GEOGRAFIA

Enciclopedia Italiana (1932)

GEOGRAFIA

Roberto Almagià

(gr. γεωγραϕία)

Nome e concetto

di Roberto Almagià

La geografia, come scienza, risale, come è dimostrato dallo stesso nome, all'età greca, e da allora fino ai nostri giorni possiamo seguirne con continuità il processo evolutivo, lungo e complesso, durante il quale essa, pur senza mai allontanarsi dal concetto generale indicato dal significato etimologico della parola (descrizione della Terra), ha tuttavia più volte mutato i limiti del suo campo d'indagine, i metodi di ricerca, il modo di considerare alcuni problemi, specialmente da che essa ha cessato di essere l'unica scienza descrittiva della Terra. Pertanto, mentre la semplice traduzione della parola geografia non basta a dare un'idea concreta del contenuto della scienza, una definizione, qualunque si scelga, non può corrispondere che a un determinato stadio della sua evoluzione; come per molte altre scienze, una conoscenza chiara del suo campo e dei suoi caratteri e indirizzi attuali, si acquista meglio seguendone l'evoluzione storica.

Il nome geografia si trova per la prima volta, per quanto a noi consta, nell'opuscolo pseudoaristotelico Περὶ γεωγραϕία e sembra indicasse dapprima la rappresentazione di tutta la Terra mediante una carta (gr. πίξαξ; lat. tabula); soltanto più tardi si estese a indicare la descrizione mediante la parola. Il nome in ogni modo divenne d'uso comune solamente nell'età alessandrina, forse in connessione con la grande diffusione dell'opera di Eratostene, che si intitolava appunto Geografia e rappresentava la prima sintesi veramente scientifica di questo ramo dello scibile; presso i Greci si distinse poi sempre dalla Geografia, che considera tutto il mondo conosciuto e i problemi ad esso relativi, la Corografia, descrizione di un singolo territorio o paese; la distinzione è chiarita da Tolomeo al principio della sua opera geografica.

Ma, se la geografia come organismo scientifico ben distinto non è probabilmente anteriore all'età alessandrina, il complesso dei problemi, che i dotti alessandrini designarono poi con quel nome, formava già oggetto di studio per i pensatori della scuola ionica.

La geografia nell'età classica

Finché le conoscenze sicure dei Greci furono ristrette ai paesi circostanti al Mare Egeo - come era essenzialmente nell'età che noi designiamo col nome di omerica - l'orizzonte del mondo conosciuto era ancora troppo limitato, perché fosse possibile assurgere, dalla semplice ed elementare rassegna dei luoghi e delle genti conosciute, di cui ci offre già in sostanza un esempio il cosiddetto Catalogo delle navi nel II libro dell'Iliade, ad un'elaborazione razionale dei fenomeni osservati e delle conoscenze relative alla superficie terrestre. Non è possibile discutere qui se e quale più ampio substrato di conoscenze geografiche reali vi sia nei canti omerici che descrivono le peregrinazioni di Ulisse; ma si può affermare che solo il grandioso movimento di espansione della stirpe ellenica nei paesi mediterranei, che, preparato da relazioni commerciali risalenti certo ad epoche assai più remote, si compì tra l'VIII e il VI sec. a. C., allargando rapidamente l'orizzonte del mondo conosciuto, permise ai primi studiosi dei problemi naturali di tentare le prime sintesi descrittive e figurative del mondo abitato e al tempo stesso le prime spiegazioni dei suoi fenomeni.

Le navigazioni e i viaggi che preparano la colonizzazione greca del bacino del Mediterraneo, hanno spesso, commisurati all'ambiente del tempo, il valore di veri viaggi d'esplorazione; se i nomi dei primi esploratori sono perduti (Erodoto ci conserva peraltro quello del primo navigatore che dalle coste cirenaiche avrebbe, sospinto dai venti, raggiunto le colonne d'Ercole: un tale Coleo di Samo), i risultati generali furono tuttavia grandiosi, riassumendosi nella conoscenza diretta di tutto intero il Mediterraneo col Mar Nero, nella nozione dell'Oceano esterno occidentale, dei mari meridionali (Mare Eritreo) e di un mare orientale (Caspio), e poi in una quantità di notizie indirette, più o meno sicure, su paesi e genti dell'Europa settentrionale e occidentale, dell'Asia fino ai sistemi montuosi centrali, dell'Africa fino all'Etiopia e alle sterminate distese del deserto. Una prima sintesi delle conoscenze in tal modo acquisite si ebbe nella Ionia, gran focolare allora dei commerci greci, anzi nel suo emporio principale, Mileto, che accentrava il movimento dei traffici e anche quello delle idee, dacché a Mileto era sorta la prima scuola filosofica che si suole chiamare appunto ionica.

Intorno al 550 a. C. Anassimandro di Mileto tentava appunto per la prima volta di sintetizzare tutte le conoscenze acquisite sulla Terra in un πίξαξ, ossia in una carta del mondo conosciuto. Per quel poco che se ne sa, questo era rappresentato come un disco piano, circondato tutto intorno dall'Oceano e diviso dal Mediterraneo in due parti: quella a nord era detta Europa, quella a sud Asia (v. alle voci Anassimandro; cartografia; in questa è riprodotta una ricostruzione moderna del πίξαξ di Anassimandro). Anassimandro sembra poi anche che tentasse di coordinare in un sistema naturale i fenomeni della Terra, la quale era da lui già concepita come librantesi isolata nel Cosmo. Una generazione dopo Anassimandro, pare che il suo conterraneo Ecateo accompagnasse alla carta - forse perfezionata e accresciuta per le nuove conoscenze acquistate nel frattempo (soprattutto sull'Oriente asiatico, in virtù delle relazioni allacciate col nuovo impero persiano) - una descrizione di tutto il mondo conosciuto, in due libri (uno dedicato all'Europa e l'altro all'Asia; v. Ecateo).

Mentre gli stessi dotti greci delle età più tarde sembra riconoscessero in Anassimandro e in Ecateo i fondatori della geografia, per noi Anassimandro appare in sostanza il primo rappresentante di una corrente che avrà poi seguito per tutta l'età classica e anche più tardi, e che considera come compito e oggetto fondamentale della geografia la delineazione di carte e lo studio dei procedimenti per eseguirle. Ecateo, invece, potrebbe considerarsi come il precursore di un indirizzo che intende la geografia in senso alquanto più largo, cioè come descrizione generale dei paesi e delle genti, con intenti scientifici e pratici insieme, descrizione fondata però anch'essa sulla figurazione grafica (carta), che appare sempre il substrato principale. Che la carta del mondo servisse sin d'allora a scopi pratici si ricava da un noto passo di Erodoto (V, 49), dal quale risulta ch'essa era consultata in trattative di carattere, diremmo noi, diplomatico.

Ma al tempo di Ecateo, o poco dopo, si manifesta anche l'interesse per la conoscenza dei singoli popoli, dei loro paesi, della loro storia: sorgono, in altri termini, le corografie, le quali, circoscritte a una singola regione, mescolano all'elemento più propriamente geografico, quello etnico e quello storico. Tali, forse, le corografie di Ellanico, che dedicava quasi a ogni popolo un'opera speciale; tali anche, in sostanza, quelle di Erodoto, che invece le inserisce come digressioni in un'opera storica di vasta tessitura.

Esistevano poi, sin da epoca assai remota, operette molto più modeste, con intenti esclusivamente pratici, che descrivevano le coste e i paesi costieri ad uso dei naviganti, indicando le distanze da approdo ad approdo, raccogliendo altre sobrie notizie interessanti la navigazione e anche indicazioni generali sui popoli che s'incontravano lungo ogni costa, sui prodotti e gli articoli di commercio, ecc. Anche queste operette, dette in greco Peripli (delle quali il primo esempio a noi pervenuto è il Periplo che va sotto il nome di Scilace, IV sec. a. C.; molto anteriore è peraltro il periplo che forma il substrato dell'Ora Mantima di Avieno), debbono essere ricordate, perché il loro successivo sviluppo non mancherà d'influire, più tardi, sull'indirizzo della geografia.

