ARACRI, Gregorio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

ARACRI, Gregorio

Giovanni Cervigni

Nacque a Stallettì, presso Squillace (Catanzaro), nel 1749 da Francesco e Teresa Capricotto. Nel 1763 vestì l'abito cappuccino e due anni dopo professò i voti, assumendo il nome di fra' Fedele da Stallettì (donde le iniziali che in alcuni suoi scritti indicano l'autore: F.F.A.D.S.C., cioè Fra' Fedele Aracri da Stallettì Cappuccino). Qualche tempo dopo, per completare i suoi studi, si recò a Roma, ove però non si soffermò a lungo, essendo rimasto insoddisfatto delle scuole di quella città, e quindi a Napoli per un periodo non maggiore, durante il quale iniziò lo studio della matematica. Nel 1770 lo troviamo a Petilia Policastro (Catanzaro), da dove è datato un suo opuscolo rimasto manoscritto: Lettere ad un amico, nelle quali provasi la vera esistenza dell'Arte Magica, contro l'asserto dell'Avv. Don Giuseppe Raffaele.

Nel 1775 venne chiamato a insegnare filosofia e teologia nel seminario di Oppido Mamertino (Reggio Calabria), donde nel 1777 ritornò a Napoli una seconda volta per un soggiorno di due anni, decisivo forse nella vita dell'Aracri. Difatti entrò in contatto con l'ambiente culturale partenopeo, stringendo legami di amicizia con alcuni suoi esponenti, da Filangieri e Pagano all'abate Jerocadès, legami che avrebbe mantenuto anche dopo il suo rientro in Calabria. Dopo aver rifiutato un invito dei cappuccini francesi di trasferirsi a Parigi per lavorare in quella Società biblica, nel 1779 ritornava a Catanzaro, quale professore di filosofia e matematica nel locale seminario. A questo secondo periodo di insegnamento, che durò fino al 1785, si debbono i primi scritti di contenuto didattico, alcuni editi e altri rimasti manoscritti.

Fra i primi ricordiamo: Elementi di Aritmetica per gli giovanetti, Napoli 1779; Elementi di Algebra per gli giovanetti, ibid. 1781; Prima Dialectices elementa a F. F. A. e S. C. in usum seminarii Catacenxis conscripta, ibid. 1782; Elementi di Geometria e Trigonometria piana ad uso del Vescovi del Seminario di Catanzaro, ibid. 1784; Elementi di Logica, ibid. 1787. Fra i secondi: Lezioni Elementari dell'Etica, composte dal Rev. P. Lettore Fedele da Stallettì Cappuccino, ad uso di Frate Antonio da Petrizzi, Sacerdote studente. del medesimo Ordine. Incominciate in Catanzaro l'anno 1781; Elementi di Geometria Solida, e Sezioni Coniche; Elementi di Fisica. Nel 1783 l'istituzime della "Cassa Sacra" portava alla soppressione degli ordini monastici in Calabria e l'A. si secolarizzava, riassumendo il nome Gregorio e ottenendo un canonicato e l'arcipretura della cattedrale di Squillace, diocesi della quale diveniva anche esaminatore sinodale. Successivamente assumeva lo stesso incarico per Catanzaro, dove aveva avuto la direzione della scuola normale fin dalla sua istituzione nel 1783. Il 12 marzo 1785 otteneva la cattedra di matematica nel Real Collegio della stessa città, mantenendola, però, per motivi di salute, solo per un anno. Nel 1787, a Napoli, pubblicava un'opera, Elementi del Diritto Naturale, che risentendo, sia pure moderatamente, gli influssi del pensiero illuministico, lo pose al centro di una viva polemica.

