivano a pagare al monastero 2 giorni di raccolta di sale. Così il monastero nel 1195 riceveva 55 giorni di raccolta di sale. Siccome i documenti dell'anno successivo riportano altri 13 giorni di raccolta di sale dovuti da altri affittuari, il monastero probabilmente riceveva annualmente più di 68 giorni di raccolta di sale (17).

Molto enigmaticamente, nel settembre 1148, il parroco di S. Lorenzo di Ammiana, sito sul Lido delle Vignole vicino a Torcello, nominò due agenti per raccogliere tutti i polli dovuti alla chiesa. Essi raccolsero da 47 persone diverse 95 polli e mezzo (18). È probabile che questi servissero per un pranzo in parrocchia: calcolando che un pollo poteva bastare per quattro persone, il pranzo festivo in parrocchia avrebbe dovuto nutrire 382 persone.

Questi stessi ordini religiosi ricevevano anche altri proventi oltre ai 68 giorni di raccolta del sale o i 95 polli e mezzo. È provato che nella decade dal 1190 al 1199 anche l'abate della SS. Trinità in Brondolo riceveva entrate consistenti in un quarto di frutta, una spalla di porco oppure due galline da uova, due focacce, granaglie, un terzo di vino, tessuto di lino, ed un pasto durante la vendemmia (19). Nel XII secolo come oggi, i beni immobili spesso procuravano al proprietario merce anziché denaro contante.

Abbiamo visto che nel XII secolo, per i pagamenti domestici, i Veneziani usavano la lira di Verona, la libra denariorum nostre monete e merci. Per obbligazioni all'estero occasionalmente effettuavano pagamenti in verghe d'oro o d'argento, il cui peso veniva misurato in marchi (20). Ad esempio, nel gennaio 1181, il procuratore di S. Marco a Venezia pagò 72 marchi d'oro e 200 marchi d'argento ad Arcibaldo, cavaliere dell'ordine ospedaliero di S. Giovanni di Gerusalemme nonché priore della casa veneziana di S. Egidio. Essi misurarono la verga secondo il peso standard di Colonia (21). Nel XIII secolo, sia la verga d'oro che quella d'argento venivano analizzate equindi certificate da funzionari della zecca veneziana, prima di entrare nel commercio internazionale (22).

I mercanti veneziani, quando viaggiavano all'estero, adottavano il sistema monetario in uso nelle sedi straniere nelle quali si trovavano. Nel XII secolo, in terraferma essi usavano le lire di Lucca in Toscana, le lire imperiali in Lombardia, i tarì nel Sud dell'Italia e i denari Friesacher nel patriarcato di Aquileia. I Veneziani usavano regolarmente il denaro in oro straniero per il commercio con l'Oriente, in quanto l'oro valeva più dell'argento ed era il mezzo di scambio accettato nel Mediterraneo orientale (23).

Lo standard dell'oro bizantino era stato accettato per secoli nel Mediterraneo orientale e Venezia continuava a mantenere stretti legami politici e commerciali con Costantinopoli, dove nel XII secolo i Veneziani mantenevano i loro banchi di cambio (24). Similmente i mercanti veneziani del XII secolo conoscevano il dinaro d'oro egiziano (che essi chiamavano "bisante") così come conoscevano il "bisante massamutino" del Mediterraneo occidentale e il bisante del Regno latino di Gerusalemme (25).

Il sistema monetario bizantino era stato riorganizzato dal 1081 al 1118 dall'imperatore Alessio Comneno, il quale, salito al trono, aveva trovato l'economia dello Stato bizantino in completo disordine. Nella sua riorganizzazione della coniatura sostituì il solido (la precedente principale moneta bizantina) con 1'hyperperon. Questa moneta aurea aveva 20 carati e 1/2 di fino quanto la polvere d'oro proveniente dall'Africa centrale. Egli inoltre fece emettere per transazioni minori una serie di frazioni di monete in electrum (una lega d'oro e d'argento), in lega d'argento e rame, e in rame. Come moneta di conto 1'hyperperon aureo veniva equiparato a 24 carati di conto. Alla moneta in lega argento-rame "più pesante" (trachy) veniva aggiudicato il valore di un carato (26). Sebbene gli imperatori bizantini degli ultimi decenni del XII secolo avessero abbassato il valore di alcune monete, lo standard monetario continuò ad essere basato sull'hyperperon aureo. I Veneziani, riferendosi a questa moneta usavano definirla l'hyperperon d'oro del vecchio peso oppure il buon hyperperon del vecchio peso. I Veneziani preferivano 1'hyperperon bizantino alle altre monete auree, probabilmente perché essi trattavano più della metà dei loro affari nell'area del commercio bizantino (27).

Questo era il denaro usato dai Veneziani nella metà del XII secolo. Se si esclude qualche rara libra denariorum nostre monete, nessuna moneta era veneziana, ma tutte erano straniere.

Gli ultimi trent'anni del XII secolo segnano una rivoluzione nel sistema monetario veneziano. Le zecche veneziane ripresero a coniare monete ed i Veneziani cominciarono lentamente ad organizzare il loro sistema monetario basandolo su monete proprie. La riapertura della zecca avvenne sotto il doge Vitale II Michiel (1156-1172) che batté una nuova moneta, l'albulus o blanco. Questa moneta pesava 0,517 grammi ma conteneva soltanto il 70/1.000 di argento fino. Ne esistono soltanto pochissimi esemplari. I moderni numismatici l'hanno chiamata mezzo denaro, ma come peso e titolo questa moneta è più vicina a un terzo di denaro. Essendo una moneta frazionaria non era adatta a pagamenti di grossa entità. Questo mezzo denaro era una trionfale dichiarazione dell'indipendenza politica di Venezia, in quanto non portava inciso il nome dell'imperatore germanico bensì quello di Venezia e del suo doge Vitale II Michiel (28). Con questa manifestazione di autoglorificazione, egli concluse il periodo costruttivo del suo regno.

Vitale II Michiel fu l'ultimo dei dogi monarchi, in quanto alla sua morte, il 28 maggio del 1172, una coalizione di antiche famiglie e di mercanti avrebbe preso il potere nel comune di Venezia. I1 12 marzo del 1171, improvvisamente, i Bizantini confiscarono le proprietà veneziane ed imprigionarono i Veneziani residenti a Costantinopoli. Una flotta al comando del doge Vitale II Michiel si diresse alla volta della Romània per punire i Bizantini, ma ritornò nella primavera del 1172 ingloriosamente sconfitta e con una epidemia di peste a bordo. La malattia si diffuse rapidamente per tutta Venezia insieme al malcontento. Il popolo veneziano insorse contro lo sfortunato doge e i suoi seguaci e lo assassinò mentre tentava di rifugiarsi nel convento di S. Zaccaria. I più importanti commercianti e le famiglie di antico lignaggio presero il controllo di Rialto e sei mesi dopo un nuovo doge, Sebastiano Ziani, emerse da questo gruppo (29). Sotto il suo governo venne emanata una nuova legge fondamentale per Venezia che regolava l'elezione del doge e istituiva il maggior consiglio. I1 doge Ziani inoltre riordinò l'economia veneziana riformando il sistema monetario e regolando i prezzi sul mercato di Rialto.

Il doge Ziani non riemise il mezzo denaro, ma ne introdusse uno nuovo, il buon denaro. Come la moneta del doge Michiel, anche il denaro del doge Ziani proclamava l'indipendenza di Venezia avendo impresso sul recto il nome del doge Sebastiano e sul verso quello di s. Marco. Gli esemplari ancora esistenti del denaro Ziani pesano 0,362 grammi al 270/1.000 di argento fino (30). È significativo il fatto che il peso e il titolo del denaro Ziani fossero gli stessi del denaro che Venezia aveva emesso circa 50 anni prima nel nome dell'imperatore Enrico (31).

Questo nuovo denaro assume un importante ruolo nell'ambito del sistema monetario veneziano in quanto esso contiene esattamente 1/240 dell'argento fino della moneta di conto veneziana, la libra denariorum nostre monete. Poiché il marco d'argento equivaleva a Venezia a dieci libre denariorum nostre monete e giacché il marco pesante veneziano equivaleva a 238,499 grammi, questa lira equivaleva a 23,85 grammi di argento fino. Di conseguenza, il denaro ideale (oppure 1/240 di lira) avrebbe dovuto contenere 0,09937 grammi di argento fino (32). Questa moneta ideale era rappresentata dal denaro Ziani, in quanto esemplari di essa contenevano 0,0999 grammi di argento fino. Emettendo una tale moneta che rappresentava il denaro ideale della moneta di conto veneziana, Ziani rafforzò la comunità finanziaria di Venezia. Da questo momento in poi, la moneta di conto veneziana ebbe un nuovo nome. Non più chiamata libra denariorum nostre monete, dal 1172 fu ribattezzata libra denariorum venetialium.

La libra denariorum venetialium lentamente guadagnò credito a Venezia e nei dintorni. Nei mercati in relazione con Venezia, ma situati fuori dalla sua sfera politica, le lire veronesi e veneziane venivano ugualmente accettate per pagamenti dal 1172 al 1184. Dal 1184 al 1194 le due lire ebbero diverso valore e dopo il 1194 non furono più interscambiabili (33). A Rialto dopo il 1172 non si riscontrano più dati riferibili a pagamenti effettuati con libre denariorum nostre monete. L'improvviso cambiamento fa pensare ad un decreto governativo, sebbene non ne sia rimasta traccia (34). Bisogna ricordare, tuttavia, che prima del 1172 la lira veronese (non la libra denariorum nostre monete) era stata il mezzo preferito di pagamento. Già al tempo della quarta Crociata la nuova libra denariorum venetialium aveva rimpiazzato completamente la lira di Verona sulla piazza di Rialto.

La riforma del conio del doge Sebastiano Ziani (1172-1178) pose le basi per un notevole incremento dell'economia veneziana. Il doge successivo, Orio Mastropietro (1178-1192), continuò ad emettere il denaro con lo stesso peso e titolo e inoltre riportò in uso il mezzo denaro del Michiel. Rialto aveva adesso due monete veneziane, il denaro e il mezzo denaro, utili per effettuare pagamenti registrati in libre denariorum venetialium. Queste due monete continuarono ad avere lo stesso titolo e peso per almeno un'altra decade.

Il doge successivo, Enrico Dandolo (1192-1205), e il suo consiglio, composto dai capi del mondo degli affari veneziano, portarono avanti un'ancor più completa riforma del sistema monetario veneziano. Essendo uomini d'affari, essi videro la necessità di un'ulteriore azione politica sui problemi monetari ed effettuarono una riorganizzazione, in quattro tempi, del sistema monetario prima della quarta Crociata.