Le "Geografia ionica" di Anassimandro, di Ecateo e dei loro successori, si fondava, come si è accennato, sulla concezione della Terra come un disco piano (forse la faccia superiore di un cilindro, secondo Anassimandro) librantesi nell'universo; concezione che, nonostante vivaci attacchi parziali, rimane in piedi per tutto il secolo V, durante il quale anche il libro di Ecateo sembra conservasse la sua autorità e forse si riproducesse, in edizioni aggiornate. Ma nel corso di quel secolo, nell'Italia meridionale, Pitagora e la scuola dei primi Pitagorici giunge alla concezione (non si discute qui se creata originalmente o derivata da altro ambiente civile; v. Terra) della sfericità terrestre, destinata naturalmente a sconvolgere le basi cardinali della geografia ionica. La dottrina della sfericità terrestre era già dimostrata con prove dalla seconda generazione dei Pitagorici; Parmenide (513-440) indagava anzi le diverse condizioni d'illuminazione della sfera terrestre da parte del Sole e in relazione ad esse le diverse condizioni di temperatura; trasferendo sulla Terra una divisione della sfera celeste già da altri (per es., da Senofane) escogitata in rapporto al cammino annuo del sole, fondava la teoria delle cinque zone astronomiche e di esse precisava le caratteristiche climatiche (v. Parmenide).

Nella Grecia occidentale, e specialmente nella Ionia, la dottrina della sfericità terrestre sembra trovasse dapprima opposizione (per es., da parte di Democrito); ma al tempo di Platone si può considerare come consolidata ormai definitivamente. Essa ebbe un'importanza così straordinaria che oggidì mal ce ne possiamo fare un'idea: oltre a rendere possibile, ad esempio, la spiegazione razionale di fenomeni come quello delle stagioni e ad aprire perciò l'adito allo studio scientifico dei fatti climatici, fece sì che si affacciasse per la prima volta il problema di misurare le dimensioni della Terra. Sembra che si debba al matematico Eudosso un primo tentativo al riguardo, che avrebbe dato per risultato la cifra di 400.000 stadî per la circonferenza terrestre, cifra riferita da Aristotele. A questo ultimo dobbiamo poi le prime speculazioni sulla Terra e sulla sua posizione nel Cosmo e nel sistema solare, moventi dal principio della sfericità terrestre; e inoltre tutto un sistema di dottrine geofisiche basate su questo stesso principio, e quindi profondamente divergenti da quelle dei pensatori ionici; anzi può dirsi che sotto i fieri colpi della critica aristotelica, il sistema cosmologico e geografico degli Ionî cada definitivamente. Aristotele trattò di geografia in varie opere; e particolarmente nei quattro libri della sua Meteorologia discusse quasi tutti i problemi dei quali si occupa la moderna geografia fisica; ma, mente soprattutto speculativa, non tentò una nuova elaborazione generale dei dati dell'osservazione e dell'esperienza, né, tanto meno, una nuova sintesi delle conoscenze geografiche; secondo recenti studî, le sue conoscenze positive sul mondo abitato non risultano così larghe come si potrebbe credere. L'abitabile - l'οἰκουμένη - appariva in realtà nel sec. IV sempre più vasta. Grande eco avevano avuto nel mondo greco le spedizioni del cartaginese Annone lungo le coste dell'Africa occidentale (sec. V); altre conoscenze si erano acquistate sui paesi dell'Occidente europeo, come dell'Oriente asiatico. Negli ultimi trent'anni del sec. IV si ha poi un rapido allargamento dell'orizzonte conosciuto. Le spedizioni militari di Alessandro Magno dall'Asia Minore al Deserto Libico e poi traverso tutto lo sterminato impero persiano fin oltre le barriere montuose dell'Asia centrale, fino entro le steppe inospiti del Turkestan, fino alle ricche vallate dell'India, rivelano una quantità di cose nuove e inaudite: l'estensione insospettata del continente asiatico, i grandi sistemi di m0ntagne, le vaste aree desertiche, le maestose correnti fluviali dell'India, l'Oceano meridionale per la prima volta navigato dalla flotta di Nearco dall'Indo all'Eufrate; forse fin d'allora, per vaga eco, i remotissimi paesi della seta. Tutta una serie di fenomeni prima ignoti - dall'alternanza semestrale dei venti monsonici al ritmo misterioso delle maree oceaniche - tutta un'accolta mai vista del mondo vegetale e animale sono state registrate e messe insieme da studiosi peregrinanti al seguito degli eserciti. Sotto i Diadochi il movimento continua: il regno dei Seleucidi mantiene relazioni strette con l'India, visitata e studiata da Patrocle, da Megastene, da Daimaco; i Tolomei estendono la cerchia dei rapporti commerciali con l'Africa orientale e con i paesi del Nilo.

Dall'altro lato del mondo conosciuto, ancora verso il 330, il marsigliese Pitea, movendo alla ricerca dei paesi di provenienza dello stagno e dell'ambra, naviga le coste atlantiche della Gallia e della Germania, riconosce le Isole Britanniche e tutti i mari adiacenti fino a una remotissima isola di Tule, posta tra le brume impenetrabili in un oceano irrigidito dai ghiacci, agli estremi confini dell'ecumene (forse la costa norvegese). E anche in questo caso si poté acquisire una quantità di osservazioni e di notizie nuove, così nuove, da sembrare spesso incredibili e da far sorgere l'accusa di ciarlatano mossa al grande navigatore di Marsiglia, restituito invece in pieno onore dalla critica moderna (v. Pitea).

I risultati di tutto questo grande movimento di esplorazione confluivano facilmente ad Alessandria, massimo, allora, fra i centri mediterranei; e quivi una mente sintetica imprese ancora una volta a coordinare, vagliare e sistemare la nuova, larghissima messe di fatti e di osservazioni: questi è Eratostene di Cirene (284-203), cui dobbiamo la prima opera a noi nota che portasse il titolo di Geografia. Egli è celebre soprattutto per aver calcolato le dimensioni della terra misurando il valore angolare dell'arco di meridiano Alessandria-Siene, la cui distanza lineare era ben nota per i dati ulficiali egiziani; il risultato della misura, dalla quale si ricavava il valore di 252.000 stadî per l'intera circonferenza terrestre, ci appare meravigliosamente esatto (v. alla voce Eratostene). Compito precipuo della geografia è anche per Eratostene la preparazione di una carta del mondo conosciuto rispondente allo stato delle conoscenze attuali (lavoro nel quale egli aveva avuto, come pur forse in quello della misura delle dimensioni terrestri, un precursore in Dicearco da Messina); ma il geografo di Alessandria prende in esame ed attrae nell'ambito della scienza nuovamente costituita tutto il complesso dei problemi preliminari e fondamentali che direttamente o indirettamente si collegano con quel compito principale: tratta perciò della forma e delle dimensioni della terra, delle trasformazioni della superficie terrestre, delle dimensioni e partizione dell'ecumene e degli oceani; discute i fondamenti geometrici per la costruzione della carta, quali i dati di longitudine e latitudine, quelli itinerarî, ecc., vagliandoli criticamente; coordina infine a guisa di commento della carta, una sobria descrizione dei paesi e delle genti, secondo una divisione della Terra in territorî, cui è dato un contorno approssimativamente geometrico. Perduta, insieme con l'opera, la carta eratostenica, se ne conoscono alcuni elementi fondamentali: linea-base di essa il διάϕραγμα, corrente iri senso ovest-est, dalle colonne d'Ercole alle montagne dell'Asia centrale, già utilizzato da Dicearco. In conclusione la geografia, quale ci appare dall'opera di Eratostene, pur coordinando i suoi oggetti intorno al problema massimo della costruzione della carta del mondo, contiene già gli elementi di una geografia matematica e fisica generale e di una geografia descrittiva regionale, l'una e l'altra appoggiate, non a pure speculazioni teoriche, ma a dati di osservazione e a notizie di fatto. Eratostene può considerarsi come il massimo dei geografi greci, e il carattere, ora accennato, che la scienza geografica assume nella sua opera, ebbe larga risonanza anche in avvenire.

La seconda metà del sec. III è certamente l'epoca più splendida per la scienza geografica antica. Allargatisi enormemente gli spazî conosciuti, note la forma e le dimensioni della Terra, si giunge anche, attraverso una serie d'ipotesi sempre più vicine al vero (Eraclide, ecc.), alla concezione del sistema eliocentrico, per opera di Aristarco di Samo, il quale intravide forse anche la rotazione del nostro pianeta. Né le terre né gli oceani appaiono più barriere invalicabili ai viaggiatori e ai naviganti, resi fiduciosi dall'esperienza di fortunati ardimenti; lo stimolo della ricerca scientifica si acuisce, e compaiono opere particolari di meteorologia, di orografia, d'idrografia, di geografia botanica; si rinnovano, più voluminosi e ricchi di ogni sorta d'indicazioni, i Peripli ad uso degli uomini di mare.

