TOFFANIN, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 95 (2019)

TOFFANIN, Giuseppe

Adriana Mauriello

– Figlio di Domenico (1861-1920) e di Maria Rodella (1868-1962), nacque il 26 marzo 1891 a Padova, in una casa ubicata nel centro cittadino, in Riviera del Businello, divenuta poi via Falconetto.

Originari della bassa padovana, i Toffanin amministravano i beni dei patrizi veneziani Corner. Il nonno paterno di Giuseppe, Paolo, era ingegnere e risiedeva a Piacenza d’Adige. Il padre, noto avvocato, morì durante l’epidemia di spagnola del 1920. La madre proveniva da una famiglia facoltosa, trasferitasi a Este dall’altopiano di Asiago. Dal loro matrimonio, celebrato il 30 agosto 1888, nacquero nove figli: Paolo, Giuseppe, Caterina, Vincenzo, Maria, Umberto,Teresa, Pierina e Anna. Dei tre fratelli maschi, il primo seguì le orme paterne, scegliendo di esercitare la professione forense; Vincenzo diventò farmacista e Umberto medico. Alle sorelle fu riservato il ruolo di moglie. Anna sposò il fisiologo Enoch Peserico, amico e commilitone di Giuseppe durante la Grande Guerra.

Dopo aver frequentato l’asilo e le elementari presso l’istituto Madama Clair, Toffanin compì gli studi superiori al liceo Tito Livio di Padova, sotto la guida di don Alessandro Nardetto, un sacerdote a cui il padre aveva affidato il compito di sovrintendere all’educazione scolastica dei figli maschi. Nonostante la spiccata predilezione per le materie letterarie e lo scarso rendimento in matematica, Giuseppe si diplomò con ottimi voti nel 1908. Nello stesso anno si iscrisse alla facoltà di lettere e filosofia della città natale, dove seguì i corsi di Vittorio Rossi, giunto da Padova per ricoprire la cattedra di letteratura italiana, in sostituzione di Francesco Flamini. Durante gli anni universitari, anche grazie al rapporto creatosi con Rossi, Toffanin sviluppò il suo interesse per la letteratura e in particolare per l’Umanesimo e il Rinascimento. Collaborò con numerosi quotidiani e riviste.

Il percorso universitario si concluse con la laurea, conseguita il 23 novembre 1912, discutendo una tesi in letteratura italiana, pubblicata, l’anno successivo, con il titolo Il romanticismo latino e i Promessi sposi (Forlì, Bordandini). Diplomatosi anche al magistero nel luglio del 1913, ebbe incarichi d’insegnamento presso l’Istituto nautico di Rimini e l’Istituto tecnico di Mantova. Nel frattempo aveva incrementato la sua attività di scrittore e di saggista, pubblicando novelle e interventi critici su Le cronache letterarie, la Gazzetta di Venezia, Il Conciliatore e Il resto del Carlino.

Nel 1915, benché fosse stato esentato dagli obblighi militari per motivi di salute, si arruolò come volontario e fu inviato in trincea sul Col di Lana. Nonostante le medaglie conquistate per il suo comportamento al fronte, Toffanin scelse di non parlare mai di quella esperienza, di cui si hanno solo scarse notizie indirette. Dopo la parentesi bellica, tornò a insegnare, come supplente, a Padova. Il 1920 e il 1921 furono anni cruciali per la sua vita privata e intellettuale: nel 1920 si unì in matrimonio con la cugina, Elena Colpi, di due anni più giovane, e fu pubblicato a Napoli, dall’editore Bocca, La fine dell’Umanesimo.

Il libro, che attirò l’attenzione di Giuseppe Antonio Borgese, Giovanni Gentile e Antonio Gramsci, segnò una svolta negli studi letterari sul Quattrocento. La fine dell’Umanesimo e la crisi cinquecentesca erano considerati infatti il punto di non ritorno di una determinata fase della storia delle idee, in cui si consumava il sogno di un mondo nuovo basato sulla civiltà, la concordia universale, i valori religiosi. L’opera (in ristampa anastatica con prefazione di Giancarlo Mazzacurati, Roma 1991) aprì la strada alle successive appassionate indagini dell’autore che, in seguito, procedendo a ritroso, concentrò l’attenzione proprio su quel tempo e quella cultura di cui aveva raccontato il drammatico epilogo.

Nel 1921 Toffanin pubblicò, a Padova, Machiavelli e il tacitismo (ristampato con una nuova prefazione dell’autore a Napoli da Guida nel 1972), in cui portava avanti una tesi innovativa, sostenendo la dipendenza della politica della Controriforma, dichiaratamente antimachiavellica, dal ‘tacitismo’ machiavelliano. Con uno scopo ben preciso, il critico metteva in luce le analogie tra il pensiero politico del segretario fiorentino e quello dello storico romano, confermate dall’uso ricorrente delle medesime sentenze o dalla somiglianza tra due personaggi emblematici come l’imperatore Tiberio e il duca Valentino. Subito dopo, in primo piano è la riflessione sull’impatto esercitato dagli Annales (e dunque, in forma ‘mascherata’, dallo stesso Machiavelli) sulla prassi politica cinque-secentesca, proprio quando il consolidarsi delle monarchie europee segnava la nascita dello Stato moderno.

