GIAPPONE

Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)

GIAPPONE (XVII, p. 1)

Giuseppe MORANDINI
Alberto BALDINI
Carlo DE ANGELIS
Ugo FISCHETTI
Anna Maria RATTI
Giovanni Cesare MAIONI
Marcello Muccioli

Popolazione. - (p. 16). Secondo il censimento del 1936 il Giappone propriamente detto contava 69.254.148 ab., con un aumento quindi di quasi 5 milioni di individui in questi ultimi anni. La popolazione totale dell'impero era di 97.697.655 ab. con un aumento superiore ai 7 milioni di individui, da attribuirsi in gran parte al Giappone propriamente detto e alla Corea. Tra le città che in questi ultimi anni hanno segnato un aumento vanno segnalate soprattutto Ōsaka e Tōkyō, ma in realtà si osserva che la popolazione è in aumento in tutte le regioni. Dal punto di vista della distribuzione della popolazione si osserva lo sviluppo del fenomeno dell'urbanesimo: i centri con meno di 5000 ab. segnano un regresso, maggiormente sensibile per centri meno abitati, mentre sono in aumento quelli con più di 5000 ab. e specialmente i maggiori (dal 1925 le città con più di 100.000 ab. da 21 sono passate a 34).

Dei prodotti agricoli (p. 20) si osserva un aumento sensibile per le patate e i cereali, mentre è appena avvertibile per il riso.

Quasi raddoppiata è la produzione dell'oro e in forte aumento quella dell'argento. Un aumento molto forte inoltre si è verificato per il piombo, lo stagno, il bismuto, il mercurio, lo zinco, e i minerali di cromo e di manganese, mentre per il ferro, il fosforo, il petrolio la produzione è aumentata in maniera meno evidente; in notevole diminuzione la produzione del carbon fossile.

Nel campo delle comunicazioni (p. 26), la rete ferroviaria è stata notevolmente ampliata (15.624 km. di linee statali nel 1932-1933, oltre a 1098 km. in costruzione e 7242 km. di linee private con altri 3745 km. in costruzione). Per l'aviazione civile, v. sotto.

Commercio (p. 28). - La bilancia commerciale giapponese, dall'apertura del paese al commercio estero (1868) a oggi, ha segnato quasi sempre una eccedenza delle importazioni sulle esportazioni. Quest'eccedenza, come mostra la tabella più sotto riportata, ha peraltro subito variazioni strettamente collegate con l'evoluzione economica e politica del paese. In qualche periodo si annullò perfino, permettendo così al bilancio di chiudersi con saldi lievemente attivi. Nel quinquennio 1884-88, ad es., l'impianto dei primi cotonifici e l'affermazione di alcuni dei prodotti dell'industria giapponese (fiammiferi, lacche, carbone, rame, ecc.) sui mercati vicini, consentirono un'eccedenza delle esportazioni, eccedenza che nel quinquennio successivo scompare, ripristinandosi, così, la fisionomia normale, specialmente a causa della guerra con la Cina (1895). Un periodo di eccezionale floridezza, contrassegnato da un'ascesa vertiginosa delle esportazioni, fu quello della guerra mondiale, durante il quale il Giappone si sostituì senza difficoltà nei mercati asiatici ai suoi alleati, troppo occupati sui campi di battaglia europei per interessarsi dei commerci dell'Estremo Oriente. Ma, terminata la guerra, la ripresa della concorrenza europea segnò il ritorno alla normalità e gettò in serî imbarazzi l'industria giapponese, che frattanto era venuta creandosi un'attrezzatura colossale, adatta a un regime di superproduzione; la crisi del 1929 peggiorò ancora le cose ed ebbe effetti disastrosi sui bilanci. Tuttavia, grazie sopra tutto alle condizioni particolari dell'industria giapponese (bassi salarî pagati a una mano d'opera abbondantissima, razionalizzazione assai spinta di tutta la struttura industriale, sussidio e controllo governativo, ecc.), che permette la produzione in copia di merci a buon mercato, le condizioni del commercio sono andate migliorando e nei recenti anni il Giappone ha potuto invadere i mercati del mondo e perfino spingersi al dumping in alcuni di essi (ad es., in Iugoslavia nel 1935). Ma le barriere doganali erette a protezione dagli stati europei, dagli Stati Uniti e da altri e l'abolizione della libertà degli scambî hanno posto l'industria giapponese di fronte a una situazione critica, anche per il fatto che la povertà del paese in materie prime, necessarie ad alimentare le proprie industrie, costringe alla loro importazione dall'estero, mentre i prodotti lavorati, per le misure protettive opposte dai varî stati, trovano sempre più difficile sbocco. Agli effetti disastrosi del rapporto sfavorevole fra il bisogno di materie prime e la possibilità di offerta, il Giappone ha cercato in questi ultimi anni un rimedio sia con la creazione di nuovi mercati (Egitto, Palestina, Turchia, ecc.), sia con l'intensificazione del traffico marittimo. La recente contrazione dei mercati dell'America Meridionale, dovuta a circostanze economiche e non a sentimenti antinipponici, ha anche avviato il Giappone verso un regime di scambî compensati.