Per prima cosa essi svalutarono di poco sia il denaro che il mezzo denaro (35). 1n un secondo tempo, Dandolo creò il grosso, una straordinaria nuova moneta di forma più grande e di argento più fino di qualsiasi altra moneta italiana in argento esistente all'epoca. Entrambe queste innovazioni erano un adattamento al fatto che le monete in circolazione erano consumate dall'uso (36). I1 nuovo grosso del peso di 2,2 grammi al 965/1.000 di argento fino appariva equivalente a 2 soldi oppure a 24 denari (un decimo di lira veneziana), ma il grosso in effetti aveva meno argento di 24 denari.

Dieci grossi contenevano l'11% in meno di argento fino di 240 denari del doge Ziani. Questo declino di valore delle monete veneziane venne riconosciuto immediatamente nel 1194 sui mercati vicini a Venezia, ma fuori della sua giurisdizione (37). A dispetto di ciò l'emissione del grosso dimostrava la forza di Venezia in maniera molto evidente. L'iscrizione sul recto della moneta proclamava: "H. Dandolo, Doge, S. Marco dei Veneziani" con l'immagine di s. Marco nell'atto di porgere lo stendardo al doge. Il verso portava l'iscrizione "ICXC" sopra la rappresentazione di un Cristo in trono. Questa moneta innovativa venne copiata nel XIII secolo da altri comuni italiani che emettevano i loro grossi con le proprie iscrizioni (38).

Come terza riforma del sistema monetario Enrico Dandolo cessò l'emissione del denaro. Dopo l'emissione di alcuni denari egli cessò di coniarli in quanto la lira di 240 denari aveva un contenuto di argento superiore a quello di 10 grossi, di conseguenza i denari sarebbero stati raccolti per essere tesaurizzati o per essere esportati, secondo la legge di Gresham. Per oltre 60 anni nessun denaro venne più emesso, fino all'elezione del doge Lorenzo Tiepolo (1268-1275). Tuttavia i vecchi denari continuarono ad essere in uso e non vennero tolti dalla circolazione.

Enrico Dandolo e il suo consiglio coniarono un'altra nuova moneta, il quartarolo, una frazione del denaro. Questa piccola moneta, secondo quanto ci dice il cronista Martin da Canal, venne emessa per pagare gli operai dell'Arsenale veneziano, che nel 1201 stavano costruendo le navi destinate a trasportare i crociati alla volta della quarta Crociata (39). Si trattava solo di una moneta del valore nominale superiore a quello intrinseco.

Al tempo della quarta Crociata Venezia ebbe un sistema monetario ben organizzato. L'espandersi degli interessi veneziani nell'Oriente greco dopo il 1204 veniva facilitato da un solido sistema monetario. L'unità monetaria di conto era la libra denariorum venetialium che rappresentava il potere d'acquisto di 240 denari di Sebastiano Ziani e Orio Mastropietro. Le zecche veneziane emettevano il grosso, del valore di 26 denari (oppure qualcosa meno di due soldi o 1/10 di libra denariorum venetialium) e le monete frazionarie (il mezzo denaro e il quartarolo). I più vecchi denari veneziani e le altre monete italiane in argento continuavano a circolare. Gli affitti di appezzamenti agricoli venivano pagati dai Veneziani in natura e in denaro. Questo sistema di transazioni domestiche continuò ad essere largamente praticato nel XIII secolo.

Nel XIII secolo, il denaro usato dai Veneziani all'estero non era la libra denariorum venetialium in quanto ogni mercato estero aveva il suo proprio denaro. Le monete veneziane venivano usate solo in patria. A conferma di questa teoria sta il fatto che negli accumuli di denaro tesaurizzati nell'Oriente latino si trovavano pochissime monete veneziane (40).

In Romània (l'Oriente greco) i Veneziani continuarono ad usare l'hyperperon d'oro di Bisanzio. Come abbiamo dimostrato precedentemente, il sistema monetario bizantino si era basato sin dal 1082 su di una moneta d'oro, l'hyperperon, con indice 20 carati e mezzo. Questo continuò ad essere l'unità di misura di valuta per la Romània fino alla quarta Crociata, malgrado alcune svalutazioni avvenute nel tardo XII secolo (41). Quando i crociati occuparono la città di Costantinopoli, nel maggio 1204, si impossessarono della zecca bizantina locale. Da quel momento per 57 anni nessun imperatore greco visse a Cosotantinopoli. Dei successivi governanti greci, soltanto gli imperatori di Nicea, Giovanni III (1222-1254), Teodoro II (1254-1258) e Michele VIII (1259-1261) emisero hyperpera d'oro che tuttavia vennero svalutati rispetto allo standard del XII secolo (42). La zecca dei Latini a Costantinopoli continuò a emettere la moneta base in lega rame-argento e le monete di rame richieste nei mercati locali fino al 1230 circa (43). Anche i Latini di Costantinopoli emisero un numero limitato di hyperpera d'oro che erano una copia esatta dell'hyperperon svalutato di Giovanni III di Nicea. Questa moneta sosteneva il mercato in Romània, e Pegolotti testimonia che questi hyperpera latini continuavano a circolare a Costantinopoli nel tardo XIII secolo (44).

Dopo il 1204 i Veneziani di Romània continuarono a calcolare riferendosi all'hyperperon di conto del valore di 24 carati di conto. Fino al 1220 questo denaro di conto veniva equiparato al vecchio buon hyperperon d'oro della riforma monetaria di Alessio. Esso venne accettato in Levante per oltre un secolo. L'espressione notarile di corretto oppure buon peso riferita all'hyperperon implica questa interpretazione (45). Dopo il 1220, queste qualifiche vennero abbandonate dai Veneziani che usarono i termini più semplici di hyperperon e hyperperon d'oro. Questo cambiamento nella terminologia veneziana apparve allorché gli imperatori di Nicea emisero per primi un hyperperon più leggero e la zecca latina a Costantinopoli emise proprie imitazioni dell'hyperperon di Nicea (46). Cominciando dal 1207, variazioni regionali di hyperperon apparvero anche nei documenti notarili veneziani, facendo pensare a variazioni dell'hyperperon standard. Nei documenti veneziani si trovano riferimenti ad hyperpera di Durazzo, Creta e Costantinopoli (47).

Nel comune veneziano di Romània i pagamenti sia privati che ufficiali venivano fatti in termini di hyperperon. Per esempio, il duca veneziano di Candia (Creta), i suoi ufficiali e i cavalieri veneziani residenti a Creta raccoglievano i profitti per Venezia in hyperpera (41). A Costantinopoli, i cittadini privati veneziani, i rappresentanti della Chiesa di Venezia e persino il podestà veneziano ricevevano pagamenti e saldavano conti in hyperpera (49). Similmente, quando un veneziano doveva effettuare un pagamento in Romània, specificava il tipo di hyperperon in circolazione nel luogo del pagamento (50).

Tabella

Il rapporto dell'hyperperon con la libra denariorum venetialium cadde nel XIII secolo, la qual cosa comportò la diminuzione del potere d'acquisto dell'hyperperon rispetto alla moneta di conto veneziana (51). Questo può essere attribuito sia alla svalutazione dell'hyperperon standard da parte degli imperatori greci di Nicea e dei Paleologi reinstaurati sul trono dopo il 1261, sia alla divisione in differenti standards dell'hyperperon nel Mediterraneo orientale. Dopo il 1255 1'hyperperon era una moneta di conto basata sull'argento a Creta, in Slavonia, in Morea, e in Crimea (52). Le fonti veneziane riferite agli anni 1255 e 1268 dimostrano il valore della moneta di conto veneziana in relazione a queste monete straniere (53). L'hyperperon continuò ad essere una moneta corrente in tutto l'Oriente di lingua greca fino alle conquiste turche. Nel XIV secolo vennero usati molti hyerpera diversi (54).

Similmente, quando i Veneziani entrarono nel Sud e nel Sud-Est del Mediterraneo, essi regolarono le loro obbligazioni riferendosi al dinaro, una moneta aurea coniata dai sovrani musulmani sin dal VII secolo. Essa originariamente era di 4,25 grammi d'oro di eccezionale bontà. I Latini generalmente chiamavano questa moneta "bisante". I musulmani africani erano favoriti nell'emissione di denaro aureo in quanto la maggior fonte della polvere d'oro da loro usata proveniva da Bambuk in Senegal e da Bure situata sull'alto Niger, nell'Africa dell'Ovest (55). Questo oro raggiungeva le coste del Mediterraneo a dorso di cammello attraverso il Sahara. I principati musulmani di Egitto, Siria, Africa nord-occidentale, la Spagna e i principati cristiani in Siria ed Iberia emettevano tutti questa moneta.

I notai veneziani distinguevano tre diversi bisanti, il tunisino, l'alessandrino e il bisante del Regno latino. I1 bisante tunisino apparve per la prima volta nei documenti veneziani del 1177-1178, allorché le navi veneziane raggiungevano Ceuta e Bougia nell'Africa nord-occidentale. I Veneziani definivano questa moneta "il bisante d'oro massamutino di buon peso" (56). Documentazioni anche più tarde sull'uso di bisanti nel commercio veneziano con Tunisi si riscontrano a cominciare dal XIII secolo (57). I bisanti tunisini valevano nel 1245 una lira veneziana, ma nel 1274 soltanto mezza lira.

Documenti commerciali veneziani prima del 1228 valutavano un bisante d'Egitto 4 lire veneziane. I1 bisante egiziano può essere riconosciuto nei documenti veneziani soltanto dalla provenienza dell'obbligazione, cioè Alessandria d'Egitto. I notai veneziani residenti ad Alessandria redigevano contratti in bisanti. Nel 1272 il maggior consiglio di Venezia decretò che al proprio console ad Alessandria, il quale rimaneva in carica due anni, venisse pagato il salario in bisanti ricavati dai proventi locali del comune (58). Il bisante d'oro egiziano del XIII secolo (il dinaro egiziano) veniva coniato nelle zecche del Cairo e di Alessandria da entrambi i governatori egiziani di Aiyubid e Mamluk. Era una comune moneta che probabilmente manteneva un indice di alta qualità ma di peso irregolare. Essa formava la base del sistema monetario egiziano, anche se queste monete d'oro venivano scambiate in base al loro peso, e non in base al loro aspetto (59).