Sempre nel 1921, su sollecitazione di Rossi, Toffanin partecipò, insieme ad Attilio Momigliano e a Eugenio Donadoni, a un concorso per la cattedra di letteratura italiana all’Università di Catania. Due anni dopo fu chiamato all’Università di Messina, per trasferirsi poi a Cagliari. Qui insegnò dal 1924 al 1928, stringendo amicizia con Antonio Segni, preside della facoltà di giurisprudenza. Nel 1928 prese il posto di Francesco Torraca come titolare della cattedra di letteratura italiana nell’Università di Napoli, dove insegnò fino alla fine della carriera nel 1961, rifiutando per due volte l’offerta di trasferirsi altrove: nel 1937 declinò l’invito dell’Università di Milano; undici anni dopo rinunciò anche a rientrare a Padova.

Durante i primi anni nell’ateneo napoletano pubblicò, per Vallardi, nel 1928, la nuova edizione del volume Il Cinquecento, che sostituì quello di Flamini e fu più volte aggiornato fino al 1965. Seguì, nel 1929, Che cosa fu l’Umanesimo: il risorgimento dell’antichità classica nella coscienza degli italiani fra i tempi di Dante e la Riforma (Firenze), in cui, come si evince dal sottotitolo, ribadiva i legami dell’Umanesimo con la tradizione classica, motivandone la genesi con l’esigenza, avvertita anche dal cattolicesimo, di reagire al pensiero filosofico del XIII secolo. Nel 1933 fu stampata, a Napoli, la Storia dell’Umanesimo dal XIII al XVI secolo. L’opera giunse alla sua redazione definitiva solo nel 1964, nell’edizione zanichelliana in quattro volumi, dove rifluiscono, rispettivamente, nel primo e nell’ultimo capitolo, alcuni studi pubblicati in precedenza: Il secolo senza Roma (Bologna 1943) e L’Arcadia (Bologna 1947). Tra il 1943 e il 1945 Toffanin dovette interrompere l’insegnamento; la fine del regime fascista e l’armistizio gli impedirono, infatti, di rientrare a Napoli dalla città natale, dove stava trascorrendo le vacanze estive. Fu sostituito perciò da Cesare Foligno e, nel frattempo, gli fu conferito un incarico presso il ministero dell’Educazione nazionale della Repubblica di Salò, che aveva sede a Padova. Nell’autunno del 1945 riuscì a ritornare in sede e a riprendere servizio.

A Napoli, dove aveva scelto di abitare nella zona di Monte di Dio, la sua vita metodica fu scandita dalle lunghe passeggiate mattutine e serali che si alternavano alle ore di studio e all’insegnamento all’Università, all’Istituto Orientale e all’allora Magistero Suor Orsola Benincasa. La sua esistenza cambiò radicalmente e divenne molto più solitaria e ritirata quando, nel 1953, scomparve la moglie, stroncata in poco tempo da un male incurabile. La perdita lo spinse, probabilmente, ad allontanarsi temporaneamente da Napoli, nel 1954, accettando l’invito a tenere corsi universitari in altre città italiane, in Argentina e in Brasile.

Nel 1961 fu collocato a riposo e passò il testimone a Salvatore Battaglia, docente di filologia romanza nella stessa Università, alla cui cattedra continuò a lavorare Giancarlo Mazzacurati, che era stato allievo di Toffanin insieme a Rocco Montano. Nello stesso anno rientrò definitivamente a Padova, ma mantenne stretti legami con la città d’adozione, dove fu docente al Suor Orsola fino al 1966. L’anno dopo fu dichiarato professore emerito dell’ateneo napoletano.

Negli anni vissuti a Napoli, Toffanin fu socio dell’Accademia pontaniana, dell’Accademia di scienze, lettere e arti, della Società Dante Alighieri. Fu membro dell’Istituto nazionale di studi sul Rinascimento e, dal 1951, ricoprì, per alcuni anni, la carica di presidente del premio Valdagno. Frequentò personalità illustri del mondo della politica, delle lettere, della medicina, del diritto e del giornalismo: Enrico De Nicola, Francesco Arnaldi, Gaspare Casella, Gastone Lambertini, Aldo Sandulli, Giovanni Ansaldo, Giovanni Papini, Borgese, per citarne solo alcuni. Assai burrascoso fu invece il suo rapporto con Benedetto Croce che, in una serie di interventi degli anni Quaranta del Novecento, sulla rivista Critica (ora in Pagine sparse, Bari 1960, pp. 227-238), polemizzò aspramente contro la sua posizione antidesanctisiana e la sua interpretazione dell’Umanesimo e del Rinascimento, accusandolo di clericalismo. In realtà Toffanin prese le distanze tanto dall’erudizione positivistica quanto dal metodo storicistico che pretendeva di interpretare il passato partendo dal presente. Non condivideva il mito delle discipline specialistiche e fu un fiero oppositore della critica estetica.