L'indirizzo, che può dirsi eratostenico, ebbe avversarî e continuatori. Tra gli avversarî si annovera di solito uno dei maggiori astronomi greci, Ipparco (circa 190-125), il quale moveva critiche principalmente alla carta di Eratostene, trovandone insufficienti i fondamenti astronomici, i soli sicuri; ma, non potendo egli stesso offrirne di più esatti, si dedicava a preparare, con sottile e paziente lavoro, i materiali dai quali i posteri avrebbero potuto trarre, con facili osservazioni, le basi per delineare carte più rigorose (v. Ipparco). Tra i continuatori può ascriversi lo stoico Posidonio di Apamea (circa 140-65 a. C.), il quale, all'esperienza accumulata in numerosi viaggi scientifici, accoppiava una visione ancor più larga della scienza geografica. Nel suo libro Περὶ 'Ωκεανοῦ egli corroborava e allargava con più ampio suffragio di dati di osservazione le dottrine fondamentali di Eratostene, trattando dei fenomeni dell'oceano (a lui si deve una teoria delle maree elaborata in base a osservazioni personali eseguite a Cadice) e considerando anche problemi non trattati da Eratostene (per es., i vulcani e i terremoti); ai fenomeni atmosferici nel senso più largo dedicava un'opera speciale, la Meteorologia. L'unità e continuità dell'Oceano già affermata da Eratostene, è confermata da Posidonio in base anche alle notizie sulle navigazioni di Eudosso di Cizico (120-115 a. C.) lungo le coste africane. Notevole è pure in Posidonio l'accenno a ricerche d'indole etnologica e allo studio di taluni fatti relativi all'influenza dell'ambiente sull'uomo (già studiati del resto, ma sotto un altro punto di vista, da Ippocrate e dalla sua scuola), fatti che sono nel dominio dell'odierna antropogeografia; per il che potrebbe dirsi che con Posidonio si delinei forse la più vasta e completa concezione della scienza geografica che l'evo antico ci abbia lasciato. Ciò nondimeno l'influenza di Posidonio sul successivo svolgimento della nostra scienza, fu inferiore a quella di Eratostene, poiché il primo, esponendo i risultati delle sue ricerche in parecchie opere diverse, non eseguì un vero e proprio lavoro generale di sintesi, dal quale potesse emergere una più completa determinazione dell'oggetto e dell'indirizzo della geografia. Ma soprattutto è da por mente al rivolgimento che si preparava nella concezione generale di tutte le scienze, nel periodo durante il quale, col graduale affermarsi dell'egemonia di Roma, lo spirito greco, più proclive alla pura indagine scientifica, venne a contatto con lo spirito romano, tendente piuttosto a fini pratici.

Le campagne militari che condussero al consolidamento del dominio romano sui paesi mediterranei, dalla seconda metà del sec. II a. C., ai primi decennî dopo l'era volgare, giovarono grandemente anche ai progressi delle conoscenze geografiche. I Greci, popolo essenzialmente marinaro, avevano riconosciuto i paesi costieri: ora la carta del mondo si riempie e si precisa per la migliore conoscenza dei paesi interni. Si acquista, per esempio, cognizione larga e sicura delle regioni alpine, prima note assai imperfettamente, della Gallia, delle parti più interne e meno accessibili dell'Iberia, si schiudono la Britannia e la Germania. Si esplorano inoltre vaste plaghe dell'Africa settentrionale, dall'altipiano etiopico e dall'alta valle del Nilo risalita sotto Nerone assai a monte della confluenza dei due rami principali, alla Libia frugata da più spedizioni militari fin nel cuore del Sahara, all'Atlante, valicato fino al centro dell'attuale Marocco. E ancora: in Asia si riconoscono le regioni montuose, segregate, dell'Armenia, l'Arabia, i territorî ( di là dal Ponto; nel sec. I d. C. si riannodano relazioni coi paesi dell'Oceano meridionale rimasti sino allora fuori del mondo romano. Eco lontana giunge d'isole sperdute ai confini dell'abitabile: la remota Taprobane nell'Oceano meridionale, le Isole Fortunate e forse Madera, ubertose e feconde nel grembo dell'Oceano occidentale, una Scania e altri gruppi inaccessi nell'estremo nord, presso la remotissima Tule, velata dalla leggenda. E giungono rinnovate novelle dei paesi dei Seri e dei Sini, popolosi e industriosi, ma rifuggenti da contatti con altre genti; si modificano le concezioni sull'inabitabilità della zona torrida, spesso affermata in passato, mentre ora si apprende l'esistenza di numerose genti etiopiche disseminate di là dai deserti africani; si comincia anche ad aver sentore di tribù nomadi popolanti le gelide distese del Settentrione europeo, presso le sedi dei favolosi Iperborei.

A Roma, dove queste notizie erano raccolte avidamente nel mondo delle persone colte, si elaborano nuove sintesi generali delle conoscenze geografiche, nell'età di Augusto e immediatamente dopo. Scrittori latini o vissuti nell'ambiente latino si erano occupati di geografia anche precedentemente: Polibio aveva introdotto nella sua grande opera storica numerosi excursus geografici, seguendo un esempio che risaliva ad Erodoto ed era stato poi seguito spesso da altri (p. es. Timeo); lasciarono scritti geografici, oggi perduti, Varrone e Sallustio. Ma al tempo di Augusto la redazione di opere riassuntive anche nel campo geografico è favorita da tutto il lavoro di riordinamento e di sistemazione dell'Impero romano, promosso da Augusto stesso, e al quale si collegano opere itinerarie, catastali, descrizioni ufficiali delle provincie, ecc. Il grande coadiutore di Augusto, Agrippa, fa incidere ed esporre al pubblico, in un portico di Roma (la Porticus Pollae), una carta dell'Impero; pochi anni dopo, Strabone scrive in greco, ma ad uso dei Romani, la sua Geografia in 17 libri, Plinio il Vecchio inserisce nella Naturalis Historia una descrizione dell'orbe (libri II-IV), Pomponio Mela scrive il De situ Orbis. Di Queste tre opere, non le ultime due, inspirate a intendimenti speciali e circoscritti (v. Mela; Plinio), bensì la prima giova a illustrare il concetto romano della geografia. Secondo Strabone questa scienza, lasciando all'astronomia, alla geometria, alla fisica le indagini particolari sulla forma e le dimensioni del globo e in genere sui fenomeni naturali, e limitandosi ad accoglierne, come fondamenti necessarî, i risultati generali, ha per intento di descrivere gli spazî accessibili della terta e del mare, che sono la sede dell'umana attivita: illustra cioè i singoli paesi nella loro situazione, nelle loro caratteristiche climatiche e biologiche, nei prodotti e in tutto quanto ha attinenza con gli abitanti, con le loro istituzioni e peculiarità della vita pubblica e sociale. Fine supremo della geografia (cfr. soprattutto VI, 4, 1) sarebbe quello di mostrare l'influsso che le condizioni naturali d'ogni paese esercitano sui costumi, i modi di vita, gli ordinamenti degli abitanti; e ciò risponde a un concetto filosofico della nostra scienza, quale si ritroverà, chiaramente espresso, solo molto più tardi, alla fine del sec. XVIII o al principio del XIX. Ma l'intento pratico più importante, il solo che veramente preoccupi Strabone, è quello di fornire un insieme ben coordinato di notizie utili agli uomini di stato e di governo, ai capi di spedizioni militari, ai rettori delle provincie, ecc. (cfr. I, 1, 18) ai quali, secondo l'autore, la geografia è soprattutto necessaria. Si è perciò che l'opera straboniana, pur molto voluminosa (la più ampia, anzi, che tra le opere geografiche antiche sia giunta a noi) si attiene ancora in sostanza all'ordinamento di quelle opere di carattere più schiettamente pratico, i Peripli, di cui la letteratura greca era dotata, come si è visto, da tempi antichi e che dalla primitiva sobrietà erano a poco a poco cresciuti d'importanza e di estensione, fino a raggiungere la mole del Periplo di Artemidoro (circa 100 a. C.), in 11 libri, probabilmente appunto una delle fonti principali di Strabone.