Un terzo bisante menzionato dai notai veneziani era il bisante del Regno latino di Gerusalemme con iscrizioni musulmane in caratteri arabici (60). Documenti veneziani precedenti al 1215 si riferiscono a questa moneta come al "bisante saraceno di buon peso delle monete del Regno di Gerusalemme ". Dal 1161 al 1179 alcuni di questi bisanti saraceni di Gerusalemme venivano identificati nei documenti veneziani come "vecchi bisanti saraceni d'oro del Regno di Gerusalemme". Altri dal 1 161 al 1215 erano conosciuti come "nuovi bisanti saraceni d'oro [...] " oppure "buoni bisanti saraceni d'oro del Regno di Gerusalemme" (61). Da questi documenti possiamo inoltre apprendere che i bisanti saraceni vennero svalutati nel 1161 circa. Questa scomoda terminologia riferita alle monete del Regno di Gerusalemme venne abbandonata dopo il 1224 quando i notai veneziani adottarono il termine "bisanti saraceni d'oro di Acri" oppure "bisanti del peso d'Acri". Dopo il 1224 più frequentemente i notai veneziani li definivano semplicemente "bisanti d'oro saraceni" oppure "bisanti" pagabili ad Acri (62). Questo mutamento di terminologia nel 1224 deve essere stato accompagnato da un altro cambiamento delle proprietà fisiche del bisante saraceno. Quanto riportato fin qui ci rivela, come del resto i numismatici hanno suggerito, che la zecca del Regno latino di Gerusalemme era situata ad Acri. Si ritiene che i primi bisanti saraceni venissero coniati con il 97% d'oro fino e del peso di 3,74 grammi. La zecca d'Acri emise in un secondo tempo bisanti saraceni di fattura imperfetta e di minor peso oscillante tra i 3,24 e i 3,5 grammi e con soltanto il 66,6% d'oro fino (63).

A distanza di una generazione, questa imitazione del conio saraceno d'Acri subì ulteriori significative alterazioni. Dopo la condanna di papa Innocenzo IV nel 1251 contro i cristiani colpevoli di aver emesso monete glorificanti Allah, la zecca del Regno latino cominciò a coniare bisanti saraceni d'Acri con iscrizioni cristiane in arabo (64). Non è stata ancora trovata traccia di questo cambiamento nei documenti veneziani.

La documentazione che ci è rimasta circa i corsi del cambio del XIII secolo tra le lire veneziane ed i vari bisanti evidenzia tre differenti standards monetari:

Tabella

Alcuni notai veneziani del XIII secolo documentano obbligazioni pagabili in bisanti a Byblos e a Creta. I bisanti di Byblos probabilmente si riferiscono alle monete emesse dai conti di Tripoli (66). I bisanti cretesi possono aver seguito sia lo standard del Regno latino sia quello di Alessandria.

Questa dipendenza veneziana dai bisanti e dagli hyperpera conferma che, nella prima metà del XIII secolo come già nel XII secolo, sia i mercanti veneziani che il comune di Venezia registravano le obbligazioni all'estero nella moneta circolante in ogni località straniera. In questo periodo Venezia non osava imporre la propria moneta all'estero neanche dove godeva di privilegi legali speciali (67). Persino i pagamenti fatti dal comune di Venezia ai baili e consoli nelle sue colonie e nelle enclaves venete in territori stranieri venivano effettuati con monete legali. Nel 1224 i consoli di Acri e di Tripoli venivano pagati in bisanti d'oro di Acri; i governatori di Creta, Negroponte, Costantinopoli, Corone e Modone venivano pagati in hyperpera nel 1224 e 1226 (68). Di conseguenza ogni studio sul sistema monetario a Venezia nel XIII secolo deve tener conto delle monete circolanti oltre i confini geografici della laguna veneziana.

Fino alla metà del XIII secolo a Rialto le obbligazioni veneziane pubbliche e private non venivano espresse in grossi ma in libre denariorum venetialium, pagabili in qualsiasi moneta disponibile (69). All'inizio del XIII secolo, le obbligazioni presentate in azioni giudiziarie nei tribunali veneziani venivano anch'esse espresse in libre denariorum venetialium. I reclami di risarcimento presentati al minor consiglio nel 1220 da Veneziani che avevano subito atti di pirateria illustrano molto chiaramente tutto ciò (70). Per esempio, Matteo Urso nel 1222 testimoniava che uomini provenienti dalle Marche e da Ariano lo avevano derubato di tessuti da lui acquistati ad Ancona, di denari grossi, di soldi di Friesach, di denari veneziani, di due cinture, un mantello, biancheria, un fagotto contenente dei fichi ed un coltello col suo fodero. Egli calcolava il valore di tutto ciò in 75 libre e 12 soldi (venetialium) (71). Questo continuo uso della moneta di conto veneziana può essere riscontrato in moltissimi altri esempi attinti da queste fonti.

Anche altri comuni del vicino entroterra italiano tenevano la loro contabilità in libre denariorum venetialium: in Istria e a Chioggia nel 1226; a Fermo e Verona nel 1227; a Padova, Emora e Monselice nel 1235; a Rimini nel 1243; a Treviso e Arquà nel 1245; a Oderzo nel 1247 e a Capodistria nel 1249 (72). Anche i tribunali padovani del XIII secolo specificavano che le obbligazioni, se in moneta veneziana, dovevano essere pagate soltanto in libre denariorum venetialium e non in libre grossorum oppure in libre ad grossos. A Padova le multe per falsificazioni venivano spesso stabilite in libre denariorum venetialium (73). È chiaro che fino al 1250 non solo Venezia ma anche i vicini principati dell'Adriatico settentrionale tenevano la loro contabilità in libre denariorum venetialium.

Le richieste di rimborso per merce rubata dimostrano che ogni mercante veneziano portava con sé, quando viaggiava, migliaia di monete d'argento. Per esempio, nel 1225 un certo I. Boso riferiva al doge e al consiglio che il suo agente Almerico era stato derubato di 2.376 grossi veneziani, di 1.752 denari imperiali di Milano e di 1.020 denari crociati di Bologna con una perdita totale di 5.148 monete (74). I1 sunnominato Matteo Urso portava con sé 4.636 monete d'argento (75). Esempi del genere sono abbastanza frequenti e avvalorano la tesi che, prima della rivoluzione commerciale del tardo XIII secolo, i mercanti trasportavano una grande quantità di monete. La poca convenienza e il pericolo di portare con sé tanto denaro deve aver spinto i mercanti a sviluppare degli strumenti che consentissero transazioni di credito su lunghe distanze (76).

Sebbene si sostenesse che il grosso era stato coniato per agevolare le transazioni veneziane con l'Oriente greco, non ho trovato prove, nei documenti anteriori alla metà del XIII secolo, di pagamenti effettuati in grossi in Romània, negli Stati crociati o nel Nord Africa. I1 cronista Martin da Canal testimonia che il grosso "circola attraverso il mondo per merito della sua eccellenza"; ma egli scriveva ciò verso il 1268. Dal momento che la forma del grosso somigliava più ad una moneta bizantina che a una moneta occidentale, si è pensato che il grosso avesse più affinità con la Romània che con l'Italia (77). Ma prima del 1256 non esiste testimonianza, nelle fonti veneziane, di una colleganza con l'Oriente, espressa in libra grossorum (78). I grossi non erano accettati in Romània ma soltanto a Venezia (79). Talvolta, quando affari rischiosi stipulati a Costantinopoli in termini di hyperpera si rivelavano un fallimento, il debitore tentava di fare un pagamento pro forma, in grossi veneziani. Ma dal momento che i creditori in questi casi non accettavano l'offerta dei grossi, il giudice veneziano ordinava di sigillarli in un sacco e di rispedirli a Venezia al debitore (80). Tutto questo fa ritenere che, verso il 1250, i grossi veneziani circolassero soltanto localmente a Rialto e nell'immediato entroterra.

Un uso più diffuso del grosso cominciò all'incirca verso la metà del secolo. Alan Stahl ha avanzato l'ipotesi che pochi grossi fossero stati emessi dai Veneziani prima del dogado di Ranieri Zeno (1253-1268) (81). La quantità di argento disponibile nelle zecche veneziane alla metà del XIII secolo quasi certamente aumentò in seguito alla scoperta delle nuove miniere di Jihlava (Iglau) sulle montagne della Boemia a sud di Praga. Questo argento veniva a rimpiazzare quello precedentemente estratto dalle ormai sfruttate miniere di Meissen e Friesach. Inoltre anche i Pisani verso la metà del secolo lavoravano l'argento che avevano scoperto nelle miniere di Iglesias in Sardegna. Altre miniere sui Carpazi a Chemnitz, Spis, Rodna e Goellnitz cominciavano a produrre una maggiore quantità d'argento dopo il 1250, come pure le nuove miniere in Serbia dopo il 1254 (82).

I riferimenti a grossi si moltiplicano nei documenti veneziani alla metà del secolo. Dopo il 1249 si cominciò a registrare in grossi le ammende riscosse dal maggior consiglio, e i conti spesa dei funzionari pubblici a Rialto cominciarono ad essere pagati in grossi (83). I salari di questi ultimi vennero fissati in grossi non prima del 1266. La maggior parte di questi salari oscillava da 10 a 40 soldi grossorum; ma allorché Venezia inviava i suoi agenti nelle vicine comunità, il comune continuava a pagarli in denari (84). Questi esempi dimostrano che i grossi vennero usati più frequentemente dopo il 1249.

Dopo che i grossi furono messi in circolazione, i Veneziani cominciarono a considerare la libra grossorum (lire di grossi) come una nuova moneta di conto del valore di 240 grossi. Essa divenne conveniente per esprimere somme più grandi perché essendo 1 grosso = 26 denari la libra grossorum aveva 26 volte il potere d'acquisto della libra venetialium. Apparve per la prima volta nei documenti del 1222, ma non venne riconosciuta per esprimere obbligazioni pubbliche a Venezia prima del l240 (85).

Così possiamo concludere che, sebbene coniato nel 1194, il grosso non apparve in circolazione fuori Venezia né nei suoi dintorni fino al 1250 circa. Abbiamo dimostrato che le obbligazioni a Venezia e nelle vicine città venivano fissate in libre denariorum venetialium e non in grossi ed inoltre che i grossi non erano accettati per pagamenti in Romània fino a dopo il 1250. Soltanto alla metà del secolo i documenti ufficiali veneziani cominciarono a riportare il grosso. Studi sulle miniere d'argento europee e studi preliminari sul numero di grossi emessi suggeriscono anche che la verga d'argento e i grossi d'argento divennero più comuni alla metà del secolo. Sembra che i grossi venissero generalmente accettati solo verso il 1250, sebbene tutti i governi veneziani, sin dal 1194, avessero emesso grossi sempre dello stesso peso e titolo; ed il comune avrebbe continuato a coniarli fino al 1356. All'inizio del XIII secolo il grosso circolava al valore di 1 grosso = 26 denari (86).