Dopo il rientro a Padova e la fine dell’insegnamento, condusse vita ritirata, anche per problemi di udito, limitandosi a partecipare a qualche convegno e a una saltuaria frequentazione dell’Accademia patavina. Il 2 giugno 1961 fu insignito del premio riservato ai benemeriti della provincia di Padova.

Morì il 2 marzo 1980. Per sua esplicita volontà, la notizia della scomparsa fu diffusa dopo i funerali e, nell’annuncio, fu nominato solo come «emerito dell’Università di Napoli».

Gli interessi di Toffanin furono molteplici, come dimostra la sua vastissima bibliografia. I suoi studi spaziano dal Duecento al Novecento, comprendendo anche qualche incursione nelle letterature straniere (Dostoevskij, Flaubert, Stendhal, Molière, Tolstoj). Tra gli autori più studiati vanno annoverati Giovanni Pontano, Ludovico Ariosto, Niccolò Machiavelli, Torquato Tasso, Giacomo Leopardi, ma anche Giosue Carducci, Giovanni Pascoli e gli scrittori contemporanei. Dedicò numerosi saggi a Dante Alighieri, considerato una sorta di spartiacque tra antico e moderno, che diede avvio all’Umanesimo. Di una certa consistenza è anche la sua produzione sia di poeta sia di narratore, tra cui: I delusi (Bologna 1912), Ricordi di un uomo inutile (Milano 1919), Dall’altra riva (Napoli 1951). Compose inoltre tre commedie.

Opere. Della vastissima produzione saggistica di Toffanin ci si limita qui a indicare solo le monografie non citate nella scheda, rimandando alla bibliografia curata da Lyda Toffanin in A.M. Moschetti, I miei colloqui con G. T., Padova 1982 (riproposta in M. Santoro - L. Miele, Due maestri dell’Ateneo napoletano, F. Torraca e G. T., Napoli 1989, pp. 151-160) e da G. Mazzacurati in G. Toffanin, La fine dell’Umanesimo, Manziana 1991, pp. XXVII s.

Gli ultimi nostri (saggi critici), Forlì 1919; La critica e il tempo, Torino 1930; Ariosto, Napoli 1930; Castiglione, Della Casa, Bandello, Napoli 1931; La poesia dell’Orlando furioso, Napoli 1933; L’eredità del rinascimento in Arcadia, Bologna 1933; Giovanni Pontano fra l’uomo e la natura, Bologna 1938; Montaigne e l’idea classica, Bologna 1940; La seconda generazione romantica, Napoli 1942; La religione degli Umanisti, Bologna 1950; Giovanni Prati, la prima generazione romantica, Napoli 1950; Prolegomeni alla lettura di Leopardi, Napoli 1952; Lezioni sul Manzoni, Napoli 1952; Lettera a Maometto II, Napoli 1953; Lezioni sulla poesia lirica del secolo XIX, Napoli 1954; L’Umanesimo al Concilio di Trento, Bologna 1955; L’uomo antico nel pensiero del Rinascimento, Bologna 1957; La vita e le opere di Ludovico Ariosto, Napoli 1959; Il Cortigiano nella trattatistica del Rinascimento, Napoli 1960; Italia e Francia, Bologna 1960; Ultimi saggi, Bologna 1960; El hombre antiguo en el pensamiento del Renacimiento, Siviglia 1960; Il vaso di Sassonia, Bologna 1963; Poeti lirici dell’Ottocento: il Monti e il Foscolo, Napoli 1968; Sul Manzoni, Napoli 1972; Novissima verba, Bologna 1972.

Fonti e Bibl.: B. Croce, Pagine sparse, III, Bari 1960, pp. 227-238; S. Vazzana, T. G., in Enciclopedia dantesca, V, Roma 1976, p. 614; A.M. Moschetti, I miei colloqui con G. T., a cura di L. Toffanin, Padova 1982; G. Marzot, G. T., in Letteratura italiana. I critici, V, Milano 1987, pp. 3731-3755; M. Santoro - L. Miele, Due maestri dell’Ateneo napoletano, Francesco Torraca e G. T., Napoli 1989; G. Mazzacurati, Prefazione a G. Toffanin, La fine dell’Umanesimo, cit., pp. VII-XXXVI; Ricordo di G. T. (per il centenario della nascita), a cura di L. Toffanin, Padova 1991; M. Merisi, «Roma onde Cristo è romano»: G. T., Rocco Montano e l’essenza cattolica dell’Umanesimo, disponibile on-line all’indirizzo: http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=21938parametro (8 giugno 2019).

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