GRANATA

Enciclopedia Italiana (1933)

GRANATA (in sp. Granada; A. T., 43)

Giuseppe CARACI
José F. RAFOLS
Giorgio LEVI DELLA VIDA
José A. DE LUCA
* Gi. La.

Città della Spagna meridionale (Andalusia), capoluogo della provincia omonima. Sorge quasi nel mezzo della provincia, marginalmente alla Vega omonima, dove questa si appoggia ai contrafforti nord-occidentali della Sierra Nevada (37°10′ 34″ N.; 3°36′ 11″ E.).

L'attuale Granata si distende al piede di due colline alte poco più di 100 m., e separate fra loro dal corso del Río Darro (il Salon romano, Ḥadārrū degli Arabi), dove questo, mutando bruscamente la sua direzione E.-O. in N.-S., viene a mettere foce nel Río Genil (il Singilis dei Romani, lo Shenīl degli Arabi), il più importante fra gli affluenti del Guadalquivir. Il Darro divide la città in due parti, d'ampiezza disuguale, e circonda sulla sinistra, col suo gomito, il colle su cui è l'Alhambra: il primo nucleo, verosimilmente, del centro abitato, ch'ebbe in origine, per le sue condizioni naturali, funzione soprattutto di fortezza. Di qui la popolazione, crescendo, dilagò verso il piano, raggiunse e poi oltrepassò il Darro, e costituì sotto gli Arabi, sul colle che s'innalza a destra di questo di fronte all'Alhambra, il pittoresco quartiere dell'Albaicín ( [Rabaÿ] al-bayyāzīn o "quartiere dei falconieri"), che forma oggi la parte settentrionale della città e culmina con la chiesa di S. Nicola (incendiata nell'agosto 1932). Allora nell'Albaicín erano le dimore dei nobili e l'abitato venne circondandosi di mura e di torri, di cui rimangono cospicui tratti tra S. Cristóbal e la via che adduce al Sacro Monte. La conquista cristiana portò un grave colpo alla floridezza di Granata, che non risorse se non in epoca recente, cominciando, solo verso la fine del secolo scorso, a distendersi verso N. e verso SO., dove le nuove costruzioni ingrandirono un centro (Antequeruela, da Antequera, altra città andalusa), che si era formato nel sec. XV nella zona pianeggiante sulla destra del Genil. Nonostante le profonde trasformazioni subite, il carattere impresso alla topografia di Granata dall'insediamento arabo non è obliterato: l'Albaicín, oggi divenuto quartiere di operai o addirittura di poveri (zingari, viventi in parte entro caverne), conserva il pittoresco dedalo delle vie anguste (alcune larghe anche meno di un metro), tortuose e irregolari, dove le carrozze non possono transitare, dei vicoli a fondo cieco, delle piazze asimmetriche e come serrate fra le case; queste poi, le più, costituite da due soli piani, col patio in basso e le stanze di abitazione al piano superiore. La maggior parte dei quartieri nuovi ha però fisionomia moderna: un bellissimo viale (Gran Vía de Colón) conduce dal centro (Calle de los Reyes Católicos) all'ampia Plaza del Triunfo, a N. della città, dove la prossimità della stazione ha provocato un intenso sviluppo edilizio.

Granata, che come capitale dell'omonimo regno arabo dovette contare una popolazione non inferiore ai 200.000 abitanti, ne aveva meno della metà dopo la conquista cristiana (ma era tuttavia sempre la seconda città della Spagna) e si era ridotta a poco più di 50-60 mila abitanti al principio del secolo scorso. Da allora il ritmo ascendente non si è più arrestato: 75 mila ab. nel 1900, 80 nel 1910; 103 nel 1920, 110 circa attualmente (oggi Granata è la nona città della Spagna per popolazione). Questo aumento è in parte conseguenza delle migliorate condizioni generali del paese, in parte dello sviluppo avuto da alcune attività agricole (coltura della canna da zucchero) e industriali (industrie alimentari e soprattutto zuccherificio; una certa importanza conservano anche la lavorazione dei mobili, dei cuoi, del ferro battuto e le ceramiche, industrie tutte di origine araba), con le quali è in rapporto un analogo affittirsi della popolazione negl'immediati dintorni della città. Lo sviluppo sarà maggiore quando verranno migliorate le comunicazioni: quelle ferroviarie col mare debbono compiere due lunghi giri prima di raggiungere Almería o Málaga sul Mediterraneo.

