GEOLOGIA PLANETARIA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

GEOLOGIA PLANETARIA

Bruno Accordi

. Questo nuovo ramo della g. è anche indicato, in senso più generale, con il nome di "g. cosmica"; ma poiché sarà ben difficile, almeno per molti decenni, che pervengano fino a noi campioni o dati geologici di corpi situati al di fuori del sistema solare, è preferibile, almeno per ora, la denominazione "g. planetaria": s'intende così limitare il discorso all'ambito del sistema solare.

La g. p. vera e propria è sorta nel 1969, con il trasporto sulla Terra dei primi campioni lunari; ma, in senso più esteso, essa era già cominciata con le osservazioni morfologiche lunari a distanza ravvicinata. In precedenza, infatti, alcuni veicoli spaziali orbitarono attorno al nostro satellite, fornendoci fotografie anche della faccia nascosta; tra il 1966 e il 1968 vennero anche compiuti, dai veicoli Lunik (URSS) e Surveyor (SUA), "allunaggi " morbidi, senza equipaggio: uno di questi ultimi trasmise a terra analisi chimiche di materiale prelevato con un braccio meccanico (v. spazio, esplorazione dello, in questa Appendice). Le ricerche geologiche sul sistema solare si basano non solo sull'esame ottico, chimico e radiometrico di campioni di rocce o di suoli, ma anche sulla costruzione di mappe o carte geologiche a distanza, in base alle osservazioni geomorfologiche, all'albedo tipica di ogni roccia o suolo, al principio stratimetrico (o di sovrapposizione) e ad altri dati d'interesse per le scienze geologiche.

In realtà, solo il 20 luglio 1969 tre astronauti dell'Apollo 11 (SUA) poterono portare a terra campioni lunari che vennero analizzati nei nostri laboratori. È evidente, comunque, che questa nuova branca scientifica muove i suoi primi passi; basti pensare che i campioni e i dati finora pervenuti, diretti o indiretti, impegneranno migliaia di specialisti per molti anni. Nel frattempo giungerà un'altra mole di dati che aumenterà le nostre conoscenze, ma in pari tempo aprirà nuovi problemi. Nell'impossibilità di esporre qui un quadro esauriente di tutti i risultati finora conseguiti, ci limiteremo a una breve sintesi degli aspetti più schiettamente geologici.

Al centro di alcuni grandi mari, la Luna possiede delle masse sepolte ad alta densità, e quindi con anomalie positive di gravità, dette mascons; esse possono essere dovute a materiale meteoritico penetrato al di sotto della superficie, oppure a concentrazioni di cristalli ad alta densità formatesi durante i processi di cristallizzazione. I suoi crateri, di ogni dimensione a partire dalla frazione di centimetro, dovrebbero essere in gran parte dovuti a impatto meteoritico, e in minor parte a vulcanismo: intorno a questi ultimi si vedono normali colate di lava. Vi sono anche sinuose valli lunari, dette rills, che possono rappresentare canali di scorrimento di colate laviche.

I campioni portati dalla Luna possono essere suddivisi in tre gruppi principali.

Il primo gruppo è costituito da rocce derivanti da magmi silicatici, un tempo fusi (a non meno di 1200 °C), con tessitura ora molto fine, ora con cristalli che superano i 2 cm. Esse contengono, per citare solo i minerali principali, feldspati, tridimite, cristobalite, pirosseni, olivina, ilmenite, troilite e ferro metallico (che indica condizioni molto più riducenti rispetto a quelle degli analoghi ambienti terrestri). Manca qualsiasi materiale idratato e vi sono chiare indicazioni di segregazioni magmatiche con frazionamento verticale. Vi sono notevoli affinità con alcune nostre rocce basaltiche e con le meteoriti non metalliche, note come condriti e acondriti. Il contenuto in titanio è in genere molto più elevato di quello delle nostre rocce più affini; mancano inoltre gli elementi in traccia facilmente volatili. Il contenuto in carbonio è in media di sole 50 parti per milione. La presenza di piccole cavità, sulle rocce, con orlo vetroso e di spruzzi di materiale vetrificato per impatti, conferma che il bombardamento meteoritico è in gran parte responsabile della morfologia lunare.

Il secondo gruppo di rocce è dato da brecce, con frammenti angolosi di rocce cristalline inglobati in una matrice di suolo lunare. Possono essersi formate per l'urto di meteoriti, con pressioni d'impatto elevatissime.