Benefici notevoli ha pure conseguito l'industria (p. 25) dalla recente istituzione delle ghilde (dōgyō-kumiai), specie di corporazioni industriali, il cui numero, alla fine del 1933, era di oltre un centinaio. Ogni ghilda, costituita da tutti coloro che esercitano uno stesso ramo d'industria e che hanno, quindi, interessi in comune, controlla la loro produzione, i loro acquisti in materie prime o in semilavorati, fissa i prezzi e in certi casi forma delle cooperative per l'acquisto di materie prime, l'affitto di macchine, lo smercio dei prodotti, la consulenza tecnico-commerciale, ecc. Le ghilde godono privilegi speciali, quali l'esenzione dalle tasse sugli introiti e sugli affari e sono sovvenzionate dal governo. Nel 1933 oltre cento di queste associazioni corporative hanno ricevuto circa un milione e mezzo di yen di sussidî governativi e negli ultimi 3 anni circa 4 milioni e mezzo di prestiti a un interesse basso. Il loro numero è fissato e la loro classificazione è fatta dal Ministero del commercio e dell'industria dal quale dipendono.

Aviazione civile (p. 28). - È gestita attualmente da sei compagnie di navigazione aerea, il cui traffico si svolge su 6000 chilometri di linee, dei quali 4300 di linee regolari. Questa aviazione è sovvenzionata dal governo (ad eccezione della Compagnia dell'aviazione marittima del Giappone). La principale delle sei compagnie, la Società dei trasporti aerei del Giappone, direttamente controllata dalla Direzione dell'aviazione civile, gestisce tre aviolinee importanti: la linea imperiale Tōkyō-Shimizu-Nagoya-Ōsaka-Kure-Fukuoka-Fusan-Söul-Shingishū-Dairen (2215 chilometri); l'aviolinea imperiale Tōkyō-Taihoku (Formosa) (1500 chilometri) con diramazione a Fukuoka per Kanoya (Isola di Kyūshū) e l'Isola Nawa (appartenente alle Ryū-kyū); la linea Tōkyō-Toyama, di 395 chilometri, prolungata da Toyama ad Ōsaka.

La Compagnia d'incoraggiamento al trasporto aereo gestisce la linea di 410 chilometri (3 ore e 30 minuti di volo) Tōkyō-Takamatsu- Matsuyama.

La Compagnia del giornale Asahi (Asahi Shimbun Kokubu), con capitale di 6 milioni di yen, esercisce la linea Tōkyō-Niigata-Ōsaka.

La Compagnia di trasporto aereo di Tōkyō (Tōkyō kōkū yūsō Sha) gestisce una linea di 260 chilometri sulla regione industriale di Tōkyō: Tōkyō-Shimoda-Shimizu.

La Compagnia dell'espansione aerea Ando (Ando Kikori Kenkuno) ha una piccola linea di 120 km.: Nagoya-Gamagōri-Futomi.

Infine la Compagnia dell'aviazione marittima del Giappone (Nihuka Kōkū Kabushiki Kwaisha) gestisce sul litorale del Mar del Giappone: la linea Kinosaki-Tottori-Matsue di 335 chilometri, la Ōsaka-Nagano (510 chilometri) e la Tōkyō-Ushigata (380 km.).

L'aviazione civile della Manciuria, organizzata nel 1932 con la fondazione dell'impero, ha un compito essenzialmente politico e strategico. Le linee aeree sono, in generale, settimanali; alcune a traffico stagionale, salvo quella di Dairen-Harbin. Esse sono gestite da una compagnia unica: la Compagnia dei Trasporti Aerei della Manciuria (Man chou kōkūkabushiki kwaisha: M.K.K.K.), con sede sociale a Mukden. Tale compagnia è controllata dal Giappone, dalla Manciuria, dal consorzio Sumitomoe e dalle Ferrovie sud-manciuriane. Il traffico fu aperto il 3 novembre 1932 sulla Shingishū-Mukden, diramazione della linea imperiale Tōkyō-Dairen. Attualmente vi sono una decina di linee formanti una rete di oltre 4500 chilometri. La linea principale forma l'asse Dairen-Mukden-Hsin-cheng-Harbin-Tsi-tsi-har (1100 chilometri), con traffico quotidiano nei due sensi. Da Tsi-tsi-har vi sono due diramazioni: Tsi-tsi-har-Hai-lar-erh-Man-chu-li (575 chilometri, traffico bisettimanale nei due sensi) e Tsi-tsi-har-Laha-Peianchen-Taheiho (verso Blagoveščensk, 375 chilometri, traffico trisettimanale nei due sensi). Da Harbin va una radiale di 465 chilometri verso Fuchin, per San-sing, lungo il Sungari (traffico trisettimanale nei due sensi) e la radiale di Ninguta (verso Vladivostok) di 275 chilometri. Inoltre, da Harbin partono due circolari: Harbin-Kailui-Kashan-Tsi-tsi-har (420 chilometri) e Harbin-Lalin-Kirin-Khei-Nking (390 chilometri), donde il traffico continua verso Lungshingsiun (400 chilometri, traffico trisettimanale nei due sensi).

Da Mukden partono due radiali: Mukden-Chin-chow (230 chilometri, traffico trisettimanale) e Mukden-Shingishū (210 chilometri), traffico quotidiano, diramazione della linea Tōkyō-Dairen.

Da Chin-chow partono due diramazioni verso Linsi (450 chilometri) e verso Jehol (320 chilometri).

