GIAPPONE

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

GIAPPONE (XVII, p. 1; App. I, p. 668; II, 1, p. 1049, III, 1, p. 750)

Sebastiano Monti
Daniela Primicerio
Romano Vulpitta
Giuliana Stramigioli
Giuliana Stramigioli
Masaaki Iseki
Vittorio Franchetti Pardo

Superficie. - Nel 1974 la superficie del G. ascendeva a 372.487 km2, compresi i 135 km2 delle isole Bonin (Ogasawara) e Volcano (Kazan Retto) che con Rosario, Parece Vela e Marcus (Minami Tori) sono state restituite dagli Stati Uniti nel 1968 e sono incluse nella prefettura di Tokyo.

Popolazione. - Aggirandosi sui 110 milioni di abitanti (densità media: 295 ab. per km2), la popolazione del G. risulta doppia rispetto a quella dell'Italia e appena inferiore a quella dell'Indonesia: solo la Cina, l'India, l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti ne hanno una nettamente superiore. La densità è una delle più alte del mondo e varia da un'isola all'altra (Hokkaido: 67 abitanti per km2; Honshu: 379; Kyushu: 289), ma soprattutto dalle zone costiere sovrappopolate a quelle interne pressoché spopolate. Nella prefettura di Kanagawa, che ha per capoluogo il porto di Yokohama, la densità risulta di 2611 ab. per km2, mentre in quella di Iwate, nella regione settentrionale dell'isola di Honshu, essa si abbassa a 89 ab. per km2. I maggiori insediamenti sorgono presso la fascia litoranea anche perché l'interno del paese, impervio e montuoso, è alquanto refrattario a uno stabile e denso insediamento umano e allo svolgimento di un'intensa attività economica.

Ne consegue che i Giapponesi si concentrano soprattutto nelle zone costiere ed è qui che il fenomeno dell'urbanesimo si manifesta in modo evidente, con la formazione, soprattutto nella costa orientale, di una fascia di metropoli (Tokyo, Kyōto; Ōsaka, Kōbe, Nagoya, Shizuoka, Kawasaki; Yokohama, ecc.), dalla forte densità urbana e periurbana. Questa ineguaglianza nella distribuzione della popolazione è stata accentuata dall'abbassamento dell'indice di ruralità, che si aggira oggi sul 27%. La popolazione rurale vive in gran parte nel buraku, tipico villaggio, formato da abitazioni compatte, raggruppate intorno al tempio shintoista, che ha un'organizzazione di vita pressoché autonoma.

Le città giapponesi, in cui si accentra il 73% degli abitanti, hanno ormai allargato la loro influenza su un territorio sempre più vasto e il pendolarismo, che tocca punte avanzate, è reso possibile dall'efficienza dei mezzi di trasporto che collegano le aree urbane con i loro dintorni più o meno immediati. La capitale, Tokyo, contende a New York il titolo di città più popolosa (nel 1970, Tokyo aveva una popolazione di 8.840.942 ab. contro i 9.973.577 di New York); con essa si può dire che vada formandosi nell'Asia orientale una megalopoli che ha molti punti di contatto con quella della costa atlantica statunitense, anche se al vasto retroterra della megalopoli americana, che assorbe i cospicui prodotti della sua industria, si sostituisce qui l'ampio raggio del commercio con l'estero, favorito dalla presenza dei buoni porti, situati in baie protette.

Tokyo riassume in sé le caratteristiche delle altre grandi città giapponesi (di cui ben sei superano abbondantemente il milione di abitanti), con una spiccata differenziazione funzionale dei vari quartieri (da ricordare, per es., la Ginza, quartiere degli affari), ma ha aspetti originalissimi che le derivano dalla dimensione enorme dei suoi interessi culturali, commerciali, industriali e finanziari.

Tra le conurbazioni (Kyōto-Osaka-Kōbe; Nagoya-Gifu; Tokyo-Yokohama; Kitakyushu-Fukuoka) spiccano soprattutto quella che fa capo a Tokyo, con oltre 20 milioni di abitanti, chiamata del to, e quella di Kyōto-Osaka-Kōbe (13 milioni di ab.), detta del fu, in cui Kyōto, centro culturale tra i più interessanti del G., conserva intatte le più antiche tradizioni, che coesistono accanto a forme di vita particolarmente moderne. Kōbe è un grande porto dell'industria pesante e Osaka è un centro finanziario e commerciale.

L'espansione economica e commerciale del paese ha spinto i Giapponesi già da tempo a contenere la crescita demografica, tanto che oggi l'incremento naturale (10,3‰ all'anno), nonostante il costante miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie che ha abbassato il coefficiente di mortalità infantile all'11,3‰ e quello di mortalità al 6,6‰, si mantiene su valori molto bassi, soprattutto se paragonati a quelli del primo dopoguerra, e tende a un'ulteriore progressiva contrazione. Accanto al volontario contenimento delle nascite, altri aspetti dell'evoluzione economica del paese sono rappresentati dallo sforzo di aumentare i servizi sociali attraverso la costruzione di ospedali (39.171, con oltre un milione di posti-letto), di diffondere la cultura (la scuola è obbligatoria dai 6 ai 15 anni, vi sono circa 250 istituzioni universitarie; il tasso di analfabetismo si è ridotto al 2-3%); di elevare il reddito medio pro-capite, che tra il 1953 e il 1968 ha subìto il più cospicuo aumento (248%) tra quelli registrati dai paesi sviluppati.

Agricoltura, allevamento e pesca. - L'agricoltura giapponese ha subìto una profonda trasformazione dovuta sia all'impiego della farina di pesce e dei concimi chimici e allo sviluppo della meccanizzazione, sia a un'accentuata evoluzione delle forme di utilizzazione del suolo, con la sempre maggiore estensione dell'ortofrutticoltura e delle foraggere.

D'altra parte essa svolge un ruolo alquanto marginale nel contesto economico del paese sia per la notevole contrazione degli attivi in agricoltura (1800: 80% della pop. attiva; 1940: 43%; 1960: 33%; 1970: 21%, pari a 10.864.000 unità lavorative), sia per l'esiguità del suolo coltivato (4.669.000 ha, pari al 12,5% della superficie territoriale), che diminuisce sia per il carattere montuoso della regione (le foreste ricoprono più di 250.000 km2), sia per la sempre maggiore estensione dell'area urbana e dello spazio occupato dalle industrie.

I sistemi di coltura si fondano in genere sulla contrapposizione fra il campo coltivato, per lo più a risaia e irrigato dall'acqua derivata dai fiumi o dai laghi, dalle falde o dai serbatoi artificiali, e il campo alimentato dalla sola acqua piovana.

Il riso occupa da solo oltre la metà del suolo coltivato (2.620.000 ha e 157,7 milioni di q nel 1973); la produzione, oltre a soddisfare il consumo interno, viene destinata anche in notevole quantità alla produzione di sake e in piccola misura all'esportazione. Da tempo è stata messa a punto una varietà che si presta anche all'ambiente freddo di Hokkaido, ma la maggior parte della produzione proviene dalle aree irrigue di Shikoku, Kyushu, Honshu. Pure diffusi sono il frumento (75.000 ha e 2 milioni di q), la cui produzione peraltro non basta al fabbisogno interno, e l'orzo (80.000 ha e 2,1 milioni di q). Frumento e orzo sono spesso colture invernali che succedono a quella estiva del riso.

Tra le altre piante alimentari, si ricordano la patata e la patata dolce (rispettivamente, nel 1973, 3.302.000 q e 20.000.000 q), la soia (1.180.000 q) le arachidi (970.000 q). Coltura di grande valore è il tè (950.000 q; quarto posto nel mondo), diffuso sulle pendici montuose delle isole Kyushu, Shikoku e nella parte meridionale di Honshu. Tra le colture fruttifere, notevole sviluppo hanno gli agrumi (2.900.000 q di arance e 33.290.000 q di mandarini) che, oltre a soddisfare il consumo interno, originano una buona esportazione. Le foreste danno un ingente quantitativo di legname (4,5 milioni di m3): tra le essenze più pregiate sono da ricordare gli alberi della canfora, della cera, della lacca.

L'allevamento è in fase di trasformazione profonda, anche se oggi occupa ancora per molti versi il ruolo modesto che gli è tipico nell'economia dei paesi del mondo orientale; le sempre più pressanti richieste di carne, latte e latticini, da parte delle grandi città, e i mutati generi di vita hanno fatto aumentare il patrimonio bovino (3,6 milioni di capi), che viene allevato razionalmente. Più vicini alla tradizione giapponese sono l'allevamento dei suini (7,5 milioni di capi) e soprattutto l'allevamento del baco da seta (secondo posto nel mondo con 105.111 t di bozzoli), la cui materia greggia alimenta le industrie locali e viene in parte anche esportata.

La pesca vede il G. al primo posto nel mondo per quantità di pesce sbarcato (10,7 milioni di t). Essa viene effettuata da circa 290.000 battelli e i pescatori assommano a circa un milione. La rivalità col Perù, che gli contende il primato - in alcune annate con pieno successo -, ha spinto il G. a organizzare la pesca con tecniche sempre più moderne e sperimentazioni d'avanguardia per utilizzare al massimo il mare, il quale rappresenta per il paese uno spazio vitale. Alla pesca (tonno, salmoni, aringhe, merluzzi) si affianca un'ottima industria conserviera, che ha spesso propri battelli: presso i principali porti di pesca sparsi in tutte e quattro le grandi isole (Makodate, Nakkanai, Kushiro, Otaru, Hyako, Chosi, Misaki, Fukuoka, Nagasaki) sorgono i maggiori stabilimenti industriali, nei quali nel 1972 sono state prodotte 311.400 t di pesce conservato e 140.000 t di pesce salato.

Carattere del tutto particolare ha la pesca della balena (11.268 catture nel 1972, con una produzione di 501.719 q di olio di balena) per la quale sono attrezzate sette navi-fattoria e 69 baleniere. Alla pesca si aggiungono poi la raccolta di perle (naturali nella baia di Omura presso Nagasaki e coltivate nei vivai di Toba) e di coralli, lungo le coste meridionali di Shikoku e Kyushu. Recentemente ha avuto impulso la raccolta di alghe destinate all'alimentazione; la pesca con i suoi prodotti contribuisce complessivamente per il 50% all'apporto proteico di origine animale dell'alimentazione giapponese.

Risorse minerarie e industrie. - La scarsità di prodotti del sottosuolo giapponese è un fatto risaputo: il carbone (20,3 milioni di t nel 1974) è diventato dal 1973 insufficiente al consumo nazionale, il ferro (429.000 t nel 1974) scarseggia e così pure la lignite e il petrolio (672.000 t nel 1974), anche se per quest'ultimo si vanno intensificando le ricerche. Gli unici minerali abbondanti rimangono, allo stato attuale, il rame e lo zolfo, con produzione rispettivamente di 82.200 t e 1,6 milioni di t e apprezzabili possono essere considerate le quantità di piombo, zinco, oro e argento.

Ma il G., per il suo clima piovoso e per l'accidentalità del rilievo, ha un ricco potenziale idroelettrico, anche se i suoi corsi d'acqua, più torrenti che veri e propri fiumi, non si prestano alla costruzione di grandi invasi, che sono anche sconsigliabili, data l'alta sismicità del territorio. Dighe e installazioni idroelettriche sono comunque più numerose nella parte meridionale del Tôhoku (Fukushima) e sulle montagne del Chubu (Shizuoka, Toyama).

La produzione di energia idroelettrica ammonta a 88.023 milioni di kWh. Presso le grandi regioni industriali (baie di Tokyo, Osaka, Nagoya) e nelle aree petrolifere (Niigata, Okita Yamagata, Hokkaido) prevalgono le centrali termiche alimentate dal petrolio (complessivamente 248 milioni di kWh). In crescente sviluppo è l'energia nucleare. Nel 1965 è entrato in funzione il grande impianto di Tokai Mura, che serve tutta la zona industriale del Kanto, e sono stati installati più di recente - ma già sono in funzione - i due impianti di Okuma e Hihama; la produzione totale, comunque, non supera il decimo dell'energia nazionale prodotta (potenza installata 85.296.000 kw, con produzione di 428.577 milioni di kWh).

Da questa situazione generale consegue che il G. è costretto ad acquistare la maggior parte delle materie prime necessarie allo sviluppo della sua industria (100% della bauxite, del nichel, del caucciù naturale, della lana, 98% del petrolio, 95% dei minerali di ferro, 85% del rame, 50% del carbone, ecc.). L'industria si è invece avvantaggiata enormemente dalla presenza di una popolazione abbondante, ben predisposta per il lavoro di fabbrica in genere e di precisione in particolare, e dalle notevoli capacità organizzative e tecniche.

Non potendo sopperire ai crescenti bisogni di mano d'opera con l'apporto di nuove forze lavorative, le industrie vanno sempre più automatizzandosi. Per il suo stretto legame con le esportazioni, l'industria giapponese è ancora situata in prevalenza presso i porti, le foci dei fiumi o presso aree fortemente urbanizzate e dotate di agevoli collegamenti. Nelle maggiori zone industriali si esprimono in tutta la loro evidenza taluni aspetti contrastanti dell'apparato industriale giapponese, tra i quali è opportuno sottolineare in special modo la coesistenza delle piccole imprese accanto alle grandi società monopolizzatrici di interi settori ed eredi degli Zaibatsu, sciolti durante l'occupazione militare statunitense ma di fatto ricostituitisi poco alla volta e operanti oggi in tutta la loro potenza, che spesso consente di annullare ogni forma di concorrenza.

Un posto a sé occupa l'industria di trasformazione. La siderurgia ha impianti di dimensioni colossali che hanno fatto del G., a partire dal 1964, il terzo produttore mondiale di ghisa e ferro leghe e di acciaio (nel 1974 rispettivamente 92,7 t e I 17, I milioni di t), d000 stati Uniti e URss.