Vi è poi (terzo gruppo) il suolo lunare, classificato come una regolite, formato da polvere, da particelle degli stessi minerali presenti nelle rocce e da frammenti di meteoriti. Contiene parti vetrose in quantità varia (dal 15 al 50%), in pezzetti ora angolosi, ora in forma di sferule con diametro inferiore al mm; queste si sono formate per la vetrificazione di rocce silicatiche sotto l'impatto di meteoriti, sono diffuse anche nello spazio interplanetario e presenti nei sedimenti terrestri. Lo spessore del suolo lunare è funzione della maturità geologica dell'area. Le ricerche radiometriche eseguite su vari campioni hanno dato età comprese fra 3,3 e 3,7 miliardi di anni; ma la "roccia 13" raccolta dall'Apollo 12 ha rivelato un'età di 4,6 miliardi di anni.

Pur in assenza di atmosfera, le strutture lunari hanno subìto un leggero modellamento a opera del vento solare. Quanto alla genesi del nostro satellite, è ormai escluso che la Luna sia stata enucleata dalla Terra.

Passando ai pianeti interni, fra il 1967 e il 1974 le sonde Mariner (SUA) e Venus (URSS) hanno toccato il suolo di Venere, attraversandone l'atmosfera; esse ci hanno fornito dati sulla superficie e sul denso involucro gassoso di questo sconcertante pianeta a movimento retrogrado. Per ora Venere rimane un pianeta misterioso per la sua alta temperatura superficiale e per l'alta pressione. La sua densità media è di 4,86, cioè di poco inferiore a quella della Terra (5,52); il centro di gravità è spostato di circa 1,5 km rispetto al centro geometrico. Le differenze nel potere riflettente hanno rivelato diversità fra i suoli di varie regioni e una superficie movimentata, con rilievi di 3 o 4 km d'altezza: meno accidentata tuttavia di quella della Luna. Recenti sondaggi radar lasciano presumere che in una piccola area equatoriale vi siano alcuni crateri smussati e a debole profondità.

Nell'area in cui scese Venus la superficie rocciosa è solida, come ha rivelato l'atterraggio, la cui velocità verticale è stata annullata in tempi dell'ordine di un quinto di secondo; ma Venus 8 sembra essersi posata su un suolo sciolto, formato forse da un aggregato di frammenti con una densità media dell'ordine di 1,5 g/cm3. La stessa sonda ha permesso di stabilire che il suolo su cui si è posata contiene il 4% di potassio, lo 0,0002% di uranio e lo 0,00065% di torio: queste proporzioni non si scostano molto da quelle dei graniti terrestri.

Per quanto riguarda Marte, la sua topografia è stata ricostruita in base alle fotografie riprese dalle sonde Mariner: nel 1964, Mariner 4 trasmise da alta quota 22 fotografie con una risoluzione di 50 km; nel 1969, i veicoli Mariner 6 e 7 inviarono 57 immagini con risoluzione di 24 km; nel 1971-72 fu possibile, infine, costruire la mappa di Marte con le 7329 fotografie, a risoluzione di 1 ÷ 2 km, riprese da Mariner 9.

Su Marte i crateri da impatto sono comuni; altri crateri mostrano coltri di materiale eruttato, spesso con disposizione raggiata. Una metà della sua superficie consiste di terreni antichi, craterizzati, che circondano vasti bacini ritenuti da impatto. Il resto è coperto da vulcani o rocce vulcaniche più giovani; da alcuni crateri sono uscite colate laviche che sembrano recenti. Marte possiede il più grande vulcano a scudo che sia stato osservato nell'intero sistema solare.

Interessante è il sistema equatoriale di canyons, grande quanto la fossa tettonica dell'Africa orientale: esso misura più di 5000 km di lunghezza e 6000 m di profondità. Da un altipiano settentrionale scende, fino a una zona depressa, una rete di larghi canali sinuosi; essi partono da terreni caotici che qualcuno interpreta come permafrost con episodi franosi. Le masse rocciose più antiche, particolarmente presso le calotte polari, sono state erose, bucherellate e incise. Alcune pianure o bacini contengono depositi eolici; un po' ovunque si vedono coltri di detriti, sabbia o polvere, non di rado stratificate dal vento, che si vanno assottigliando verso l'equatore. Sul piatto fondo di un cratere è stato visto un campo di dune del diametro di 130 km. L'attività, tuttora vivace, di un'atmosfera ricca di cristalli di ghiaccio provoca anche forti cambiamenti nell'albedo. Vi sono anche casi di sedimenti solcati da un evidente reticolo fluviale: più di uno specialista crede che, in un recente passato geologico, sulla superficie di Marte sia potuta scorrere una certa quantità di acqua.