A dispetto della disponibilità d'argento, il denaro veneziano soffrì un certo sconvolgimento tra il 1245 e 1268, giacché guerre e conquiste nel Mediterraneo orientale fecero interrompere il commercio veneziano. L'Impero latino di Costantinopoli, i cui commerci erano controllati da Venezia, si indebolì notevolmente alla metà del secolo. L'imperatore fu costretto ad impegnare i suoi gioielli, le reliquie migliori (la corona di spine di Cristo e il braccio di Giovanni Battista), e a dare in ostaggio persino il proprio figlio ed erede. I Veneziani divennero suoi creditori per avergli prestato il denaro per ingaggiare mercenari e riorganizzare lo Stato (87). Inoltre le vie commerciali del Medio Oriente erano interrotte a causa delle continue conquiste dei Mongoli (88). I principati franchi in Grecia vennero definitivamente sconfitti a Pelagonia dal greco Michele VIII di Nicea nell'estate del 1259 (89). Venezia combatté la guerra di S. Saba contro Genova, riuscendo finalmente a scacciare i Genovesi da Acri nel 1258; in seguito a ciò i Genovesi si allearono con Michele VIII Paleologo e lo aiutarono a riconquistare Costantinopoli e ad espellere i Veneziani (90). Per un certo periodo Genova, sotto la protezione greca, rimpiazzò Venezia, usufruendo del monopolio commerciale nei Dardanelli e nel mar Nero. Tutti questi eventi verificatisi alla metà del XIII secolo cambiarono la zona d'influenza commerciale veneziana. Venezia non riuscì più a mantenere a lungo una posizione preminente nel Mediterraneo orientale. Le guerre e le conquiste avevano distrutto il suo controllo sul mercato di Costantinopoli e indebolito la sua posizione nell'Egeo. Questi avvenimenti ebbero ovviamente una ripercussione sul sistema monetario veneziano.

Tra il 1205 e il 1268 non vennero emessi nuovi denari. I vecchi in circolazione divennero sempre più deteriorati dall'uso (91). I mercanti di Rialto presero atto nel 1220 del declino dei denari (92). Sebbene questi ultimi fossero sempre più consumati, i grossi continuarono ad avere un valore fisso.

Il declino del denaro piccolo (93) si rifletteva sul mercato di Rialto. Verso il 1250 i mercanti pagavano un premio pur di ricevere i pagamenti in grossi piuttosto che in denari piccoli (94). I1 comune cercò di ovviare a questo fenomeno con una legge (di cui possediamo una versione molto più tarda) in cui si deliberava che le libre denariorum venetialium non erano più del valore di 9 grossi e 6 piccoli bensì del valore di 9 grossi e 5 piccoli (95). Oppure con un'altra delibera con cui 1 grosso = 26-1/9 piccoli, al posto di 1 grosso = 26 piccoli. Dopo il 1254 i mercanti veneziani riconobbero questo nuovo cambio come la libra grossorum minus (lira di grosso manca): essa corrispondeva a 239 grossi:

Tabella

Un documento veneziano del febbraio 1269 esprimeva questo rapporto come 20 sol. grossorum minus 1 grosso = 26 libre venetialium (97).

Il clima politico veneziano probabilmente influenzò il successivo cambio nel sistema monetario: nel 1268 l'oligarchia veneziana scelse un nuovo doge, Lorenzo Tiepolo, figlio di Jacopo, il quale seguiva una politica favorevole alla classe popolare veneziana, come è dimostrato dalla presenza di tutte le corporazioni da lui riconosciute nel suo fantastico corteo inaugurale (98). Egli inoltre ricominciò ad emettere il denaro piccolo. La classe media avrebbe tratto profitto da un numero più alto di monete piccole in circolazione. Questo piccolo, il primo emesso dalla quarta Crociata in poi, pesava soltanto 0,289 grammi invece dei 0,37 della moneta precedente. Sia il nuovo che il vecchio piccolo avevano 250/1.000 di titolo (99).

Con un nuovo piccolo svalutato, il vecchio rapporto tra il grosso e il piccolo veniva infranto. Nel 1269 il comune di Venezia dichiarò ufficialmente che 1 grosso era uguale a 28 piccoli (100). Questo rapporto legale era ancora rispettato negli statuti di Padova del 1274 (101). I1 nuovo rapporto divise la moneta di conto, la libra denariorum venetialium, in due (102). La vecchia moneta di conto poteva essere sia una libra ad grossos, pagabile con un numero ben preciso di grossi, sia una libra denariorum venetialium pagabile in denari piccoli. Queste due monete di conto non mantennero più lo stesso valore. Verso il novembre 1271 i notai veneziani già si riferivano alla nuova moneta di conto, la libra ad grossos (103). Nel luglio 1278 il rapporto era aumentato ad 1 grosso = 30 piccoli, quando il maggior consiglio di Venezia deliberò che il salario del proprio podestà in Istria venisse pagato in denari piccoli (104). Debiti pagabili con la libra ad grossos sono citati nelle Deliberazioni del Maggior Consiglio nel 1281(105). Nel maggio 1282 il rapporto era ancora di 1 grosso = 32 piccoli. Questo rapporto venne considerato legale fra le due monete fintanto che il grosso venne coniato. Inoltre la moneta di conto, la libra ad grossos (lira a grossi) era stimata del valore di 7-1/2 grossi o 7 grossi e 16 piccoli (106). Di conseguenza abbiamo la seguente tavola dell'aumento dei rapporti tra il grosso e il piccolo:

Tabella

Dopo il 1268 un veneziano che avesse obbligazioni riceveva per queste valutazioni diverse a seconda che esse fossero espresse in moneta di conto basata sul grosso, libra ad grossos (lira a grossi), oppure in moneta di conto basata sul denaro piccolo, libra denariorum parvorum (lira di piccoli). Questo accadeva perché la libra grossorum era pagabile in grossi d'argento, e la libra denariorum parvorum era pagabile in denari piccoli svalutati, sebbene queste due monete di conto derivassero entrambe dalla libra denariorum venetialium.

È possibile dimostrare questa differenza. Nel febbraio 1281 (1280 m.v. ), il maggior consiglio decretò che il podestà di Montone dovesse avere un salario di 100 lire ad grossos, mentre il suo socio dovesse avere soltanto cento libre ad parvos per salario, vestiario e spese varie (108). Il comune aveva cominciato a limitare l'uso del denaro di conto basato su denari piccoli. Nel maggio 1268, due mesi prima della morte del doge Ranieri Zen e l'elezione di Lorenzo Tiepolo, il maggior consiglio decretò che a nessuno era permesso esportare sulle navi fuori Venezia più di 25 libre denariorum Paroorum (109). Lorenzo Tiepolo venne eletto il 15 luglio 1268. Insieme al suo consiglio, probabilmente poco dopo l'elezione, egli ordinò l'emissione di nuovi denari piccoli svalutati. Nel 1269 il maggior consiglio decretò che tutte le vendite al di sotto delle 50 libre venetialium dovessero essere negoziate in termini di denari piccoli, ad eccezione di vendite di verghe d'oro o d'argento, di pietre preziose o perle (110). In questi decreti il comune veneziano riconosceva la differenza nel pagamento tra le due monete di conto, la libra denariorum e la libra ad grossos. Transazioni di minor conto continuavano ad essere condotte in termini di libra denariorum parvorum, mentre quelle più grandi ed importanti venivano effettuate in termini di grossi. Questi decreti fecero del grosso la valuta legale per qualsiasi obbligazione di più vasta entità sia in patria che all'estero, mentre il denaro piccolo rimase la valuta legale soltanto per pagamenti di minore entità. Cosi verso il 1270 Venezia aveva due principali monete prodotte dalle sue zecche: il grosso e il denaro piccolo, oltre a monete frazionarie quali il mezzo ed il quarto denaro piccolo. Inoltre, Venezia usava quattro differenti monete di conto, una basata sul denaro e tre basate sul grosso, come segue:

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Queste quattro monete di conto e le monete veneziane in argento e in lega di rame ed argento con le quali venivano pagate le obbligazioni funzionavano a Venezia quale sistema monetario nel terzo quarto del XIII secolo.

Abbiamo visto che sia gli andamenti politici, sia quelli economici avevano contribuito allo sviluppo di tale complesso sistema monetario basato sull'argento. Alla metà del secolo le scorte di argento erano notevolmente aumentate. Un numero maggiore di grossi venne probabilmente coniato dalle zecche veneziane in seguito alla scoperta di nuove miniere. L'argento proveniente da queste miniere del centro Europa raggiunse Venezia sotto forma di lingotti o monete contenute nei bagagli dei mercanti tedeschi e rifornì le zecche veneziane. Un continuo rifornimento d'argento veniva assicurato a Venezia dai mercanti tedeschi durante il XIII secolo.

L'aumento delle scorte d'argento nelle zecche veneziane e il conseguente aumento della produzione di monete d'argento avrebbe dovuto determinare un'inflazione nella Venezia medioevale. Studiando i prezzi medioevali veneziani, ho scoperto che il prezzo massimo di una libbra di vino salì da 2 denari nel 1173 a 12 denari nel 1272, ovvero subì un aumento medio dell' 1,7% ogni anno per cent'anni. Allo stesso modo aumentò il prezzo del grano (111). L'effetto di una tale inflazione andrebbe studiato più profondamente, ma inflazione significa, quanto meno, una domanda crescente di denaro. Questo è quanto accadde a Venezia. In risposta ad una richiesta molti denari piccoli vennero coniati dopo il 1268.

Tuttavia rimase il problema del numero insufficiente delle monete. Dopo la morte del doge Lorenzo Tiepolo nel 1275, i mercanti veneziani più facoltosi dovettero affrontare nuovamente il problema della coniatura. L'ultimo doge aveva autorizzato una nuova emissione di denari piccoli più leggeri, pur continuando a coniare il buon grosso. Intorno al 1275 le due importanti monete di conto veneziane, la libra ad grossos e la libra grossorum, erano, come abbiamo visto, strettamente legate al grosso. Dal momento che la contabilità commerciale a Venezia era tenuta in moneta basata sul grosso, appariva utile e importante per Venezia mantenere la sua moneta base, il grosso.

Una diffusa ed imponente disorganizzazione nell'area mediterranea del rapporto tradizionale argento/oro, tuttavia, minacciò l'esistenza del grosso. Intorno al 1270, l'argento era sceso di valore in Europa, mentre era aumentato nei paesi musulmani. Allo stesso modo l'oro era aumentato di valore in Europa, ma era sceso nel mondo arabo. In altre parole, tra il 1200 e il 1285 il rapporto argento/oro in Europa aumentò da 9-1 a 11-1, mentre nel mondo arabo scese da 15, 1 a 9,1 o 11,1 (112). Di conseguenza l'argento venne valutato maggiormente nel mondo musulmano rispetto all'Europa latina e cristiana e i mercanti europei realizzarono che potevano trarre profitto esportando l'argento attraverso il Mediterraneo ed importando oro. Dal momento che la domanda dei grossi veneziani all'estero aumentava, queste monete venivano esportate. Per evitare una perdita o una tesaurizzazione dei grossi, il governo veneziano doveva agire.

