SARTI, Giuseppe Francesco Eligi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 (2017)

SARTI, Giuseppe Francesco Eligi

Bella Brover-Lubovsky
Christine Jeanneret
Nicolai E. Østenlund
Roland Pfeiffer

SARTI, Giuseppe Francesco Eligi. – Nacque a Faenza, dove fu battezzato il 1° dicembre 1729 (Faenza, Archivio Capitolare, Registri battesimali, n. 34, c. 30r), settimo di undici figli di Roberto (gioielliere, suonatore di violino in duomo) e di Anna Maria Rampi.

Incerta la formazione, iniziata forse in città sotto i fratelli don Francesco e Paolo Alberghi, rispettivamente maestro di cappella e violinista in duomo. Che Sarti sia stato allievo di padre Giambattista Martini è vox populi riferita da Quirino Gasparini in una lettera al francescano bolognese del 25 febbraio 1767, ma mancano conferme autentiche (le lezioni di contrappunto datate 15 aprile 1739 nel ms. KK.69 del Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna sono intestate a un altrimenti ignoto Giuseppe Maria Sarti). Ci dovette essere, presumibilmente tra il 1744 e il 1748, un contatto formativo con Francesco Antonio Vallotti a Padova, con il quale Sarti mantenne poi rapporti amichevoli (una testimonianza tardiva: G.S. Mayr, Biografie di scrittori e artisti musicali bergamaschi, Bergamo 1875, p. 32). Dal 1748 al 1751 fu organista in duomo a Faenza; venne inoltre coinvolto negli spettacoli operistici dell’Accademia dei Remoti.

In due libretti di oratori dati nelle Marche nel 1752 (Oratorio [...] per celebrare le glorie del b. Giuseppe Calasanzio, Urbino; La gloriosa morte, traslazione e deposito di s. Medardo, Rocca Contrada, 8 giugno) e poi nel Re pastore metastasiano del Carnevale successivo (Venezia, teatro di S. Moisè) risulta maestro di cappella a Pergola (attualmente in provincia di Pesaro e Urbino), qualifica che invece non compariva nel libretto della ‘prima’ (Pesaro, teatro del Sole, Carnevale 1752).

A Venezia, attraverso Angelo Mingotti impresario del S. Moisè, dovette venire in contatto con il fratello, Pietro Mingotti, direttore di una compagnia operistica italiana attiva nei Paesi tedeschi e dal 1747 anche in Danimarca. A Copenaghen dal novembre del 1753, Sarti fu direttore musicale della compagnia (Müller von Asow, 1917, p. 127). Nei due decenni trascorsi nella capitale danese, assunta l’allure del gentiluomo cosmopolita, abile e diplomatico nel gestire i propri interessi, adepto di una loggia massonica, versato nella lingua francese, seppe ingraziarsi il favore della corte. Al termine della prima stagione Mingotti poté assicurarsi un contratto di sei anni, in vista dell’edificazione del «magnifico teatro» progettato da Iacopo Fabris nel palazzo di Charlottenborg; la compagnia fu ampliata «in modo da poter rappresentare le opere del Metastasio» (p. 129). I primi drammi di Sarti inscenati a Copenaghen furono Vologeso (dal Lucio Vero di Apostolo Zeno, Carnevale 1754) e il metastasiano Ciro riconosciuto (21 dicembre 1754; le arie furono incise in rame da Johan Herman Thiele, 1756; facsimile Firenze 2002). Il 1° aprile 1755 Federico V lo nominò kapelmester, successore di Paolo Scalabrini (Overskou, 1856, p. 178). Al termine della stagione 1755-56 Mingotti fece bancarotta (Müller von Asow, 1917, pp. 137-139), ma Sarti restò in Danimarca come hofkapelmester al servizio del sovrano. Non fu coinvolto di persona nel primo syngespil cantato in danese, Gram og Signe (1756, libretto di Niels Krog Bredal, su un soggetto della mitologia scandinava), che però incorporò arie sue, adattate da Johan Christopher Kleen.