L'industria metallurgica ha anch'essa avuto recentemente un grandioso sviluppo per il potenziamento della produzione dell'alluminio (impianti di Shimizu, Chiba, Niigata, Yokohama, Kambara, Kitakata, Omachi, Naoyetsu, Hiihama, Nagoya, Kikimoto, in cui si sono prodotte nel 1974 1.124.400 t di alluminio di prima fusione e 517.200 t di seconda fusione). Notevoli sono anche le altre produzioni metallurgiche (nichel, mercurio e soprattutto rame, piombo, zinco, magnesio, stagno).

L'industria tessile, settore più tradizionale per quanto riguarda il setificio (189.360 q di seta e 1897 milioni di m2 di seta prodotti nel 1974), ha un ramo di avanguardia nel campo delle fibre artificiali e nel cotonificio (511.200 t e 2160 milioni di m2 di tessuto).

Straordinario è stato poi in questi ultimi anni lo sviluppo dell'industria automobilistica, in continua espansione, che ha i suoi maggiori impianti nell'isola di Honshu. Nel 1973 sono stati prodotti 4.470.550 vetture e 2.612.000 veicoli industriali.

Ma forse il settore più rappresentativo dell'enorme sviluppo industriale del G. è quello della meccanica di precisione, chè è il risultato di un determinato orientamento e di un'oculata scelta. In questo campo, infatti, i prodotti giapponesi hanno invaso i mercati di tutto il mondo, infliggendo seri colpi alle industrie concorrenti di altri paesi (Svizzera).

L'industria chimica ha potenziato soprattutto il settore dei fertilizzanti e poi quello petrolifero, petrolchimico, della gomma e dei materiali plastici. Al pari buono sviluppo hanno le cartiere e le vetrerie, che trovano nel paese la maggior parte della materia prima occorrente.

Questa così vasta diversificazione industriale, che trova la sua espressione quantitativa nell'imponenza del commercio (nel 1974 le importazioni erano valutate in 62.061 milioni di dollari SUA e le esportazioni in 55.586 milioni di dollari SUA) e nel reddito nazionale, pari nel 1972 a 260.890 milioni di dollari SUA non si accompagna a una razionale e omogenea distribuzione spaziale nell'ambito del territorio nazionale: l'industria continua in realtà ad accentrarsi principalmente nella stretta fascia che va dalla piana del Kanto alla parte settentrionale di Kyushu, con la crescita soffocante all'interno di essa delle quattro principali conurbazioni giapponesi, e con l'aumento preoccupante dell'esodo rurale, dello svuotamento dei centri interni e montani, cui fanno contrasto il congestionamento e l'inquinamento delle aree eccessivamente industrializzate. Per ovviare a questi inconvenienti, sono state individuate tredici nuove zone industriali, sempre situate sulla costa, ma in regioni meno sviluppate, dove già è in atto il processo di conversione industriale.

Un ultimo cenno merita lo sviluppo delle vie di comunicazione in specie ferroviarie (26.627 km nel 1972, di cui 6685 km elettrificati) e stradali (1.030.604 km).

Bibl.: E. O. Reischauer, Japan Past and Present, Londra 1964; G. Akita, Foundations of constitutional government in modern Japan, 1868-1900, Harvard University Press, Mass., 1967; S. Yoshida, Japan's decisive century, New York 1967; T. Fukutake, Japanese rural society, Londra 1967; I. Nish, The story of Japan, ivi 1968; R. Storry, A history of modern Japan, ivi 19682; N. Kajima, The emergence of Japan as a world power, 1895-1925, Hampstead 1970; N. Derruau, Il Giappone, Milano 1970; H. Kahn, The emerging Japanese Superstate, Londra 1971; C. Yanaga, Big business in Japanese politics, Yale University Press, 1971; D. Bergamini, Japan's Imperial Conspiracy, Londra 1971.

Economia e finanza. - Dagli anni Sessanta alla crisi del 1973 il G. ha conosciuto una crescita economica che, anche se attenuata da brevi rallentamenti, può non di meno definirsi eccezionale. I problemi che si ponevano al G. all'inizio del periodo consistevano nel determinare un tasso di crescita del reddito nazionale compatibile col vincolo della bilancia dei pagamenti e nel superare il "dualismo" della propria struttura economica, attraverso l'industrializzazione e lo sviluppo del commercio estero.

Agl'inizi degli anni Settanta il G. è divenuto la terza potenza industriale del mondo e il quarto dei grandi protagonisti del commercio internazionale, mentre il suo reddito pro-capite si è avvicinato (70%) a quello della Rep. Fed. di Germania.

Reddito nazionale. - Negli anni 1962-66 il tasso medio annuo di crescita in termini reali (prezzi 1965) del reddito nazionale è stato dell'8,2%. Il tasso di sviluppo di questo periodo ha tuttavia risentito del vincolo della bilancia dei pagamenti e delle conseguenti misure economiche restrittive poste in atto dal governo. Infatti dal 1967 al 1972, una volta allentatosi il vincolo della bilancia dei pagamenti, il tasso medio annuo di crescita, sempre in termini reali (prezzi 1970), è stato del 10,60%.

Per avere un'idea dell'entità di tale sviluppo è sufficiente osservare che nel periodo 1960-65 il tasso di crescita dell'economia giapponese è stato del 5,3% superiore a quello dei maggiori paesi industrializzati e che tale differenza è salita al 9% nel periodo 1966-69.

Bilancia dei pagamenti e commercio estero. - L'equilibrio dei conti con l'estero ha rappresentato fino alla seconda metà del 1967 uno degli aspetti più delicati dell'economia giapponese. La bilancia commerciale ha infatti avuto nel primo quinquennio degli anni Sessanta un andamento alterno, con una prevalenza però di disavanzi. Dal 1968, invece, dopo un anno di forte deficit, la bilancia dei pagamenti ha registrato un surplus risultato poi sempre crescente fino al 1972.

Le ragioni dell'inversione di tendenza del saldo della bilancia dei pagamenti vanno ricercate nell'espansione delle esportazioni e nella riduzione del tasso d'incremento delle importazioni. In particolare l'aumento delle esportazioni sembra dovuto all'eliminazione di alcuni fattori sfavorevoli quali la rigidità nella capacità produttiva di certe industrie, soprattutto di quelle siderurgiche, e i bassi costi gli produzione dei paesi concorrenti col G. sui mercati internazionali. La riduzione del tasso di crescita delle importazioni sembra invece dovuta a una modificazione della struttura produttiva a favore dei settori in cui il consumo delle materie prime è basso o in cui il valore aggiunto è elevato.

Nel decennio 1965-75 l'interscambio con l'estero è cresciuto più del 700%, passando da 1385,o6 a 9803,38 milioni di dollari, grazie a un intenso sviluppo tecnologico e al contenimento dei salari reali. Durante questo periodo il governo giapponese ha agito nel senso della liberalizzazione degli scambi, sia riducendo progressivamente le barriere tariffarie e i contingentamenti all'importazione, sia attenuando i vincoli relativi all'investimento estero di capitali giapponesi.

L'assenza di deficit esterni e il livello più stabile delle riserve di valuta straniera hanno quindi eliminato la necessità di applicare misure restrittive e hanno favorito la concessione al G. di prestiti. D'altro lato però è sorto il problema di evitare la creazione di una capacità produttiva in eccesso e di assicurare una durevole stabilità ai costi e ai prezzi.

Inflazione e politica monetaria.- Dal 1960 il problema dei prezzi è diventato il più difficile da affrontare. Durante gli anni Sessanta i prezzi al consumo sono aumentati, in modo più o meno regolare, al ritmo del 5% annuo. I prezzi industriali all'ingrosso sono rimasti pressoché stabili fino alla recessione del 1965, in seguito hanno invece cominciato a crescere a un tasso medio del 2%. Il problema dei prezzi giapponesi sembra essenzialmente legato alla forte differenza nei livelli assoluti e nelle variazioni relative della produttività del lavoro.

Anteriormente alla fase di alta congiuntura 1959-61, prima che il pieno impiego fosse raggiunto, tale differenza era riflessa da adeguati scarti fra i livelli dei salari nei vari settori. Durante gli annì Sessanta, al contrario, la differenza che esisteva fra i salari dei settori a differente intensità produttiva si è sempre più ridotta. L'attenuazione della diversificazione nella struttura dei salari ha determinato la tendenza a una sensibile crescita dei costi unitari della manodopera e dei prezzi nei settori dei servizi e nelle piccole imprese.

Nonostante che, in rapporto al tasso di crescita, il comportamento dei prezzi abbia continuato a essere più soddisfacente in G. che nella maggior parte dei paesi industrializzati, tuttavia il controllo del tasso d'inflazione ha rappresentato una delle maggiori preoccupazioni delle autorità giapponesi.

Infatti nel 1969 sono state prese misure monetarie restrittive determinate per la prima volta da ragioni interne. Tali misure, tuttavia, unite a una politica di bilancio anch'essa restrittiva, non hanno mai avuto particolare intensità, data la costante preoccupazione di non frenare il tasso di crescita e il flusso degl'investimenti privati.

Politiche finanziarie e piani economici. - La politica di bilancio ha avuto in G. caratteristiche essenzialmente neutre, salvo qualche periodo di orientamento restrittivo volto sia a imporre il rispetto del vincolo della bilancia dei pagamenti sia a controllare l'andamento del livello generale dei prezzi.

Il governo del G. ha, dalla seconda metà degli anni Sessanta, elaborato due "Piani di sviluppo economico e sociale", relativi ai periodi 1967-71 e 1970-75. Il primo aveva come obiettivo la realizzazione di un tasso di crescita del prodotto nazionale lordo (GNP) suscettibile di essere mantenuto a lungo in modo da assicurare un soddisfacente livello di occupazione, contenendo, al tempo stesso, l'inflazione entro tassi accettabili e mantenendo una posizione esterna che rendesse possibile un moderato aumento delle riserve valutarie. Il piano 1970-75 ha definito due obiettivi fondamentali: l'internazionalizzazione dell'economia e il suo miglior adattamento alla rapida espansione economica.

Il primo di questi obiettivi imponeva di far progredire l'economia giapponese nel senso dell'integrazione e del coordinamento internazionale; il secondo comportava la necessità di condurre un'azione efficace contro gli effetti secondari sfavorevoli della crescita economica e per migliorare le infrastrutture sociali o, in termini più generali, per creare una società ricca che desse spazio al benessere della popolazione e ai valori umani.

La crisi del 1973 e la ripresa. - Il positivo andamento dell'economia giapponese si è bruscamente interrotto nella seconda metà del 1973, quando la flessione del tasso di crescita del reddito nazionale, un elevato tasso d'inflazione e il disavanzo della bilancia dei pagamenti si sono manifestati come sintomi di una crisi che, pure se con caratteristiche particolari, hanno riflesso l'incertezza del sistema monetario internazionale dopo l'abbandono degli accordi di Bretton Wood e l'aumento dei prezzi di numerose materie prime, prima fra tutte il petrolio.

L'inflazione si è notevolmente accelerata nel corso del 1973, rafforzata da forti pressioni della domanda interna e dall'aumento dei prezzi delle importazioni. Essa poi si è rapidamente generalizzata e tutti gl'indici dei prezzi hanno progredito assai rapidamente, determinando così aspettative inflazionistiche che hanno ancora accentuato il fenomeno. Il crescente tasso d'inflazione si è rivelato difficilmente controllabile attraverso le normali misure correttive di politica monetaria e fiscale, poiché rifletteva una combinazione insolita di potenti fattori sia interni che esterni. Inoltre l'accelerazione dei prezzi al consumo ha influito sugli accordi salariali del 1974, determinando un forte aumento dei salari monetari proprio nel momento della flessione della produzione industriale e della domanda reale.

La posizione esterna dell'economia giapponese ha subìto, nello stesso periodo, una modificazione sorprendente: la bilancia delle partite correnti, che aveva fatto registrare nel 1972 l'avanzo record di 6,6 miliardi di dollari, ha mostrato nel 1973 un leggero deficit, il primo dal 1967. Questa situazione, determinata dalla riduzione delle esportazioni e dall'aumento dei prezzi delle materie di base di cui il G. è importatore, ha dato luogo, oltre che a politiche restrittive, a un'inversione della tendenza alla liberalizzazione degli scambi con l'estero. Durante il 1974 e il 1975 le misure di politica economica sono riuscite, però, a moderare il tasso d'inflazione. La crescita dei prezzi al consumo è stata ridotta da più del 30% annuo a circa il 9% nei primi mesi del 1976, mentre gli aumenti dei salari nominali manifestavano una parallela decelerazione. Nello stesso tempo il notevole deficit delle partite correnti del 1974, che esprimeva la particolare dipendenza del G. dalle importazioni di petrolio, si è trasformato in un considerevole avanzo nei primi mesi del 1976.

Questi risultati sono stati ottenuti a prezzo di una virtuale stagnazione (riduzione dell'1,2% del PNL nel 1974 e crescita del 2,1% nel 1975) che si contrappone alla crescita media annua di circa il 10% registrata nel precedente decennio.

Il ritmo assai lento dell'espansione fino al termine del 1975 può spiegarsi con l'esistenza di ampie capacità produttive inutilizzate e con la flessione degli scambi internazionali, ma anche con la prudenza con cui sono state adottate le misure di rilancio dell'economia, che hanno cominciato a dare i loro frutti a partire dal 1976.

Anche se il punto di massima della recessione è stato superato relativamente presto, la ripresa non ha acquistato vigore se non nei primi mesi del 1976, quando il commercio mondiale e le esportazioni giapponesi si sono sviluppati rapidamente. Durante questo periodo si sono rinforzati anche la domanda interna e, in particolare, i consumi privati.

Il principale compito dei responsabili della politica economica giapponese è così divenuto quello di consolidare la ripresa e di far sì che l'espansione si svolga senza determinare nuove tensioni inflazionistiche.