Nel marzo del 1974 la sonda Mariner 10 è passata vicino a Mercurio, trasmettendo a terra dati strumentali e 2300 fotografie (altre riprese sono avvenute nei mesi seguenti). Queste mostrano un'enormità di crateri, i quali, unitamente ad ampi bacini piatti, rendono il piccolo pianeta molto simile alla Luna. In più, esso ha numerose scarpate verticali alte fino a 3000 m, e lunghe fino a 500 e più km: per ora esse sono state interpretate come fratture dovute a forze di compressione, per cui Mercurio avrebbe avuto una sua tettonica particolare. A differenza della Luna, e analogamente alla Terra, la sua massa indicherebbe la presenza di un nucleo pesante e di una crosta leggera, differenziatisi - a detta di qualche specialista - dopo un intenso bombardamento meteoritico cui sarebbero dovuti anche i larghi bacini. Le ampie aree pianeggianti, più concentrate su un emisfero, e i crateri - più fitti sull'altro - rendono il pianeta molto asimmetrico. Il campo magnetico è molto debole, con un centro magnetico spostato - rispetto al centro geometrico - di circa metà del raggio. Pare che anche su Mercurio vi siano tracce di attività vulcanica recente.

Quanto agli asteroidi, la cui fascia occuperebbe - fra Marte e Giove - il posto di un ipotetico pianeta esploso, non vi sono acquisizioni di rilievo. Resta sempre valida una delle teorie secondo cui buona parte delle meteoriti rocciose e ferrose proverrebbero dagli asteroidi. Val forse la pena di ricordare che nel 1972 il veicolo Pioner 10 (SUA) ha attraversato la fascia dei pianetini indenne, ricevendo solo 13 urti contro microasteroidi non più grandi di granuli di sabbia, e senza avvistare grossi asteroidi.

Lo spazio occupato dai pianeti esterni venne esplorato dalle sonde Pioner 10 e 11. Esse rivelarono che Giove e Saturno emettono più energia di quanta ne ricevano dal Sole, forse per una contrazione gravitazionale in atto. Ambedue hanno un'atmosfera densa che maschera la loro superficie al 100%; non è ancora possibile quindi sapere se al di sotto vi sia una superficie solida, o piuttosto non si passi a livelli con più alta viscosità. Saturno, con una massa pari a 95,1 volte quella della Terra, ha una densità media inferiore di circa 8 volte. Giove ha una massa 317,9 volte superiore a quella terrestre e una densità media inferiore di circa 4 volte; il suo campo magnetico è molto più intenso di quello terrestre, con centro del dipolo magnetico spostato di 10.000 km rispetto al centro del pianeta; nella fascia compresa tra l'equatore e il tropico sono state rilevate temperature variabili fra 120 e 145 °K. Uno dei suoi satelliti, Io, ha una densità di 3,5 g/cm3, dell'ordine quindi di quelle di Marte e della Luna.

Dall'enorme massa di dati esaminati o in via di elaborazione emerge forse, come uno dei dati sintetici più validi, la seguente conclusione: ciascuno dei corpi che fanno parte del sistema solare ha caratteri suoi propri che lo distinguono da tutti gli altri.

Bibl.: R. Brett, La geologia della Luna, in EST (Encicl. Scienza e Tecnica), Milano 1971; P. Leonardi, Vulcani e bolidi sulla Luna e su Marte, Trento 1971; B. C. Murray e altri, The surface of Mars: cratered terrains, in Journal of geophysical research, LXXVI (1971); G. E. Hunt, The atmospheres of Jupiter and Saturn, in Endeavour, XXXVIII, n. 118 (1974); NASA, Mars as viewed by Mariner 9, Washington 1974; M. Y. Marov, Venus, in Recherche, nov. 1974; S. E. Dwornik, Atlante 1975 del sistema solare, in EST, Milano 1975. Si veda anche la bibliografia della voce pianeti, in questa Appendice.

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