Nel 1758 fu inviato in Italia a scritturare cantanti di qualità: ritornò con una compagnia guidata da Marianna Galeotti, detta la Volterrana, che a Copenaghen aveva già cantato cinque anni prima (Overskou, 1856, p. 224). Nel 1761 la troupe italiana fu ingaggiata direttamente dal Teatro Danese (Den Danske Skueplads) e Sarti fu assunto per concertare tutte le opere e comporne tre nuove all’anno (Copenaghen, Rigsarkivet, Det Kongelige Teater og Kapel, 1752-1756, Breve resolutioner og lignende, 220, Contrat Joseph Sarti, 1).

La prima stagione (1761-62) fu un disastro: il fumo dei lampadari intossicò gli spettatori, scene e costumi si coprirono di fuliggine, le comparse erano rissose, il suggeritore non si sentiva, la traduzione dei libretti risultò scadente, il compositore non poté intendersi con lo scenografo Peter Cramer, che non parlava italiano né francese. La direzione del teatro incaricò pertanto Sarti di redigere un memoriale che dettagliasse il fabbisogno di un teatro d’opera italiano di qualità (ibid.). Nelle sue annotazioni Sarti dedicò particolare attenzione ai costumi di scena, essendo gli aspetti scenografici tanto di più importanti in un Paese che, ignaro della lingua italiana, solo da breve tempo era venuto in contatto col genere operistico. La Didone abbandonata metastasiana poté andare in scena nel Carnevale 1763 senza incidenti (e anzi fu ripresa negli anni con successo). Ma la fortuna dell’impresa durò poco: alla fine della stagione il teatro chiuse i battenti per le difficoltà finanziarie.

Sarti tornò in Italia nel 1765 per reclutare nuovi cantanti. In seguito alla morte improvvisa di Federico V (14 gennaio 1766) rimase in patria almeno fino alla primave-ra del 1768. Per un anno circa servì nell’Ospedale della Pietà a Venezia, eletto ‘maestro di coro’ il 19 maggio 1766 (il posto era di nuovo vacante nel dicembre 1767). Per il teatro compose in questi anni poche ma significative opere.

Al teatro S. Benedetto di Venezia andò in scena un secondo Vologeso (Carnevale 1765), del tutto nuovo rispetto alla versione del 1754: vi abbondano i recitativi accompagnati, gli assoli dei fiati, le musiche in scena, i sia pur minuscoli concertati. Nel campo dell’opera comica, che fin lì Sarti aveva battuto soltanto come arrangiatore di opere altrui a Copenaghen, fece eseguire a Roma l’intermezzo La giardiniera brillante (teatro Valle, 3 gennaio 1768): vi figurano alcune arie di inusitata ampiezza, anche con strumento obbligato.

Di ritorno a Copenaghen, fu elevato a direttore della musica di corte (overkapelmester; Copenaghen, Rigsarkivet, Overhofmarskallatet, Q., Dagjournaler (1761-1899), I.Q.13, b. 12: 1° gennaio 1761 - 9 settembre 1765). Compose soprattutto musica strumentale e diede lezioni di canto ad allievi aristocratici e al nuovo sovrano, Cristiano VII, il cui regno fu poi funestato da gravi disturbi mentali. Nel 1770 Sarti ottenne un contratto decennale per dirigere il Teatro Reale Danese (Den Kongelige Danske Skueplads), per il quale compose il primo di cinque syngespil in danese, Soliman den Anden (Solimano II), uno dei tanti adattamenti della comédie di Charles-Simon Favart, firmato dalla commediografa Charlotta Dorothea Biehl (8 ottobre 1770). Nel 1772 fece bancarotta e rinunciò all’impresa, ma continuò a comporre per la corte e il teatro.

Il 9 agosto 1773 sposò la cantante Camilla Pasi (Copenaghen, Rigsarkivet, Sankt Ansgar, Kontraministerialbog, 1647-2007), che dopo una discreta carriera di prima donna buffa a Venezia, Bologna e Torino (1762-69) da poco si era dedicata all’opera seria (aveva cantato nel Demofoonte di Traetta a Mantova, Carnevale 1770). A Copenaghen comparve nel secondo Demofoonte di Sarti (30 gennaio 1771; il primo risaliva al 1755). Dal matrimonio nacquero due figlie, Maria e Giuliana.