Marina mercantile (p. 26). - La marina mercantile giapponese era costituita al 30 giugno 1937 da 2564 navi per tonn. 4.476.110 (Lloyd's Register, ediz. 1937-38) in confronto ai 4.276.341 del 1931. Sino al principio della crisi mondiale il naviglio giapponese era caratterizzato da una massa notevole di materiale invecchiato, lento, antieconomico; ma dal 1932 si sono attuate notevoli migliorie per effetto principalmente di una decisa azione statale. In quell'anno. difatti, fu vietato l'acquisto, se non per demolizione, di naviglio estero di età superiore a 5 anni e di velocità minore di 131/2 nodi. Nell'ottobre 1932 veniva poi concesso un premio di demolizione e ricostruzione a favore degli armatori che, demolendo due tonnellate, ne ordinassero una nuova a cantieri nazionali. All'uopo furono stanziati 10 milioni di yen; alla scadenza del biennio di validità della legge, 94 navi antiquate per tonn. 399.192 erano state demolite e sostituite da 31 navi per tonn. 199.310 di nuova costruzione. La media trimestrale del tonnellaggio varato in Giappone è passata da 18.605 tonn. lorde nel 1932 a 111.818 nel 1937; quella del tonnellaggio ultimato, da 9963 a 103.730; quella del naviglio in costruzione, da 49.806 a 301.247; quella del tonnellaggio impostato, da 12.479 a 128.933. Tale attività ha fatto da una parte ridurre la massa del naviglio superiore a 20 anni e si è ripercossa inoltre sulla vehcità delle navi; fra il 1930 e il 1936 (ma le costruzioni dei due primi anni sono quasi trascurabili) il Giappone ha allestito 77 navi per tonn. lorde 556.705 con velocità superiore ai 12 nodi.

A decorrere dal 1° luglio 1937, e per un triennio, le sette più importanti compagnie armatoriali del paese che possiedono in complesso la metà del naviglio nazionale (quasi 2 milioni di tonn. lorde), si sono sottoposte ad una disciplina unitaria, relativamente al naviglio libero da carico, per fronteggiare qualsiasì carestia di tonnellaggio e in modo da rispondere, più specialmente, ai bisogni degli importatori di materie prime essenziali. Ma tale passo non è sembrato sufficiente a fronteggiare la carestia di naviglio derivante dal conflitto con la Cina; il governo ha quindi stabilito di attuare un controllo completo sulla marina mediante uno schema di legge che: a) abroga il divieto di acquisto di navi estere di età superiore a 5 anni; b) dà facoltà allo stato di restringere o interdire le operazioni di armatori nazionali fra porti esteri ed anche di impartire ad armatori e costruttori ogni ordine opportuno circa i noli, il costo di costruzione e i prezzi di vendita delle navi.

Missioni (p. 42). - La dioeesi di Hakodate ha mutato il nome in Sendai (1936); la prefettura apostolica di Sapporo è stata elevata a vicariato fin dal 1929. Sono state istituite: la missione di Karafuto (1932), la prefettura apostolica di Kyōto (1937) e la diocesi di Yokohama (9 novembre 1937); a cui bisogna aggiungere anche la prefettura apostolica dell'Isola Formosa (1913).

Forze armate. - Esercito (p. 31). - Con legge del 1934 il Giappone ha modificato l'ordinamento dell'esercito aumentando il numero delle divisioni da 17 a 25. Il corpo d'armata non esiste in tempo di pace. La divisione è composta di: 4 reggimenti fanteria (su tre battaglioni ognuno di 4 compagnie fucilieri, 1 compagnia mitraglieri, 1 batteria di cannoni da 37 e mortai da 72), 1 reggimento di cavalleria, 1 reggimento meccanizzato (1 compagnia carri d'assalto, 1 compagnia motocicli, 1 compagnia autoblindo, 1 batteria motorizzata,1-2 compagnie fanteria e 1 compagnia chimico-motorizzata, reparti motorizzati anticarro e contraerei), 1 battaglione genio. Complessivamente la fanteria ammonta a 110 reggimenti.

L'artiglieria è composta di artiglierie divisionali (25 reggimenti) armate con cannoni da 75 e con obici da 105 mm.; artiglierie d'armata (4 brigate) con cannoni da 105 e obici da 150 e da 240 mm.; artiglieria contraerei.

La cavalleria oltre ai 25 reggimenti divisionali conta 4 brigate (su 2 reggimenti) per l'impiego strategico.

Marina militare (p. 32). - Nuove unità: navi da battaglia: 4 in progetto, da 35.000 t., armate forse con cannoni da 406 mm. Sui dati relativi a queste unità regna la più grande incertezza, ed essi sono fonte di trattative con gli altri stati firmatarî degli accordi di Londra.

Navi portaerei: 2 (Soryu, Hiryu) varate nel 1935-37, da 10.000 t. e 30 nodi, capaci di portare 40 aerei, armate con 12/127 e 24 mitragliere.

Navi appoggio aerei: 3 tipo Chitose, in costruzione, da 9000 t. e 20 nodi, armate con 4/127 antiaerei.