Storia. - Gli anni dopo il 1960 rappresentano una fase assai importante nella storia del G. che, completata la propria riabilitazione dopo la sconfitta, rientra in veste di protagonista sulla scena politica mondiale, non più come potenza militare, ma come potenza economica. L'ascesa del G. non è peraltro limitata ai campi dell'economia e della tecnica; il "miracolo giapponese" è infatti il frutto di un generale risveglio delle energie nazionali. I risultati ottenuti nel campo culturale hanno dato luogo a una scelta destinata a influenzare a lungo il futuro del paese, che ha consolidato una propria fisionomia autonoma, diventando l'unico paese industrializzato fuori delle aree occidentale e socialista. Si tratta di un risultato assai significativo, ove si pensi alla pressione culturale proveniente dall'estero e alla possibilità che l'avvento della società consumistica comportasse l'adozione di modelli euro-americani. Invece, malgrado l'americanizzazione superficiale, il G. ha mantenuto la propria continuità culturale, trovando un ubi consistam in un complesso di valori sostanzialmente premoderni. La società giapponese ha subito in questo periodo profonde trasformazioni, determinate soprattutto da tre fenomeni, cioè l'urbanizzazione, il benessere economico e la pressione dei mass-media. L'espandersi dei centri urbani ha alterato profondamente la struttura del G., comportando lo sradicamento di una massa cospicua di popolazione. Su tale fenomeno si è inserita la pressione dei mass-media che, agendo sulle maggiori disponibilità finanziarie fornite dal benessere, ha spinto i Giapponesi verso nuove forme di vita. Non si può peraltro affermare che al giorno d'oggi la cultura giapponese abbia del tutto perso il suo carattere ruralistico: anche nelle grandi città si nota ancora una complessa cultura derivante dall'imperfetta fusione di elementi ruralistici e consumistici.

Tale processo è stato accompagnato da una tendenza di segno contrario, costituita dalla rivalutazione dell'autonomia culturale giapponese, che risponde all'esigenza di trovare una difesa nei confronti dell'alienazione consumistica; essa è stata stimolata da un nazionalismo culturale generato dalla soddisfazione per la rapida espansione economica, e dalla convinzione che questa sia stata resa possibile dal persistere dei valori culturali tradizionali. Il suicidio di uno scrittore come Y. Mishima (1970), tutt'altro che insensibile alle sollecitazioni della società contemporanea, è come paradigmatico di questo travaglio della cultura giapponese, sempre divisa fra la tradizione e l'occidentalizzazione. Esso ha scosso profondamente i Giapponesi, che lo hanno interpretato come un drammatico richiamo alle più profonde matrici culturali della nazione. Il nuovo fenomeno del benessere ha eroso anche i valori della sinistra riformista, perché i successi conseguiti dai conservatori per il miglioramento del tenore di vita privano di significato un'opposizione moderata. Simili considerazioni hanno convinto una parte della gioventù giapponese che l'unica soluzione sia un rifiuto globale della società moderna, e sono alla base della contestazione studentesca. Questo fenomeno, che è stato di vaste proporzioni e ha influenzato anche le contestazioni di altri paesi, ha raggiunto il culmine nel 1969, con l'occupazione dell'università statale di Tokyo, per poi declinare rapidamente dopo che i suoi esponenti si sono resi conto dell'impossibilità d'imporre con la forza un cambiamento del sistema politico del paese. La contestazione, che è ancora vivace nelle università, si esaurisce adesso nelle lotte interne (uccisione di 14 elementi ritenuti politicamente infidi da parte del Sekigun-ha, Brigate rosse, nell'inverno 1971-72) o nelle azioni terroristiche (attacco all'aeroporto di Tel Aviv, da parte dello stesso Sekigun-ha, il 30 maggio 1972; attentato alla sede delle Industrie Pesanti Mitsubishi, il 30 agosto 1974, da parte di un gruppuscolo di sinistra). In effetti la contestazione studentesca, malgrado la sua ampiezza, non è mai riuscita ad avere una funzione politica, proprio perché è partita dal presupposto che la lotta politica fosse vana. Ancora una manifestazione del prevalere di tendenze irrazionali è costituita dalla diffusione delle nuove religioni, per lo più a base shintoistica o buddhistica, che hanno trovato vasto seguito negli anni Sessanta. Esse si sono soprattutto diffuse tra la piccola borghesia cittadina, tra gli sradicati che cercavano anche una giustificazione per la loro mutata condizione sociale. Il caso più cospicuo è rappresentato dalla Sôka Gakkai (Società per la fondazione dei valori) che in breve tempo ha raccolto oltre dieci milioni di aderenti, sino a diventare un'importante forza politica nel paese.

Nella politica interna il periodo è stato caratterizzato da una sostanziale stabilità, causa non ultima dello sviluppo economico. Il partito liberal-democratico, di tendenza conservatrice, malgrado una progressiva ma lenta erosione della sua base elettorale, ha conservato la maggioranza assoluta dei seggi nei due rami del Parlamento, mantenendo il controllo del governo. Per tutto questo periodo si è registrata una tendenza alla flessione da parte dei due principali partiti, liberaldemocratico e socialista, e il rafforzamento dei due minori, il Partito comunista e il Kômei-. Se la flessione dei socialisti riflette la difficoltà inerente al loro ruolo di maggior partito di opposizione, il regresso dei conservatori è legato all'evoluzione della struttura sociale del Giappone. Nelle grandi città, infatti, i conservatori perdono terreno al punto che attualmente le opposizioni controllano tutti i grandi agglomerati urbani. Il Partito comunista, che ha assunto una posizione di progressismo moderato e si mantiene indipendente da Mosca e da Pechino, trova il suo principale sostegno nel ceto medio urbano. Nelle elezioni politiche del 1972 ha conseguito il 10,5% dei voti, ma sembra poi essere entrato in una fase di ristagno. Il Kômei-, che è sorto come espressione politica della Sôka-Gakkai, ne ha seguito la rapida espansione, raggiungendo nel 1969 il 10,9% dei voti, ma è stato condizionato dalla sua origine, che gli ha impedito di avere una maggiore espansione: diffuso anch'esso nel ceto medio urbano, ha assunto recentemente una coloritura di sinistra. Malgrado la stabilità, peraltro, la situazione tradisce una potenziale debolezza, causata dalla mancanza di un punto di riferimento politico. L'imperatore, i cui poteri sono limitati dalla costituzione, non svolge il ruolo di un capo di stato europeo e nessun organo è in grado di sostituirlo. Con la morte nel 1967 di S. Yoshida, l'ex-primo ministro che era in posizione di arbitro nel campo conservatore, il paese ha perso un elemento di stabilità, e se il vuoto è stato per un certo tempo coperto dall'abilità manovriera di Satô, esso è poi venuto alla luce al momento della scelta dei suoi successori. Nella politica estera la mancanza di un adeguato potenziale militare ha impedito al G. di svolgere quel ruolo che la sua dimensione economica lascerebbe presupporre. La dipendenza dal potenziale militare americano rende la politica di stretta collaborazione con Washington una necessità nei confronti della quale nemmeno le sinistre socialista e comunista esercitano una reale opposizione. L'alleanza con gli Stati Uniti, che ha dato al G. molti vantaggi, nei momenti cruciali si è peraltro rivelata un'alleanza ineguale, perché, quando sono stati in gioco interessi preminenti, Washington non ha esitato a prendere le sue decisioni in autonomia.

La ratifica del trattato di mutua sicurezza con gli Stati Uniti del 1960 e il clima di agitazione che essa destò nel paese sono il punto di partenza di tutte le vicende di questo periodo. Il trattato rappresenta un avvenimento della massima importanza: esso non solo costituisce il cardine della politica estera giapponese nel periodo successivo, ma senza altresì la fine del periodo d'inferiorità politica e l'acquisizione della parità di diritti con gli Stati Uniti. H. Keda, succeduto a Kishi il 19 luglio 1960, dedicò i suoi sforzi al miglioramento della posizione internazionale del Giappone. Liquidate le ultime pendenze finanziarie dell'occupazione, si recò in visita negli Stati Uniti, in Francia e in Gran Bretagna, riaffermando l'importanza del G. come terzo pilastro del mondo libero. Per la prima volta nella storia, i ministri degli Esteri di Francia e Gran Bretagna restituirono la visita in G. (primavera 1963); nello stesso anno Ikeda ottenne l'ammissione del G. all'OCSE. Ikeda affrontò anche lo spinoso problema dei rapporti con la Corea del Sud. I colloqui, iniziati nell'ottobre del 1961, si protrassero per lungo tempo, sia per la complessità del contenzioso derivante da trentacinque anni di dominio coloniale, sia per l'opposizione di parte dell'opinione pubblica in ambedue i paesi, perché le sinistre giapponesi erano contrarie a trattative con il governo anticomunista di Seoul, mentre l'opposizione sud-coreana accusava il suo governo di eccessiva remissività nei confronti dell'ex-potenza coloniale. Ikeda non vide la fine delle trattative, che furono portate a termine dal suo successore. Satô, con la firma a Tokyo di un trattato (27 giugno 1965), in base al quale si ottenne la normalizzazione dei rapporti tra i due paesi in cambio di un grosso sforzo finanziario da parte di Tokyo.

All'interno Ikeda svolse una politica conciliatoria, favorita dalla tendenza alla moderazione prevalente nell'opinione pubblica, scossa dalla violenza degli avvenimenti del 1960. Il crescente benessere, d'altra parte, costituiva un elemento determinante di stabilità. I salari aumentavano con un ritmo annuo del 10% del valore reale e il paese andava incontro a un lungo periodo di tranquillità sindacale. Proprio sul benessere fece leva Ikeda per la sua politica di conciliazione, lanciando il G. verso l'ambizioso obiettivo di raddoppiare il prodotto nazionale entro un termine di dieci anni. Nel 1964, grazie ai grandi lavori pubblici compiuti a Tokyo in coincidenza dei giochi olimpici, la capitale cominciò ad assumere l'aspetto di metropoli. L'opinione pubblica vide nelle Olimpiadi il coronamento del periodo della ricostruzione e l'inizio di una marcia nel futuro. La successione di Ikeda, costretto al ritiro per ragioni di salute, fu assunta da E. Satô, fratello minore di Kishi, il quale, dotato di una personalità incisiva e di grandi abilità di manovratore, non esitò ad imporre a volte la sua volontà a un parlamento recalcitrante. Durante il suo governo (il più lungo nella storia del G. moderno) il regime conservatore raggiunse lo zenith: nel 1970 fu tagliato il traguardo del raddoppio del prodotto nazionale lordo, che raggiunse i 165 miliardi di dollari, e il G. divenne la terza potenza industriale del mondo.

Il 17 agosto 1971, al termine di una lunga e difficile trattativa che rappresenta il maggior successo di Satô, gli Stati Uniti s'impegnarono a restituire l'isola di Okinawa, che il 15 maggio 1972 tornò sotto la sovranità giapponese. Precedentemente Satô aveva già ottenuto la restituzione dell'arcipelago di Ogasawara (26 giugno 1968). Il 22 giugno 1970, in un'atmosfera distesa ben differente da quella del 1960, fu rinnovato automaticamente il patto di mutua sicurezza con gli Stati Uniti, integrato dalla dichiarazione Satô-Nixon del 21 novembre 1969, che riconobbe l'importanza della Corea del Sud e di Formosa per la sicurezza del Giappone. Satô, da parte sua, vincendo le opposizioni di una parte del suo stesso partito, caldeggiò e ottenne (3 febbraio 1970) l'adesione al trattato di non-proliferazione. Per quanto riguarda la situazione interna, Satô fronteggiò con successo la contestazione studentesca, evitando uno scontro frontale, ma riuscendo a mobilitare contro di essa l'opinione pubblica e gli stessi partiti di sinistra.

All'apertura degli anni Settanta, peraltro, la società giapponese accusa le sue prime difficoltà. Il 1970, segnato dall'esposizione di Osaka, in cui il G. fece sfoggio della sua ricchezza e della sua tecnica, è ancora un anno di espansione, ma nel 1971 si avvertono segni di ristagno, mentre aumenta la pressione sullo yen. La dichiarazione di non convertibilità del dollaro (16 agosto) causa gravi difficoltà e viene duramente avvertita alla borsa di Tokyo. Ma l'economia è ancora forte e, malgrado la rivalutazione dello yen (19 dicembre), il G. riesce a mantenere le sue posizioni sul mercato mondiale. Il 1971 vede anche un avvenimento d'importanza storica, il viaggio in Europa di Hirohito, che è il primo imperatore a recarsi all'estero. Dal punto di vista politico, peraltro, l'avvenimento che domina l'anno è la decisione di Nixon di riconoscere la Cina popolare, che mette in crisi la politica estera giapponese basata sull'amicizia con il governo di Taipeh e costituisce un grave scacco per Satô. Ed è proprio la necessità di cambiare la politica nei confronti della Cina che porta alla caduta del primo ministro, che continua a irrigidirsi in una posizione di ostilità a Pechino. Gli succede il 7 luglio 1972 K. Tanaka, che riesce a risolvere il problema dei rapporti con la Cina attraverso il suo viaggio a Pechino nel settembre 1972. All'interno egli si fa fautore di una politica di rapida espansione economica, lanciando un piano per la ristrutturazione dell'arcipelago che prevede grandi investimenti pubblici per ridistribuire la popolazione e migliorare i servizi. La potenzialità inflazionistica del piano, peraltro, viene a coincidere con la crisi energetica scoppiata nell'autunno del 1973 e porta a una spirale di aumento dei prezzi che mette in pericolo l'economia del paese. La posizione di Tanaka diventa difficile, mentre si allarga l'opposizione contro di lui all'interno del suo stesso partito, finché le rivelazioni circa i mezzi che egli avrebbe usato per ammassare la sua vasta fortuna personale lo costringono alle dimissioni. Egli peraltro resta in carica abbastanza a lungo per ricevere il presidente Ford nel novembre 1974 (era questa la prima visita di un presidente americano in G., giacché la progettata visita di Eisenhower, nel 1960, era stata impedita dalle opposizioni).

Il nuovo governo viene formato il 1° dicembre 1974 da T. Miki che, avvalendosi in materia economica della collaborazione del viceprimo ministro T. Fukuda, ha varato una politica antinflazionistica, riuscendo a contenere la spirale dei prezzi e ponendo le basi per una stabilizzazione della situazione economica. Questo parziale successo ha rafforzato la posizione dei conservatori, che nelle elezioni amministrative della primavera 1975 hanno registrato un miglioramento. In politica interna Miki, che ha una posizione debole all'interno del suo partito, ha cercato un più intenso dialogo con le opposizioni, che egli ha chiamato a svolgere un ruolo più costruttivo. In politica estera è alla ricerca di una migliore intesa con la Cina, ma nel contempo, con il suo viaggio a Washington (agosto 1975), ha ribadito l'attualità della collaborazione con gli Stati Uniti, da cui ha ottenuto la riconferma dell'impegno alla difesa della Corea meridionale.