L’ultimo syngespil, Kierligheds-Brevene (Lettere d’amore; Biehl da Louis de Boissy, 22 marzo 1775), fu allestito a Christiansborg. Accusato di essersi fatto corrompere da giuristi norvegesi che aspiravano a uffici nella corte, Sarti subì un travagliato processo: condannato, dovette rinunciare al posto e fu espulso dal Paese. Partì per l’Italia il 9 settembre 1775.

Per qualche anno, privo di incarichi stabili, accettò scritture teatrali su piazze diverse, in primis Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Parma.

Nel teatro di S. Samuele a Venezia diede una tripletta di fortunati drammi giocosi (novembre 1776-novembre 1778), aperta con Le gelosie villane (libretto di Tommaso Grandi): in tre atti, con ampi finali d’atto e largo ricorso al sillabato a raffica, risultò a fine secolo tra le opere buffe italiane che avevano totalizzato il maggior numero di riprese. Altra opera dall’eco duratura fu Medonte re d’Epiro (Firenze, teatro della Pergola, 8 settembre 1777; Giovanni De Gamerra), che piacque per «un’armonia sublime e a un tempo dilettevole e profonda» (Gazzetta toscana, 13 settembre 1777): qualche brano fu stampato, come il terzetto Tremate, empi, tremate, che ebbe poi vasta diffusione.

Grazie alle recensioni della Gazzetta toscana e ai rapporti maestro-allievo con il giovane Luigi Cherubini, spesso riportati dal settimanale a partire dal 21 marzo 1778, gli spostamenti di Sarti in questi anni sono abbastanza ben documentati. Al più tardi dal 1778 abitò a Bologna, ma fu spesso a Firenze, tra l’altro per le ‘prime’ della sua prima Olimpiade metastasiana (Pergola, 8 febbraio 1778), del Mitridate a Sinope (per l’apertura del teatro della Pallacorda, 24 settembre 1779, da Zeno, con un concertato introduttivo insolito per l’epoca) e dell’Achille in Sciro metastasiano (Pergola, 25 ottobre 1779; il rondò Mia speranza, io pur vorrei, cantato dal castrato Luigi Marchesi, fu stampato e godette di ampia notorietà).

Può darsi che le parti secondarie di quest’ultime due opere siano di mano di Cherubini; di sicuro l’allievo seguì Sarti a Milano dopo che questi ebbe vinto nello stesso settembre – in circostanze non limpidissime, altri concorrenti avendo ottenuto punteggi superiori ai suoi – il concorso per l’ambito posto di maestro di cappella in duomo. Risale a questo incarico, durato fino al 1784, il grosso della musica da chiesa di Sarti per doppio coro e organo, contraddistinta dal connubio di strutture e tecniche all’antica con passi in stile galante, su un ordito armonico semplice e trasparente.

In aggiunta agli impegni correnti in duomo, in questi anni Sarti produsse per il teatro le sue due opere più fortunate di genere sia serio sia buffo, Giulio Sabino (Venezia, teatro S. Benedetto, gennaio 1781; Pietro Giovannini) e Fra i due litiganti il terzo gode (Milano, teatro alla Scala, 14 settembre 1782; adattamento delle Nozze goldoniane del 1755).

Pur senza presentare grandi innovazioni nelle forme, il Giulio Sabino ebbe ottima fama in forza dell’intensa emotività che promana sia dal canto sia dall’apporto orchestrale ai recitativi; notevole anche la scena del sotterraneo. Nel 1781 o 1782 l’editore Artaria di Vienna ne pubblicò – circostanza eccezionale per l’epoca – la partitura completa (facsimile Bologna 1969). Nei Litiganti, a onta di un intreccio assai schematico, Sarti conferì il massimo risalto istrionico all’azione dei personaggi in conflitto; spicca lo sviluppo dato al cantabile lento nella parte del protagonista maschile, il fattore Masotto, un tenore di ‘mezzo carattere’. L’opera incentivò grandemente la notorietà internazionale dell’autore: nel 1783 fece furore, tra l’altro, a Vienna e a Praga; e Wolfgang Amadeus Mozart ne citò un’aria nel Don Giovanni.