Monumenti. - La cattedrale aperta al pubblico nel 1561 ha la facciata più notevole (piazzetta di Pariegas), disegnata da Alonso Cano, con sculture del Risueño e del Verdiguier; il campanile incompiuto. Nel complesso fu ideata da Diego di Siloé, che ne diresse i lavori fino alla sua morte (1563) e a cui succedettero Juan de Maeda, Lázaro Velasco, Juan de Orea, Ambrosio de Vico, Gaspar de la Peña, Alonso Cano, e altri ancora, fino al compimento delle vòlte (1704). L'interno, a cinque navate, ha vòlte gotiche su fasci di colonne corinzie. La cappella maggiore, sormontata da un'alta cupola ne è la parte più ricca con grandi altari, quadri di Bocanegra, Juan de Sevilla e Alonso Cano, oltre a sculture di quest'ultimo artista e di Pedro de Mena y Medrano. Addossata al lato destro della cattedrale sta la Cappella dei re, fondata da Ferdinando e Isabella nel 1505 sotto la direzione di Enrique de Ergas. L'interno gotico su croce latina custodisce le tombe reali: quella dei re cattolici, opera di Domenico Fancelli; quella dell'arciduca Filippo e della regina Giovanna probabilmente di Bartolomé Ordóñez. Un armadio racchiude preziosi cimelî di pittura già appartenuti a Isabella; tra gli altri una squisita Orazione nell'Orto, del Botticelli. Nell'edificio dell'università e del collegio imperiale costruito dal 1527 al 1530, il portale è di stile "plateresco". Tra le altre chiese sono notevoli quelle di S. Anna (sec. XVI), di S. Giovanni dei Re, piccola costruzione (circa 1520), del S. Salvatore, cominciata nel 1560 sui piani di Juan de Maeda con avanzi della moschea principale dell'Albaicín, di S. Gerolamo con la tomba del "gran capitano" Gonzalo di Cordova, un grande "retablo" e le statue oranti di Gonzalo e di sua moglie, attribuite a Diego di Siloé, architetto della chiesa, una Pietà mirabile del Berruguete. Il convento di S. Elisabetta, chc occupa una parte dei palazzi dell'Alcazar reale dell'Albaicín, racchiude bei testi d'architettura araba. Il cortile rettangolare, detto del Toronto, è circondato da un'ampia galleria, che in una parte conserva ancora le colonne di marmo bianco, le arcate di stucco, il fregio e i modiglioni della gronda, e nel centro rimane tuttavia lo zampillo dell'antico serbatoio. È notevole il portale della chiesa di detto convento, di stile ogivale; la chiesa stessa è di stile musulmano con uno splendido soffitto e ricchi rosoni nella cappella principale. Nei dintorni del rione dell'Albaicín, a un chilometro dalla città, si trova l'antica Certosa.

Il monumento profano più importante è l'Alhambra (v.: Il, pp. 480-487) che occupa la sommità del Monte dell'Asabica estendendosi da E. a O. ed è limitata a N. dal Darro, mentre a S. la valle dell'Asabica la separa dal Monte Mauror. L'Alcazaba, o cit. tadella, s'innalza sull'estremità occidentale dell'Alhambra, di cui è la parte più antica; fu costruita nel sec. XIII e consiste in una fortezza con torri in parte rovinate e collegate tra loro con muri riparati nel sec. XVI; dalla torre si gode una vista di incomparabile bellezza. Vengono appresso la piazza de los Alijbes all'Alcazar dei Re Mori, ossia l'Alhambra propriamente detta. L'Alameda dell'Alhambra è un viale che si snoda attraverso la valle dell'Asabica, alberato quasi interamente di pioppi (in spagn. àlamos) piantati alla fine del secolo XVIII, e che conduce al Generalife o casa di campagna dei sultani di Granata, decorato nel 1319 al tempo di Abū l-Walīd: consta di varî edifici con archiiettura semplice e di giardini ben sistemati.

