IFRIQIYYA

Federiciana (2005)

Ifriqiyya

DDavid Abulafia

Il termine 'Ifriqiyya', derivato dalla denominazione di due province romane dell'odierna Tunisia e Algeria orientale, fu utilizzato all'epoca di Federico II dagli arabi per designare i territori nor-dafricani a est di Bugia e a ovest di Tripoli, due importanti porti che caddero in alcuni periodi sotto l'autorità dei signori dell'Ifriqiyya. Il centro politico dell'Ifriqiyya nel XII sec., al-Maḥdiyya o Mahdia, fondata dai primi Fatimidi (musulmani sciiti) nel X sec., perse la sua predominanza politica nel Duecento. Fu Tunisi che con il suo importante porto divenne la sede di governo dei califfi hafsidi, e insieme il centro del commercio italiano e catalano nel Maghreb orientale. Non si può sottovalutare il significato di questi scambi commerciali nella formazione dei rapporti politici fra gli Hafsidi di Tunisi e la Sicilia di Federico II. Lo scambio grano-oro fu la base del rapporto tra la Sicilia e Tunisi, anche se il commercio di questi prodotti coinvolse non solo l'imperatore, ma anche i mercanti di Pisa, Genova e di altre città.

Il rapporto tra Sicilia e Ifriqiyya ha una lunghissima storia che risale alla conquista islamica della Sicilia nel IX sec. e al dominio aglabide in Sicilia e in Ifriqiyya. Alla vigilia della conquista normanna dell'isola, intorno al 1060, come dimostra la ricca documentazione della Genizah del Cairo, conservata presso la University Library di Cambridge, il commercio dei tessuti nordafricani in Sicilia e del cotone siciliano in Nordafrica era sempre attivo. Non perse la sua importanza neanche dopo la conquista, almeno prima dell'arrivo dei genovesi in Sicilia nel XII sec.: questi ultimi infatti si inserirono nel commercio non solo di cotone, ma anche di grano verso l'Africa settentrionale, allo scopo di ottenere l'oro dell'Africa nera, che si trovava nei mercati di Mahdia e di Tunisi. La stretta simbiosi dell'Africa settentrionale e della Sicilia fu dunque compromessa dalla presenza genovese, che ebbe come effetto quello di rafforzare, in particolare, il ruolo di Tunisi come centro internazionale del commercio.

D'altro canto il rapporto politico fra la Sicilia e l'Ifriqiyya sotto i normanni fu molto più difficile. I tentativi di Ruggero II di insediarsi in Africa, in primo luogo a Mahdia e poi a Tripoli, sfociarono nella creazione di un piccolo impero normanno lungo le coste dell'Ifriqiyya, con la sola eccezione di Tunisi. Gli sceicchi locali si sottomisero all'autorità del re di Sicilia, che tentò di promuovere nella regione nuovi insediamenti cristiani allo scopo di proteggere la modesta popolazione cristiana già esistente. Che il re siciliano mirasse al controllo del braccio di mare tra la Sicilia, Malta e l'Africa, insieme al controllo del commercio dell'oro africano, è fuor di dubbio. Questo fu il primo passo di una lunga serie di spedizioni e conquiste che continuarono fino all'epoca di Carlo V. Sarebbe stato possibile per i normanni mantenere il controllo della regione se non fosse stato per l'intervento degli Almohadi del Marocco (musulmani integralisti di origine berbera). Questi ultimi conquistarono Mahdia nel 1160, mettendo così in difficoltà il governo di Guglielmo I, che, secondo il cosiddetto Ugo Falcando, aveva fatto ben poco per sostenere le sue province africane.

Gli Almohadi si rivelarono un nemico temibile dal momento in cui gli sceicchi nordafricani abbandonarono i normanni in favore dei berberi. Preservare il dominio siciliano in Africa fu impossibile. Sebbene i genovesi e i pisani commerciassero a Bugia e a Tunisi, dopo la conquista almohade i rapporti fra Tunisi e la Sicilia rimasero statici fino al 1180, quando Guglielmo II liberò una principessa almohade dalle mani dei pirati (una storia ricordata nel Decamerone di Boccaccio). La tregua fra gli Almohadi e i normanni portò alla ripresa del commercio fra la Sicilia e Tunisi, che con ogni probabilità continuò anche senza il benestare dei rispettivi sovrani.