Incrociatori leggieri: 2 (Chikuma, Tone) in costruzione, da 8500 t. e 33 nodi, armati con 15/155; 4 (Mogami, Mikuma, Kumano, Suzuya) varati nel 1934-36, da 8500 t. e 33 nodi, armati con 15/155, 8/127 antiaerei, 4 tubi trinati da 533, 2 catapulte, 4 aerei. Sembra che queste unità siano troppo pesantemente armate in relazione al tonnellaggio.

Cacciatorpediniere: 10 varati nel 1936 o in costruzione tipo Asashio, da 1500 t. e 34 nodi, armati con 6/127 e 2 tubi di lancio quadrupli da 600; 16 costruiti nel 1932-36, tipo Ariake, da 1368 t. e 34 nodi, armati con 5/127 e 2 tubi di lancio tripli da 600.

Torpediniere: 8 tipo Hato e Dotori, varate nel 1936-37, da 595 t. e 28 nodi, armate con 3/120 e 1 tubo di lancio triplo da 533

Sommergibili oceanici: 2 tipo J costruiti nel 1935-36, da 1950 t. e 17-9 nodi, armati con 6 tubi da 533 e 2/127 antiaerei.

Sommergibili di media crociera: 2 tipo Ro (R. 33 e R. 34) costruiti nel 1934-35, da 700 t. e 16 nodi, armati con 4 tubi da 533 e 1/80.

Sono stati inoltre costruiti varî posamine, 6 cacciasommergibili da 300 t. e 24 nodi, cisterne nafta, ecc. La forza bilanciata pare sia salita a 107.000 uomini, ma anche su questo, come su tutti i dati relativi alla marina giapponese, vi è incertezza, data la riserva che avvolge tutte le informazioni relative alle organizzazioni militari.

Aviazione militare (p. 32). - L'aviazione militare del Giappone è ripartita fra le due forze armate di terra e di mare.

Le forze aeree dell'esercito, riorganizzate nel periodo 1935-36, sono poste sotto gli ordini diretti di un comandante, che dipende direttamente dall'imperatore e dal Ministero della guerra (Direzione dell'aeronautica). Il comandante dispone di uno Stato maggiore e comanda 3 brigate aeree, le forze aeree del Kwan-tung e 2 reggimenti autonomi. La direzione dell'aeronautica si occupa delle scuole d'aviazione e dell'industria aeronautica. In due anni si sono potuti formare gli stati maggiori di tre brigate aeree ed è stata realizzata la subordinazione gerarchica diretta dei reggimenti autonomi al comandante delle forze aeree. Anteriormente, questi reggimenti dipendevano dall'antico Stato maggiore dell'aviazione e dai comandanti delle divisioni alle quali erano destinati.

La 1ª brigata aerea, composta del 1° reggimento da caccia, del 2° e 3° reggimento da ricognizione e del 7° reggimento da bombardamento, è dislocata nella metropoli (regione di Ōsaka), la 2ª brigata in Corea (6° e 9° reggimento misto), la 3ª brigata a Formosa (8° e 14° reggimento misto, quest'ultimo in formazione). Le forze aeree del Kwan-tung (Manciuria) sarebbero costituite di 6 a 7 reggimenti misti con 1 o 2 gruppi. I due reggimenti autonomi misti, il 4° e il 5°, difendono rispettivamente la regione di Nagasaki e quella di Tōkyō. Nel complesso le forze aeree terrestri dispongono di 6 reggimenti misti, di 2 reggimenti da ricognizione, di 1 reggimento da bombardamento e di un reggimento da caccia, oltre i 6 o 7 reggimenti dell'armata del Kwan-tung per un complesso di 1600 velivoli.

L'aviazione della marina ha organizzazione basata esclusivamente su squadriglie autonome di 9, 12, 16 velivoli, ripartite nelle basi navali. Attualmente esse sono circa 60 con 850 apparecchi. Complessivamente la forza aerea del Giappone può quindi calcolarsi sui 2500 velivoli.

Il materiale è in gran parte di produzione indigena perché si è realizzato, a partire dal 1932, un grandissimo sforzo per l'emancipazione dai mercati stranieri. Attualmente 15 cantieri, oltre a quelli degli arsenali navali di Kamanutsu, Tokorozawa, Sasebo, Omura, Hiro, producono velivoli e motori (di cui però gran parte su licenza straniera).

Finanze (p. 33). - Con l'abbandono della convertibilità nel dicembre 1931 si è iniziato un periodo di espansione creditizia e di ripresa degli affari in seguito all'affermarsi della politica inflazionistica del governo, indotto a ricorrere sempre più al prestito dalle crescenti spese militari, oltre che in connessione con un largo programma di lavori pubblici e con l'accentuarsi dell'indirizzo verso l'economia manovrata. Il ritorno della prosperità economica in Giappone è quindi in gran parte connesso a tale politica del governo che, attraverso la svalutazione dello yen, ha stimolato lo sviluppo industriale, ha cercato di sostenere le esportazioni (ostacolate dalle varie restrizioni internazionali e crescenti più lentamente delle importazioni), e ha fronteggiato, ricorrendo insieme a inasprimenti fiscali, l'aumentato gravame del debito pubblico e le spese straordinarie di bilancio (in seguito alla guerra con la Cina nel 1937-1938 queste superano i 3 miliardi, cifra di poco inferiore a quella raggiunta complessivamente nel quinquennio 1932-1936). Vi ha concorso però anche una sempre maggiore razionalizzazione del lavoro e una più efficiente organizzazione delle varie attività, sotto il controllo dello stato; controllo acuitosi naturalmente con la guerra, ma già in pieno sviluppo dopo le varie leggi del 1936 che hanno strettamente regolato il mercato dei principali prodotti agrarî, l'industria e il credito, il commercio con l'estero.