Omettendo qui l'accenno a minori opere romane più tarde, che accentuano ancor più il carattere pratico della geografia e rivelano per contro una sempre maggior deficienza nel lavoro di critica e di elaborazione scientifica dei dati (si vedano ad es., i Collectanea di Giulio Solino), e lasciando da parte la letteratura degl'Itinerarî, scritti o disegnati (v. itinerarî; Peutingeriana, Tavola), si vuol ricordare che anche dopo l'epoca di Strabone e di Plinio, le conoscenze geografiche si estendono nuovamente, soprattutto in virtù delle spedizioni militari, che allargarono l'Impero di Roma ai suoi massimi confini, e del movimento commerciale che ne conseguì; specialmente sui paesi del settentrione e dell'oriente europeo, su quelli dell'Asia centrale e quelli circostanti all'Oceano meridionale si apprendono nuovi particolari: popoli e città, vie commerciali ed emporî marittimi. Corrisponde all'incirca all'epoca della massima estensione dell'Impero romano l'opera del geografo Marino di Tiro, che noi conosciamo unicamente attraverso quella, di poco posteriore, e che, a detta del suo stesso autore, è da considerarsene come un perfezionamento, la Γεωγραϕικὴ ‛Υϕήγησις di Claudio Tolomeo (intorno alla metà del sec. II d. C.). Secondo Tolomeo la geografia, lasciando, come si è già detto, la descrizione delle singole regioni terrestri alla corografia, ha per unico compito la descrizione grafica di tutta l'ecumene, lo studio dei fondamenti matematici per essa e quindi la preparazione critica dei materiali relativi. Null'altro contiene la sua opera geografica, giunta intera fino a noi e accompagnata da carte (che peraltro è dubbio se e quanto mantengano della redazione originale), sintesi grafica delle conoscenze acquistate nel periodo in cui l'ecumene nota agli antichi raggiunse i più larghi confini. Tale sintesi è per vero elaborata, non a Roma, ma ad Alessandria e da un dotto vivente (come il suo precursore Marino) nell'ambiente orientale, del che bisogna forse tener conto per spiegare come le parti relative all'Africa e all'Oriente contengano spesso elementi originali più copiosi e più attendibili di quelle relative all'occidente o al settentrione europeo. Infatti, mentre il geografo alessandrino ha informazioni imperfette sulla forma e le dimensioni della Britannia, pur circumnavigata dalla flotta di Agricola (80 d. C.), e manifesta lacune ed errori riguardo ai paesi prospicienti al Mare del Nord e al Baltico (che ritiene un seno dell'Oceano), egli viceversa (o meglio il suo precursore) conosce molte cose, attraverso informazioni di mercanti, sul paese dei Seri e sulla via "della seta" traversante l'Asia centrale; ha larghe, se pur indirette, notizie anche delle coste sud-orientali dell'Asia (Indocina e Isole Malesi); egli inoltre conosce dell'Africa molti paesi transsahariani e il Niger e i laghi sorgentiferi del Nilo e le coste orientali fin verso Zanzibar e più oltre, sebbene, per un errore di cui è pur difficile dare spiegazione, ritenga l'Oceano Indiano un mare chiuso a sud da una terra incognita riunente l'Africa orientale all'Asia di sud-est. Le dimensioni dell'ecumene calcola Tolomeo in 40.000 stadî nel senso della latitudine (circa 80 gradi da Agisymba, l'estremo paese conosciuto a sud, 16°25′ S. fino a Tule 63° N.) e 90.000 stadî nel senso della longitudine (180° dalle Isole Fortunate alla Metropoli dei Seri); tali cifre, enormemente esagerate per le longitudini (e Tolomeo riduce assai i dati ancor più esagerati di Marino), ci additano dunque quale apparisse la misura dell'abitabile alla mente dei dotti nel periodo che ne ebbe, di tutta l'età classica, la visione più larga e completa.

Tolomeo, come già Ipparco, vede il compito della geografia più da astronomo che da geografo. Prescindendo dalla sua concezione, si può forse affermare che la geografia dell'evo antico presenta essenzialmente due indirizzi: quello che può dirsì eratostenico, più comprensivo e più generale, in quanto attrae nel suo campo d'indagine tutti i fenomeni del globo terraqueo anche nelle loro correlazioni, pur ponendo in prima linea il compito cartografico; quello che può dirsi straboniano, più limitato, più descrittivo e pratico, che fa oggetto precipuo della nostra scienza la terra abitata, considerata nelle varie parti o regioni in cui si divide. Non si tratta tuttavia, per dire il vero, d'indirizzi opposti: l'opera di Eratostene conteneva pure, come si è accennato, lo schema di una geografia descrittiva, mentre quella di Strabone si apre con due libri dedicati ad esporre le questioni teoriche di geografia generale. Diversi sono piuttosto gl'intenti, che rispondono in fondo a diverse tendenze dello spirito greco e del romano ed anche a necessità diverse dei tempi. Comune è il fondamento della scienza: l'elaborazione dei dati di fatto, procurati dall'osservazione e dall'esperienza. Pertanto la geografia nell'età classica ci appare come una scienza positiva, le cui fasi di sviluppo sono costantemente legate a progressi delle conoscenze spaziali (esplorazioni, viaggi, spedizioni, ecc.), e come una scienza sintetica, che prospera soprattutto là dove siano centri civili e focolari di studio a cui convergano i risultati dell'attività esploratrice e nei quali si esplichi il lavoro di critici atti all'opera di coordinazione, di selezione, di elaborazione dei materiali raccolti.

La geografia nel Medioevo

I fatti e i caratteri generali ora segnalati, che hanno riscontro anche, come vedremo, nelle ulteriori fasi di sviluppo della nostra scienza, bisogna anzitutto aver presenti, quando si passi ad esaminare le condizioni della geografia del Medioevo. Veramente una scienza geografica nel senso classico della parola, nel Medioevo, non esiste, in nessuno degl'indirizzi già veduti: la stessa parola Geografia è usata molto di rado; le maggiori opere geografiche antiche, per es., quelle di Eratostene, di Posidonio, di Strabone, dello stesso Tolomeo, sono quasi del tutto dimenticate. Non è esatto indicare, come spesso si fa, quale causa principale di questa decadenza, il restringersi dell'orizzonte geografico. I Bizantini prima, gli Arabi poi ebbero di taluni paesi dell'Oriente asiatico e dell'Africa notizie più larghe di quelle che non si avessero in qualunque periodo dell'evo classico; i Normanni conobbero le terre nordiche e l'Atlantico settentrionale come mai si conobbero dagli antichi. E nel Medioevo si viaggiava anche molto di più di quanto comunemente non si creda. Ma si è, piuttosto, che le relazioni fra le varie parti della terra s'interruppero o si rallentarono; la meravigliosa unità di vita civile e politica creata dai Romani si spezzò; non il mondo conosciuto si restrinse, ma piuttosto si scisse in tanti mondì a sé. E venne a mancare assai presto, nel mondo occidentale almeno, un centro intellettuale universale, che esercitasse, nel campo del sapere, la funzione esercitata nell'antichità da Atene, da Alessandria, da Roma; la scienza si ridusse nei conventi; venne meno o si attenuò lo spirito di osservazione del mondo che ci circonda e anche l'interessamento per i fenomeni terrestri, base fondamentale della geografia, come di tutte le scienze della natura. Ond'è che le concezioni cosmiche generali si riducono talora a immaginazioni che a noi sembrano infantili e nelle quali, sotto l'influenza d'idee religiose, hanno gran parte concetti simbolici (per Cosma Indicopleuste il tabernacolo ebraico dà lo schema della forma del Cosmo; v. Cosma); nozioni che sembravano definitivamente acquisite, come quella della sfericità terrestre, talvolta si annebbiano, mentre si radicano nuovamente antiche opinioni errate, come quella dell'inabitabilità della zona torrida. Le rappresentazioni cartografiche del mondo conosciuto, influenzate sovente da concetti religiosi e cristallizzate in schemi che non hanno quasi più nulla di comune con la realtà (mappamondi detti di Beato; mappamondi a T.; v. cartografia), risuscitano forme e tipi che richiamano per taluni caratteri quelli delle più antiche figurazioni greche. Le opere nelle quali si tratta di geografia, ridotte spesso a cataloghi di nomi per uso delle scuole, sono attinte in prevalenza alle fonti meno autorevoli dell'età romana, Plinio, Mela, Solino (scritti di S. Isidoro, di Beda e di altri Padri della Chiesa; l'Imago mundi di Onorio, ecc.) o rielaborano materiale itinerario pure di provenienza romana (Cosmografa del cosiddetto Anonimo Ravennate); relativamente rari sono gli scritti contenenti notizie geografiche di sapore originale o riflessi di vita contemporanea (tra queste il Liber de Mensura Orbis Terrae del monaco Dicuil).