Gli Almohadi avevano comunque altri nemici più pericolosi del re di Sicilia a cui pensare, e in ogni caso il loro desiderio di ǧhad (compensazione) diveniva meno pressante con il passare degli anni. In particolare, il piccolo nucleo rimasto dell'Impero almoravide, predecessore di quello almohade, sopravvissuto a Maiorca (che Guglielmo II tentò di conquistare nel 1182), imitava con le frequenti razzie nelle coste dell'Africa settentrionale le azioni degli Almohadi. In particolare Bugia divenne la base di una parte degli Almoravidi conosciuti sotto il nome di Banū Ghaniya. Questi ultimi conquistarono Bugia nel 1184, mentre all'altra estremità dell'Ifriqiyya Qaraquš, un mamelucco armeno al servizio del Saladino, attaccava Tripoli e i possedimenti orientali degli Almohadi. Queste difficoltà resero più importante la stabilità dei rapporti con la Sicilia, in particolare lo scambio del grano siciliano con l'oro africano.

L'Ifriqiyya, lontana dalla capitale almohade a Marrakesh e dall'altro grande centro del potere almohade a Siviglia, dipese per la sua difesa non solo dall'intervento dei califfi ‒ in particolare Abū ῾Abdallāh Muḥammad al-Nāṣir (che regnò dal 1198 al 1213) ‒ ma anche dalla presenza di governatori abili come Abū Muḥammad 'Abdalrahid Ibn Abi Ḥaf.s al-Hintati, uno sceicco almohade che sconfisse i Banū Ghaniya vicino a Gabes nell'ottobre 1205 e conquistò Mahdia, caduta nel frattempo nelle mani dei Banū Ghaniya. Con la vittoria di Ibn Abi Ḥaf.s iniziò il crollo dell'influenza degli ultimi Almoravidi sulla politica africana, che fu accompagnata allo stesso tempo dalla presa di Maiorca, che rimase un dominio almohade fino alla conquista aragonese nel 1229. Fu infatti Ibn Abi Ḥaf.s o, per utilizzare il suo nome berbero, Faska u-Mzal Inti, che, dopo qualche esitazione, fece di Tunisi una nuova roccaforte del potere almohade. Purtroppo la dinastia degli Hafsidi rimase per molti anni sotto la suprema autorità dei califfi almohadi, tecnicamente una provincia in un Impero più vasto, ma in realtà signori di un Regno con una propria identità politica, etnica e commerciale. Fu con l'occasione dell'ascesa al califfato di Yaḥyā Ibn al-Nāṣir (1228), che si ribellò contro lo zio, che l'emiro hafside di Tunisi Abū Zakharyyā (il quale regnò dal 1228 al 1249) decise di rinunciare all'autorità sovrana di Marrakesh per mettersi al servizio (non si conoscono bene i termini dell'accordo) del "Mahdi e dei califfi ortodossi" (1229), per citare le parole della khuṭba (dichiarazione d'alleanza) letta ogni venerdì nelle moschee dell'Ifriqiyya. Di conseguenza, anche se il titolo di Abū Zakharyyā era soltanto quello di 'emiro', l'indipendenza di Tunisi dal mondo almohade divenne una realtà. Abū Zakharyyā fu il fondatore di una dinastia che resse Tunisi fino al XVI secolo. Nel 1236-1237 il nome di quest'ultimo fu aggiunto alla khuṭba. Allo stesso tempo, Abū Zakharyyā conquistò Constantina e Bugia senza grandi difficoltà creando un Regno nell'Ifriqiyya che, nella fase di massima espansione, incorporò anche Algeri. La disfatta degli ultimi Banū Ghaniya portò alla creazione di uno stato integrato nel Maghreb. A lungo termine, la disintegrazione dei territori almohadi approdò alla formazione di tre entità politiche: gli Hafsidi a Tunisi, i Marinidi nel Marocco e gli Abdalwadidi nella regione algerina. Il collasso del potere almohade in Spagna ebbe come conseguenza la decisione di Abū Zakharyyā di aggiungere il suo nome alla khuṭba.

Ciò nonostante, la separazione degli Hafsidi dall'Impero almohade non significò la soppressione dell'almorahismo come espressione radicale dell'Islam. Come ha fatto notare Robert Brunschvig (1940-1947), l'intenzione dell'emiro era quella di creare a Tunisi un nuovo centro dell'ortodossia almohade, e nei trattati con i mercanti cristiani l'emiro utilizzò il termine "almohadi" per descrivere i suoi sudditi. È da ritenere importante il fatto che il governo di Tunisi trattò direttamente con i poteri italiani senza l'intervento del califfato, come si può vedere nell'episodio del 1211 quando alcuni ambasciatori pisani visitarono il predecessore di Abū Zakharyyā.