Connesso, come si è detto, alla deficitaria situazione del bilancio, è l'aumento del debito pubblico interno che al 31 dicembre 1937 era di 9702 milioni (9258 di consolidato), mentre quello estero, leggermente ridotto, era di 1317.

La svalutazione media dello yen in rapporto all'oro che nel 1932 era del 43,7% dal 1935 oscilla intorno al 65%. Attraverso un rigido controllo dei cambî (introdotto il 1° luglio 1932 e rafforzato l'8 gennaio 1937) e soprattutto attraverso larghe esportazioni d'oro il suo cambio con la sterlina dal 1933 è stato tuttavia mantenuto stabile al tasso di 1 s. 2 d. Per procurarsi di che sostenere la valuta, il governo ha d'altra parte gradualmente elevato il prezzo d'acquisto dell'oro (da 1,3 yen per grammo fino a 3,77 nel maggio 1937), ha autorizzato la Banca del Giappone ad aumentare i suoi acquisti d'oro e ha cercato di stimolare la produzione aurea sia del Giappone sia della Corea.

A partire dal 25 agosto 1937 le riserve auree della Banca del Giappone e quelle delle banche di Corea e Formosa (fino ad allora calcolate sulla parità aurea del 1897: uno yen = 750 mg. di oro) sono state rivalutate sulla base di 290 mg. di oro fino per yen. È stata così automaticamente estesa la facoltà di emissione della Banca del Giappone, cui già nel luglio 1932 era stato concesso di emettere biglietti su garanzia di titoli fino a 1 miliardo anziché fino a 120 milioni (la tassa oltre questo limite fu contemporaneamente ridotta al 3%). Il governo è stato inoltre autorizzato ad ordinare l'accentramento presso questa dell'oro detenuto dalle banche di Corea e Formosa. I benefici della rivalutazione sono stati devoluti al governo che ha con essi costituito un fondo aureo per fronteggiare speciali bisogni di tesoreria. Al 31 dicembre 1937 i biglietti complessivamente in circolazione avevano raggiunto 2483 milioni e la riserva oro era di 801 milioni.

Le principali banche commerciali del Giappone sono cinque: Yasuda (1864), Daiichi (1873), Mitsui (la più antica: 1683), Mitsubishi (1885), Sumitomo (1895), cui nel 1933 se ne è aggiunta una sesta: la B. Sanwa, derivante dalla fusione di tre banche di Ōsaka. Importante anche la Yokohama Specie Bank (1880) e l'Industrial Bank (1902). Particolari caratteristiche di banca centrale hanno le banche di Formosa (1899) e Corea (1909), autorizzate ad emettere biglietti e ad esercitare il controllo bancario.

Bibl.: V. le pubblicazioni periodiche della Società delle nazioni, specialmente l'Annuario.

Storia (p. 33).

L'impresa di Manciuria (1931-32) ha risuscitato nel paese il predominio dell'elemento militare su quello civile ed ha segnato la ripresa in grande stile della politica di espansione imperiale, imposta anche dall'enorme pressione demografica in rapido aumento. Da quel momento è apparso al mondo un nuovo Giappone, in preda a violente discordie intestine insospettate, ma dominato in pari tempo, nella sua azione estera, da una formidabile forza volitiva, noncurante di ostacoli interni o di difficoltà di ordine internazionale: periodo, quindi, di decisiva importanza per l'avvenire della nazione, tale da poter essere paragonato alla grande rivoluzione dell'epoca Meiji.

Le lotte interne si svolgono oltre le solite competizioni di partito, in quanto esse non investono un programma a sfondo elettorale piuttosto che un altro, ma il sistema stesso di governo. Il discredito nel quale le istituzioni parlamentari sono cadute nell'opinione di una parte della popolazione, il presunto asservimento degli interessi nazionali agli interessi di partito, lo strapotere di una invisa plutocrazia, la mancata soluzione di grandi problemi nazionali, hanno prodotto in larghi strati del paese un fermento della più grave portata. Nel campo della politica estera esso ha trovato alimento nelle delusioni prodotte dal trattato navale di Londra (22 aprile 1930), che mantenne l'inferiorità, in fatto di armamenti navali, del Giappone di fronte all'Impero britannico e agli Stati Uniti, e che fu approvato con estrema difficoltà (sì da costare la vita al capo del governo che lo aveva sostenuto); e dai risultati negativi della politica di remissività, allora in atto, verso la Cina. Di tale malcontento si è impadronito, mettendovisi alla testa, l'elemento militare, tenutosi fin allora in margine della vita politica, appoggiato dalle classi agricole (dalle quali escono i quadri dell'esercito e della marina), da fortissimi gruppi di combattenti, dalle associazioni nazionaliste (Ko-chi Sha, Gimmu Kai), dalle frazioni a tendenza fascista o nazista, staccatesi dalla socialdemocrazia, organizzate dall'ex-socialista Akamatsu. Essi chiedono il ritorno al nazionalismo tradizionalista, sulla base del diretto contatto tra popolo e sovrano, considerato come l'espressione suprema della nazione-famiglia, l'instaurazione di un governo autoritario, la soppressione dei partiti, la piena soluzione del problema rurale, una maggiore giustizia sociale; nel campo della politica estera, un'azione energica, imperialista, specialmente nei riguardi della Cina, azione colorata, nel pensiero di molti (seguaci di Araki), di una vaga mistica pannipponica. La maniera forte impiegata in Manciuria ed a Shanghai e la sfida all'Occidente, coronata dal successo, hanno giustificato in certo modo tali nuove correnti di politica internazionale e rafforzato le influenze dei loro sostenitori, decisi ad imporle in ogni altro campo, nonché con ogni mezzo, da parte di quelli fra di loro, appartenenti alle associazioni reazionarie, di grado più o meno violento. Così è sorta la grave irrequietudine politica e sociale del Giappone, ed ha avuto inizio, per opera dei più esaltati, la serie degli attentati politici, dei quali sono caduti successivamente vittima un ministro delle Finanze, Inoue, un finanziere, Dan, un primo ministro ottantenne, Inoukai, un generale, Nagata: fino a giungere alla sedizione militare del febbraio 1936.