V. tavv. CXXIX e CXXX.

Storia. - Poiché non vi è traccia dell'esistenza di una città nel luogo dell'attuale Granata prima dell'età musulmana, si ritiene che essa sia sorta da un accampamento militare arabo sorto subito dopo la conquista (principio del sec. VII) in prossimità dell'antica Iliberris (Elvira), analogamente a quanto si sa dell'origine di molte altre città arabe nei territorî conquistati. Ma né le circostanze della sua fondazione e del suo incremento, né l'origine del suo nome (ar. Ghirnāṭah) sono finora esattamente chiariti. Granata cominciò ad avere un'esistenza statale autonoma soltanto al principio del sec. XI, quando, in seguito alla caduta del califfato omayyade di Spagna, essa cadde in potere della dinastia di origine berbera degli Zayridi, che vi regnarono dal 1015 al 1090. Durante questo periodo Granata salì a un grado cospicuo di floridezza, principalmente sotto il secondo dei principi Zayridi, Ḥabbūs ibn Zāwī che ebbe per ministro il famoso ebreo Samuel ben ha-Nagdĕlāh. Ma l'invasione degli Almoravidi e quella successiva degli Almohadi distrussero insieme con la maggior parte degli stati minori della Spagna musulmana, anche quello di Granata. Esso non risorse che al principio del sec. XIII, quando, nella decadenza dell'impero almohade, che vide a poco a poco il distacco delle provincie a esso soggette, l'emiro Muḥammad al-Aḥmar di Ar) ona riuscì a impadronirsi, insieme con altre città della Spagna meridionale quali Jaén e Cadice, anche di Granata (1238), dove trasportò la capitale del suo stato, iniziando la dinastia dei Banū 'l-Aḥmar o Banū Naṣr (Naṣridi), che per oltre due secoli e mezzo costituì l'ultimo rifugio del dominio musulmano nella Spagna.

Il regno di Granata comprendeva, oltre l'attuale provincia, quelle finitime di Málaga e di Almería e parte dell'Andalusia meridionale (circa 29.000 kmq.).

Politicamente la situazione dei Naṣridi era tutt'altro che felice: dichiaratisi fin dall'inizio vassalli del re di Castiglia, essi cercarono nell'alleanza coi Merīnidi del Marocco un contrappeso all'egemonia dei cristiani, e riuscirono così, se non ad aumentare il proprio prestigio, almeno a conservare l'indipendenza. In un certo senso, anzi, la funzione di "stato cuscinetto" assunta da Granata giovò ad accrescerne la prosperità economica e a dare impulso al suo sviluppo culturale del quale sono testimonî e la produzione letteraria degli scrittori granatini (l'ultimo dei quali, il famoso Lisān ad-dīn Ibn al-Khaṭīb, sembra riassumere nei suoi copiosissimi e ampollosi scritti le ultime energie dello spirito arabo), e, ancor più, i grandiosi monumenti architettonici, di cul l'Alhambra è solo il più cospicuo. Ma la debolezza di fronte all'estero fu incentivo alle lotte interne, di cui i re di Castiglia profittarono per occupare successivamente varie posizioni dello stato. La rivalità tra i fratelli Muḥammad ibn Sa‛d az-Zaghall e Abū 'l-Ḥasan 'Alī, e tra il primo di questi e il figlio del secondo, Muḥammad Abü ‛Abd Allāh, il Boabdil (v.) degli storici cristiani, diedero occasione all'intervento castigliano, il quale culminò, nel 1491, con l'assedio di Granata: questa capitolò il 2 gennaio 1492 con un trattato che garantiva ai musulmani la libertà di culto; ma esso non fu osservato, e un decreto del 1502 obbligò i musulmani alla conversione o all'esilio. Gran parte di essi emigrò nel Marocco; gli stessi convertiti (moriscos) ebbero a soffrire persecuzioni e angherie da parte del governo e dell'autorità ecclesiastica, finché il divieto, promulgato nel 1566, di usare la lingua araba provocò una violenta insurrezione dei moriscos granatini, specialmente di quelli del distretto di Alpujarras, la quale, trascinatasi per anni in una serie di sommosse e di guerriglie, portò al decreto generale di espulsione (1609) che chiude per sempre l'era della civiltà araba in Spagna.