Fra i suoi accusatori si distinse un sacerdote, Francesco Spadea, contro il quale l'A. pubblicava, sempre a Napoli nel 1787, un Esame Critico di una lettera di D. Fr. Spadea contro gli Elementi di Diritto Naturale dell'Abb. G. A., e lo Spadea a sua volta l'anno dopo, ancora in Napoli, stampava una Apologia delle lettere di Fr. Spadea con cui si difende la verità di alcune principali massime di Etica e Cristiana Teologia, contro all'esame critico dell'Abb. D. G. Aracri. La polemica ebbe echi anche a Napoli e giunse fino a Roma, dove l'A. venne chiamato a giustificarsi dall'accusa di eterodossia. Le sue scuse non dovettero sembrare molto convincenti se la sua opera, anche per l'ostilità del cardinale G.S. Gerdil, finì all'Indice. Dovettero giovare a suo danno anche i legami che l'A. manteneva con gli esponenti dell'illuminismo napoletano, e dai quali è nata la qualifica di massone attribuitagli da parte dei contemporanei e riecheggiata, non sappiamo con quale fondamento, da alcuni biografi. Pare che tutte queste vicissitudini avessero indotto l'A. a ritirarsi dall'insegnamento pubblico, dedicandosi a quello privato, anche per non rinunziare alle proprie idee; difatti egli ribadiva le proprie posizioni in un libro pubblicato nel 1789, sempre a Napoli, Dell'Amor Proprio, la cui seconda parte rimase inedita e si conserva presso la Biblioteca nazionale di quella città.

Con questa formazione intellettuale, nel 1799 l'A. non poteva non trovarsi nelle file dei repubblicani: presenzia all'innalzamento dell'albero della libertà nella piazza San Giovanni di Catanzaro, predica la libertà in quel duomo, avanza la richiesta dell'abolizione delle decime, del testatico, e delle tasse doganali a favore dei nullatenenti. Al sopravvenire dell'esercito sanfedista l'A. si dette alla latitanza, ma non è possibile stabilire con certezza se poté sfuggire all'arresto, oppure, catturato, riuscì poi ad evadere.

Escluso dall'amnistia del 23 apr. 1800 (della quale invece beneficiò il fratello medico Saverio, padre di due patrioti, Domenico e Gregorio iunior, morti esuli entrambi lo stesso giorno, 3 ag. 1855, il primo a Madrid e l'altro a Malta), godette però dell'indulto del 10 febbr. 1801. Durante la latitanza l'A. scrisse alcuni componimenti poetici, rimasti tutti inediti: La Grancheide, in dialetto calabrese, del luglio 1799; una canzone a Nice, dell'agosto 1799; una parafrasi del salmo In te, domine, speravi; ed infine una preghiera, composta il 28 maggio 1800. Di questi scritti solo il primo, che è un rifacimento della novella 208 di Franco Sacchetti, ha un certo valore letterario. Negli anni successivi l'A. pare si sia ritirato a Stallettì, rifiutandosi di prendere parte alla congiura organizzata da Guglielmo Pepe e scoperta nel 1803, e per tale motivo dai cospiratori venne sospettato di tradimento.

Nel 1808 ripubblicò a Napoli gli Elementi di Diritto Naturale, modificandoli e ampliandoli in una nuova opera intitolata Degli Elementi del Diritto Naturale e sociale, in due volumi. In quello stesso anno gli venne concesso, il 18 marzo, l'arcipresbiterato di Patronato Reggio, congiunto al canonicato di prima elezione nella cattedrale di Squillace, e il 6 dicembre la rettoria del Real Collegio di Catanzaro, che ebbe però effettivamente solo il 15 ottobre successivo, all'apertura dell'anzidetto istituto. Nel 1808 ebbe invece analoga carica nel collegio di Lucera.

Unitamente al rettorato gli venne conferita la cattedra di retorica, insegnamento che conservò sino al 31 ott. 1812, quando passò a quello di filosofia. In questo periodo dovette essere composta un'altra opera rimasta manoscritta, Elementi di Rettorica. Il 25 maggio 1809 venne eletto socio non residente dell'Accademia Pontaniana, nelle cui Memorie pubblicò nel 1810 una Relazione della pioggia di cenere avvenuta in Calabria ulteriore nel dì 27 marzo 1809. Il 14nov. 1811, pare per intrighi locali, passò da rettore effettivo ad onorario, mantenendo lo stesso stipendio. Morì di apoplessia a Catanzaro il 23 giugno 1813.

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