Quanto alla conoscenza spaziale della superficie terrestre, si può far cenno anzitutto dei risultati derivati dal grande movimento di propaganda del cristianesimo, che, tra la fine del sec. V e la fine del IX, guadagna i paesi germanici fino all'Elba, la Danimarca, la Svezia e taluni paesi slavi, come la Boemia. Un grande centro d'irradiazione è l'Irlanda, donde muovono ardite navigazioni alla ricerca di terre da evangelizzare in seno all'Atlantico; si scoprono così le Shetland, le Faerør, l'Islanda e forse altre terre più lontane, delle quali peraltro non rimase più nozione sicura. Non sono rari, neppure nei secoli che passano per i più oscuri, i pellegrinaggi in Terrasanta, che dànno luogo a una notevole letteratura d'itinerarî (Eteria, intorno al 535; Antonino, intorno al 570, Arculfo, intorno al 680, Willibaldo nel 725); taluno visita anche l'Egitto e si spinge fino alla Mesopotamia. Più oltre giungono mercanti bizantini o viaggiatori egiziani: Cosma Indicopleuste s'inoltra fino a Ceylon (v. Cosma), Zemarco fino ai T'ien shan (568). Ma le notizie arrecate da questi ed altri viaggiatori rimasero circoscritte in ambienti molto limitati e non arrecarono frutti durevoli.

Ebbero grandi focolari di vita civile gli Arabi, come ebbero grandi viaggiatori; presso di loro fiorì infatti una ricca letteratura geografica di carattere essenzialmente descrittivo. Ma le opere dei geografi arabi furono solo scarsamente e tardivamente conosciute; presso di loro rimasero estranee all'evoluzione dottrinale della scienza, quale a noi interessa seguirla in occidente. Tuttavia merito singolare degli Arabi, che giovò anche agli Occidentali, fu di aver conservato l'opera astronomica di Tolomeo, il famoso Almagesto, base principale delle loro dottrine astronomiche; merito non minore quello di avere, pur attraverso le manipolazioni dei commentatori, perpetuato fra noi le dottrine fisiche e naturali di Aristotele.

Queste tendenze furono portate all'esagerazione in Occidente nel periodo scolastico, quando si riprese l'esame dei problemi intorno al globo terraqueo sulla falsariga dei principî fisici di Aristotele e del sistema cosmico di Tolomeo, fra loro insieme compenetrati, e inquadrati poi nell'organismo delle dottrine religiose cristiane. Appunto perché le dottrine aristotelico-tolemaiche sul Cosmo, sulla situazione della Terra in esso, sulle sfere celesti e sugli elementi, ben si armonizzavano con i fondamenti teologici del cristianesimo, i nomi dei due dotti greci crebbero fino ad acquistare un'autorità assoluta: Alberto Magno, Vincenzo di Beauvais, e altri grandi scrittori del periodo scolastico, che si occuparono anche di problemi geografici, furono paghi di ricollegare le loro teorie coi supremi principî della fisica aristotelica, senza curarsi se esse rispondessero alla realtà dei fatti osservati.

La scarsezza dei rapporti intellettuali fra i varî paesi e più il fatto che, almeno in Occidente, la maggioranza degli studiosi proviene pur sempre dal mondo ecclesiastico, e vive perciò in ambienti segregati, ritardarono assai il diffondersi delle conoscenze nuove, anche quando, dopo il Mille, si ripresero gradualmente i viaggi in paesi lontani. Mirabili furono ad esempio, le navigazioni dei Normanni nell'Atlantico settentrionale, le quali, dopo la definitiva colonizzazione dell'Islanda (sec. IX) e la scoperta della Groenlandia (sec. X), condussero, sui primotdî del secolo XI, all'inconsapevole scoperta di alcuni lembi del continente americano; ma i risultati di esse non uscirono dal mondo nordico; nessuna eco ne giunse ai centri civili del Mediterraneo. Vantaggio molto maggiore venne al progresso delle conoscenze geografiche da tutto quel movimento che si collega con le Crociate, soprattutto per le relazioni commerciali che alcune delle nostre repubbliche marinare - sin dal sec. IX in rapporto di traffici coi porti africani e asiatici del Mediterraneo - allacciarono con tutto il vicino Oriente, dove, per gli aiuti dati alle imprese di Terrasanta, acquistarono fattorie, fondachi e privilegi d'ogni sorta. Forse fino alla metà del sec. XIII nessun commerciante occidentale valicò le frontiere della Siria o dell'Armenia; ma ai porti del Levante e del Mar Nero, frequentati da Pisani, Genovesi e Veneziani, come da Provenzali e Catalani, affluivano, per vie carovaniere, le merci non pur dalla Mesopotamia, dall'Arabia, dalla Persia, ma sì anche dall'India e dalla Cina; e con le merci, notizie, sia pure indirette, dei paesi di origine.

E dopo la metà del sec. XIII - quietatosi il torrente impetuoso dell'invasione mongolica che, per qualche tempo, parve dovesse tutto travolgere - anche il più lontano Oriente si aprì ai popoli mediterranei: viaggi di missionarî, a cominciare da Giovanni da Pian del Carpine e da Rubruck, e di mercanti a cominciare da Niccolò, Matteo e Marco Polo (1271-95), rivelano tutta l'Asia meridionale e orientale e la Cina intera, percorsa da Marco fin nelle più riposte provincie, insieme con i paesi contermini, dal Tibet alla Cocincina. Nuova messe di notizie procurano Oderico da Pordenone, Giovanni de' Marignolli, e tutta la folla anonima dei mercanti, ai quali si deve il moltiplicarsi dei traffici, per strade divenute in breve volger di tempo agevoli e familiari, nonostante le tappe lunghissime; giunge novella anche dell'Oceano che bagna ad oriente la Cina, delle numerosissime isole in quello disseminate e del lontano e meravigliosamente ricco paese del Cipangu (Giappone). In pari tempo navigatori italiani, in prima linea genovesi, sfidando il mistero dell'Oceano occidentale, rimasto per tutto il Medioevo barriera inaccessibile, si spingono lungo le coste africane, osano di tentare la circumnavigazione dell'Africa (fratelli Vivaldi, 1291), ritrovano le Canarie e Madera, e, avventuratisi in mare aperto, scoprono le Azzorre (prima metà del sec. XIII).

Tuttavia l'attenzione dei dotti - chiusi ancora nella cerchia delle speculazioni astratte - non sembra ridestarsi; più d'uno dei maggiori viaggiatori, in prima linea lo stesso Marco Polo, è tacciato di ciarlatano; le nuove carte elaborate da studiosi monaci nell'ombra dei chiostri, anche se ormai lontane dal rozzo schematismo di quelle dell'alto Medioevo, ignorano del tutto le scoperte nuove.

Ma sono necessità d'ordine pratico quelle che avviano, sia pure per cammini indiretti, il risorgere della geografia. I moltiplicati bisogni della navigazione, enormemente sviluppata, producono anzitutto le nuove carte nautiche, che appaiono quasi improvvisamente dopo la metà del sec. XIII e sono di tutt'altro stile e di una superiorità incomparabile rispetto a tutti i prodotti cartografici medievali. Sono rilievi dei mari e delle coste più frequentemente navigate - dapprima le sole coste del Mediterraneo, poi anche le coste atlantiche dell'Europa e dell'Africa - ma quelle figurano con meravigliosa esattezza e con dovizia grande di particolari; la loro diffusione, dai primordi del sec. XIII a tutto il XVI fa passi giganteschi (vedi nautiche, carte). Insieme con l'invenzione della bussola marina e con l'ardimentoso estendersi della navigazione che ne consegue, le carte nautiche, e i portolani che in certo modo le integrano, sono appunto i segni annunziatori della nuova scienza geografica.

La geografia dell'età moderna

Tuttavia il risorgere della geografia come organismo di dottrine, ben chiaramente individuato per oggetto e indirizzo, qual era stata nei periodi più belli dell'età greca, è più direttamente una conseguenza di queìia meravigliosa successione di scoperte, di navigazioni, di viaggi, che, tra la metà del sec. XV e la metà del XVI, allargarono rapidamente e smisuratamente agli occhi dell'Europa attonita l'orizzonte del mondo conosciuto, quanto mai per l'innanzi era avvenuto in così breve volgere di tempo, e travolsero d'un tratto una folla di erronee opinioni inveterate, aprendo la via a speculazioni originali fondate su dati di fatto nuovi.