Di fronte a tale tensione, non si è mancato di tener conto nella formazione dei varî governi, che si sono succeduti al potere dal 1931 in poi, delle nuove idee. Tutti hanno avuto un carattere di coalizione nazionale, con una limitata rappresentanza di partito. Ma non si è attenuato con ciò l'ardore della lotta, continuamente alimentata da nuovi fatti: l'enunciazione della teoria Minobe (dal nome del suo autore), secondo la quale il sovrano non è l'origine delle leggi o sta al disopra dello stato (come sancisce la tradizione), ma ne è la suprema istituzione: le violente discussioni alla Dieta sulle interferenze dell'elemento militare nella politica interna ed estera, la rimozione o le dimissioni di alti ufficiali e del ministro della Guerra (come conseguenza di tali dibattiti), l'attentato al Minobe, costretto a lasciare la Camera dei pari, l'aumento dei rappresentanti del proletariato nelle elezioni del 1936, la vittoria del partito Minseito, notoriamente appoggiato dall'alta finanza e dalla grande industria. In tale atmosfera, si produceva il fatto più grave, verificatosi nella storia della nazione, dopo le rivolte armate dei primi anni dell'era Meiji. La mattina del 26 febbraio 1936, un migliaio e più di soldati, comandati da una ventina di ufficiali, assalivano ed assassinavano nella loro residenza l'ex-primo ministro, ammiraglio Saito, il ministro delle Finanze Takahashi, il capo del dipartimento dell'Educazione militare, Watanabe, il gran ciambellano Suzuki. Il capo del governo scampava alla morte soltanto perché scambiato col cognato, che veniva ucciso in vece sua. L'eccidio doveva estendersi ad altri personaggi, che riuscirono a mettersi in salvo. Ma in pochi giorni, e senza spargimento di altro sangue, il moto rivoltoso si estinse. Così il ministero Hirota, successo a quello Okada, liquidate abilmente le conseguenze della sedizione, poté consacrarsi, con un acuto senso della realtà, allo studio di un piano completo di riforme radicali, non escludendone quelle caldeggiate dalle correnti nazionaliste, in quanto rispondessero agl'interessi effettivi del paese. Una forte opposizione, l'impopolarità di certe proposte e le aspre discussioni parlamentari appunto sulle interferenze delle forze armate, lo indussero alle dimissioni (23 gennaio 1937), senza aver potuto realizzare la parte sostanziale dei suoi progetti. Un ministero, presieduto dal generale Hayashi, illusosi di poter fare a meno dei partiti, dovette ritirarsi di fronte al risultato di una nuova consultazione elettorale, che confermò la tendenza ad un aumento dei deputati proletari e l'esitazione di notevoli strati della popolazione a mettere totalmente da parte il regime parlamentare. Dal giugno 1937 è al potere un governo presieduto dal principe Konoe (già presidente della Camera dei pari), anch'esso a carattere nazionale, con limitata rappresentanza di partiti. Ma le difficoltà della situazione interna permangono, né si profila una loro soluzione: le gravi complicazioni internazionali le hanno solo sopite.

Dal conflitto con la Cina in poi, la politica estera giapponese è stata molto attiva ed ha registrato reali successi. Essa ha perseguito sostanzialmente tre obiettivi: il ricupero di una totale libertà di azione; l'affermazione dell'accresciuta potenza nazionale; il proseguimento della sua politica cinese.