Bibl.: E. Vogel, Japan's New Middle Class, Berkeley e Los Angeles 1963; N. B. Thayer, How the conservatives Rule Japan, Princeton 1969; R. H. P. Mason, J. C. Caiger, A History of Japan, Melbourne 1972; Z. Brzezinski, Fragile Blossom: Crisis and Change in Japan, New York 1972; Fifty Years of Light and Dark: the Hirohito. Era, a cura di The Mainichi Newspapers, Tokyo 1975 (sebbene di carattere giornalistico, offre un quadro abbastanza completo del periodo 1960-75); J. A .A. Stockwin, Japan, Divided Politics in a Growth Economy, Londra 1975. Una fonte giapponese di grande importanza è costituita dagli annuali pubblicati dai grandi quotidiani giapponesi, quali l'Asahi Nenkan e il Mainichi Nenkan; il Mainichi Shinbun pubblica anche un annuario in inglese dal titolo Japan Almanac.

Letteratura. - Intorno agl'inizi dell'ultimo cinquantennio, nel mondo letterario giapponese cominciano ad apparire nuove correnti e se ne affermano altre già presenti. Loro caratteristica comune è una narrativa rivolta alla realtà oggettiva, in contrapposizione al romanzo in prima persona (Ich-roman, in giapponese watakushi shōsetsu) che aveva già goduto un dominio incontrastato. Fra le più importanti è la Shinkankakuha (Scuola del nuovo senso), in cui la parola senso sta a indicare, da un lato, che si vuol descrivere, sì, la realtà, ma non com'è bensì come si percepisce; dall'altro, uno stile, un modo di esprimersi che cerca di fermare l'impressione di un momento. Scrittore rappresentativo ne è Yokomitsu Riichi (1898-1947), con Haru wa Basha ni Notte (La Primavera va in carrozza, 1926), mentre fra i giovani troviamo un nome che diverrà famoso, quello di Kawabata Yasunari.

Di dichiarata ispirazione politica, seppure colorata d'idealismo, è la scuola della letteratura proletaria; espressione delle tendenze verso l'ideologia marxista e in genere di sinistra, essa afferma che la letteratura deve avere carattere sociale e contribuire all'emancipazione del proletariato, ponendosi così contro il principio dell'arte per l'arte che era stato alla base dei movimenti letterari in Giappone. È in grande voga verso la fine degli anni Venti, ed esercita un'influenza non proporzionata alla qualità della sua produzione, che nell'insieme comprende poche opere di alto livello, anche se nel periodo migliore ha scrittori notevolmente dotati. Tra di essi Tokunaga Sunao (1899-1958), autore di Taiyōno Nai Machi (Quartiere senza sole, 1929), e Kobayashi Takiji (1903-1933), con Kani Kōsen (La nave per la lavorazione dei granchi, 1929). Il movimento, già indebolito da dissensi interni e dal radicalismo, scompare quando, con l'incidente mancese del 1931, il controllo delle autorità su movimenti e ideologie di sinistra si fa più severo; opere e periodici di questa tendenza vengono soppressi o ritirati dalla circolazione, gli esponenti arrestati, le loro associazioni sciolte. Due anni dopo alcuni scrittori di questa scuola che erano stati imprigionati vengono indotti, o meglio costretti, a fare una dichiarazione di "conversione" (tenkō in giapponese); in essa ritrattano la loro ideologia, criticando il comunismo internazionale ed esaltando, in contrasto con esso, i caratteri peculiari della nazione giapponese. Riprendono poi a scrivere e pubblicare, ognuno reagendo alla propria conversione in modo diverso, guardando soltanto a sé stesso, alla propria esperienza. Diventano quindi degl'isolati, non fanno più parte di quei movimenti e attività di gruppo con tendenze e idee omogenee, che avevano caratterizzato il mondo letterario nei decenni precedenti. Così Takami Jun (1907-65) esprime il malcontento verso sé stesso e la società in Kokyū Wasureubeki (Si potranno dimenticare i vecchi amici? 1936). Hayashi Fusao (nato nel 1903) invece è completamente "convertito"; in Seinen (Gioventù, 1933), prima parte di una progettata trilogia sullo statista dell'era Meiji, Itō Hirobumi, non c'è più traccia di ideologie di sinistra, come non ce n'è nelle sue opere seguenti; finisce col divenire un nazionalista.

Negli anni tra l'incidente mancese e l'inizio della guerra in Cina nel 1937, mentre con il prevalere del militarismo e del nazionalismo la pressione sul mondo letterario aumenta, tornano alla ribalta scrittori rimasti nell'ombra durante la voga della letteraturra proletaria; perché si erano mantenuti fedeli al principio dell'autonomia dell'arte. Fra i maggiori, Nagai Kafū (1879-1959) ha una nuova fioritura, assumendo una posizione critica verso le tendenze dei tempi; il suo Bokutō Kitan (Romanzo a oriente del fiume Sumida, 1937), ha vasta risonanza. Tanizaki Jun'ichiro (1886-1956) tonna ai valori estetici della tradizione giapponese, dimostrando alta qualità di stile, contenuto e struttura. Kawabata Yasunari raggiunge piena maturità artistica in Yukiguni (Il paese delle nevi, 1935-37), con una prosa raffinata e sensuale, permeata del senso della futilità della vita.

Nel 1935 viene fondata la Nihon Rōmanha (Scuola romantica giapponese), che estende la sua influenza fin nel dopoguerra; in questo periodo iniziale si adatta alle tendenze dei tempi, richiamandosi alle antiche tradizioni del paese. L'interesse verso la narrativa si era nel frattempo venuto estendendo; il conseguente aumento della richiesta, anche da parte di periodici e giornali, porta a una notevole produzione e a una rivalutazione del genere detto "Letteratura popolare", in contrapposizione a quella "pura" o di élite. Lo scrittore più noto e prolifico è Yoshikawa Eiji (1892-1962), ma vi si cimentano anche autori come Takami Jun.

Alcuni fra gli scrittori più popolari vengono reclutati a formare una "Squadra della penna" e inviati al seguito del corpo di spedizione in Cina perché narrino le operazioni belliche secondo le direttive ufficiali. Famoso diviene Hino Ashihei (1906-60), con la sua trilogia Mugi to Heitai (Frumento e soldati, 1938), Tsuchi to Heitai (Terra e soldati, 1938), e Hana to Heitai (Fiori e soldati, 1939). All'interno, il controllo sulla libertà di parola e di stampa, sempre più rigido a mano a mano che ci si avvicina alla guerra del Pacifico, limita la libertà degli scrittori e soffoca la loro creatività. Non sono più soltanto le idee di sinistra ad essere represse, ma anche quelle liberali e individualistiche; è permesso soltanto ciò che si ritiene sia di appoggio alla politica militarista e contribuisca agli sforzi bellici del paese. Ben poca libertà rimane agli scrittori, e questa poca viene del tutto soppressa con l'inizio della guerra del Pacifico nel dicembre 1941. Molti vengono arrestati, altri mobilitati al seguito delle forze combattenti su tutti i fronti; le loro associazioni sono sciolte e viene costituita sotto gli auspici delle autorità l'Associazione patriottica letteraria del Giappone. Tuttavia, nei quattro anni di guerra, durante i quali gli scrittori vedono negati i valori spirituali cui si erano fino ad allora ispirati, essi riescono nel complesso a mantenere la loro individualità. Per alcuni, questi anni costituiscono una pausa di riflessione che darà in seguito i suoi frutti; per altri, l'occasione di narrare esperienze personali, distaccate dal momento attuale. E se ben pochi portarono avanti una protesta e una critica positiva, altrettanto pochi collaborarono attivamente alle direttive del governo.

Con la fine della guerra nel 1945 e la riconquistata libertà, si ha un'immediata rinascita delle attività letterarie. Riappaiono tendenze e idee che avevano in precedenza ispirato il mondo letterario giapponese, che riprende con quello internazionale i contatti interrotti durante il conflitto; escono di nuovo periodici già sospesi o soppressi, altri ne appaiono; ricominciano a scrivere e a pubblicare autori che avevano già raggiunto la maturità artistica, quali Kawabata, Tanizaki, Nagai, i quali domineranno la scena letteraria nei decenni successivi; altri si affermano ora pienamente, e cominciano a emergere i giovani. Molti dei primi non sembrano essere stati toccati dall'esperienza della guerra, di cui non si trova traccia nelle loro opere, come se si fossero rifugiati in sé stessi ignorando la realtà esterna. È il caso di Nagai Kafū, che nel 1946 pubblica quello che aveva scritto durante il conflitto, fra cui Odoriko (La ballerina); di Tanizaki, con Sasameyuki (Neve sottile), che era stato sospeso nel 1943 dopo la prima puntata; di Kawabata con Senbazuru (Mille gru 1949-51). Scrittore sensibile al mondo esterno è invece Dazai Osamu (1909-48), già attivo prima della guerra, il quale si afferma ora trattando, sotto l'influenza dei tempi e della crisi personale che attraversa, il conflitto tra i suoi sentimenti e la realtà. Nascono così Shayō (Il sole si spegne, 1947), Ningen Shikkaku (Lo squalificato), Ōtō (Ciliegie), e Viyon no Tsuma (La moglie di Villon), opere rappresentative scritte nei due ultimi anni della sua vita, basate su di un'acuta osservazione dell'uomo e permeate da una malinconia tipica della tradizione giapponese. Ha scritto anche drammi: Fuyu no Hanabi (Fuochi artificiali in inverno, 1946), Haru no Kareha (Foglie secche in primavera, 1947). Drammaturgo di fama è Kinoshita Junji (nato nel 1914), autore di drammi principalmente di argomento storico e folcloristico, in cui dimostra profonda comprensione delle tradizioni popolari; alcuni sono stati adattati per il teatro classico, Nō e Kabuki. Il più famoso è Yūzuru (La gru di sera, 1949), in un atto, da cui è stata tratta l'opera lirica omonima.

Riappare anche il romanzo in prima persona, che diviene un mezzo per esprimere il senso di futilità e la crisi spirituale dei tempi, acquistando un respiro più vasto di quanto avesse avuto in passato il suo soggettivismo puro. Ne sono un esempio tipico le opere di Ōoka Shōhei (nato nel 1909) sulle sue esperienze di guerra, che uniscono lirismo e osservazione della realtà; la più famosa è Nobi (Fuochi sui campi, 1952).

Altri scrittori rappresentativi del dopoguerra sono Shiina Rinzō (1911-1973), che risente l'influenza dell'esistenzialismo e ripropone il valore dell'individuo, con Shin'ya no Shūen (Banchetto a notte fonda, 1947), e Eien naru Joshō (Prologo eterno, 1948); Noma Hiroshi (nato nel 1915), nelle cui opere migliori, Shinkō Chitai (Zona del vuoto, 1952), e Seinen no Wa (Il cerchio della gioventù, iniziato nei primi anni del dopoguerra e completato nel 1971), sono evidenti le contrastanti influenze del buddhismo nel cui credo era stato allevato, del marxismo con cui era venuto a contatto durante gli studi universitari, e dell'esistenzialismo. Infine, un folto gruppo di giovani dotati di notevole personalità, fra cui spicca Mishima Yukiō (1925-1970) che assume una posizione indipendente, pur subendo l'influsso della scuola romantica giapponese. Abe Kōbō (nato nel 1924), scrittore di avanguardia di carattere cosmopolita, estraneo alla tradizione letteraria giapponese, richiama l'attenzione su di sé con Na mo Naki Yono Tame ni (Per un mondo senza nome, 1948), e Kabe (Il muro, 1951), e ottiene pieno riconoscimento con Suna no Onna (La donna delle dune, 1962), che tratta il tema dell'irrealtà; seguono Tanin no Kao (Il volto degli altri, 1964), e Moetsukita Chizu (La Mappa bruciata, 1967).

Nel frattempo, mentre il paese procede sulla via della ricostruzione, si viene modificando il concetto che l'uomo di lettere debba scrivere per una ristretta cerchia di conoscitori e si afferma invece che lo scrittore deve rivolgersi al pubblico in genere, rispondere e ispirarsi a quello che esso si aspetta da lui. Si va cioè verso un tipo di romanzo inteso come forma di trattenimento popolare, genere che riceve grande impulso dalla rinnovata e crescente richiesta di opere letterarie per quotidiani e periodici e dal grande favore con cui esse vengono accolte. Rappresentativo di tale tendenza è il Fūzoku shōsetsu, romanzo di costume, che ritrae con franchezza e realismo il mondo e la società del tempo. Kikyō (Ritorno a casa, 1948), di Osaragi Jirō (1897-1973), già attivo prima della guerra, è un esempio tipico di romanzo popolare di alto livello, scritto con stile chiaro ed elegante; il tema della guerra e delle tragedie da essa provocate fa profonda impressione. Altre sue opere da menzionare sono Munekata Kyodai (Le sorelle Munekata, 1949), e la sua ultima, di carattere storico, Tennō no Seiki (Il secolo imperiale, 1973). Anche Takami Jun diviene uno dei più prolifici scrittori di questo genere, ma conclude poi la sua lunga carriera letterarìa con un'opera completamente diversa, Iyana Kanji (Spiacevole sensazione, 1960-63), una specie di autobiografia spirituale in cui sono riflessi i contrasti fra espressione individuale e sociale che avevano assillato gli scrittori della sua generazione.

Negli anni Cinquanta la stabilità e il rapido progresso in ogni campo influenzano l'ambiente letterario; cominciano a emergere le generazioni maturate dopo la fine della guerra, con scrittori dotati di sensibilità e acuto senso di osservazione, molto attenti allo st-le. Prevale d'altra parte un certo commercialismo, con la tendenza a mettere la letteratura al servizio delle comunicazioni di massa; esempio tipico ne è Taiyō no Kisetsu (La stagione del sole, 1959) opera prima di Ishihara Shintarō (nato nel 1932), che fa sensazione e ha notevolissimi riconoscimenti, nonostante carenze e immaturità.