A partire dal secondo decennio del sec. XV, i Portoghesi, riprendendo, sotto la spinta di Enrico il Navigatore, i precedenti tentativi italiani, procedono di tappa in tappa lungo la costa atlantica dell'Africa, fino a raggiungere il Golfo di Guinea, poi con progressi sempre più accelerati, la foce del Congo e finalmente nel 1487 l'estremità meridionale del continente (Bartholomeu Dias); dieci anni più tardi, con la circumnavigazione di Vasco da Gama (1497-99) schiudono la nuova via marittima alle Indie, presto assurta all'importanza di grande arteria del commercio mondiale. Nel 1492 è travalicato, per la cosciente audacia di Cristoforo Colombo, l'Oceano Atlantico, ritenuto fin allora invalicabile, ed anche in questo caso, le rotte dell'andata e del ritorno, sagacemente seguite dal grande ligure, diventano in breve volgere di anni familiari ai naviganti (v. Colombo). I successivi viaggi di Colombo e quelli dei suoi primi seguaci - in primissima linea i due viaggi di Amerigo Vespucci - come pure, in paraggi più settentrionali, le navigazioni dei Caboto e di altri sulle loro orme, rivelano a poco a poco nella sua enorme estensione meridiana, quella distesa di nuove terre che, dapprima creduta, e non da Colombo soltanto, l'estrema appendice orientale dell'Asia, si rivela successivamente come un Nuovo Mondo, cioè una massa continentale indipendente. Per questa fortunata successione di scoperte, già sul volgere del primo decennio del Cinquecento, la conoscenza spaziale del nostro globo si era forse più che duplicata rispetto a quella di settant'anni prima; ed ecco, che, tentandosi il passaggio, di là dalla nuova massa di terre, all'Asia orientale, pur creduta poco più distante ad ovest, il memorabile viaggio di Magellano (1519-1522) rivela invece l'immensità del Grande Oceano, traversato in tutta la sua estensione, fra l'estremità sud dell'America e le Filippine, dalla minuscola flottiglia di navi; tra le quali una sola superstite, dopo la morte del capo, ritornando per l'Oceano Indiano e intorno all'Africa fino ai lidi europei, chiude con la prima circumnavigazione, tutto l'ambito del nostro pianeta.

Appare questo ora enormemente più grande di quanto non si fosse creduto nel Medioevo, durante il quale - essendo oscillanti e incerte le idee anche su taluni dei dati più fondamentali della geografia - si era più generalmente accolta la misura della circonferenza terrestre accreditata da Tolomeo, molto meno esatta di quella eratostenica e di gran lunga inferiore al vero. La sfericità della Terra è ormai dimostrata dalla nuova prova inoppugnabile dei fatti; errori radicati per secoli, come quello dell'inabitabilità della zona torrida, sono smentiti dall'esperienza e sbanditi d'un tratto; le opinioni più diffuse intorno alla ripartizione quantitativa delle terre emerse e dei mari sul globo, che in generale propendevano in favore di un'enorme prevalenza delle terre, sono travolte, pur senza che per ora si delinei un'intuizione prossima al vero. Una quantità enorme di conoscenze nuove, di fatti, di fenomeni, si viene accumulando e s'impone: fatti strani e misteriosi, come il variare della declinazione dell'ago magnetico avvertito forse da Colombo sin dal primo viaggio; fenomeni per la prima volta constatati nelle plaghe oceaniche nuovamente percorse, come le grandi, regolari correnti dell'Atlantico; aspetti mai veduti di terre e poi tutto il complesso di notizie intorno agli abitatori di codeste nuove terre, ai prodotti meravigliosi del mondo vegetale ed animale. La curiosità universale si ridesta, e con essa si riaccende l'amore allo studio del mondo naturale.

L'Umanesimo ha frattanto per altre vie contribuito a risuscitare l'interesse per il mondo circostante, ha rieducato lo spirito di osservazione e al tempo stesso, con la ricerca delle opere classiche, ha riportato alla luce strumenti preziosi del sapere. Tra questi è ritornata alla luce, al principio del Quattrocento, l'opera geografica di Tolomeo, quasi dimenticata nel Medioevo; e per la sconfinata autorità del nome ha acquistato subito una grandissima considerazione: i problemi in essa trattati vengono ripresi, e dopo la diffusione della stampa, le edizioni della Geografia si moltiplicano, e presto si riproducono anche le carte accompagnanti il testo, le quali, sebbene molto meno esatte, quanto alla figurazione dei contorni, di quelle nautiche, vengono considerate, negli ambienti dotti, come l'espressione della più alta perfezione cartografica, in quanto basate su elementi astronomici e raccomandate da una tradizione così antica e venerabile. Intanto anche le dottrine fisiche di Aristotele, inquadrate nell'organismo dottrinario della scolastica, vengono attaccate, specialmente in Italia, dalle nuove scuole filosofiche (Telesio, Bruno); il sistema aristotelico resiste ancora per tutto il Cinquecento, ma appaiono sempre più manifesti gl'indizî del suo sgretolamento, man mano che si fa più evidente il disaccordo delle speculazioni astratte e delle teorie con la realtà dei fatti nuovi osservati sulla faccia del mondo divenuto tanto più vasto.

Nel campo cosmografico e geografico in particolare, opere che andavano per la maggiore divengono in brevissimo volger d'anni del tutto antiquate: si pensi, per citarne una sola, all'Imago Mundi di Pietro d'Ailly, che era pur stata il fondamento di tutte le conoscenze cosmografiche di Colombo e che doveva, pochi decennî dopo, perdere ogni valore.

Ma il lavoro di raccolta, di coordinazione e di critica di questi fatti nuovi portati dalle scoperte, dai viaggi, dalle navigazioni, nel campo geografico, doveva dapprima apparire estremamente arduo, data l'enorme congerie di notizie e di conoscenze affluenti tumultuosamente da ogni parte e accrescentisi senza tregua; dato, inoltre, il frequente mescolarsi di elementi fantastici alle narrazioni veridiche. Si rifletta soltanto alla grandissima difficoltà di eseguire il lavoro che si presentava come il primo e più elementare, quello cioè di rappresentare in una carta del mondo i lembi delle nuove terre successivamente riconosciute, coordinandole spazialmente con la figurazione dell'antico continente; nell'incertezza delle misure e dei dati fondamentali sulle dimensioni del globo, l'ardua fatica veniva annullata da ogni nuova scoperta che venisse a modificare le concezioni pur dianzi formulate. E si rifletta che, anche dopo chiusa, col viaggio di Magellano, quella che si suol chiamare l'epoca eroica delle grandi scoperte geografiche, le scoperte tuttavia continuano, con successione meravigliosa, in tutto il periodo, meno attentamente considerato di solito, che va fino alla metà del sec. XVII: pionieri ardimentosi e conquistatori avidi riconoscono le parti interne dell'America Settentrionale e Meridionale; marinai d'ogni paese frugano i mari e le terre artiche, alla ricerca di passaggi verso l'Asia orientale; altri percorrono in più direzioni il Grande Oceano, scoprendo a poco a poco, sin dai primi anni del Cinquecento, varî lembi dell'Australia creduta l'estremità di un estesissimo continente australe mercanti russi si spingono nell'Asia settentrionale e in tappe successive la traversano fino al Mare di Ochotsk, mentre i navigatori, dalle coste della Cina e del Giappone apertesi per poco al commercio europeo, tentano di spingersi sempre più verso settentrione. E così varî sono i fatti osservati, così disparate, lontane e spesso difficilmente controllabili sono le fonti da cui le notizie provengono, che il lavoro di sintesi scientifica, dal quale germoglierà la geografia moderna, dovrà necessariamente tardare a lungo.