Venezia creò quindi un buon conio d'oro. Firenze e Genova avevano emesso il fiorino e il genoino d'oro sin dal 1252, ma nel 1284 Venezia non poteva essere soddisfatta di una moneta straniera (113). Il maggior consiglio decretò in quell'anno l'emissione di una moneta d'oro identica in peso e titolo al fiorino fiorentino. Esso venne chiamato "ducato" e pesava 3,559 grammi a 24 carati d'oro fino (114). Inoltre sia il peso che il titolo del ducato si avvicinavano al vecchio buon hyperperon d'oro del vecchio peso, che era stato per lungo tempo lo standard d'oro per la Romània (115). Il ducato rappresentava l'indipendenza di Venezia non soltanto per la qualità della sua lega e per la sua dimensione ma anche per il suo aspetto (116).

Questo ducato d'oro entrò direttamente nel sistema monetario di conto veneziano allorché il maggior consiglio nel 1285 dichiarò che il valore ufficiale del ducato era di 40 soldi ad grossorum (117). In questo modo la libra ad grossorum (lira a grossi) rimase la principale moneta di conto veneziana. Essa non solo mantenne il valore della libra denariorum venetialium del XII secolo, ma rappresentò anche un valore costante in grossi d'argento e fu ancorata al ducato d'oro. I1 comune veneziano perciò sperava di mantenere un rapporto oro/argento costante, cioè uno standard bimetallico. I Veneziani furono capaci di mantenere questo bimetallismo soltanto fino alla fine del XIII secolo. Nel XIV secolo ampie oscillazioni relative al valore dell'oro e dell'argento non resero più possibile il bimetallismo veneziano (118).

Concludendo, la storia del sistema monetario medioevale veneziano riflette la crescente complessità negli affari dell'oligarchia veneziana. Durante l'Impero carolingio, lo stato indipendente veneziano tentò di entrare nelle vie commerciali dell'Impero coniando la prima moneta veneziana, un denaro, molto simile al denaro carolingio. Ma nel corso del declino dell'Impero carolingio rimangono poche testimonianze del commercio e della moneta veneziana. La zecca veneziana ridivenne attiva nell'XI secolo quando Venezia coniò denari recanti i nomi degli imperatori Salii. Duecentoquaranta di questi denari equivalevano ad una lira veneziana.

Per tutto il XII secolo, tuttavia, i mercanti veneziani usarono spesso moneta straniera. Verso il 1150, la lira veronese divenne la moneta preferita a Rialto, mentre i Veneziani esprimevano le loro obbligazioni in Oriente con le monete d'oro di Bisanzio, dell'Egitto e degli Stati crociati. Nel corso degli ultimi trent'anni del XII secolo, la zecca veneziana venne riaperta per coniare una serie di monete bimetalliche (argento e rame) e di monete d'argento solo nel nome del doge e di Venezia. Queste nuove monete, il grosso, il denaro, il mezzo denaro e il quartarolo, gradatamente divennero la base del sistema monetario veneziano.

Al tempo della quarta Crociata, i notai veneziani a Rialto redigevano contratti in termini di libra denariorum venetialium, una moneta di conto. I notai veneziani all'estero redigevano contratti in termini di moneta locale. I pagamenti venivano effettuati in qualsiasi moneta disponibile. Raramente il grosso compariva nei contratti fino al 1250 circa, allorché i Veneziani cominciarono a richiedere sempre più frequentemente i pagamenti con questa moneta, in quanto essa aveva un valore fisso mentre i denari piccoli stavano perdendo di valore.

La moneta di conto veneziana era legata al grosso nella seconda metà del XIII secolo e soltanto le obbligazioni di minore entità venivano pagate in denari piccoli. La moneta veneziana divenne un'importante moneta di conto in tutto il Mediterraneo orientale. Il comune veneziano mantenne il grosso al suo peso e al suo titolo d'origine fino al 1356. Quando l'argento venne esportato e l'oro divenne meno caro in Italia, il comune veneziano nel 1284 coniò una nuova moneta, il ducato d'oro, in piccole quantità per sostenere il grosso. Nel XIV secolo il ducato d'oro avrebbe rimpiazzato il grosso d'argento, divenendo così la principale moneta veneziana.

I politici veneziani esperti d'affari avevano imparato a sostenere le loro molteplici attività mercantili con una moneta forte, che sarebbe rimasta tale dal XIII secolo fino alla caduta della Repubblica.

*Traduzione di Mirella Pasquinucci

* Ringrazio la Fondazione Gladys Krieble Delmas per il finanziamento che mi ha permesso di lavorare a Venezia; l'Archivio di Stato di Venezia con il suo direttore, Francesca Maria Tiepolo; Alan Stahl, dell'American Numismatic Society, e Bianca Strina Lanfranchi per la loro speciale assistenza. Grazie inoltre a Fred Kuhlmann e a Joseph O. Losos che hanno letto il manoscritto e a mio marito per la pazienza e l'incoraggiamento.

1. Frederic C, Lane - Reinhold C. Mueller, Money and Banking in Medieval and Renaissance Venice, I, Coins and Moneys of Account, Baltimore 1985, pp. 7-13; Abbot Payson Usher, The Early History of Deposit Banking in Mediterranean Europe, Cambridge, Mass. 1934, pp. 201-212; Carlo M. Cipolla, Money, Prices, and Civilization, Prineeton, N.J. 1956, pp. 38-41; anche Id., Le avventure della lira, Milano 1958, pp. 12-15.

2. Philip Grierson, Cronologia delle riforme monetarie di Carlo Magno, "Rivista Italiana di Numismatica", 2, 1954, p. 70 (pp. 65-79); Harry Miskimin, Two Reforms of Charlemagne: Weighis and Measure in the Middle Ages, "Economic History Review ", ser. II, 10, 1967, pp. 35-53; Karl F. Morrison, Numismatics and Carolingian Trade: A Crilique of Evidente, "Speculum", 38/3, 1963, pp. 403-432; C.M. Cipolla, Le avventure della lira, pp. 11-14.

3. C.M. Cipolla, Money, Prices, and Civilization, cap. IV; Id., Le avventure della lira, p.14

4. H. Miskimin, Two Reforms of Charlemagne, pp. 35-36.

5, Paolo Squatriti, The Minls of Treviso and Venice under the Carolingians (774-855), relazione tenuta nella sessione estiva dell'American Numismatic Society e colà in deposito, generosamente fornitami dall'autore e da Alan Stahl dell'American Numismatic Society. Consultare anche Nicolò Papadopoli, Sulle origani della Veneta Zecca, [...] lettura fatta al R. Istituto di Scienze, Lettere ed Arti di Venezia il 14 agosto 1882, Venezia 1882, pp. 16-23.

6. Sul recto di uno era inciso "Christe Salva Venecias" e sul verso "Deus conserva Romano impero". Nicolò Papadopoli, Le monete di Venezia, I, Venezia 1893, pp.19-51.

7. Id., Sulle origini, pp. 23-32; e Id., Le monete, pp. 19-52

8. Id., Sulle origini, pp. 43-45; e Id., Le monete, pp. 53-58.

9. Id., Sulle origini, pp. 43-45; e Id., Le monete, pp. 1-59

10. Ciò viene dimostrato dalla collezione di documenti privati di questo periodo raccolti in Documenti del commercio veneziano nei secoli XI-XIII, I-II, a cura di Raimondo Morozzo della Rocca - Antonino Lombardo, Torino 1940. Consultare anche il mio studio sul denaro usato nei documenti veneziani: The Venetian Money Market, 1150 to 1229, "Studi Veneziani", 13, 1971, Pi). 3-39 (pp. 3-121).

11. Ottorino Murari, Denari veronesi di un ripostiglio del secolo XII, "Numismatica", 17-18, 1951-1952, pp. 1-11; Id., I denari veronesi del periodo comunale ed il ripostiglio di Vicenza, "Annuario Numismatico Rinaldi", 5, 1950, pp. 1-7.

12. Murari calcolava il loro peso medio da grammi 0,346 a grammi 0,374. Certi esemplari raggiungevano un massimo di grammi 0,50 e 0,59. Emissioni più antiche avevano un titolo di argento di 510/1.000, mentre quelle più recenti soltanto un titolo di 229/1.000. Sul verso portavano la scritta "Henricus" e sul recto "+ Verona".

13. L. Buenger Robbert, The Venetian Money Market, p. 10.

14. Jean-Plaude Hocquet, Le sel el la fortune de Venise, I, Produclion el monopole, Lille 1978, pp. 116-126.

15. Numerosi esempi in SS. Secondo ed Erasmo (1089-1199), a cura di Eva Malipiero Ucropina, Venezia 1958; S. Lorenzo (853-1199), a cura di Franco Gaeta, Venezia 1959; S. Giorgio Maggiore, III, Documenti (1160-1199) e Notizie di Documenti, a cura di Luigi Lanfranchi, Venezia 1968; e SS. Trinità e S. Michele Arcangelo di Brondolo, II, Documenti (800-1199), a cura di Bianca Lanfranchí Strina, Venezia 1981.

16. I1 campionario include documenti dal 1140 al 1160 e dal 1189 al 1190. La percentuale misura la quantità di documenti che conteneva pagamenti in quella data merce. Poiché alcuni documenti registravano pagamenti effettuati in più di una merce, il totale supera il 100%.

17. SS. Trinità e S. Michele Arcangelo di Brondolo, nrr. 297, 294, 299, 303, 304, 312.

18. S. Lorenzo di Ammiana (1125-1199), a cura di Luigi Lanfranchi, Venezia 1947, nr. 2. Ho identificato il "littore bovensi" come il lido delle Vignole, mentre "pullos" sta per polli.

19. SS. Trinità e S. Michele Arcangelo di Brondolo, nrr. 173, 174, 176, 306, 339, 340, 341.

20. Per esempio, secondo una cronaca del marzo 1224, risulta che oro, argento e gioielli, del valore di 800 marchi d'argento, erano stati rubati a due mercanti veneziani in Ungheria dal re Bela, figlio del re Andrea di Ungheria, Liber Comunis qui vulgo nuncupaiur "Plegiorum", in Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, I, a cura di Roberto Cessi, Bologna 1950, p. 56; consultare anche Louise Buenger Robbert, Monelary Flows - Venice 1150-1400, in Precious Metals in the Later Medieval and Early Modern Worlds, a cura di John F. Richards, Durham, N.C. 1983, pp. 62-66 (pp. 53-77).