La nuova prosperità materiale determina un vuoto spirituale che porta alcuni scrittori a guardare alla realtà con atteggiamento negativo e ad esprimere la solitudine dell'uomo in un nuovo tipo di romanzo in prima persona, come Yasuoka Shōtarō (nato nel 1920), con Umibe no Fūkei (Scene della costa, 1959); Shōno Junzō (nato nel 1921) con Yūbe no Kumo (Nuvole di sera, 1965). Endō Shōsaku (nato nel 1923) in Shiroi Hito (L'uomo bianco, 1955), cui segue Kiiroi Hito (L'uomo giallo), tratta il tema delle relazioni tra le razze in base alla sua esperienza personale come studente in Francia, mentre in Chinmoku (Silenzio, 1966) propone il problema della religiosità dei giapponesi.

Altri scrittori, riallacciandosi alla scuola proletaria dell'anteguerra, affermano l'impegno politico e sociale della letteratura, come Nakano Shigeharu, che tratta i problemi degl'intellettuali di sinistra in Kō otsu hei tei (A, B, C, D, 1969). Ōe Kenzaburō (nato nel 1935), cerca di presentare con acuta sensibilità l'uomo moderno, in opere che, pur subendo l'influenza di Sartre, hanno una loro originalità, fra cui Kojintekina Taiken (Un'esperienza personale, 1964), e Man'en Gannen no Futtobōru (Football del 1° anno dell'era Man'en, 1967), che ha suscitato notevole interesse.

Bibl.: D. Keene, Modern Japanese Literature, Rutland (Vt)-Londra 1957; id., Letteratura Giapponese, trad. it., Firenze 1958; M. Nakamura, Contemporary Japanese fiction, Tokyo 1969; M. Muccioli, Letteratura giapponese, in Storia delle letterature d'Oriente, Milano 1969; id., La letteratura giapponese, la letteratura coreana, Firenze 1969; Synopses of contemporary Japanese literature, a cura della Kokusai Bunka Shinkokai, Tokyo 1970; R. Beviglia, A. Tamburello, Storia delle letterature coreana e giapponese, Milano 1970; id., Antologia delle letterature coreana e giapponese, ivi 1970.

Archeologia. - L'archeologia risale in G. al 1878, quando cumuli di conchiglie trovati a Omori, tra Tokyo e Yokohama, insieme con frammenti di terrecotte e oggetti di pietra permettono, anche in base a successivi reperti, di accertare l'esistenza nell'arcipelago di una cultura neolitica, che si ritiene vada dal 5° millennio a circa il 3° secolo a. Cristo. Viene chiamata Jōmon (disegno-corda), dalla decorazione della terracotta ottenuta per lo più con l'imprimervi una corda. La terracotta è fatta a mano e ha grande varietà di forme. Nel 1884 vengono trovate a Yayoi, in un quartiere di Tokyo, terrecotte di tipo diverso, che risulteranno associate a oggetti di bronzo e di ferro. Il periodo, o cultura, a cui appartengono prende il nome di Yayoi, e va da circa il 2° secolo a. C. al 3° d. Cristo. Centri di studi e ricerche cominciano ben presto a costituirsi presso le università giapponesi, ma soltanto nel 1916 viene creata, presso l'università imperiale di Kyoto, la prima cattedra di archeologia, a cui viene chiamato il prof. Hamada Kosaku, archeologo di chiara fama. Campagne di scavi condotte dal 1949 principalmente a Moro (Tokyo), Chausuyama e Kawakami (pref. di Nagano), accertano l'esistenza di una cultura paleolitica, o mesolitica, priva di terracotta, precedente quella Jōmon e con essa in relazione di continuità.

Del Jōmon sono state trovate tracce di abitazioni, in maggior numero lungo la costa del Pacifico e nelle montagne centrali; sono di due tipi, a fossa quadrangolare, circolare od ovale, e a livello, sormontate da un tetto sostenuto da pali. Del primo tipo ne sono state trovate molte negli scavi effettuati intorno al 1950 a Hiraide (pref. di Nagano), insieme con una grande quantità di reperti, fra cui figurine di creta, che compaiono sempre più numerose a partire dal medio Jōmon; molte sono femminili, connesse al culto per la maternità e la fertilità di un popolo che mostra di possedere già un notevole senso estetico. L'uomo Jōmon pratica caccia e pesca; per la prima usa archi, frecce, e lance; per la seconda fiocine, ami di osso e anche reti; dal medio Jōmon ha forse iniziato qualche forma di coltivazione. I morti vengono inumati in semplici fosse scavate nei pressi dell'abitazione.

La cultura Yayoi nasce, sotto l'impulso di stimoli del nord-est del continente asiatico, nel Kyushu settentrionale, e si estende gradualmente verso nord-est, sovrapponendosi e sostituendosi a quella Jōmon. Ne sono caratteristiche una terracotta fatta con la ruota, più sobria, con disegno minimo o assente, e la coesistenza di bronzo e ferro, con prevalenza di quest'ultimo. Molto usato è anche il legno, nella cui lavorazione l'uso del ferro porta notevoli progressi (v. reperti a Karako, pref. di Nara, e a Toro, pref. di Shizuoka). Di ferro sono asce, pialle, strumenti agricoli quali zappe e falci, punte di frecce, lance, ecc. Queste ultime si trovano anche fra gli oggetti di bronzo, alcuni importati, altri fabbricati in G. come, per es., lame non affilate di uso cerimoniale, di cui è stato trovato uno stampo nel nord del Kyushu, e le dōtaku, oggetti sacri tipici del G., a forma di campana schiacciata, con scene di caccia, abitazioni, ecc., a volte in rilievo. Il periodo Yayoi segna l'inizio dell'agricoltura, in particolare della coltivazione del riso, probabilmente introdotto dal continente nel Kyushu insieme con la cultura del metallo. La sua esistenza, indicata in un primo tempo da impronte di grani di cereali rimasti attaccati a terrecotte, è poi confermata da ritrovamenti di riso carbonizzato, strumenti agricoli, e infine da tracciati di risaie. L'uomo Yayoi è dunque agricoltore, pur continuando a cacciare e pescare come il suo predecessore del Jōmon; scende nelle pianure dalle colline su cui l'altro viveva, ma ne continua il tipo di abitazione a fossa e a livello, con tetti di paglia e ramaglia. Scavi condotti dal 1947 a Toro (Shizuoka) hanno portato alla luce quella che potrebbe essere una comunità rappresentativa: un gruppo di undici abitazioni con due costruzioni a pavimento sopraelevato, ritenute magazzini per cereali, e trentatré risaie con argini, sentieri e canali irrigui. I morti vengono seppelliti in diversi modi, ma principalmente in tombe fatte con lastre di pietra, di origine coreana e senza corredo funerario o con corredo funerario in grandi urne di terracotta, che presentano soltanto lievi somiglianze con quelle coreane e del nord-est asiatico; su queste viene a volte posto un grosso masso circondato da pietre più piccole. La diversa qualità degli oggetti rinvenuti nelle tombe (specchi, monete, spade, lance, ornamenti, ecc.) e il ritrovamento nel Kyushu settentrionale (Hie, Fukuoka) di un gruppo di abitazioni circondato da un fossato e da uno steccato sembrano indicare una differenza di stato sociale tra i membri di una comunità, e un'organizzazione sociale e forse anche politica, seppure in embrione.

Alla cultura Yayoi se ne sovrappone, a partire dalla seconda metà del 3° secolo d. C., una nuova, che comprende la protostoria e gl'inizi della storia; in archeologia prende il nome dai kofun, le tombe a tumulo che la caratterizzano, e arriva almeno a tutto il 7° secolo. I Kofun appaiono anzitutto nella piana di Yamato, nel Kinai, appunto verso la fine del 3° sec., e si diffondono poi a sud-ovest e a nord-est, fin oltre la zona di Tokyo. Località ed epoca coincidono con quelle in cui avviene il processo formativo di uno stato unitario, il cosiddetto regno di Yamato, e suggeriscono la presenza nella zona di un gruppo in possesso di una cultura e di una forza militare superiori, che si era forse mosso da sud-ovest (Kyushu) verso nordest, ampliando gradualmente il proprio dominio, come vogliono la tradizione storica e le fonti letterarie. Le tombe a tumulo assumono un'importanza ancora maggiore a causa della scarsità d'insediamenti umani in questo periodo. Riproduzioni in creta di abitazioni e il disegno di quattro di esse su di uno specchio del principio del 5° sec., trovato in una tomba nella pref. di Nara, indicano notevoli innovazioni e progresso nel campo delle costruzioni. Rimane la casa tradizionale a fossa e a livello, ma ne compaiono anche di nuovo tipo, in legno grezzo e cannicci, col pavimento elevato su piattaforma, sviluppo del tipo già esistente nello Yayoi. Sono le residenze dell'aristocrazia e anche i primi santuari Shinō, la cui forma originaria è tuttora preservata in alcuni. Tali dovevano essere le costruzioni delle antiche capitali di Yamato, di cui rimangono soltanto, portati alla luce da scavi effettuati dal 1934 in poi, i tracciati di quella di età storica, Fujiwara (692-710) e delle residenze imperiali di Naniwa (615-686) e di Heijō (710-784).

I kofun sono formati all'esterno da tumuli artificiali di terra, di forma e proporzioni varie, tondeggianti, quadrangolari, con o senza fossato e corridoio d'ingresso. Il tipo circolare con proiezione rettangolare si trova soltanto in G.; il più grandioso è quello dell'imperatore Nintoku (circa fine 4° sec.-principio 5°), nella pianura vicino a Osaka, e occupa un'area di 32 ettari circondata da tre fossati. All'esterno del tumulo venivano collocate le haniwa, letteramente "cilindri di creta"; erano infatti in origine semplici cilindri posti a delimitare l'area delle tombe, ma vennero poi trasformati in figure di uomini e animali, abitazioni, armi, utensili, ecc. Si suppone che, collocati in un primo tempo sulla sepoltura in occasione di riti funebri, siano diventati poi un elemento permanente. Analogo sarebbe il caso delle figure umane e cavalli in pietra trovate nel Kyushu.

All'interno del tumulo è la camera funeraria, con le pareti rivestite per lo più in pietra; il sarcofago è di legno, pietra, terracotta, e di forme diverse. Il corredo funerario è quanto mai ricco e vario: ornamenti e oggetti di uso personale, armi e armature, finimenti di cavalli, monete e specchi cinesi e giapponesi, terrecotte. Molti provengono dal continente o ne mostrano l'influenza; molti altri testimoniano come forme straniere vengano accettate e poi trasformate, e permanga anche il sobrio gusto tradizionale. Ne sono un esempio le spade e i pugnali di osso di cervo, insieme con fastosi ornamenti personali, armi e finimenti di cavallo, tutti in bronzo dorato e di gusto continentale, rinvenuti nella tomba di Inariyama, ritenuta del 6° sec., nella pref. di Shiga.

La terracotta è di due tipi: la Haji, derivata da quella Yayoi, è rossastra e di solito non decorata; dati archeologici e fonti letterarie indicano che è opera delle stesse corporazioni che facevano le haniwa. L'altra, la Sue, di forme varie a volte molto elaborate, proviene dalla Corea e si trova all'interno delle tombe; in genere è grigiastra, con tonalità che variano dal bruno al grigio blu-nero, decorata, quando lo è, con linee.

Si riteneva che l'unico tipo di pitture parietali dei kofun fosse quello presente nel Kyushu, geometrico e con rari motivi antropomorfici, di barche, cavalli, uccelli, fino a quando nel marzo del 1972 venne scoperto nel Kinai il kofun Takamatsuzuka, che è non solo la prima tomba a tumulo con dipinti trovata nella zona, ma anche l'unica con figure umane, di altissimo livello artistico e tecnico. Le pitture, eseguite sulle lastre squadrate e levigate della camera funeraria, raffigurano, oltre ad animali sacri, gruppi di uomini e donne in costumi cerimoniali; l'abbigliamento è simile a quello della Corea settentrionale, lo stile mostra l'influenza della pittura cinese e coreana, modificata da elementi tipici giapponesi. All'interno, un sarcofago di legno rivestito di stoffa laccata conteneva i resti di un uomo di media età; v'erano inoltre ornamenti in bronzo dorato, guarnizioni di spade, uno specchio di probabile origine cinese, ecc.

Diverse opinioni sono state espresse sui numerosi problemi posti dalla tomba, circa il suo significato riguardo alle relazioni con il continente; sulle pitture, che secondo alcuni rappresenterebbero una cerimonia di corte, secondo altri un rito o un corteo funebre; sul personaggio inumato, forse un coreano naturalizzato, o anche un principe imperiale. La data più probabile è fine 7° sec.-principio 8°; comunque è uno degli ultimi kofun, ché sotto l'influenza del buddhismo la cremazione veniva già sostituendosi all'inumazione. Ulteriori ricerche e l'esame di altri kofun potranno dare una risposta a questa vasta problematica, contribuendo a una migliore comprensione del G. antico e delle sue relazioni con la civiltà del continente. Un contributo ancora maggiore potrà dare l'auspicabile revoca del divieto di aprire ed esaminare le numerose tombe imperiali esistenti nella zona. Vedi tav. f. t.

Bibl.: G. J. Groot, The prehistory of Japan, New York 1951; J. E. Kidder, Japan before Buddhism, Londra 1959, trad. it. Milano 1960; D. Sadun, Il "kofun" Takamatsuzuka, una tomba a tumulo con dipinti murali nel Kinai, in Rivista della Scuola Orientale dell'università di Roma, 1975.

Arti figurative. - Per comprendere la situazione attuale dell'arte giapponese, è necessario ripercorrere brevemente la storia dell'arte giapponese dal punto di vista del suo incontro con il pensiero e con l'arte dell'Occidente. Infatti la tradizione artistica del G. ha un carattere originario completamente diverso da quella europea.