Come i Litiganti, anche il dramma per musica Alessandro e Timoteo (Parma, Teatro di corte, 6 aprile 1782; testo di Carlo Gastone Della Torre di Rezzonico, dall’Alexander’s Feast di John Dryden) esibisce una ricca strumentazione nel settore dei fiati. Recepisce inoltre influenze francesi, con ampie scene di coro e ballo: «La Poesia, la Musica e la Danza sono legate insieme, e concorrono a formare una sola azione» (Gazzetta di Parma, 29 marzo 1782). L’opera segnò un punto di svolta decisivo nella carriera di Sarti. Allo spettacolo aveva assistito il granduca Pavel Petrovič Romanov, erede al trono di Russia: positivamente impressionato, raccomandò Sarti alla madre, la zarina Caterina II, la quale ai primi del 1784 lo invitò a succedere a Giovanni Paisiello come maestro di cappella di corte. Sarti, che nel frattempo aveva dato altre sei opere serie nuove a Padova, Venezia, Milano, Pavia, Mantova e Roma, chiese all’imperatore Giuseppe II, dal quale dipendeva il capitolo del duomo di Milano, un’aspettativa di tre anni (di fatto non tornò mai più a Milano) e in primavera partì per Pietroburgo. Tra l’aprile e il giugno del 1784 si trattenne a Vienna: la recita dei Litiganti del 2 giugno fu data a suo beneficio. La Notice sur Joseph Haydn di Nicolas-Étienne Framery (Parigi 1810) riferisce l’incontro fraterno e cordiale tra Sarti e Haydn a una recita dell’Armida haydniana a Eszterháza, dove in luglio vennero riprese Le gelosie villane (già data a Pietroburgo nel 1779) e fu allestita la Didone abbandonata.

Sarti, cui il comitato imperiale russo degli spettacoli e della musica aveva proposto un contratto dal 1° marzo 1784 al 31 dicembre 1786 con un salario annuale di 3000 rubli più 500 per il viaggio, arrivò a Pietroburgo nell’agosto 1784 (le date relative al periodo russo rispondono al calendario giuliano). In dicembre il teatro di città, il Kamennyj (‘teatro di pietra’), allestì il dramma giocoso Gli amanti consolati, dedicato a Caterina (ignoto il librettista).

Nel 1785 seguirono le riprese di tre opere italiane, Le gelosie villane, Idalide, Fra i due litiganti, e di un’opera buffa nuova, I finti eredi (19 ottobre; Giovanni Bertati).

Sarti poté valersi del formidabile apparato produttivo della compagnia di corte, con un coro d’alta classe e un’orchestra tra le migliori d’Europa; poté inoltre disporre di artisti italiani navigati come il librettista Ferdinando Moretti, il coreografo Giuseppe Canziani, il castrato Marchesi (aggregati alla compagnia su sua segnalazione) e il mezzosoprano Luísa Todi.

Le sue prime opere serie furono Armida e Rinaldo (15 gennaio 1786; Marco Coltellini), commissionata per l’inaugurazione del teatro dell’Ermitage edificato da Giacomo Quarenghi e Castore e Polluce (23 settembre 1786, Ermitage; Moretti), per il 24° anniversario dell’incoronazione della zarina.

Questo dramma, esemplato sulla tragédie en musique di Pierre-Joseph Bernard (per Jean-Philippe Rameau), contiene elementi tipici dell’opera post-metastasiana: deus ex machina, scena infernale, battaglie a suon di musica, balli epitalamici, cerimonie funerarie e, all’atto V, due orchestre che suonano in simultanea sulla scena. Una strumentazione ricercata – vi compaiono il flauto terzino e i corni russi o ‘tube’ (rogovoj orkestr) – va di pari passo con un ricorso abbondante alle tonalità minori bemollizzate.