21. I1 marco veneziano misurato in oro e argento equivaleva ad 8 once oppure a i libbra e mezzo. Presumo che il marco di Colonia, usato dai Veneziani in questo periodo, corrispondesse a grammi 238,499 secondo un moderno calcolo di misura. Consultare il mio The Venetian Money Market, pp. 16, 28, 45, 54; F.C. Lane - R.C. Mueller, Money and Banking, p. 526; Documenti del commercio veneziano, I, p. 324. Arcibaldo li riceve da parte di Roger de Les Moulins, capo dell'Ospedale di Gerusalemme e di un certo conte Rodolfo. Il denaro in verghe giunse a Rialto per mezzo di un contratto di commenda fatto in Boemia da eminenti uomini d'affari veneziani su raccomandazione del doge Orio Mastropietro. Il contratto di commenda era stato negoziato da Bernardo, priore degli Ospedalieri di Boemia, da Alberto il Lombardo e dal Frate Gualtiero (ibid.). Per Roger de Les Moulins consultare A History of the Crusades, I-II, a cura di Kenneth M. Setton, Madison, Wis, 19692: I, p. 699 e II, p. 45

22. Come mi ha riferito Alan Stahl, si veda, per conferma, il suo The Mini of Venice in lhe Thirteenth Century. Later Medieval Mints: Organization, in Administralion and Techniques: The Eighth Oxford Symposium on Coinage and Monetary History, a cura di Nicholas J. Mayhew - Peter Spufhord, Oxford 1988.

23. Per dettagli consultare il mio The Venelian Money Market, pp. 12-15, 18-20, 23-24, tabb. 1-4.

24. Michael F. Henry, Studies in Byzantine Monetary Economy, c. 300-1450, Cambridge-New York 1985, p. 249.

25. Documenti del commercio veneziano, I, nrr. 154, 167, 284, 285, 293, 294, 309

26. M.F. Hendy, Studies in Byzanline Monetary Economy, pp. 513-514; Tommaso Bertela, Moneta veneziana e moneta bizantina, in Venezia e il Levante fino al secolo XV, a cura di Agostino Pertusi, I/1, Firenze 1973, p.4 (pp. 3-147); Philip Grierson, Byzantine Coins, London-Berkeley 1982, pp. 212-229.

27. Per esempio, Documenti del commercio veneziano, I, nrr. 116, 223; Nuovi documenti del commercio veneto dei sec. XI-XIII, a cura di Antonino Lombardo - Raimondo Morozzo della Rocca, Venezia 1953, nr. 5;

Louise Buenger Robbert, Venice and the Crusades, in A Hislory of the Crusades, V, a cura di Kenneth M. Setton, Madison, Wis. 1985, pp. 397-398 (pp. 379-451).

28. N. Papadopoli, Le monete, pp. 61-68 e L. Buenger Robbert, The Venelian Money Market, pp. 28-29.

29. Andrea Da Mosto, I dogi di Venezia, Firenze 1977, p. 66; Samuele Romanin, Storia documentata di Venezia, II, Venezia 19122, pp. 89-95, e Irmgard Fees, Reichtum und Machl in mittelalterlichen Venedig. Die Familie Ziani, Tübingen 1988, pp. 231-264

30. N. Papadopoli, Le monete, p. 74.

31. Presumo che l'ultima moneta Henricus e la moneta Ziani avessero lo stesso valore,

32. L. Buenger Robbert, The Venetian Money Market, pp. 27-30.

33. Ibid., pp. 32-34.

34. F.C. Lane ritiene che Venezia cessasse l'uso della lira veronese allorché l'imperatore Federico Barbarossa, nella pace di Costanza del 1183, vietò a Verona il diritto di coniare monete imperiali. F.C. Lane - R. C. Mueller, Money and Banking, p. 110.

35. Il denaro di Mastropietro pesava 0,39 grammi di argento al titolo del 27%, mentre il denaro del Dandolo pesava 0,37 grammi al titolo del 25%. Il mezzo denaro di Mastropietro aveva 0,47 grammi di argento al titolo del 7%, mentre il mezzo denaro del Dandolo pesava soltanto 0,52 grammi di argento al titolo del 5%. Louise Buenger Robbert, Reorganization of the Venetian Coinage by Doge Enrico Dandolo, "Speculum", 49, nr. I, 1974, pp. 50-51 (pp. 48-60).

36. Pesando 2,2 grammi, il grosso era pressoché cinque volte più pesante del denaro. I1 grosso, avendo il 965/1.000 di argento fino, mostrava molta più lucentezza del suo denaro dal titolo di 25/1.000 e del suo mezzo denaro che aveva un titolo di soltanto il 70/1.000. F.C. Lane - R.C. Mueller, Money and Banking, p. 1 15; N. Papadopoli, Le monete, pp. 86-87

37. L, Buenger Robbert, Reorganization, pp. 53-55 Ead., The Venelian Money Market, pp. 46-47.

38. Ead., Reorganization, p. 55-56.

39. Esso pesava soltanto 0,78 grammi di lega d'argento e rame con 3/1.000 di argento fino. Ibid., pp. 51-53 Donald E. Queller, A Note on the Reorganization of Venetian Coinage by Doge Enrico Dandolo, "Rivista Italiana di Numismatica", 77, 1975, pp. 167-172.

40. David M. Metcalf, Coinage of the Crusades and the Latin East in lhe Ashmolean Museum Oxford, London 1983, pp. 88-100.

41. Alla metà del dodicesimo secolo, altri due hyperpera apparvero nei documenti veneziani a fianco dei "perperi auri boni veteres pensantes": i "perperi manuelatos" o più semplicemente i "manuelatos" (Documenti del commercio veneziano, I, nrr. 128, 352, 373) e i "perperi auri bonos novos pensantes" (ibid., nrr. 95, 202, 235, 239, 314, 332, 369). Questi esempi dimostrano quanto i numismatici hanno già dimostrato e cioè che l'imperatore Manuele (1143-1 171) ed i suoi successori avevano svalutato 1'hyperperon d'oro. M.F. Hendy, Studies in Byzantine Monelary Economy, pp. 517-519; P. Grierson, Byzantine Coins, pp. 231-237; Philip D. Whitting, Byzantine Coins, New York 1973, pp. 203-204T. Bertela, Moneta veneziana e moneta bizantina, pp. 65-66, 86; M.F. Hendy, Studies in Byzantine Monetary Economy, pp. 525-527; P. Grierson, Byzantine Coins, pp. 244-253.

43. T. Bertela,, Moneta veneziana e moneta bizantina, pp. 82-83; P. Grierson, Byzantine Coins, pp. 267-271; M.K Hendy, Studies in Byzantine Monetary Economy, p. 521; D.M. Metcalf, Coinage of lhe Crusades, pp. 62-65.

44. Molto dibattuta è stata la questione se gli imperatori latini avessero emesso hyperpera d'oro. Ad un esame dell'evidenza dei fatti, credo che lo avessero fatto. Il testo La pratica della Mercatura di Francesco Balducci Pegolotti, a cura di Allan Evans, Cambridge, Mass. 1936 (ristampa 1970), p. 288, che fu scritto agli inizi del XIV secolo, registra un hyperperon latino di 16-1/2 carati di oro fino, e così pure altri manuali mercantili del XIV e XV secolo menzionano l'hyperperon latino. D.M. Metcalf, Coinage of lhe Crusades, pp. 60-62, identificava fra i denari tesaurizzati l'hyperperon d'oro latino che imitava esattamente 1'hyperperon di Giovanni III di Nicea. 1 seguenti autori dubitano fortemente dell'esistenza dell'hyperperon latino: Gustave L. Schlumberger, La Numismalique de l'Orieni Latin, Paris 1878 (ristampa Graz 1954), pp. 174-176; Michael F. Hendy, Coinage and Money in lhe Byzantine Empire, 1081-1261, Washington, D.C. 1969, pp. 191- 199, 521; Id., Studies in Byzantine Monetary Economy, pp. 525-527; E P. Grierson, Byzantine Coins, pp. 167-169, 290-292. Comunque T. Bertelé, Moneta veneziana e moneta bizantina, pp. 66, 74-104, crede fortemente nell'esistenza di questi hyperpera latini.

45. "Recti ponderis" o "Boni pensantes": Documenti del commercio veneziano, II, p. 676; Gottlieb L.Fr. Tafel - Georg M. Thomas, Urkunden zur älteren Handels- und Staatsgeschichle der Republik Venedig, II, Wien 1856, CLXXVII, p. 43; CCIV, p. 90; CCXLI, pp. 176-181; CCLIII, CCLIV, pp. 208-210; Documenti del commercio veneziano, I, nrr. 95, 202, 235, 314, 332, 269 e ibid., II, nrr. 516, 551, 581, 592, 606, 628. La definìzione di hyperperon "vecchio" è sopravvissuta solo in quattro documenti posteriori al 1204; Nuovi documenti del commercio veneto, nr. 69.

46. Documenti del commercio veneziano, II, nrr. 481, 515, 530, 559, ecc. Teodoro Lascaris di Nicea nel suo patto del 1219 con Jacopo Tiepolo, podestà veneziano di Costantinopoli, insisteva affinché i Veneziani garantissero di non contraffare sia l'hyperperon che il "manuelatis" o lo "stamena". Queste infatti erano le monete più importanti del XII secolo a Bisanzio ancora in circolazione nell'Impero di Nicea. Abbiamo visto che anche gli imperatori di Nicea emettevano queste monete, ma ne avevano svalutato la lega. G.L.Fr. Tafel- G.M. Thomas, Urkunden, CCLII, p. 197.

47. Hyperperon di Durazzo, Creta e Costantinopoli in Nuovi documenti del commercio veneto, nrr, 69, 91. V. anche T. Bertelé, Moneta veneziana e moneta bizantina, pp. 65-66, 79 n. 2, 104- 106; P. Grierson, Byzantine Coins, pp. 239-254; D.M. Metcalf, Coinage of the Crusades, pp. 61-62. Queste variazioni regionali nell'hyperperon di conto nei documenti possono riferirsi ad un hyperperon basato sull'argento anziché sull'oro.

48. Esempi dal 1222 al 1276: G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, CLXIII, pp. 234-249; Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, II, a cura di Roberto Cessi, Bologna 1931, pp. 339-340, 341, 149, 346, 163.

49. Per esempio: G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, CCLXXIV, pp. 271-272; Documenti del commercio veneziano, II, nrr. 658, 691; Nuovi documenti del commercio veneto, nr. 92; A.S.V., Codice diplomatico veneziano, XIII, 1242-1245. S. Giorgio Maggiore, 517, ottobre 17, 1244; e ibid., dicembre 1245

50. Documenti del commercio veneziano, II, nrr. 774, 783, 833; Nuovi documenti del commercio veneto, nrr. 91, 92; Liber Comunis qui vulgo, pp. 9, 55, 98, e 101.

51. I1 rapporto nel XII secolo era l'hyperperon = 40 sol. venetialium, L. Buenger Robbert, The Venetian Money Market, p. 92. In tabella i corsi del cambio intorno all'anno 1220.

52. F.C. Lane - R.C. Mueller, Money and Banking, pp.292-301.

53. Gli statuti marittimi veneziani fino al 1255, a cura di Riccardo Predelli - Adolfo Sacerdoti, Venezia 1903; Gli statuti marittimi veneziani del Doge Ranieri peno, 1255, cap. XLV, p. 118 e Capilulare Visdominorum Ternarie, in F.C. Lane - R.C. Mueller, Money and Banking, appendice G, documento I, pp. 626-627. Lane e Mueller hanno riunito questi corsi di cambio nella tavola 8, p. 295.