L'azione mirante al primo scopo venne iniziata con l'abbandono della Società delle nazioni (27 marzo 1933) in seguito alla condanna ginevrina del 1933 (conseguenza del conflitto per la Manciuria) e col ripiegamento di tutte le forze diplomatiche e militari nel settore asiatico. Seguì a Londra (1935) la denunzia del trattato navale di Washington, e infine la recente rinuncia a qualsiasi forma di collaborazione (finora prestata a Ginevra, fuori del campo politico), come conseguenza della mozione di condanna dell'attuale sua azione in Cina. Nei riguardi dell'Italia, una manifestazione di tale riconquistata libertà della politica nipponica si è avuta nel rifiuto di applicazione delle sanzioni comminate contro l'Italia e nel riconoscimento giapponese dell'impero italiano nell'Africa Orientale, con la soppressione della legazione giapponese ad Addis Abeba e la sua trasformazione in consolato generale (2 dicembre 1936). Il vantaggio politico di un'associazione delle proprie forze con quelle della Germania nella lotta contro il comunismo (il VII congresso del Komintern aveva designato il Giappone come prossimo obiettivo dell'attività comunista) ha indotto il governo imperiale a concludere, con la Germania, il patto anticomunista (23 novembre 1936), basato su di una comune azione - non militare - di difesa. Nel pubblicarlo, veniva sottolineata l'espressa possibilità per qualunque paese di aderirvi e l'assenza di punte contro uno stato qualsiasi. Ma il governo di Mosca (che nel 1932 aveva proposto a Tōkyō un patto di non aggressione, senza averne mai avuto una risposta definitiva) si ritenne colpito e sospese la firma dell'accordo, faticosamente raggiunto, per la sistemazione dei diritti giapponesi di pesca nelle acque russe (riconosciuti al Giappone dal trattato di Portsmouth). La situazione, che parve precipitare anche in connessione con gravi incidenti occorsi sulla frontiera siberiana ed a cittadini giapponesi in Siberia, è andata a poco a poco avviandosi verso la normalità, fino a riprendere la solita fisionomia dei rapporti russo-nipponici fino ad oggi: costantemente tesi, ma non tragicamente decisivi. Col protocollo firmato a Roma il 6 novembre 1937, il patto anticomunista è diventato un accordo tripartito, in quanto l'Italia viene considerata, in forza di esso, firmataria a tutti gli effetti del patto originale concluso a Berlino.

L'atteggiamento di irremovibile energia nelle differenti questioni e varie dichiarazioni di uomini responsabili ha rivelato la nuova forza politica e militare dell'impero, se pure hanno ad esso nuociuto per qualche verso le intemperanze verbose del gen. Araki, nella sua qualità di ministro della Guerra. Un riflesso di tale nuova coscienza è apparso nell'inflessibile reazione alla quasi universale ondata di minacce e di rappresaglie contro la cosiddetta offensiva commerciale nipponica del 1932-33. E la legge immediatamente emanata a tale scopo ha costretto i paesi interessati a venire ad equi accordi. Più tardi, in occasione del rumore suscitato dal capo dell'ufficio stampa del Ministero degli esteri, che credette (aprile 1934) di poter proclamare, a proposito della Cina, una specie di dottrina di Monroe per l'Asia orientale a favore del Giappone, si è avuta l'inequivocabile dichiarazione Hirota, ministro degli Esteri: "rispetto al trattato delle nove potenze e al principio della porta aperta, ma inammissibilità per il Giappone, pur nella cornice di tale atto, di tollerare uno sfruttamento della Cina da parte di un'altra potenza per i proprî fini particolari". È intervenuta, infine, la categorica richiesta dell'assoluta parità di diritti con l'Inghilterra e con gli Stati Uniti per ragioni tecniche, ma altresì come esponente della dignità nazionale. Ciò che in sostanza significa far capire al mondo che l'asse dell'Estremo Oriente si è ormai spostato verso Tōkyō.