A onta del successo arriso ad ambo le opere, Caterina congedò da corte Sarti, Marchesi e la Todi. Il compositore passò al servizio del principe Grigorij Aleksandrovič Potëmkin, favorito e segreto consorte della zarina. Nella sua residenza, il palazzo Aničkov, nella primavera 1785 erano state eseguite varie composizioni di Sarti: Hospodi vozvah k tebie (Iddio, ti invoco), oratorio russo su testo del principe (13 aprile 1785); Pomiluj mja Bože, contrafactum del Miserere (25 aprile 1785); e la cantata La scelta d’amore (5 maggio 1785; Moretti). Avvertito nell’estate 1786 che il contratto a corte non gli sarebbe stato rinnovato, Sarti accettò l’offerta di Potëmkin di seguirlo nella Tauride (regione annessa di recente in seguito alla guerra russo-turca del 1768-1774). A Sarti fu dato il compito di istituire un’accademia musicale a Kremenčuk e più tardi a Ekaterinoslav, di accompagnare Caterina con il suo seguito nel viaggio verso sud (gennaio-luglio 1787) e di accudire a un’ampia gamma di cerimonie private e pubbliche. Sottoscritto in febbraio il contratto con il principe, Sarti, passando per Kiev ai primi di marzo, si stabilì a Kremenčuk a fine mese. Fino al 1° marzo 1793 fu retribuito dall’erario statale con 3500 rubli all’anno.

Le composizioni di Sarti eseguite durante il viaggio della zarina inclusero la canzone Della gran donna al nome (per l’arrivo della sovrana a Kremenčuk il 1° maggio 1787) e un Kyrie a otto voci (risalente agli anni di Milano; edito a Lipsia nel 1807 circa), eseguito dal coro e da una banda di corni russi il 12 maggio a Cherson per l’incontro con l’imperatore Giuseppe II.

Con lo scoppio del successivo conflitto russo-turco (5 agosto 1787) Sarti seguì Potëmkin nella campagna militare: dal 30 maggio 1788 l’esercito fece stanza a Elisavetgrad e a Ol′viopol′, mentre da agosto 1789 a dicembre 1790 la corte di Potëmkin si mosse in Moldavia tra Dubossary, Bender e Iași.

Ogni vittoria dell’armata russa fu celebrata con musiche encomiastiche: Tebe Boha hvalim (Te Deum) per la conquista della fortezza di Očakov (Kremenčuk, 11 gennaio 1789); un Te Deum per la conquista di Kilija (Bender, settembre 1790; fu un arrangiamento di un brano milanese del 24 luglio 1781); Slava v vyšnich Bohu (Gloria), dedicato a Caterina per il trattato di Iași. Nel 1789 la zarina, in veste di drammaturga, commissionò a Sarti i cori per il proprio dramma Načal′noe upravlenie Olega (Gli inizi del governo di Oleg; il resto della musica fu di Carlo Canobbio e Vasilij Paškevič). La ‘prima’ di Oleg (Ermitage, 22 ottobre 1790) fece sensazione, e il dramma fu ripreso nel teatro Kamennyj nelle stagioni 1790-91 e 1794-95; testo e musica furono stampati nel 1791 (edizione moderna a cura di B. Brover-Lubovsky, Middleton, Wis., 2017).

Nel febbraio 1791, accompagnato il principe Potëmkin nell’ultima sua visita alla capitale (sarebbe morto sette mesi più tardi), Sarti mosse alla volta di Mosca: sue musiche vennero eseguite nei concerti pubblici del teatro Petrovskij. Tentò la sorte col conte Nikolaj Petrovič Šeremetev: i contorni del patrocinio concessogli dal facoltosissimo aristocratico sono nebulosi, ma l’archivio musicale dei Šeremetev (oggi nell’Istituto russo di storia delle arti a San Pietroburgo) racchiude uno dei fondi più cospicui della musica di Sarti. Nel gennaio del 1792 Sarti fece ritorno a Pietroburgo e nel marzo dell’anno dopo fu riassunto come maestro di cappella a corte. L’Ode per la pace fu eseguita a Pasqua in omaggio alla zarina.