54. Alan Stahl, The Venetian Tornesello, a Medieval Venetian Coinage, New York 1985, p. 59. F. Balducci Pegolotti in La pratica della mercatura faceva riferimento a sei differenti hyperpera di Clarenza, p. 116, di Costantinopoli, pp. 40-45, di Corone e Modone, p. 153, di Istip, pp. 65 e 119 e di Negroponte, p. 119. Lo Zibaldone da Canal, a cura di Alfredo Stussi, Venezia 1967, fa riferimento all'hyperperon di Costantinopoli, pp. 67 e 70; quelli di Clarenza e di Morea, p. 54.

55, Paul Balog, The Coinage of the Mamluk Sultans of Egypt and Syria, New York 1964, p. 39. Peter Spufford, Money and Its Use in Medieval Europe, Cambridge 1988, pp. 163 ss.

56. Documenti del commercio veneziano, I, nrr. 284, 285, 293, 294. V. L. Buenger Robbert, The Venetian Money Market, p. 20.

57. Le depredazioni del conte genovese Alamanus de Costa del 1228 documentate nel Liber Comunis qui vulgo, p. 196, si riferiscono a 2.650 bisanti nella contea di Tunisi a 8 Veneziani. Comunque, questo pirata genovese già nel 1214 aveva rubato dei bisanti a dei Veneziani, G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, CCLI. Altre accuse contro di lui per furti di bisanti vengono registrate sempre nel 1228, Liber Comunis qua vulgo, p. 196. V. anche Documenti del commercio veneziano, II, nrr. 776, 777, 837; e Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 65.

58. Liber Comunis qui vulgo, pp. 140, 196; Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 358

59. L'interpretazione delle monete d'oro coniate sotto Aiyubid e Mammalucco è attualmente sotto revisione in quanto queste monete d'oro vanno distinte, attraverso accurate analisi, dalle imitazioni che i crociati ne facevano. Cf. Michael L. Bates - David M. Metcalf, Crusader Coinage with Arabic Inscripiions, in A History of lhe Crusades, a cura di Kenneth M. Setton, VI, Madison, Wis. 1989, pp, 421-473, E Paul Balog, The Coinage of the Aiyubids, London 1980, pp. 35-40; Id., The Coinage of the Mamluk Sultans of Egypt and Syria, pp, 39-44; e Andrew S. Ehrenkreutz, The Standard of Fineness of Gold Coins Circulating in Egypi al the Time of lhe Crusades, "Journal of the American Oriental Society", 74, 1954, pp. 162-166.

60. M.L. Bates - D.M, Metcalf, Crusader Coinage; D.M. Metcalf, Coinage of the Crusades, pp. 9-14; Philip Grierson, A Rare Crusader Bezant with the "Christus Vincit" Legend, New York 1954, pp. 169-178: G.L. Schlumberger, La Numismatique de l'Orient Latin, pp. 130-143; e ibid., Supplément, Index Alphabetique, pp. 8-11; e ibid., Part Illustrée, 1878; ristampa 1954, tav. V. nn. 16-27.

61. Vecchi pesi: Documenti del commercio veneziano, I, nrr. 167, 207, 247, 312; nuovi bisanti, ibid., nrr. 154, 165, 278, 289, 290, 309, 310, 376, 381, 383, 411, 421; v. anche ibid., II, nrr. 509, 510, 521, 529, 559.

62. Bisanti di Acri: Liber Comunis qui vulgo, pp. 67, 27; e A.S.V., Codice diplomatico veneziano, XIII, 1246-1250, S. Maria dei Teutonici, b. 2, nr. 38, 1246, giugno. Bisanti pagabili ad Acri: Liber Comunis qui vulgo, p. 81; A.S.V., Codice diplomatico veneziano, XIII, 1238-1241, S. Andrea di Lido, b. 41, 1240, luglio; ibid., S. Maria dei Teutonici, b. 2, nr. 37, 1244, luglio; e ibid., Arch. Dip., b. 13, 1249, novembre; Documenti del commercio veneziano, II, nr, 636, e Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 352; ibid., Registri, appendice, pp. 352-353, 357, 390, 392.

63. G.L. Schlumberger non credeva che i Veneziani usassero la zecca ad Acri, La Numismatique de l'Orient Latin, pp. 130-139 e ibid., Supplémeni, Index Alphabetique, pp. 10-11. M.L. Bates - D.M. Metcalf, Crusader Coinage, discutono i tipi di questi bisanti e la loro probabile data e così pure D.M. Metcalf, Coinage of lhe Crusades, pp. 9-14. Anche il conio in argento dei territori siriani confinanti con Aiyubid subì una importante riforma del sistema monetario verso il 1225 sotto il sultano di Aiyubid, al-Kamil. P. Balog, The Coinage of the Aiyubids, pp. 37, 154.

64. G.L. Schluniberger, La Mumismalique de l'Orzent Latin, pp. 139-143; M.L. Bates - D.M. Metcalf, C,rusader Coinage, e D.M. Metcalf, Coins of lhe Crusades, p. 10.

65. Famiglia Zusto, a cura di Luigi Lanfranchi, Venezia 1955, nr. 19; Documenti del commercio veneziano, Il, nrr. 509, 510, 525, 529, 776, 777; Liber Comunis qui vulgo, pp. 140, 142; Gli Statuti marittimi veneziani del Doge Ranieri peno, cap. XLV, p. 118; e Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p.

66. G.L.Fr. Tafel - G.M, Thomas, Urkunden, CCLI, CCL, e CCLV. Per una trattazione sui bisanti di Tripoli consultare D.M. Metcalf, Coinage of the Crusades, pp. 43-44.

67. Ciò contrasta con la politica veneziana del XIV secolo che intendeva dominare i mercati lontani. A. Stahl, The Venetian Tornesello, pp. 5-11; F.C. Lane - R.C. Mueller, Money and Banking, pp. 326-332; John Day, Monetary Colonialism in the Medieval Mediterranean, ristampa in Id., The Medieval Market Economy, Oxford 1987, pp. 116-128; Reinhold C. Mueller, L'imperialismo monetario veneziano nel Quattrocento, "Società e Storia", 8, 1980, pp. 277-297.

68. Liber Comunis qui vulgo, pp. 9, 34, 55, 67, 98, 101; Deliberazioni del Maggior Consiglio, I, pp. 352-354.

69. Esempi dal 1224 al 1246: A.S.V., Codice diplomatico veneziano, XIII, 1229-1231, S. Maria dei Frari, b, 109, settembre 1230; Documenti del commercio veneziano, II, nrr. 650, 670; Deliberazioni del Maggior Consiglio, I, pp. 143, 252; 11, pp. 335, 336; Statuti veneziani Tiepolo, pp. 74-75.

70. Questi reclami sono registrati in Liber Comunis qui vulgo, pp. 64, 113, 194.

71. Ibid., p. 123. Vedi anche il caso del 1227 in cui un candelabro in argento dorato, munito di piedistallo, del peso di 20 marchi, venne rubato dalla basilica di S. Marco. Il suo valore venne calcolato di 250 libre denariorum venelialium. I1 ladro si era appropriato anche di 100 libre denariorum venetialium in grossi, parvi ed altre monete oltre ad oggetti in oro ed argento. Ibid., p. 165.

72. Nel 1226 in Istria e a Chioggia, ibid., pp. 169, 138; 1227 a Fermo e Verona, ibid., p. 149 e Documenti del commercio veneziano, II, nr. 637; nel 1235 Padova, Emora, e Monselice, A.S.V., Codice diplomatico veneziano, XIII, 1233, Dic, S. Zaccaria, b. 21; ibid., 1235-1237; ibid., Lib. Padova e Monselice, c. 122v; e ibid., S. Zaccaria, b. 33; nel 1243 Rimini, Documenti del commercio veneziano, nr. 758; nel 1245 Treviso e Arquà, A.S.V., Codice diplomatico veneziano, XIII, 1242-1245, S. Michele di Murano, b. 16 (b. S. Maria di Folina), dicembre 1245; e ibid., S. Zaccaria, b. 25; nel 1247 Oderzo, ibid., 1246-1250, S. Michele di Murano, b. 8, febbraio 1247; e nel 1249 Capodistria, ibid., 1246-1250, S. Salvatore, XL, 1249 maggio.

73. Statuti del Comune di Padova, sec. XII, a cura di Andrea Gloria, Padova 1873, pp. 274, 385, 397.

74. Liber Comunis qui vulgo, pp. 122-123. Quando i lib. = 20 sol. = 240 den. Boso enumerava 9-1/2 libre grossorum, 8 soldi grossorum, 7 libre 6 soldi imperialium, e 4 lib. 5 soldi crociati di Bologna, il tutto per il valore di 186 libre venelialium. Boso presentò il suo reclamo alla città di Padova che ordinò il risarcimento di metà della perdita subita. Quindi chiese il risarcimento della rimanente metà da Venezia, esigibile dagli uomini delle Marche. I1 furto era stato effettuato in Crimignana, zona dipendente in parte dalle Marche e in parte da Padova.

75. Per Matteo Urso: 14 lib. e 16 sol. di Ravenna; 4 grossi veneziani; 10 sol. di Friesach; 4 lib. in denari veneziani. I1 tutto per valore di 4.636 monete.

76. P. Spufford, Money and Its Use, pp. 240-263; una precedente versione Le rôle de la monnaie dans la révolution commerciale du XIIIe siècle, in Etudes d'hisloire monetaire, a cura di John Day, Lille 1984, pp. 119-159.

77. F.G. Lane - R.C. Mueller, Money and Banking, pp. 122-123; Martin da Canal, Les estoires de Venise, a cura di Alberto Limentani, Firenze 1972, cap. XXXVII, pp. 46-47; N. Papadopoli, Le monete, pp. 81-84; Roberto Cessi, Problemi monetari veneziani fino a tutto il secolo XIV, Padova 1937, pp. XVII-XVIII.

78. Documenti del commercio veneziano, II, nr. 835.

79. Nel 1207, ibid., nr. 490; nel 1211, nr. 530; nel 1217, nr. 566; nel 1224, Liber Comunis qui vulgo, p. 9; nel 1245, p. 38; nel 1228, ibid., p. 195 stampato anche in Bilanci generali della Repubblica di Venezia, I, a cura di Fabio Besta, Venezia 1912, nr. 27.