Da allora la città decadde continuamente. Quando avvenne l'invasione francese, il generale Sebastiani eseguì vendette sanguinose sugli abitanti; la città fu evacuata dal maresciallo Soult nel 1812 e fu di nuovo occupata dal 1820 al 1822 dai Francesi i quali tentarono allora di far saltare l'Alhambra, che fu salvata solo per l'atto coraggioso di un invalido di nome García, che tagliò la miccia che doveva dar fuoco alla polvere deposta nei sotterranei.

Col sec. XIX e XX la città è rifiorita a nuova vita, divenendo importante centro industriale e ha anche preso larga parte alle vicende politiche della Spagna. In questi ultimi tempi, anzi, è diventata uno dei centri di maggiore attività repubblicana prima, estremista poi; negli ultimi tempi del governo di De Rivera vi si ebbero clamorosi incidenti all'università, per il reciso atteggiamento antiriveriano di alcuni professori e degli studenti; poi, proclamata la repubblica, la città fu teatro di tumulti e violenze, specie contro il clero; tumulti e violenze ripetutisi in occasione del movimento insurrezionale (agosto 1932) del generale Sanjurjo.

Il trattato di Granata. - Questo trattato, che ebbe ripercussioni profonde nella storia italiana, fu concluso l'11 novembre 1500, nella città omonima, fra Luigi XII re di Francia e Ferdinando il Cattolico, re di Aragona. Per esso, i due sovrani si dividevano il regno di Napoli, su cui regnava Federico d'Aragona; e la divisione doveva essere fatta in questa guisa: a Luigi XII la corona regia, la Terra di Lavoro e gli Abruzzi, al Cattolico la Puglia e la Calabria. Il trattato era stato concluso secretamente; Federico d'Aragona, che fidava nell'aiuto del Cattolico, suo parente e suo alleato, fu così pienamente sorpreso e fu facile cosa a Gonzalo di Cordova, comandante delle truppe spagnole nel Mezzogiorno, venuto sotto veste di alleato e protettore, impadronirsi del regno. Ma dal trattato stesso doveva poi nascere la guerra fra i due contraenti: perocché sorte nella spartizione del regno varie difficoltà, massima quella dei dazî sui greggi transumanti fra Puglia e Abruzzo - questioni tutte non contemplate nel trattato e forse ad arte - scoppiò il conflitto che si concluse nel 1504 con la completa vittoria spagnola e la sottomissione di tutto il regno di Napoli a Ferdinando il Cattolico. Grande ripercussione ebbe poi il trattato nell'opinione pubblica contemporanea: apparendo come una straordinaria perfidia del Cattolico ai danni del cugino Federico.

La provincia di Granata. - Si estende dal Mediterraneti alla Sierra de Segura, e abbraccia regioni abbastanza varie per il paesaggio naturale e per i caratteri dell'insediamento umano. La striscia rivierasca, detta localmente "la costa", è alta, rocciosa, formata com'è dal ripido pendio di una serie di sproni (Sierre de Almijara, de Lújar, Contraviesa), che costituiscono le ultime propaggini della Sierra Nevada, della quale rientra nel territorio della provincia la parte più elevata e più aspra, culminante nel Cerro de Mulhacén 3481 m.) e nel Picachri de Veleta (3470 m.). Tra i due allineamenti montuosi, diretti da O. a E., è la zona dell'Alpujarra, a rilievo anch'essa accentuato, ma con valli orientate da N. a S., umida e ben irrigata, sì da consentire grande varietà di colture (cereali, ortaggi, legumi, olivo, vigna e frutteto), favorita da un intenso parcellamento del possesso fondiario; zona etnicamente notevole perché la popolazione araba, mantenutavisi anche dopo la reconquista, vi fu sostituita in pieno da una vera e propria colonizzazione di Gallegos per volere di Filippo II. A N. della Sierra Nevada, le cui aride penditi tradiscono l'intenso diboscamento operatovi dalla mano dell'uomo, s'apre "la Vega" granadina, ampio avvallamento adacquato dal Genil e dai suoi tributari, che vi hanno disteso uno spesso, fertile mantello di alluvioni. La Vega è, anche per la sua posizione centrale, il vero cuore della provincia, di cui rappresenta la zona agricola più ricca. Ancora più a settentrione e a oriente, invece, le condizioni mutano profondamente, per la presenza o di altipiani aridi, quasi soltanto adatti alle colture cerealicole estensive (el Mar quesado), oppure di un rilievo più accentuato (Sierre de Cor e de Baza), nel quale la "hoya" di Baza ha in certo modo carattere di oasi. Il contrasto si fa poi maggiore nell'angolo più settentrionale della provincia: qui il paesaggio de "la Sagra" (2382 m.) è triste e desolato: la zona è quasi del tutto abbandonata, con popolazione povera e vivente ancora in caverne (cnevas), come all'epoca preistorica.