Morta Caterina il 6 novembre 1796, lo zar Paolo I mantenne Sarti come docente nella scuola di teatro della corte e insegnante di pianoforte per le figlie e la moglie nelle residenze estive di Pavlovsk e Gatčina. In quest’epoca Sarti puntò più che altro ad accrescere status sociale e patrimonio: su sua richiesta lo zar gli intestò due villaggi nei dintorni di Mosca (19 febbraio 1797) e gli attribuì il rango di ‘consigliere di collegio’ (3 marzo 1798).

Tra le musiche da lui composte figurano brani a cappella per la chiesa ortodossa, due Requiem per la chiesa cattolica di Pietroburgo (in memoria di Luigi XVI, 26 marzo 1793, e del duca Federico Eugenio del Württemberg, 16 gennaio 1798), musiche cerimoniali d’encomio (su versi di Moretti) per l’incoronazione di Paolo I e per gli sposalizi delle figlie, e cantate da camera per le figlie e la consorte dello zar. Le ultime composizioni teatrali furono le opere Andromeda (Ermitage, 24 ottobre, e Gatčina, 10 novembre 1798; Moretti), Enea nel Lazio (Gatčina, 15 ottobre 1799; Moretti) per il matrimonio della granduchessa Elena Pavlovna, La famille indienne en Angleterre (Kamennyj, 30 aprile, ed Ermitage, 31 dicembre 1799; marchese Gabriel de Castelnau, da August von Kotzebue) e il balletto Les amours de Flore et de Zéphire (Gatčina, 8 settembre 1800).

Parecchi allievi di Sarti in Ucraina e in Russia si affermarono come compositori di qualità: Stepan Degtjarëv, Daniil Nikitič Kašin, Artemij Vedel′, Osip Kozlovskij. Dotato di una robusta competenza teorico-musicale, Sarti escogitò uno strumento per stabilire il diapason delle orchestre di Pietroburgo: presentato all’Accademia russa delle Scienze il 12 maggio 1796, gli valse l’aggregazione (la notizia comparve sul Sankt-Peterburgskie Vedomosti del 14 ottobre).

Con l’assassinio dello zar Paolo I (11 marzo 1801) Sarti perdette importanti appoggi, talché di lì ad alcuni mesi si risolse a rimpatriare, passando per Berlino, Dresda e Vienna.

Morì il 28 luglio 1802 a Berlino, presso la figlia Giuliana, sposa del musicista Natale Mussini.

La Pinacoteca comunale di Faenza conserva una copia (di mano del nipote, Luigi Mussini, 1873) del ritratto di Sarti realizzato da Salvatore Tonci in Russia dopo il 1797 (originale in collezione privata).

Nel campo operistico, coltivato sull’arco di una vita professionale assai lunga, Sarti toccò un ragguardevole equilibrio tra preponderanza del canto e ricchezza orchestrale, collocandosi all’altezza di musicisti come Paisiello, Domenico Cimarosa, Pietro Alessandro Guglielmi. Le sue opere serie, pur nell’osservanza di una struttura tradizionale, coniugano l’evidente mitigazione del virtuosismo con un accresciuto impegno nell’espressione patetica. Le opere buffe, meno numerose ma significative per talune sperimentazioni formali, precorrono sviluppi tipici di fine Settecento, come l’ampliamento delle ‘strette’ nei finali, i lunghi crescendo orchestrali, l’impiego abbondante e frequente dei fiati anche in funzione solistica (mettendo a frutto le eccellenti risorse orchestrali russe). In ambo i generi Sarti impiegò presto e spesso il recitativo accompagnato.

A confronto dei forti contrasti che caratterizzano le partiture teatrali, la musica da chiesa del periodo milanese tradisce bensì un saldo dominio del contrappunto polifonico, ma rimane nettamente meno innovativa sotto il profilo armonico ed espressivo. Il coinvolgimento di Sarti nelle campagne militari russe lo portò a elaborare un genere di musica di tipo sacrale-cerimoniale spesso destinata all’esecuzione en plein air, con notevoli effetti sonori che includono tanto i corni russi quanto i cannoni, come nella serenata Giove, la Gloria e Marte (Bender, ottobre 1790).

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