Il primo contatto tra le due tradizioni si ha nell'era Momoyama (inizio del sec. 17°) con l'introduzione della cultura cristiana in Giappone. Contemporaneamente appare anche nella cultura giapponese una corrente di pensiero basata sul positivismo delle scienze naturali, che nelle manifestazioni artistiche è influenzata dai quadri di soggetto religioso introdotti dai missionari cristiani. Questo incontro delle due tradizioni è però frenato dalle repressioni del feudalesimo: il governo Tokugawa proibisce l'espansione cristiana (nel 1639) e ciò fa sì che questo periodo storico finisca in meno di trent'anni.

Malgrado la persecuzione del cristianesimo, la città di Nagasaki rappresenta uno spiraglio attraverso il quale un filo estremamente sottile continua a unire il G. all'Europa. Nel Rinascimento europeo si era affermata un'impostazione scientifica della prospettiva e del chiaroscuro: in G. ne subiscono l'influenza gli artisti Gennai Hiraga (1726-1779), Kôkan Shiba (1749-1818), Kazan Watanabe (1793-1841) e infine il famoso Hokusai (1760-1849), autore di stampe del genere Ukiyoe. Questi artisti scoprono nella cultura europea l'arte moderna e ne divengono i precursori quando il G., a seguito della grande riforma Meiji, apre le proprie frontiere al mondo esterno; molti pittori compiono allora ogni possibile sforzo per cercare di far propri la tecnica e il pensiero europei.

Da questo periodo fino a oggi le arti tradizionali del G. non si sono estinte a causa dell'europeizzazione, ma continuano a essere ben vive e le due tradizioni coesistono, costituendo così un singolare fenomeno che non si riscontra in altri paesi.

Con la riforma Meiji, un grande processo di rinnovamento coinvolge tutti i settori della cultura, della società, della politica giapponese. Questa ondata innovatrice tocca anche le belle arti. Guardando all'arte europea contemporanea il G. si trova nella condizione di doverne rapidamente assimilare circa cinquant'anni: è quindi questo un periodo di grande fermento. Il pensiero tradizionale dell'arte giapponese ha una via difficile da percorrere per avvicinarsi all'arte occidentale dell'ultimo periodo dell'impressionismo e delle varie correnti successive. Assorbirono maggiormente il naturalismo accademico europeo Yuichi Takahashi (1828-1894) e Chû Asai (1856-1907), mentre furono seguaci dell'impressionismo Seiki Kuroda (1866-1924) e Takeji Fujishima (1867-1943) con opere che meritano la massima considerazione. Numerosi gruppi di scultori e pittori si formano separatamente e un po' alla volta si organizzano esponendo in mostre nazionali e di tendenza. Ognuno di questi gruppi rappresenta una delle nuove correnti d'avanguardia, il fauvismo, il cubismo, l'espressionismo, di cui mostrano di avere compiutamente assorbito il linguaggio.

Con la fine dell'era Meiji e l'inizio dell'era Taishô (1912-25) si respira una nuova atmosfera democratico-sociale, che dà vita, prima della seconda guerra mondiale, al periodo d'oro delle arti giapponesi moderne. I maggiori esponenti di questo periodo sono: Ryûsei Kishida (1891-1929), Narashige Koide (1887-1931), Tetsugoro Yorozu (1885-1927) e lo scultore Kôtaro Takamura (1883-1956).

Dopo l'era Meiji si ha un rapido incremento del capitalismo, accompagnato dalla nascita dell'anarchismo la cui ideologia ha un'influenza incitatrice sullo sviluppo di un'arte proletaria. Tengono a battesimo la nuova dottrina i pittori tradizionalisti Usen Ogawa (1868-1938), Hyakusui Hirafuku (1877-1933) e il prematuramente scomparso Shoji Sekine (1899-1919) rivelando un mondo completamente nuovo nell'arte moderna giapponese. Un nuovo ideale d'individualità e libertà si afferma nell'era Taishô. Nell'anno 12 di tale periodo (1923) si abbatte sulla regione del Kanto il "grande terremoto". Intanto la fine dell'era Taishô si avvicina. Una dopo l'altra le diverse correnti dell'arte occidentale si moltiplicano e si evolvono. L'antinaturalismo dell'École de Paris diviene il modello della nuova generazione. Gli artisti Yuzo Saeki (1898-1928), Kanji Maeda (1896-1930), Katsuzo Satomi (nato nel 1895), dopo il loro ritorno da un periodo di studio a Parigi, fondano la 1930 nen Kyokai (Società del 1930). Essi seguono la via indicata da Vlaminck, Derain e Dufy. La 1930 nen Kyokai tiene cinque esposizioni e si scioglie, ma successivamente il gruppo dà vita alla nuova società Dokuritsu Bijutsu Kyokai (Società artistica indipendente) che tiene la sua prima mostra nel 1931 e continua la sua attività a tutt'oggi. I pittori del suddetto gruppo, che rappresentano il fauvismo giapponese, acquisirono, lavorando duramente, le loro cognizioni a Parigi ove nel decennio 1920-30 operavano H. Matisse, P. Picasso e G. Rouault. È stato comunque estremamente facile per i giapponesi far propria la poetica del fauvismo, affermandosi tuttavia con proprie caratteristiche pittoriche.

Il grande terremoto che colpì la regione Kanto provocò, sia spiritualmente che economicamente, uno shock nel popolo giapponese di una gravità difficilmente immaginabile, distruggendo l'idilliaco idealismo e il rispetto individuale fino allora esistenti. Nel difficile periodo Showa (1926 segg.), la depressione economica mondiale e la dilagante corruzione portarono congiuntamente, un poco per volta, al sorgere del fascismo. Le belle arti andarono gradualmente degenerando. Il punto culminante del fauvismo giapponese si è avuto a seguito dell'ondata di rinnovamento, nel periodo post-Meiji, cioè nel decennio 1930-40, subito prima della guerra cino-giapponese, della seconda guerra mondiale e della nascita del fascismo. I più noti artisti di questa epoca sono: Ryuzaburo Umehara (nato nel 1888), Sôtaro Yasui (1888-1955), Tsuguji Fujita (1886-1968), Hanjiro Sakamoto (1882-1969). L'anarchismo dell'ultimo periodo Taishô è raggiunto dal dadaismo europeo: nasce il gruppo Mavo la cui arte prende il nome dalla tecnica del collage. Nasce il surrealismo giapponese, le cui allegorie sembrano esprimere simbolicamente e psicologicamente il risuonare dei passi del militarismo e del fascismo che si avvicinano. Vanno menzionate le opere dei migliori artisti: Ichiro Fukuzawa (nato nel 1898), Harue Koga (1895-1933), Kôtaro Migishi (1903-1934) e in modo particolare quelle degli artisti scomparsi in giovane età Ai-Mitsu (1907-1946), Misao Iida (1908-1936) e Noboru Kitawaki (1901-1951). In tale periodo non vi è in G. un artista che non passi direttamente dal dadaismo al surrealismo.

Contemporaneamente, appare e si diffonde anche la pittura astratta: le prime esperienze in questo ambito si hanno nelle opere degli artisti del gruppo Mavo; nel 1924 viene pubblicato il libro La poetica di Kandinskij. Il promotore dell'astrattismo giapponese è Kazuo Sakata (1889-1956), allievo di F. Léger.

Infine, nel 1937, viene fondata l'Associazione dei liberi artisti (Jiyubijutsuka Kyokai) i cui esponenti, Saburo Hasegawa (1906-1957), Masanari Murai (nato nel 1905), Kaoru Yamaguchi (1907-1968), organizzano nel luglio dello stesso anno a Tokyo la loro prima mostra. I pittori dell'influente gruppo Nikakai, Yoshishige Saito (nato nel 1904) e Jiro Yoshihara (1905-1972) dànno in questi anni una prova giovanile del loro astrattismo. In confronto all'avanguardia del periodo Taishô, con la libertà inventiva del surrealismo e della cosiddetta scuola dell'espressionismo, le opere astratte d'anteguerra sono prive di personalità. Durante la guerra, vi è un arresto nell'arte giapponese, e la maggior parte degli artisti, per riprendere la propria attività, deve aspettare il dopoguerra.

Il fascismo giapponese, con il pretesto del conflitto, vuole indurre l'arte alla subordinazione. Gli artisti giapponesi per vivere devono inevitabilmente sottomettersi: qualcuno smette di dipingere, qualcuno si rifugia in temi incensurabili come il paesaggio, ma poco per volta, a causa dell'opera di coercizione, solo i soggetti di guerra vengono immortalati. Gli artisti che non si piegano a dipingere tali temi vengono mobilitati. In questo contesto non vi è posto (tra il 1940 e il 1945) per la nascita di un'arte della resistenza.

L'arte giapponese del dopoguerra, consapevole della tragedia del conflitto, affonda nell'isolamento e ritrova sé stessa in una poetica decadentista adottata da alcuni artisti. Le opere del silografo Chimei Hamada (nato nel 1917), la serie sulla Siberia di Yasuo Kazuki (1911-1974), i quadri sulla bomba atomica di Iri Maruki (nato nel 1901) rappresentano il decadentismo giapponese del dopoguerra. In questo periodo entra in G. una forte corrente d'arte europea. L'arte giapponese, sulla base del fauvismo di prima della guerra, raggiunge un nuovo grado di maturità.

Due mostre che hanno una grande influenza sull'arte giapponese del dopoguerra hanno luogo a Tokyo: nel 1951 la mostra "Arte francese contemporanea" presentata dal Salon de Mai e nel 1956 "Il mondo. Mostra dell'arte d'oggi", presentata da alcuni esponenti del movimento informale. S'incominciano a conoscere i nomi di P. Soulages e G. Schneider. Gli artisti giapponesi, ansiosi di conoscere l'arte europea del dopoguerra, ne subiscono un effetto di grande shock ma anche di guida. L'arte tradizionale giapponese ha attitudine all'espressione decorativa astratta, ma nell'astrattismo antidecorativo di P. Soulages e H. Hartung gli artisti giapponesi possono vedere una nuova tendenza internazionale. Tenendo presente il punto di vista francese nell'affermarsi del nuovo movimento, così diverso da quello giapponese, viene da chiedersi come sia possibile una fusione. Ogni artista giapponese, con la sensibilità dovuta a un'esperienza immaginativa riflessa, può dolcemente assimilare la nuova direzione dell'astrattismo francese del dopoguerra. In questo contesto, gli artisti rappresentanti il primo periodo del dopoguerra Masao Tsuruoka (nato nel 1907), Minoru Kawabata (nato nel 1911), Takeo Yamaguchi (nato nel 1920) e i pittori astrattisti del periodo anteguerra Murai, Saito, Kawaguchi, Onosato e Yoshihara raggiungono una nuova fiducia in sé stessi.

Nasce nell'arte giapponese del dopoguerra, come in quella europea, il dibattito sul realismo. Nella lunga storia del G. per la prima volta si compie esperimento di democrazia di tipo europeo, e in tale esperimento vi sono le premesse per lo sviluppo dell'arte avanzata e in particolare per quella informale. In conseguenza di ciò, nel febbraio 1948 si fonda l'esposizione annuale "Nihon Andepandan Ten" (Mostra indipendente giapponese) e nel 1949 inizia la "Yomiuri Andepandan Ten" (Mostra indipendente Yomiuri). Queste due esposizioni si ripeteranno 15 volte fino al 1963 offrendo l'occasione a molti nuovi artisti di affermarsi. Allo stesso tempo, nel novembre 1951, nasce in G., a Kamakura, il primo Museo d'arte moderna, l'anno seguente a Tokyo sorge il "Museo nazionale d'arte moderna". Nella capitale già esisteva da prima della guerra il Museo d'arte municipale nel quale, nel dopoguerra, si tengono numerosissime esposizioni di gruppi artistici, che lo rendono un museo ininterrottamente attivo. Quasi ogni anno sorgono musei d'arte privati, mentre nello stesso periodo cominciano a svilupparsi circa 50 gallerie private.

La presentazione all'estero dell'arte moderna giapponese non è proporzionata a quella estera presentata in G., ma nell'anno 1956 alla Biennale di Venezia, nel campo della silografia, viene assegnato il Gran Premio a Shiko Munakata. Nel quadro del veloce movimento del dopoguerra, mentre nel 1956 la mostra "Mondo. Arte d'oggi" fa conoscere le opere di J. Fautrier, J. Dubuffet e W. Wols, nel 1957 G. Mathieu tiene una personale presentando per la prima volta in G. la sua abstraction lirique e viene pubblicata in G. l'opera letteraria Un art autre di M. Tapié che provoca grandi emozioni nel mondo artistico. L'arte informale giapponese, come in passato il fauvismo, trova nello sfondo irrazionale e nella "forza del pennello" orientale gli elementi necessari per una facile assimilazione. Le due mostre rappresentano un'occasione per imitare le opere esposte, le cui imitazioni appaiono poi, come se fossero creazioni autonome, in tante mostre di gruppi d'arte informale. Bisogna tuttavia soffermare l'attenzione su questo fenomeno dell'imitazione. Nel quadro della tradizione giapponese, sia nel disegno in bianco e nero che nell'arte Sho, esisteva un antico modo di dipingere non figurativo, basato sulla sensibilità e irrazionalità della filosofia orientale. Si può dire che l'arte astratta ha quindi facile accesso nel mondo artistico giapponese. In Europa, nella relazione uomo-natura vi è l'indicazione oggettiva e tematica di un rigoroso modo di confronto e di fiducia in sé stessi. L'arte giapponese non si basa sullo stesso rapporto, donde una grande differenza nelle realizzazioni dei suoi astrattisti rispetto agli europei. Qualche artista, sulla base della tradizione nazionale, ha potuto dare una giusta interpretazione all'espressione dell'arte informale giapponese, benché derivante da quella europea, mentre qualche altro è solamente riuscito a imitare l'arte informale europea con notevoli confusioni.