80. Settembre 1233 in A.S.V., Codice diplomatico veneziano, XIII, 1232-1234, Arch. Dip., b. 11 (2 docc.) e novembre 1233, ibid. (5 docc.), e ibid., 1232-1234, S. Stefano, b. 1 (2 docc.). Uno dei due documenti in S. Stefano, b. 1 è stampato in Nuovi documenti del commercio veneto, nr. 86. Un altro caso simile si verificò nel gennaio 1247, Documenti del commercio veneziano, II, nr. 783.

81. Alan Stahl, Venetian Coinage: Variations in Production, in Rythmes de la production monetaire, a cura di Georges Depeyrot - Tony Hackens, Paris 1987, pp. 368-369, fig. 4. Stahl però ci avverte che le sue sono conclusioni soltanto ipotetiche in quanto i dati in suo possesso provengono dallo studio di pochissimi quantitativi di monete ammassate.

82. P. Spufford, Money and Its Use, pp. 119-131; L. Buenger Robbert, Monetary Flows - Venice, pp. 63-66.

83. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, pp. 22, 53-54, 89, 1012 350 e passim.

84. Per esempio: ibid., pp. 35 (1249, 1248 m.v.), 101 (1257), 287-289 (1266), 259 (1266), 319 (1273), 95 (1275), 332 (1276), 56 (1268). Inoltre, per esempio, il podestà di Capodistria oppure il podestà e il vescovo di Fare e Braze, 1278, ibid., pp. 329, 337-338. I cinque di pace, che controllavano Venezia, ricevettero dai criminali da loro catturati 2/3 dell'ammontare delle multe in parvi, ibid., p. 333.

85. Liber Comunis qui vulgo, p. 117. Dal 1222 fino al 1244 tutti i riferimenti alla libra grossorum riguardano reclami di rimborsi contro i pirati, richieste individuali, pagamenti di debiti privati. Per esempio ibid., p. 121; Documenti del commercio veneziano, II, nr. 712; A.S.V., Codice diplomatico veneziano, XIII, 1229-1231, S. Giorgio Maggiore Proc. 507.

86. A questo tasso ogni lib. den. ven. veniva pagata con 9 grossi e 6 denari. Andrea Dandolo, Chronica per extensum descripta, a cura di Ester Pastorello, in R.LS.2, XII, 1, 1938-1958, p.273, e N, Papadopoli, Le monete, pp. 127-128.

87. Robert L. Wolff, The Latin Empire of Costantinople, 1204-1261, in A History of the Crusades, a cura di Kenneth M. Settori, II, Philadelphia 1962, pp. 222-227 (pp. 187-232); T. Bertelé, Moneta veneziana e moneta bizantina, p. 87

88. Claude Cahen, The Mongols and lhe Near East, in A History of the Crusades, a cura di Kenneth M. Settori, Il, Philadelphia 1962, pp. 715-734.

89. Jean Longnon, The Frankish States in Greece, 1204-11, ibid., p. 247 (pp. 235-274)

90. S. Romanin, Storia documentata di Venezia, pp. 262-273; Heinrich Kretschmayr, Geschichie von Venedig, II, Gotha 1920 (ristampa Stuttgart 1964), pp. 11-13; Deno J. Geanakoplos, Emperor Michael Palaeologus and the West, Cambridge, Mass. 1959, passim, specie pp. 75-91, 59-64.

91. N. Papadopoli, Le monete, pp. 109-114; F.C. Lane - R.C. Mueller, Money and Banking, pp. 112-126.

92. Come le seguenti espressioni rivelano "20 soldi veneziani in denari adesso correntemente in circolazione", e nel 1225: "50 lire di denari venezíani in monete oppure una valida garanzia (di un valore corrispondente) in oro o argento"; nel 1227: "i giudici di Verona dovrebbero rivelare il rapporto tra i denari veneziani e veronesi". A.S.V., Codice diplomatico veneziano, XIII, maggio 1223, S. Maria, b. 6; in Liber Comunis qui vulgo, p. 34; e Documenti del commercio veneziano, II, nr. 637.

93. In questo periodo il denaro cominciava ad esser chiamato la moneta piccola, oppure parvus o più semplicemente piccolo. Da questo momento in poi, userò il termine piccolo oppure denaro piccolo piuttosto che denaro.

94. Per esempio, nel marzo 1259, il veneziano Guido Tacco accettò il pagamento di una percentuale in grossi, mentre il suo agente raccoglieva il resto dell'importo per la vendita di pelli di pecora da due pellicciai di Padova, Documenti del commercio veneziano, II, nr. 850. La prima somma di 9 grossi = 1 lib. ven. risulta a un corso del cambio di 1 grosso = 26.2/3 parvi. La seconda somma è pagabile in 9 nuovi grossi e 20 soldi. Quindi la prima è la lira di grossi manca, più interesse, oppure 1 lib. 5 sol. 6 den. parvi più della lira di grossi manca. Il secondo pagamento è di una lira di grosso complida più 20 piccoli. Vedi sotto.

95. Novissimum Stalutorum ac Venetarum legum volumen duabus in partibus divisum Aloysio Mocenigo, Venezia 1729, c. 254v; citato in N. Papadopoli, Le monete, p. 135, Il registro della legge stampata a cura di R. Cessi, Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 369, giugno 12, 1254, non dà i dettagli.

96. Frederic C. Lane, Le vecchie monete di conto veneziane ed il ritorno all'oro, "Atti dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti", 117, 1958-1959, pp. 53-58 (pp. 49-78); v. anche Id., Firsi Infidelilies of the Venetian Lire, in The Medieval City, a cura di Harry Miskimin - David Herlihy - Abraham L. Udovitch, New Haven 1977, pp. 47-52, e F.C. Lane - R.C. Mueller, Money and Banking, pp. 123-133.

97. Deliberazioni del Maggior Consiglio, I, p. 336,

98. M. da Canal, Les estoires de Venise, capp. CXVI-CXXXIII, pp. 284-303. Giorgio Cracco, Società e stato nel medioevo veneziano (secoli XII-XIV), Firenze 1967.

99. N. Papadopoli, Le monete, pp. 112, 118; F. C. Lane - R.C, Mueller, Money and Banking, pp. 126, 497.

100. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, appendice, p. 393.

101. Statuti del Comune di Padova, p. 274 n. 828, 1274: XIII, De Aurificibus el Monetariis. V. anche N. Papadopoli, Le monete, p. 110 e R. Cessi, Problemi monetari veneziani, p. XXX.

102. F.C. Lane - R.C. Mueller, Money and Banking,

p. 129; F.C. Lane, Le vecchie monete, pp. 56-57

103. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 320.

104. Ibid., pp. 337-338.

105. Ibid., giugno 1281, p. 129; e ottobre 1281, pp. 131-133. Anche in maggio 1282, p. 137.

106. Ibid., pp. 337-338 e 75; F.C. Lane - R.C. Mueller, Money and Banking, pp. 124-131.

107. I paragrafi più sopra si riferiscono alle fonti originali per ognuna di queste cifre. Questo elenco rimpiazza la mia precedente lista dei rapporti (fra grosso e piccolo) fatta durante i miei passati studi in cui mi basavo in parte su fonti secondarie.

108. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 333.

109. Ibid., appendice, p. 389.

110. Ibid., appendice, pp. 393 e 66.

111. Louisl Buenger Robbert, Prices in Thirteenlh Century Venice, che uscirà in Genoese Commerce and the Medieval Mediterranean: Essays in Honor of Hilmar C. Krueger.

112. Andrew M. Watson, Back to Gold-and-Silver,

"The Economic History Review", ser. II, 20, nr, 1, 1967, passim, soprattutto pp. 5, 23-27 (pp. 1-34). Cf. simili risultati in Roberto S. Lopez, Settecento anni fa: il ritorno dell'oro nell'occidente duecentesco, in Id., The Shape of Medieval Monelary Hislory, London 1986, cap. VII e il suo Back to Gold, 12,52, ibid., cap. VIII; R, Cessi, Problemi monetari veneziani, cap. III; e Giorgio I. Bratianu, L'hyperperon bizantin el la monnaie d'or des républiques ilaliennes du XIIIe siècle, in Mélanges Diehl, Paris 1930, pp. 43 ss.; F.C. Lane - R.C. Mueller, Money and Banking, pp. 280 ss.; e Salomon D. Goiteii, The Exchange Rate of Gold and Silver Money in Fatimid and Aiyubid Times, "Journal of Economic and Social History of Orient", 8, 1965, pp. 1-46.

113. R.S. Lopez, Back to Gold, 1252, passim, e Id., Settecento anni fa.

114. I1 grosso d'argento originariamente fu chiamato "ducato" perché veniva emesso dal doge di Venezia. M. Da Cava, Les estoires de Venise, cap. XXXVII, pp. 46-47. Dopo l'introduzione della moneta d'oro il nome "ducato" si trasferì ad essa. Circa l'emissione del ducato, Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, III, a cura di Roberto Cessi, Bologna 1934, p. 88; N. Papadopoli, Le monete, pp. 120-126, 137-138; R. Cessi, Problemi monetari veneziani, pp, XXXVII-XLII; F.C. Lane - R.C. Mueller, Money and Banking, pp. 280-285; A. Stahl, The Mini of Venice in the Thirteenth Century.

115. Sebbene il genoino ed il fiorino di 24 carati d'oro fossero di poco più puri del buon hyperperon d'oro di vecchio peso a 20,5 carati d'oro e sebbene i1 genoino e il fiorino di 3,5 grammi pesassero poco meno dell'hyperperon di 4,5 grammi, le monete italiane contenevano approssimativamente la stessa quantità d'oro fino delle monete bizantine.

116. I1 recto presenta s. Marco sulla destra che offre un vessillo al doge in ginocchio con una scritta riferita al nome del doge regnante a Venezia. Il verso presenta il Cristo, in mandorla su campo stellato, che regge un libro mentre tiene alzata la mano destra in segno di benedizione. L'iscrizione: "SIT.T.XPE.DAT.Q.TV.REGIS. ISTE.DVCAT". F.C, Lave - R.C. Mueller, Money and Banking, p. 282; e N. Papadopoli, Le monete, p. 137. Per il funzionamento della zecca di Venezia v. A. Stahl, The Mini of Venice in the Thirleenth Century.

117. Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, Liber Luna, 2 giugno 1285, par. 76, pp. 109-110; anche pubblicato in Problemi monetari veneziani fino a tutto il sec. XIV, a cura di Roberto Cessi, Padova 1937, doc. 40, p. 51 (dove la data è del 30 maggio). V. F.G. Lane - R.C. Mueller, Money and Banking, pp. 280-285.

118. John Day, The Question of Monetary Contraction in Late Medieval Europe, in Id., The Medieval Market Economy, Oxford 1987, Pr 55-71; e il suo Crises and Trends in the Late Middle Ages, pp. 185-218; F.C. Lane - R.C. Mueller, Money and Banking, pt. III, The Genesis and Persistente of Bimelallism, pp. 257-465; R. Cessi, Problemi monetari veneziani, pp. XLV-CL.

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