Goya y Lucientes, Francisco José

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Pittore e incisore (Fuendetodos, Saragozza, 1746 - Bordeaux 1828). Dopo aver frequentato, dal 1760, lo studio di J. Luzán y Martínez a Saragozza, nel 1766 si recò a Madrid, dove studiò a fondo le opere di D. Velázquez, conobbe G. Tiepolo ed entrò nella cerchia di R. Mengs. Forse per consiglio di questo, nel 1769 si recò a sue spese (era nato povero e tale rimase per tutta la vita) in Italia. Fu a Roma, e probabilmente anche a Venezia. Tornato in Spagna, decorò la cupola di N. S. del Pilar a Saragozza (1772-74): gli affreschi (ora assai sciupati), dei quali egli aveva appreso la tecnica in Italia, rivelano l'influenza di Tiepolo e di C. Giaquinto. Nel 1775 si recò di nuovo a Madrid: i cartoni con scene di costume e giochi infantili, composti con vivacissimo stile e raffinato gusto pittorico per gli arazzi destinati all'appartamento del principe ereditario, gli procurarono grande successo a corte. Ebbe inizio allora il periodo più fecondo della sua arte e il più agitato della sua vita: temperamento capriccioso e passionale, conobbe favori e disgrazie, successi artistici, mondani e galanti e profonde amarezze. Nel 1775 aveva sposato Josepha Bayeu, sorella di F. Bayeu, aiuto di Mengs; nel 1777 nacque il primo dei suoi ventiquattro figli. Nel 1780 si recò a Saragozza a dipingere nella cattedrale affreschi dei quali aveva ottenuto la commissione attraverso F. Bayeu. Lasciò l'opera incompiuta, mentre aumentavano i dissapori con il cognato. Nel 1783 aveva incominciato a dipingere ritratti. Nel 1785 divenne vicedirettore dell'Accademia San Ferdinando, di cui era membro dal 1780. Il suo amico duca di Osuna gli affidò alcune importanti commissioni per il palazzo della Alameda. Altro suo mecenate fu l'infante Don Luis (Famiglia dell'infante don Luis, 1784, Parma, Coll. Magnani-Rocca), al quale dovette la promozione a pittore regio nel 1786. Il regno di Carlo IV segnò per lui l'apice del successo; ma quando, dopo l'occupazione francese, salì sul trono Ferdinando VII, G. si ritirò dapprima in campagna e poi, in esilio, a Bordeaux. Nel 1792 un collasso segnò la fine dei suoi pochi giorni brillanti. Durante la convalescenza G. acquistò l'indipendenza fantastica del suo periodo grigio, durato fino al 1795, nel quale produsse una serie di opere mirabili (La famiglia del duca di Osuna, Doña Tadea Arias de Enríquez, la Duquesa de Alba, Francisco Bayeu). Nel 1798 dipinse i celebri affreschi della cappella di S. Antonio de la Florida a Madrid. L'anno seguente pubblicò i Caprichos, dei quali dovette poi rispondere davanti all'Inquisizione. Del 1799 è anche lo straordinario ritratto della famiglia di Carlo IV, così privo di lusinghe, e che pure gli accattivò la simpatia del re, inaugurando un nuovo periodo di successi. In contatto con l'aristocrazia e con gli intellettuali della nazione, G. provava una sincera simpatia anche per gli umili. Di questa sua rara sensibilità sono frutto le incisioni dei Desastres de la guerra, condotte nella solitudine dell'occupazione francese, divenuta più desolata con la morte della moglie (1812). Già durante la guerra G. si era recato a Saragozza per dipingere le imprese della resistenza spagnola; dopo la Restaurazione eseguì, tra l'altro, la Fucilazione del 3 maggio 1808 (1814, Madrid, Prado). In questo periodo pubblicò i Desastres e si mise a incidere scene di corrida. Intanto la sordità aumentava il suo isolamento. Si ritirò in una casa di campagna (la cosiddetta Quinta del Sordo). Per suo proprio conto dipinse una serie di visioni fantastiche, finché nel 1824 si decise a lasciare la Spagna. A Bordeaux visse nella cerchia degli emigrati spagnoli. Dipinse ancora cose assai belle e apprese la litografia. Fra gli ultimi dipinti, La lattaia di Bordeaux (Madrid, Prado) e Don José Pío de Molina (Winterthur, Coll. O. Reinhart) lo dimostrano un antesignano degli impressionisti. G. eseguì anche incisioni dalle opere di Velázquez, quadri e decorazioni per chiese, affreschi per ville, numerose serie d'incisioni originali: dovunque dimostrando un'incredibile libertà di visione e una straordinaria prontezza e audacia d'espressione. Fu ritrattista tra i più grandi: acuto, penetrante, incisivo nel sorprendere la vita profonda del modello, talvolta amaro e mordace nel rivelare i vizî nascosti, la grettezza morale celata sotto le vesti sfarzose; né mai sacrificò alla ricerca del carattere la qualità della visione pittorica. La sua pittura conosce tutte le gamme espressive: va dalla dolcezza di talune immagini di bimbi alla sensualità della Maja vestida e della Maja desnuda (entrambe eseguite tra il 1803 e il 1806, Madrid, Prado), all'atrocità delle scene della guerra e dell'invasione e delle incisioni dei Desastres de la guerra (1810-13), all'estrosità dei Caprichos (1796-97) e dei Proverbios (1820-22), alla sanguinosa violenza della Tauromachia. La sua arte, che nel corso degli anni va facendosi sempre più fosca e drammatica, è in fondo aspramente moralistica; l'intensità della visione, che sempre più si stacca dalla realtà oggettiva per farsi potentemente evocativa, è mossa da un'umanità piena di contrasti e di contraddizioni, ma ardentemente intesa a colpire ciò che nel mondo è pregiudizio, convenzione, menzogna. Perciò l'arte di G. può considerarsi il primo impulso al Romanticismo, che in lui infatti riconobbe il proprio maestro. ▭ Tav.

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