In questo stato di confusione, si deve ai membri dell'associazione d'arte Gutai la creazione di una nuova arte informale giapponese. Gli esponenti del gruppo Gutai sono: Jiro Yoshihara, Saburo Murakami, Sadamasa Motonaga e Kazuo Shiraga. Questo gruppo, che rappresenta l'epicentro della cultura giapponese, nasce lontano da Tokyo, a Osaka, e si trova quindi in condizioni di operare liberamente. Le mostre lungo le spiagge, sopra i palcoscenici, i palloni pubblicitari fluttuanti nel cielo, sono l'apice dell'avanguardia e hanno eco internazionale. Il gruppo Gutai nel 1962 fonda a Osaka la Pinacoteca Gutai ove vengono esposte le opere degli stessi membri e anche quelle di molti artisti stranieri. La loro arte, impregnata di colore locale e così diversa dall'arte concreta europea, viene altamente apprezzata da Michel Tapié, ma il maggiore esponente del Gutai muore nel 1972 e il gruppo si scioglie. In quel tempo molti artisti e critici d'arte stranieri visitano il Giappone. Primo fra tutti Tapiè, poi Sam Francis, Michel Ragon e Pierre Soulages. Tutti indistintamente provano grande interesse per l'arte giapponese Sho. E ancora, fra gli anni Cinquanta e il primo periodo degli anni Sessanta, organizzate per la maggior parte dai quotidiani giapponesi, si tengono una dopo l'altra mostre personali di P. Cézanne, P. A. Renoir, V. Van Gogh, H. Matisse e P. Picasso, cioè dall'ultimo periodo dell'impressionismo all'Ecole de Paris, aumentando l'interesse generale per l'arte europea. Nel 1963 viene a Tokyo J. Tinguely e vi tiene una mostra, portando in G. motivi e interessi fino allora sconosciuti. A Tokyo egli non trova la tradizione giapponese, ma scopre il G. del futuro.

Infatti gli stranieri che visitano il G. trovano Tokyo non dissimile da New York o Parigi: o rimangono sconcertati dal G. contemporaneo oppure vedono in esso il futuro del paese. L'attaccamento della maggioranza della classe conservatrice alla tradizione della pittura giapponese continua a essere ben vivo. Sin da prima della guerra si è direttamente perseguito l'ideale di bellezza giapponese con i pittori Yukihiko Yasuda (nato nel 1884), Seison Maeda (1885-1977), Kaii Higashiyama (nato nel 1908), Yasushi Sugiyama (nato nel 1909) e altri del periodo del dopoguerra: Misao Yokoyama (1920-1973), Matazo Kayama (nato nel 1927), Ikuo Hirayama (nato nel 1930). Non si può dire tuttavia che le giovani generazioni, che presentano artisti notevoli o promettenti, si siano limitate a derivare dall'arte europea e americana poiché, poco per volta, i nuovi pittori si affermano in campo internazionale. Kumi Sugai vive a Parigi da lungo tempo: la sua arte ricerca la bellezza simbolica tradizionale che caratterizza la poesia giapponese; a New York vive Kenzo Okada (nato nel 1902) di cui va segnalata l'esoterica bellezza del colore, e infine vanno ricordati gli scultori che vivono a Milano Tomonori Toyofuku e Kenjiro Azuma, seguaci della setta buddhista Zen, le cui eccellenti opere ottengono un notevole successo. Gli artisti giapponesi che svolgono all'estero la loro attività sono fedeli al senso estetico tradizionale della madrepatria, cosicché suggeriscono la strada per fondere la bellezza orientale con quella occidentale.

I quadri di J. Pollock e W. De Kooning hanno svelato agli artisti giapponesi l'esistenza dell'uomo vero. L'arte americana del dopoguerra, con il suo espressionismo astratto, si pone fra l'Oriente e l'Europa con una nuova tendenza d'avanguardia che propende alla fusione dell'Oriente con l'Occidente. Gli artisti e i critici giapponesi prestano molta attenzione all'esistenza di questa tendenza da cui discendono artisti d'avanguardia, nati dopo il 1930. Questi, dopo un periodo informale, subiscono l'influenza delle nuove correnti della Pop art, della Op art, del Neo dada, ma tengono aperta la via alla propria individualità originale. Tetsumi Kudo di Parigi, Shusaku Arakawa di New York e altri hanno esordito con l'arte informale. Devono essere particolarmente oggetto d'attenzione, nel periodo dopo il 1960, i realizzatori del Neo dadaismo giapponese Jiro Takamatsu e Tomio Miki. L'artista Takamatsu, uno dei migliori esponenti dell'arte giapponese contemporanea, nel 1970 ha partecipato alla Biennale di Venezia, nel 1972 ha ottenuto il Gran Prix alla Mostra biennale di silografia di Tokyo e nel 1977 è stato invitato a rappresentare il G. alla mostra Documenta di Cassel.

Niji no Ay-O (Arcobaleno Ay-O); il silografo Masuo Ikeda e Tetsuya Noda; Takamichi Ito, Masunobu Yoshimura e anche Minoru Yoshida e Katsuhiro Yamaguchi, esponenti dell'arte cinetica; gli ottimi scultori astrattisti Masakazu Horiuchi, Bukichi Inoue, Yoshikuni Iida; il "foto-pittore" Kozo Mio; l'artista grafico Tadanori Yokoo; Shinmei Kojima della Pop art; lo scultore plastico Minami Tada; Keiji Usami, che ha introdotto nella sua ricerca anche l'uso di raggi Laser; Tatsuo Kawaguchi, Nobuo Sekine, Hidetoshi Nagasawa, Yutaka Matsuzawa, Masabumi Maita, Kenji Inumaki, ecc., che lavorano nell'ambito dell'arte concettuale; tutti questi artisti, che rappresentano le varie correnti d'avanguardia partecipando alle maggiori manifestazioni di arte contemporanea (biennali di Parigi, San Paolo, Venezia, Mostra d'arte Guggenheim e Mostra d'arte Carnegie), hanno acquisito una fama internazionale.

Mentre nel campo delle arti figurative del G. d'oggi molti artisti continuano la loro ricerca nell'ambito della tradizione, altri svolgono la loro attività nel campo dell'arte d'avanguardia, anche se i loro modi possono sembrare soltanto imitazione di quelli europei. Gli europei potranno forse non scorgere a prima vista il sussistere, nelle loro opere, dei motivi del pensiero orientale che una più attenta considerazione, una volta abbandonati gli schemi preconcetti, non mancherà di rivelare. Il senso del colore dei vecchi maestri dell'epoca Momoyama, Korin e Sotatsu, è ancora vivo nell'espressionismo dei quadri dei giovani contemporanei, mentre lo spirito Ukiyoe sussiste nella silografia moderna. Vedi tav. f. t.

Bibl.: Edizioni in inglese e in francese: Michiaki Kawakita, Modern japanese paintings, Tokyo 1957; Yoshiaki Tono, Japanese artists in the early sixties, in New Art around the World, New York 1966, pp. 229-37; Art in Japan today, a cura di Shuji Takashina, Tokyo 1974; Dialogue in art - Japan and the west, a cura di Tomosaburo Yamada, ivi 1976; Ichiro Hariu, L'art contemporain japonais, Vingtième siècle, Parigi 1976.

Pubblicazioni principali in giapponese: Tari Moriguchi, Bijutsu 80 Nen-shi (80 anni d'arte giapponese), Tokyo 1954; Shigeo Kimura, Kindai Nihon Bijutsushi (Storia dell'arte moderna giapponese), ivi 1956; Kenjiro Kumamoto, Nihon Bijutsu Kenkiu (Studi sull'arte moderna giapponese), ivi 1964; Teiichi Hijikata, Nihon no Kindai Bijutsu (L'arte moderna in Giappone), ivi 1966.

Architettura e urbanistica. - La storiografia architettonica relativa alla produzione giapponese moderna e contemporanea prende in considerazione, dal 1868 a oggi, almeno tre fasi distinte che riguardano: la prima il periodo Meiji (1868-1912); la seconda il periodo compreso tra le due guerre mondiali, e infine la terza fase che ha inizio nel secondo dopoguerra e ci porta a oggi.

Questa schematizzazione si collega a precise tappe della storia politica, economica, sociale, dei costumi, ecc., e di conseguenza propone di per sé stessa i parametri secondo i quali la critica occidentale e quella giapponese hanno analizzato la produzione architettonica in G. nell'arco di circa un secolo. Questi tre periodi corrispondono infatti alle tappe di un progressivo intrecciarsi degl'interessi economici e culturali nipponici con quelli occidentali, secondo una progressione che, nel secondo dopoguerra, ha portato il G. a collocarsi nelle posizioni più avanzate dell'area economica, culturale e politica propria dei paesi a sviluppo industriale e tecnologico di modello occidentale.

Per quanto riguarda più da vicino la produzione architettonica ciò ha significato che le analisi critiche si sono indirizzate a evidenziare soprattutto i temi che si legano più da vicino ai problemi dell'architettura euro-americana, cosicché, nell'insieme, la produzione giapponese ne è stata considerata capitolo particolare, strettamente interconnesso. La nuova generazione di critici giapponesi si è collocata sullo stesso piano (citiamo E. Inagaki, N. Kawazoe, M. Tajima e tutto il complesso dei collaboratori della rivista The Japan architect, principale organo di diffusione dell'architettura giapponese in Occidente), e i migliori tra gli archítetti giapponesi degli ultimi anni partecipano attivamente al dibattito internazionale connesso con le vicende e gli sviluppi del movimento moderno in architettura.

E ciò, oltre che con le loro opere, anche nella didattica universitaria, nella pubblicistica, nei congressi e concorsi a carattere internazionale e in genere in tutte le occasioni di scambio. Architetti giapponesi hanno anche ottenuto spesso incarichi di progettazione architettonica e urbanistica nei paesi europei, americani e del cosiddetto Terzo Mondo in via di sviluppo.

La fase Meiji (1868-1912) corrisponde alle conseguenze dell'apertura del G. ai mercati euro-americani e allo stabilirsi in G. di residenti occidentali. I temi di questo periodo si riferiscono perciò, soprattutto, a edilizia residenziale, alberghiera, commerciale, per uffici, oltre che alla costruzione di edifici di culto occidentale.

Le città coinvolte sono quelle interessate dai nuovi rapporti di scambio, in particolare Tokyo. Si ricordano lo Tsukiji Hotel (1868) e la sede della Mitsui Company (1872) di K. Shimizu. Più tardi, dal 1870, due architetti occidentali, Th. J. Waters e J. Conder, diedero l'avvio alla formazione di architetti giapponesi. I primi licenziati dalla Scuola Imperiale si ebbero nel 1879. Importante nel frattempo l'iniziativa governativa, affidata a Waters, di edificare il cosiddetto "distretto di mattoni" nel quartiere Ginza, destinato a divenire una delle principali arterie della moderna Tokyo, in collegamento con la nuova stazione terminale della ferrovia Yokohama-Tokyo.

Alla fine del secolo compaiono in G. anche architetti tedeschi che introducono lo stile neorinascimentale del loro paese. Com'è ovvio, questa prima età dei rapporti nipponico-occidentale si risolve in una diretta importazione di mode e tecniche. Il carattere colonialistico è reso evidente, oltre che dalla tipologia e dalla ricerca di modelli e stilemi occidentali, anche dalla circostanza che gli architetti giapponesi a cavallo del secolo (quali M. Katayama, K. Tatsuno, T. Niinomi, Y. Watanabe) possono operare solo in provincia, mentre gli architetti europei si concentrano su Tokyo. Fa eccezione Katayama che, divenuto una sorta di architetto di corte, costruì numerosi palazzi e il museo di Nara e Kyoto.

Nella seconda fase, compresa tra i due conflitti mondiali, il 1923 (anno del grande terremoto che distrusse Tokyo e Yokohama) o il 1926, fine del periodo Taisho (1912-1926), può indicare la data dell'avvio di un processo di responsabilizzazione degli architetti giapponesi nella costruzione e ricostruzione del paese. Tre episodi importanti ne costituiscono la premessa. Il primo, la costruzione dell'Hotel Imperiale ad opera di F. Ll. wright (1918), anche se segna una tappa fondamentale nella storia dell'architettura in generale, manca di un'effettiva incidenza nella cultura architettonica giapponese, eccezion fatta per taluni sporadici tentativi mimetici. Il secondo episodio è l'insediamento in G., nel 1921, di un architetto europeo, A. Raymond, che, con la sua continuità operativa, determina un notevole influsso sui giovani architetti giapponesi. Il terzo episodio, forse più decisivo, è la serie dei contatti che il prof. K. Imai stabilisce con W. Gropius, L. Mies Van der Rohe, B. Taut e Le Corbusier.

Mentre il Taut stesso s'insedia in G., a partire dal 1933, K. Maekawa e J. Sakakura lavorano per alcuni anni allo studio di Le Corbusier. Così gli architetti che a partire dal 1923 fondano prima il gruppo Shinko Kenchikuka Remmei e più tardi il Nihon Kosaku Bunka Remmei (H. Kishida, S. Horiguchi, K. Ichiura, K. Maekawa, Y. Taniguchi, S. Koike) costituiscono, tramite Maekawa, il polo autonomo del movimento moderno in Giappone.

I lineamenti che la cultura architettonica nipponica andrà assumendo emergono dal sovrapporsi della riorganizzazione dei centri colpiti dal terremoto alla formulazione di un vasto piano di interventi nell'intero assetto territoriale nipponico. La richiesta di nuove tecniche costruttive, avanzata dagli organi tecnici pubblici, spinge gli architetti a verificare in concreto le esperienze europee. Di qui il carattere peculiare della produzione giapponese che, da questo momento in avanti, tenta di far lievitare a valori ricchi di suggestioni legate alla figuratività giapponese quanto, invece, scaturisce da uno spregiudicato uso delle tecnologie del cemento armato e dalla cosciente assunzione delle caratteristiche distributive e dimensionali proprie dei temi posti dalla città moderna.

Questo aspetto dell'architettura giapponese del dopoguerra è del resto omogeneo al tipo di sviluppo tecnologico e industriale del paese, con particolare riguardo ai settori dell'industrial design come quello dell'elettronica (miniaturizzazione) e degli oggetti di arredamento.