Il rapporto fra Tunisi e la Sicilia rimase importante. Un ambasciatore siciliano fu presente a Tunisi nell'agosto 1231 per ottenere una tregua di dieci anni. Secondo Brunschvig la data delle negoziazioni sarebbe invece il 1221. In ogni caso, furono messe in atto alcune decisioni come la protezione dei mercanti, la liberazione dei prigionieri e un accordo sulla divisione di Pantelleria (che fu in effetti spartita tra l'emiro di Tunisi e il re di Scilla). Federico mirava senz'altro alla creazione di un mercato per il grano siciliano, e allo stesso tempo all'estrazione dell'oro africano, probabilmente da usare per la coniazione dei primi augustali che sarebbero stati emessi nello stesso anno. Pare comunque che la storia di questo rapporto non fosse stata sempre piacevole. Nel 1223 una flotta siciliana fu inviata contro Gerba. Mentre l'arrivo di un principe hafside, ῾Abd al-῾Azīz, rifugiatosi alla corte di Federico II, poteva diventare causa di nuovi problemi. Durante gli ultimi anni di vita dell'imperatore, le relazioni fra gli Hafsidi e i siciliani restarono ancora buone. Nel 1239-1240 Federico prese sotto la sua diretta autorità il commercio del grano siciliano a Tunisi, approfittando di una terribile carestia nella capitale hafside. La sua decisione di prendere il controllo del commercio del grano siciliano gli apportò alti profitti, anche se affidò proprio a pisani e toscani il compito di trasportarlo. Abū Zakharyyā, da parte sua, pagava un tributo a Federico II, ma quest'atto è da intendersi non tanto come un segno di sottomissione verso l'imperatore, quanto piuttosto come un modo che permise a entrambi i sovrani di assicurare ai loro sudditi una certa sicurezza e la libera navigazione nel tratto di mare fra la Sicilia e il Maghreb. Inoltre l'imperatore nominò consoli a Tunisi Enrico di Trapani e successivamente, nel 1241-1242, Pietro Capuano di Amalfi, entrambi membri di influenti famiglie. L'affitto del consolato di Tunisi sotto Pietro Capuano fu fissato a 3.000 tarì (100 once d'oro), una somma che rifletteva la crescente importanza del legame commerciale tra la Sicilia e Tunisi sotto Federico II. D'altro canto anche Abū Zakharyyā intrattenne buone relazioni con il conquistatore dei territori almohadi in Spagna, Giacomo I, re di Aragona. Il bisogno di commerciare superava il tradizionale fanatismo almohade contro i cristiani e il successo di Abū Zakharyyā dipese in parte dagli accordi stipulati con i sovrani di Sicilia e di Aragona. Fu solo dopo la morte di Abū Zakharyyā che l'emiro hafside al-Mustanṣir (che regnò dal 1249 al 1277) decise nel 1253 di usare il titolo di 'amir al-mu'haminin' e di califfo, il segno definitivo della disintegrazione dell'Impero almohade in Occidente.

I rapporti fra l'Ifriqiyya e la Sicilia ebbero un'importanza notevole nella storia politica ed economica del regno di Federico II. Le influenze culturali, al contrario, furono modeste, ma vale la pena di aggiungere una breve nota su un fatto particolare, e cioè l'arrivo a Palermo nel 1239-1240 di un gruppo di ebrei provenienti da Gerba (ovvero 'Garbum', che potrebbe anche indicare in generale il Maghreb) su invito di Federico II per riprendere la coltivazione dell'indaco, della henna e di altri prodotti tipicamente arabi, abbandonati in Sicilia dopo la soppressione dell'Islam. Questi ebrei mantennero una comunità distinta per più di due secoli, fino alla loro espulsione dalla Sicilia nel 1492-1493, e furono testimoni diretti delle relazioni tra Sicilia e Ifriqiyya nel Duecento. Ricordiamo anche che Leonardo Fibonacci (v.), il quale dedicò una versione del suo Liber Abaci a Federico, era un mercante pisano stanziato a Tunisi.

fonti e bibliografia

M. Amari, Biblioteca arabo-sicula, I-II, Torino-Roma 1880-1881.

R. Brunschvig, La Berbérie orientale sous les Hafsides des origines à la fin du XVe siècle, I-II, Paris 1940-1947.

D. Abulafia, The Norman Kingdom of Africa, "Anglo-Norman Studies", 7, 1985, pp. 26-49 (ora in Id., Italy, Sicily and the Mediterranean, 1100-1400, London 1987).

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