L'armistizio di Tanghu (31 maggio 1933) pose fine al conflitto armato con la Cina per la Manciuria, che comprendeva ormai, nel nuovo stato creatosi, anche lo Jehol. Concluso tra i rispettivi rappresentanti militari, esso contemplava la creazione di una zona smilitarizzata e la costituzione di un corpo di polizia cinese, riservando al Giappone il diritto di sorvegliare, con mezzi aerei o di altro genere, l'esecuzione degli accordi. Un anno dopo, il traffico ferroviario riprendeva normalmente e venivano gradatamente risolte le questioni attinenti al servizio postale e doganale. Le relazioni fra i due paesi parevano così avviarsi verso un punto di conciliazione. Hirota, alla sua assunzione al Ministero degli esteri, manifestava disposizioni concilianti verso la Cina, enunciando tuttavia come condizioni imprescindibili per la loro realizzazione la soppressione del movimento antinipponico, la lotta comune contro il comunismo, il riconoscimento cinese del Man-chu kwo, la piena collaborazione economica fra i tre paesi. Al principio dell'anno (1935), Hirota confermava tali dichiarazioni e il suo collega cinese Wiang ching-wei vi rispondeva con promettente simpatia. Il generale Dohihara, personalità onnipotente del quartiere generale del Kwan tung, avvicinava Hu Han-min, capo del movimento sudista, cercando di attenuarne l'ostinata nippofobia. Nel maggio, i due governi, sull'esempio dell'Italia, decidevano di elevare le rispettive rappresentanze diplomatiche al rango di ambasciate (Inghilterra, Francia, Germania, Stati Uniti seguirono). Ma il sereno durò poco. L'appoggio, che sarebbe stato fornito dalle autorità cinesi a banditi cacciati dal territorio mancese, l'ostruzionismo alle iniziative giapponesi, l'assassinio di due giornalisti nippofili a T'ientsin, segnarono la ripresa delle antiche difficoltà. Da parte sua il governo di Nanchino si lagnava dell'azione, mirante a promuovere un movimento separatista, svolta dal comando militare del Kwan tung (supposto, a torto o a ragione, di agire indipendentemente od anche contro la volontà del governo di Tōkyō). La grave tensione creatasi trovò tuttavia uno sbocco nell'accordo firmato dal ministro della Guerra Ho e dal generale Umetsu, che dava intera soddisfazione alle domande giapponesi. Ma la costituzione del "Governo autonomo anticomunista del Ho-pei orientale" ben vista dai Giapponesi, e quella, parallela, del "Consiglio politico del Ho-pei e del Chahar", presieduto dal generale Sung Cheh-yuan, di sentimenti antinipponici, portava nuovo alimento ai conflitti. Per ripercussione, si acuiva in Cina il movimento antigiapponese, a base di attentati terroristici e di assassinî (fatti di Swatow, Chengtu, Pawhoi, Hankow). A loro volta i Cinesi accusavano i Giapponesi di favorire l'enorme contrabbando esercitato sulle coste del Hopei e della zona smilitarizzata a danno delle dogane cinesi, e di organizzare attacchi con truppe mongole e mancesi alle forze di Nanchino, quale l'aggressione da loro patita nell'est del Sui-yüan. In tale atmosfera, saturatasi di nuova elettricità dopo l'avventura Chang Kai-shek-Chang Hsu-liang di Sian-fu (v. cina, App.), è scoppiato (luglio 1937) il fatale incidente di Lu-ku chao (presso Pechino), cagionato dall'aggressione da parte di regolari cinesi ad una compagnia nipponica, che stava eseguendo delle esercitazioni notturne, secondo le normali consuetudini, a detta dei Giapponesi, e in base al protocollo del settembre 1901 (che sanciva il diritto alle potenze rappresentate a Pechino di tenere forze militari per la loro protezione, con la conseguente facoltà ai loro comandanti di fare eseguire manovre, esercizî, ecc.): contrariamente ad ogni uso tollerabile, secondo la tesi cinese. Nonostante un accordo raggiunto fra le autorità locali, non riconosciuto dal governo di Nanchino, ed appunto per ciò, la situazione precipitò rapidamente. Il governo di Tōkyō, allarmato dai movimenti cinesi nel nord, contrarî, secondo il suo parere, all'armistizio di Tanghu e all'accordo Ho-Umetsu, e dalla crescente agitazione delle Camicie azzurre (nazionalisti estremi) in unione ai comunisti, decideva l'invio di forti contingenti, proclamando in pari tempo lo scopo puramente difensivo del provvedimento e la recisa intenzione del rispetto degli interessi stranieri. Ma intanto le sue truppe marciavano su T'ien-tsin e su Pechino, mentre l'aviazione cinese, mal diretta nel suo obiettivo (verosimilmente quello di colpire le navi nipponiche) seminava invece la strage nella concessione internazionale a Shanghai. Tale atto venne considerato dai Giapponesi quale una violazione dell'armistizio concluso in quella città nel 1932, e numerose forze vennero inviate anche in quel settore, per un'azione a fondo. Così il conflitto straripava in una vera e propria guerra, anche se non dichiarata.

Di fronte a tali gravi complicazioni ed alla recisa dichiarazione di Tōkyō di non voler ammettere una mediazione, le potenze occidentali si limitavano alle solite raccomandazioni, astenendosi da interventi politici o anche soltanto economici. (È sintomatico che gli Stati Uniti non abbiano creduto di applicare al conflitto le disposizioni della loro legge sulla neutralità). La Cina allora ricorreva alla Società delle nazioni, chiedendo l'applicazione degli articoli 10, 11 e 17 del Patto. Su proposta del comitato incaricato della vertenza (quello stesso che era stato costituito per il conflitto in Manciuria), l'assemblea approvava una mozione (5 ottobre), nella quale, dopo aver assicurato il suo appoggio morale alla Cina, affidava alle nove potenze del trattato di Washington lo studio della situazione "mediante franche ed aperte conversazioni fra di loro". A tali potenze vennero aggiunti poi altri stati, aventi interessi in Estremo Oriente: La conferenza si è riunita a Bruxelles, ma il Giappone ha rifiutato recisamente e ripetutamente di parteciparvi, contestandone la competenza e sostenendo comunque l'inapplicabilità del trattato al conflitto, che spettava alle parti in causa di risolvere direttamente fra di loro. Così la conferenza, della quale l'Italia, con una visione logica e realistica dei fatti, aveva preveduto l'inutilità, dato l'atteggiamento iniziale del Giappone, si è chiusa, aggiornandosi sine die senza un qualsiasi risultato. E la continuazione delle ostilità condusse i Giapponesi alla occupazione oltre che di Shanghai, della stessa Nanchino (11-13 dicembre 1937) e ad una offensiva di ampie proporzioni, nella primavera del 1938. V. cino-giapponese, guerra (App.).

Relazioni culturali con l'Italia. - Nei recenti anni, esse si sono notevolmente migliorate anche in conseguenza del riavvicinamento politico intervenuto fra le due nazioni. In Italia, l'Istituto per il Medio ed Estremo Oriente vi attende con molta cura, promovendo pure lo scambio fra i due paesi di scienziati e di studiosi di ogni ramo della cultura. In Giappone è stato fondato l'istituto italo-giapponese per lo sviluppo di tali rapporti con promettentissimi risultati.

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