Come nei momenti critici dell'evo classico, così anche ora - e il parallelo è significativo - le prime sintesi delle conoscenze sulle terre e i mari nuovamente scoperti ed esplorati appaiono, nonostante le difficoltà di cui sopra si è accennato, nel campo cartografico. Appaiono in Italia, perché l'Italia è tuttora il maggior centro del movimento di studî e di commerci, e più specialmente a Venezia e a Roma dopo la metà del sec. XVI. Le carte di Tolomeo, riprodotte, come si è detto, in diecine di edizioni, non servono più all'uso quotidiano, sia perché rispecchiano le condizioni dell'evo antico, non del momento attuale, sia perché non figurano i paesi nuovi, che sono ormai tanta parte del mondo. Per la prima di queste ragioni tavole nuove di taluni paesi europei, si erano già accompagnate a edizioni quattrocentesche della Geografia di Tolomeo; più tardi appaiono carte dell'Africa, dell'Asia e soprattutto dell'America; a poco a poco queste tavole moderne si moltiplicano, nelle successive edizioni, fino a superar di numero le tavole tolemaiche, ormai disusate e perpetuantisi immutate per la sola venerazione del nome. Spesso alle nuove tavole si accompagnano brevi descrizioni dei paesi, che vengono a costituire un commento alla nuova serie di carte. In connessione con ciò anche taluni problemi generali (dimensioni della terra e misura delle distanze, fondamenti matematici della cartografia, ecc.) si riprendono, in discorsi introduttivi o in commentarî alle raccolte cartografiche, che hanno pur sempre il nome di Tolomeo, ovvero anche in opere speciali (ad es., il Cosmographicus liber di Pietro Apiano, 1524). Un passo più avanti, decisivo, fu fatto, sempre nel campo cartografico, quando si osò abbandonare definitivamente le vecchie carte di Tolomeo e comporre una raccolta di sole tavole moderne di geografia; il primo tentativo di questo genere fu fatto in Italia; indi, in forma più perfetta, nei Paesi Bassi, col Theatrum Orbis Terrarum di Abramo Ortelio (1570), le cui carte, tutte moderne, sono pur accompagnate, nelle successive edizioni, da commenti illustrativi, e meglio ancora, con l'Atlas di G. Mercator, pubblicato postumo, preceduto da una serie di disquisizioni Cosmographicae meditationes de fabrica mundi et fabricati figura (v. atlante). Anche i problemi di cartografia teorica, già trattati da Tolomeo, sono ripresi; parecchie nuove proiezioni sono proposte e applicate: la cartografia moderna alla fine del Cinquecento può dirsi già sorta (v. cartografia).

Le sintesi descrittive dei risultati delle nuove scoperte, cioè le opere geografiche nel senso più ristretto della parola, furono, per le accennate ragioni, più laboriose. A soddisfare la curiosità del pubblico appaiono dapprima raccolte di relazioni di viaggiatori e navigatori, come quella celebre di G. B. Ramusio, o anche descrizioni generali di tutto il mondo, come la grande Cosmographia Universalis di Sebastiano Münster (1544), il cui enorme successo, attestato dal grandissimo numero di edizioni apparse in varie lingue per circa un secolo, non è tuttavia pari al valore scientifico, dacché in essa difetta ancor troppo il lavoro di critica: l'elemento fantastico e meraviglioso vi è mescolato con l'elemento reale, derivato da genuine osservazioni e da sicura esperienza di cose vedute. Meglio appare il lavoro di coordinazione e di critica in opere italiane alquanto più tarde, come le Relazioni Universali di G. B. Botero, le quali rappresentano veramente un abile tentativo di sintesi, per vero soltanto parziale, di elementi statistici e geografici.

Si moltiplicano intanto nella seconda metà del Cinquecento e ai primi del Seicento scritti speciali: oltre ad opere di cosmografia e ad altre, assai numerose e talora voluminose, d'intento pratico, per sussidio ai naviganti e agli uomini di mare (Pietro de Medina, Luca Aurigario, W. Barendszoon, B. Crescenzio), si hanno scritti sull'oceano e sui suoi fenomeni (Botero, J. Voss), trattazioni sui fenomeni vulcanici e sismici, e poi una larga letteratura di descrizioni regionali, riflettenti anche i paesi nuovamente scoperti e visitati, e perfino dizionarî di geografia.

Le carte di Tolomeo, divenute inutili come rappresentazioni attuali, restano di uso larghissimo e di ausilio prezioso per gli studî sull'età classica; anzi, accanto ad esse altre carte si preparano, con lavoro originale, allo scopo di rappresentare unicamente le condizioni dell'evo antico, e ad esse si uniscono commenti sotto varie forme: così dalla geografia moderna si separa, proprio in questo tempo, la geografia antica o storica, che avrà in Filippo Clüver (1580-1622) il suo maggior rappresentante (v. Clüver).

Ma i tempi sono ormai maturi anche per una sintesi generale nel campo della geografia moderna. Scosso ormai dalle basi tutto il vecchio edificio delle dottrine aristotelico-scolastiche, tramontata l'autorità di Tolomeo anche come astronomo - allorché di contro al sistema geocentrico che per tutto il Medioevo si era perpetuato col suo nome, si eleva la nuova costruzione del sistema eliocentrico copernicano - l'ambiente è preparato per una completa rinnovazione, resa ormai possibile dalla sistemazione di tutto il materiale di osservazioni, di dati e di fatti nuovi accumulatosi per effetto delle grandi scoperte. L'opera sintetica più degna di considerazione, almeno dal punto di vista metodico, appare nei Paesi Bassi, ai quali già da qualche tempo era passato, dall'Italia, il primato nella cartografia: è la Geographia generalis in qua affectiones generales telluris explicantur di Bernardo Varenio (1650). In quest'opera forse per la prima volta, dopo Eratostene e la sua scuola, la geografia ci appare come scienza bene individuata, come organismo completo di dottrine con fini e metodi proprî. Nell'opera del Varenio, che molto si distanzia da qualche tentativo precedente (Systema Geographiae generalis del Christiani, 1645), tutto il materiale delle nuove conoscenze viene utilizzato per spiegare i fenomeni terrestri, i quali sono indagati nei loro rapporti causali, secondo un criterio veramente moderno; le correlazioni fra i varî fatti fisici sono messe, per quanto allora si poteva, in evidenza; le affectiones telluris (fenomeni geografici in senso lato) sono divise nelle tre categorie di affectiones caelestes, terrestres e humanae, onde di qui prende in sostanza l'origine la tripartizione della geografia, che, ripetuta e divulgata in un'opera molto nota di Guglielmo Sanson il Giovane (Introduction à la géograplie, 1681), è rimasta, si può dire, fino ai nostri giorni. Ma il Varenio non ha veramente trattato di proposito la geografia umana; il suo è un trattato di geografia matematica e fisica generale; egli ha in effetto distinto chiaramente fra la geografia generale, che molti chiamavano ancora Cosmografia, e quella particolare o regionale (si ricordi il titolo dell'opera, di pochi anni anteriore e di molto minor levatura, di Paolo Merula: Cosmographiae generalis libri tres, item Geographiae particitlaris libri quatuor, 1636). Mentre il Varenio si eleva direttamente all'indagine dei fenomeni generali e dei principî supremi della scienza, una raccolta pazientemente ordinata e criticamente elaborata dei dati di fatto relativi a tutti i problemi matematico-fisici della geografia era consegnata dal gesuita G.B. Riccioli nella sua Geographia et Hydrographia reformata (1661), e contemporaneamente un esame di tutti i fenomeni terrestri, ricco d'ipotesi ardite ma scarsamente appoggiate a elementi probativi, era fatto da un altro gesuita, Atanasio Kircher, nel suo Mundus subterraneus (1664).

Fra tutte queste opere, quella del Varenio, che ebbe numerose edizioni e traduzioni (celebre l'edizione del 1672 curata da Isacco Newton), mantiene il primato per circa un secolo (proprio di cento anni dopo è l'Introduzione alla conoscenza matematica e fisica del globo terrestre, di un altro olandese, il Lulof, che non rivela alcun progresso) e ben può dirsi rappresenti, sotto nuova forma, in relazione ai tempi nuovi, la resurrezione dell'indirizzo eratostenico della geografia, come in quella del Botero si è voluto vedere, almeno sotto certi aspetti, la resurrezione dell'indirizzo straboniano.