Con questa diversità di caratteri sta in rapporto la varietà del clima, decrescendo sensibilmente la piovosità dal mare verso l'interno, fino a divenire insufficiente alla vegetazione. Granata, che è a 690 m. d'altezza, ha una temperatura media annua di 15°, ma l'escursione termica è sempre notevole (da −5°,6 a 43°,6) e la quantità di pioggia inferiore di regola ai 500 mm. annui.

Nella provincia si coltivano cereali, olivo e vite; ortaggi e alberi da frutta soprattutto nella Vega granadina; piante tropicali (cotone e canna da zucchero) in questa e lungo la calda cimosa costiera, dove si mantengono ancora in vita le pratiche irrigatorie createvi dagli Arabi. Le ricchezze minerarie debbono essere considerevoli (piombo, rame, ferro, oro, argento, nitro, lignite, ecc.), ma non si è ancora fatto m0lto per metterle in valore, ed è anche scarso lo sviluppo che in tutta la provincia hanno avuto e hanno le industrie (importante tuttavia quella dello zucchero a Granata).

La provincia di Granata abbraccia una superficie di 12.529 kmq. La popolazione è cresciuta di poco più di 100 mila ab. nell'ultimo cinquantennio; attualmente (calcolo del 1930) conta 608.800 ab. (573.682 secondo il censimento del 1920), con una densità, quindi, di 48 ab. per kmq., superiore di poco a quella dell'intiera Spagna; ma è assai inegualmente distribuita, addensandosi per oltre un terzo nella regione prossima alla capitale, in cui tende a verificarsi anche una maggiore dispersione nelle campagne. Le regioni più povere del N. segnano il maggior numero di centri abitati superiori ai 5 mila ab., una trentina in tutto, tra i quali pochi meritano ricordo (Baza, Guadix, Huescar, Loja, Motril, ecc.).

Bibl.: J. Gonzalo y Tarín, Reseña física y geológica de la provincia de Granada, Madrid 1881; O. Schubert, Geschichte der Barock in Spanien, Esslingen 1808; M. J. Müller, Die letzten Zeiten von Granada, Monaco 1863; W. Irwing, A chronicle of the Conquest of Granada, Filadelfia 1879; M. Gómez Moreno, Palacio del Emperador Carlos V en la Alhambra, Madrid 1885; F. Pi y Margall, Granada, in España, sus monumentos y artes, su naturaleza e historia, Barcellona 1885; K.E. Schmidt, Córdoba und Granada, Lipsia 1902; V. Lampérez y Romea, Historia de la arquitectura cristiana, Barcellona 1904; A. Ganivet, Granada la Bella, 2ª ed., Madrid 1905; E. Kühnel, Granada, Lipsia 1908; F. de P. Valladar, Guía de Granada, Granata 1909; L. Seco de Lucena, Guía práctica, artistica de Granada, Granata 1909; id., Plano de Granada árabe, Granata 1909; O. Quelle, Beiträge zur Landeskunde von Ostgranada, Amburgo 1914; P.A. Alarcón, La Alpujarra, Madrid 1919; J.F. Rafols, Arquitectura del Renacimiento español, Barcellona 1929.

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