Tra le opere di questo periodo, oltre al già ricordato padiglione per la mostra di Parigi, citiamo la stazione meteorologica a Oshima (1928) di S. Horiguchi, l'ospedale Teishin a Tokyo (1937) di M. Yamada, i magazzini Sogoh a Osaka (1935) di T. Murano, opere che si contrappongono direttamente a una persistente linea tradizionalistica il cui maggior esempio è il Maranouchi Building, importante soprattutto per le nuove tecniche edilizie industrializzate che l'impresa realizzatrice, americana, ha adottato per la prima volta in G. e che sono poi state largamente seguite dalle imprese giapponesi.

Nella terza fase, conseguente al secondo conflitto mondiale, l'architettura giapponese si colloca in primo piano nel dibattito internazionale proponendo temi metodologici e di linguaggio particolarmente avanzati. Ciò che più ha interessato è stata la capacità degli architetti giapponesi di trovare un collegamento intrinseco tra la lunga tradizione artigianale della costruzione in legno e le nuove tecniche del cemento armato (tradizionale, precompresso, prefabbricato, ecc.). Ciò si è reso possibile per il modo con il quale la perizia dei carpentieri è stata utilizzata per configurare e qualificare il conglomerato cementizio tanto nelle parti costruite in opera quanto nei pezzi prefabbricati.

Così il rapporto tra tecnologie avanzate e tradizione artigianale ha trovato un punto d'incontro particolarmente felice. È forse in questo senso che il rapporto con l'architettura del movimento moderno europeo ha dato in G. i suoi migliori frutti. L'ideologia del Bauhaus di Gropius e la tematica del "béton brut" di Le Corbusier hanno infatti trovato esiti rinnovati, rispettivamente, nel gruppo Mido (M. Otaka, I. Kawahara, T. Tajima, K. Okumara, S. Osawa, K. Sakitani, K. Amamiya, J. Yokooma) fondato da K. Maekawa e nella più risoluta e personalizzata opera di K. Tange.

Vanno qui ricordate tra le altre realizzazioni quelle di K. Maekawa, la biblioteca e la sala dei concerti a Yokohama e la banca Sogoh a Tokyo (1952), gli appartamenti Harumi a Tokyo, il centro civico di Kyoto, il centro culturale di Tokyo, l'università Gakushuin (1960); il padiglione per l'industria automobilistica dell'Esposizione universale di Tokyo (1970), inoltre, in collaborazione con Sakakura e Yosiraka, il Museo di arte occidentale su progetto di Le Corbusier. Di Sakakura il Museo di arte moderna di Kamakura (1951), il Municipio di Kajima, gli uffici amministrativi dell'industria della seta a Tokyo. Di Kikutake gli appartamenti a Tonogaya e il Museo Shimane. Di Murata il centro commerciale a Tokyo. Di Murano i magazzini Sogoh a Tokyo. Per quanto riguarda la numerosa e complessa produzione di K. Tange, v. la voce in questa App.

L'impegno nella ricerca del rapporto da istituire, con nuovi strumenti e metodi, tra edificio e città, e tra ruolo urbano e pianificazione territoriale, ha permesso al gruppo Metabolism (K. Kikutake, M. Otaka, N. Kurokawa, e il critico N. Kawazoe) di elaborare ipotesi per un tipo di città in continuo processo di trasformazione qual è quella che si sta configurando nel G. del boom economico su base industriale. Kawazoe dice infatti che la nuova città "dev'essere tale da comprendere in sé stessa il disordine e da ricavare, in mezzo ad esso, un nuovo ordine" fino a pervenire al concetto di una "immagine totale" della città. In posizione analoga si colloca il gruppo Neo Mastaba.

Si ripropone in tal modo il rischio di un esito formalistico del ruolo dell'architettura che, centrata sul problema dell'immagine, risulta ora disponibile a un tipo di pianificazione che fa della città l'elemento traente dell'intero assetto territoriale, in un'accentuazione degli squilibri tra aree urbane e non urbane fino alla formazione di conurbazioni metropolitane a forte densità. Esempio particolarmente evidente di ciò è il piano per Tokyo di K. Tange (1960) che prevede la realizzazione di un "terreno artificiale" da sviluppare nella baia di Tokyo mediante unità residenziali, complessi commerciali e amministrativi, sospesi a ponte tra elementi a torre che contengono tutti i tipi di collegamenti e di servizi tecnici (sistema midollare). L'assunto democratico del gruppo Mido di derivazione "gropiusiana" è in tal modo superato in una proiezione disciplinare del monopolismo capitalistico che caratterizza l'attuale fase dello sviluppo economico giapponese.

Urbanistica. - La storia del G. moderno è strettamente connessa con un processo di forte e accelerata urbanizzazione e industrializzazione che privilegia la fascia delle Coste del Pacifico. Lo spostamento della capitale, operato dal governo Meiji, è il segno di tale volontà pianificatrice e dà l'avvio a una fase storica di coinvolgimento diretto del G. negl'interessi, tensioni e conflitti dell'area capitalistica industriale.

L'insieme delle città che si erano stabilite, nel decorso storico, tra le zone di pianura e la fascia costiera, risultano assoggettate, dal 1868 in poi, e con accelerazione vertiginosa dal 1951 a oggi, a un fenomeno di crescita il cui risultato attuale è la formazione di numerose fasce di conurbazione soprattutto lungo la zona costiera e portuale. La divisione amministrativa in 47 prefetture (34 nell'isola di Honshu, 4 in quella di Shikoku, 7 in Kiushu, oltre le due prefetture di Okinawa e di Hokkaido) si trova in tal modo superata da una realtà socio-economica che richiede forme di programmazione a più vasta scala. Questo fenomeno di concentrazione urbana è il risultato di un modello d'industrializzazione che ha le sue premesse nel piano del 1950, punto di decollo verso il cosiddetto miracolo economico, e che utilizza strumenti di legislazione urbanistica i quali, a partire dalla legge urbanistica generale del 1919 e dalle successive leggi speciali (tra le più importanti quella per la ricostruzione di Tokyo dopo il terremoto del 1923) si sono sempre attenute a una conceziohe urbana della pianificazione territoriale.

Così, al modello di sviluppo economico basato sulle industrie per i mezzi dì consumo a lunga durata, corrisponde un modello di sviluppo urbanistico che tende a trovare un punto di contatto tra la pianificazione territoriale e la progettazione architettonica mediante l'assunzione del parametro edilizio urbano a preciso strumento d'intervento. In conseguenza di questo processo l'intero territorio giapponese ha subito profonde trasformazioni. All'attivo di tale processo stanno il potenziamento della rete ferroviaria e stradale con sistemi e tecniche molto avanzate che consentono un rapido collegamento anche sottomarino (Honshu-Kiushu) e, parallelamente, la tendenza a sovrapporre (ancora una volta con l'adozione di tecnologie avanzate) una sorta di terreno artificiale al territorio preesistente sul quale intervenire in modo da determinare una forma "leggibile" di town-design; al negativo, oltre all'ovvia considerazione della riconferma della linea imboccata già all'epoca Meiji, l'accentuazione parossistica di difetti quali il forte squilibrio nella distribuzione della popolazione, la perdita di gran parte del patrimonio boschivo, la diminuizione delle riserve idriche, gli alti costi delle aree edificatorie, la mancanza di abitazioni nelle aree a forte concentrazione residenziale. Per es., lo Japan Economic Yearbook del 1974 pubblica i dati di un censimento ufficiale dal quale risulta che negli ultimi anni oltre 400.000 ha. di terreno agricolo sono stati acquistati dal capitale non agricolo e che circa 200.000 di questi ettari erano in precedenza ricoperti da foreste. Un altro dato è quello secondo il quale le conurbazioni di Tokyo-Yokohama accolgono da sole circa un decimo dell'intera popolazione nazionale.

A seguito di questa situazione, i cui danni macroscopici hanno preoccupato larghi strati di opinione fino a divenire oggetto di attacchi in sede politica, il governo giapponese si è visto costretto nel 1973 a presentare un nuovo piano generale di sviluppo a modifica del precedente e, immediatamente dopo, a sostituire anche quest'ultimo con una legge del 1974 per la pianificazione dell'uso del territorio nazionale. Si tratta di un'importante innovazione non soltanto sul piano formale, ma soprattutto sotto l'aspetto teorico: all'ideologia ormai superata dello sviluppo si sostituisce, ora, l'importante concetto di uso del territorio. Va da sé che quest'uso pianificato tende a determinare un equilibrio articolato degli specifici modi d'intervento in relazione a scelte di più larga partecipazione democratica non più solamente centrate su alcuni privilegiati settori industriali.

Non è possibile capire, per il momento, in quale direzione potrà muoversi il dibattito architettonico che farà seguito a queste nuove linee programmatiche. Infatti la fase precedente, quella che il nuovo piano tende a superare, era stata caratterizzata da una stretta interdipendenza tra metodologie e scala e tipologia degl'interventi da un lato, e interesse ideologico per la "forma" della città dall'altro. Senza entrare in dettaglio sul piano di Tokyo di K. Tange che resta senza dubbio uno dei più importanti prodotti dell'urbanistica degli ultimi anni, vale la pena di sottolineare quanto lo stesso architetto abbia contribuito alla progettazione di piani urbanistici per città di paesi diversi dal Giappone. Sul piano dell'elaborazione di modelli teorici il contributo maggiore resta il progetto per la baia di Boston redatto nel 1959 con gli allievi del MIT. È lo studio per una città di 25.000 abitanti da costruirsi sul mare. In esso appare formulato, per la prima volta in maniera precisa, il programma di costruzione di elementi di macrostrutture che mediano il rapporto tra scala urbanoterritoriale e scala architettonico-oggettuale. È questo il tema centrale su cui verrà impostato l'anno successivo il più completo piano per Tokyo.

Questo schema appare anche oggi come un'importante alternativa alle proposte inglesi per le nuove città di Cumbernauld e di Hook, agli studi dell'olandese J. B. Bakema per Amsterdam o alle proposte urbanistiche italiane riferibili al progetto di L. Quaroni per il quartiere San Giuliano a Mestre. Infatti lo schema che appare nei piani per la baia di Boston e di Tokyo deriva da un lato da una netta caratterizzazione e individuazione degli elementi destinati alla creazione della rete infrastrutturale di servizio (viabilità, canalizzazioni, ecc.) che risultano dimensionati, anche figurativamente, alla scala di un intervento idoneo a superare la dimensione fisica e logica della città; e, dall'altro, dall'insieme degli elementi edilizi, a varia destinazione funzionale; che restano alla scala di singoli "oggetti" architettonici.

In questo senso il piano permette una sua esecuzione per parti che può corrispondere a fasi di programmazione economica affidabili a settori specializzati delle amministrazioni locali. Sotto un'altra angolazione critica, però, riappare qui il rischio di un'ambiguità di ruolo dell'architetto che si presenta, con questa proposta, disponibile anche a forme di pianificazione urbanistica proprie di una gestione speculativa del territorio.

Il punto limite tra realtà programmatica e utopia formalistica che in tal modo coscientemente K. Tange ha toccato è stato volutamente superato in chiave polemica dai gruppi Metabolism e Neo Mastaba (vedi sopra) ma, allo stato attuale delle esperienze, le realizzazioni in quella direzione non hanno potuto valicare la dimensione di interventi localizzati in alcune parti dei centri urbani giapponesi o di esperienze dimostrative come in taluni padiglioni dell'Esposizione di Osaka (1970).

Altro esempio di pianificazione urbanistica è il progetto di ristrutturazione del centro di Shizuoka dovuto agli architetti Takayama e Tange. Più allineato con le esperienze dell'urbanistica internazionale connesse con le concezioni del CIAM è, invece, l'attività della Japan Public Housing Corporation fondata dal governo nel 1955, della quale è buon esempio il quartiere residenziale di Kori (Osaka). Altri esempi interessanti sono quelli che si riferiscono alla conurbazione di Oita Tsurusaki di Takayama e al progetto di organizzazione della nuova città di Mizushima, uno dei nuovi porti artificiali con specializzazione siderurgica.

In considerazione della presenza contemporanea, nell'urbanistica giapponese, sia di esperienze che puntano all'individuazione di una forma pregnante, riassuntiva ed emblematica dell'intervento, in quanto risultato anche tecnologico, sia di una concezione pianificatoria fondata, al contrario, su un razionale equilibrio dei pesi urbanistici introdotti (anche rispetto all'immagine che scaturisce da questo tipo di town-design rispetto all'altro sopra descritto che trova un singolare riscontro nel carattere dell'industrial design giapponese dello stesso periodo), vi è da presumere che l'urbanistica giapponese sarà ben presto in grado di superare la crisi d'identità dalla quale sembra ora essere colpita e i cui riflessi sono visibili nella perdita di tensione dell'architettura già più sopra rilevata. Vedi tav. f. t.

Bibl.: Architettura: A. Drexler, The architecture of Japan, New York 1955; K. Hayama, Realism in architectural creation, in Sintentiku, n. 10 (1956); Gruppo Mido, An approach to popular architecture, ibid. (1956); N. Kawazoe, Modern Japanese architecture confronts functionalism, in Zodiac, n. 3 (1958); L. Benevolo, storia dell'architettura moderna, Bari 1960; Encyclopaedia of modern architecture, Londra 1963; M. Tafuri, L'architettura moderna in Giappone, Bologna 1964; Dizionario enciclopedico di Architettura e Urbanistica, II, Roma 1968, s.v. Giappone: Architettura giapponese contemporanea, Catalogo della mostra tenuta a Firenze, 1969; Autori vari, Architettura giapponese, in Casabella-Continuità, n. 273 (1963). Urbanistica: G. Grassi, La città come prestazione vitale, in Casabella-Continuità, n. 258 (1961); M. Tajima, I quattro periodi dell'urbanistica giapponese, ibid., n. 273 (1963); Dizionario enciclopedico di Architettura e Urbanistica, VI, Roma 1969, s. v. urbanistica; Japan Almanac 1972, Tokyo, passim; Urban problems e Regional development, in Japan economic yearbook 1974, ivi; Kawahara, Otaka, Toward the new living space, in Sintentiku, n. 1; Architettura-Cronache, nn. 176-86.

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