Ma questo secondo indirizzo, che nello studio della Terra dava maggior peso all'uomo e alla sua attività, doveva acquistare gradualmente e mantenere a lungo il sopravvento: appaiono infatti molte opere di geografia descrittiva rispondenti ai bisogni comuni delle persone colte, mentre la geografia generale nel significato e nell'oggetto precisato dal Varenio passa in seconda linea, tanto da farci apparire il dotto olandese come un precursore isolato. A ciò contribuì anzitutto il fatto che molti gruppi d'indagini, coordinati dal Varenio nell'organismo della geografia scientifica, mostrano ora una tendenza a individuarsi in corpi di dottrine separate. In primo luogo i problemi fondamentali della geografia matematica, cioè quelli sulla forma e le dimensioni della Terra, già nel corso del sec. XVII venivano assunti dalla nascente geodesia: dopo che Snellius nel 1617 ebbe applicato per la prima volta il procedimento della triangolazione, vengono eseguite le prime misure di gradi di meridiani (Picard; Cassini, Maupertuis e Clairaut; La Condamine: secoli XVII-XVIII); anche il pendolo viene applicato alla determinazione della forma della Terra, della quale Huygens e Newton affrontano lo studio grnerale teorico.

Per la cartografia - salita, come si è detto, in gran fiore nei Paesi Bassi coi successori di Mercator (Hondio; Blaew, ecc.) ed assurta poi a grande sviluppo anche in Francia, soprattutto per opera di Nicola Sanson (1600-1667) - s'inaugura un nuovo periodo, il periodo scientifico moderno, determinato dall'introduzione dei sistemi di rilievo geodetico-topografici e dallo studio di nuove proiezioni; nel 1679 s'inizia la grande carta di Francia sulla base delle determinazioni astronomiche e geodetiche di Picard, De la Hire e Cassini, nel 1682 si pubblica il famoso planisfero del Cassini; poco dopo Guglielmo Delisle (1674-1726) rinnova la cartografia generale e speciale d'Europa e dei paesi europei; la sua opera è continuata in Francia da G. B. Bourguignon d'Anville (1697-1782).

Dal corpo materno della geografia si stacca nel sec. XVII anche la geologia. Dopo che Leonardo da Vinci, Bernardo Palissy e altri avevano riconosciuta la vera natura dei fossili (e il Palissy, precorrendo i tempi, aveva espresso anche ardite ipotesi sull'evoluzione del nostro pianeta), dopo che Descartes aveva affrontato i problemi più generali sullo stato interno della Terra, sull'orogenesi, ecc., basando peraltro le sue speculazioni quasi esclusivamente su costruzioni teoriche, il danese Nicola Stenone (1631-86), professore a Padova e poi a Firenze, in base a osservazioni fatte specialmente in Toscana, gettava le basi della stratigrafia, formulandone chiaramente i principî essenziali. La scienza si costituisce poi definitivamente nel sec. XVIII, per opera di Buffon, Hutton, De Luc, L. v. Buch, ecc.; tuttavia dai primi geologi essa è ancora talvolta considerata parte della geografia fisica (v. geologia).

Al sec. XVII risalgono le prime misure di altezza col barometro e i primi studî sulle variazioni della pressione; Halley trova la formula per la misura delle altezze e abbozza la prima teoria dei venti costanti; dopo la metà del sec. XVIII si fanno sempre più frequenti le osservazioni di temperatura e di pressione, s'inizia lo studio sperimentale dei venti e si avvia così il sorgere di una scienza dell'aria (la meteorologia nel senso moderno della parola). Lo studio del mare tende pure a costituirsi in una disciplina a parte, soprattutto per opera del bolognese L. F. Marsigli (Histoire physique de la mer, 1711, e altre opere). Uno studio generale, scientifico, dei problemi geografici relativi ai rapporti fra la terra e l'uomo non è ancora sorto, né poteva per ora sorgere; solo talune influenze, per es. quelle del clima, sono da tempo ammesse e indagate.

In tali condizioni la geografia del sec. XVIII rimane quasi esclusivamente rappresentata dall'indirizzo storico e da quello descrittivo, ma il primo appare legato sempre più alla cartografia (Atlas antiquus e Géographie ancienne del D'Anville). L'indirizzo descrittivo vede come oggetto ultimo della scienza geografica quello di raccogliere ed esporre ordinatamente il maggior numero possibile di dati e di fatti, attinti alle fonti più accreditate, sia sui varî elementi fisici di ogni paese (confini, orografia, fiumi e loro corso), sia soprattutto sui prodotti d'ogni genere, sulla loro qualità e quantità, sulle industrie, i commerci, le caratteristiche umane (razze, popoli, lingue, religioni, densità di popolazione, ecc.), sulle istituzioni politiche e sociali dei diversi stati, sulla loro potenza militare, ecc. Per queste ultime parti la geografia si presentava come ausiliaria delle nuove discipline economiche e sociali, salite a gran fiore nel sec. XVIII specialmente nel periodo del cosiddetto illuminismo. Così le opere geografiche crescono enormemente di mole, fino a raggiungere le dimensioni della Neue Erdbeschreibung di Antonio Büsching (1754; trad. italiana in 29 tomi, Venezia 1774-80), superata del resto da altre successive, e si riempiono di dati statistici, giovandosi appunto del gran sviluppo che precisamente allora veniva prendendo la statistica (Schlözer, Achenwall). Ma, poiché buona parte dei dati rapidamente invecchiava, l'utilità di simili lavori, costati spesso lunghi anni di minuziose fatiche, diminuiva in breve tempo; il che spiega anche la moltitudine di libri di questo tipo apparsi l'uno dopo l'altro, i posteriori desunti dai precedenti, ma bene spesso cresciuti di mole.

Non v'ha dubbio che, così concepita, la geografia veniva a perdere gran parte del suo valore come scienza, dacché, mentre si vedeva sottratti alcuni campi d'indagine per il sorgere di nuovi rami speciali dello scibile (meteorologia, ecc.), riduceva d'altro lato il suo contenuto a fatti e dati di carattere transitorio, come tutti quelli che si riferiscono alle varie manifestazioni dell'attività umana, agli ordinamenti politici, ecc., trascurando lo studio dell'ambiente naturale, che merita invece la principale considerazione, come quello che forma il sostrato immutabile (almeno rispetto alla breve nostra esperienza) sul quale l'uomo si muove, agisce e opera.

Le opere di geografia fisica del sec. XVIII - eccezione fatta per le ideazioni ardite di qualche spirito indipendente, come F. Buache (Atlas physique, 1754; Essais de géogr. physique, 1756) che peraltro non ebbero seguito - o sono rielaborazioni di materiale vareniano, come la già citata opera del Lulof, ovvero esorbitano, nonostante il titolo, dai limiti della trattazione geografica vera e propria, rivelando un concetto indeterminato della geografia come scienza (così, ad es., nelle Lezioni di geografia fi. sica di E. Kant; 1ª ed., 2 v0ll., 1802; 2ª ed., 4 voll., 1802-05; nelle quali è introdotto peraltro materiale non proveniente dalle lezioni originali del grande filosofo). In conclusione alla fine del sec. XVIII la geografia traversa una fase veramente critica: essa ha quasi interamente perduto il suo carattere di scienza di osservazione e corre il rischio di perdere la sua stessa individualità, in parte soffocata dalle scienze sorelle, in parte annegata nella statistica.

La geografia nel sec. XIX

A restaurare la nostra scienza, imprimendole un nuovo indirizzo e creandole nuovi campi d'indagine, sopravviene un nuovo movimento di studî e di idee, determinato sia dal sorgere della vera e propria esplorazione scientifica, sia dall'opera innovatrice delle scuole geografiche tedesche. La seconda metà del secolo XVIII aveva veduto una vivace ripresa dei grandi viaggi specialmente marittimi, dai quali risultò il completo riconoscimento dei lineamenti generali dell'Oceano Pacifico (soprattutto per merito delle tre grandiose spedizioni di Giacomo Cook, 1768-79; la seconda in compagnia di R. Forster) e la dimostrazione dell'inesistenza di una Terra australis incognita di enorme estensione, da molti ancora a quel tempo affermata; inoltre una più esatta conoscenza delle coste settentrionali e orientali dell'Asia e dei contorni dell'Australia. Pertanto alla fine del sec. XVIII può per la prima volta fissarsi con qualche precisione il valore del rapporto quantitativo fra le terre emerse e i mari, fondamento di qualunque fatto di geografia fisica. Nel sec. XVI aveva preso consistenza l'opinione che terre emerse e mari si equilibrassero per area alla superficie del globo, e tale opinione è condivisa dal Varenio; l'accertamento che gli spazi oceanici occupano invece quasi i tre quarti dell'area totale viene a sconvolgere del tutto concetti antiquati, ma tuttora assai radicati (v. Terra).

S'iniziano contemporaneamente le vere e proprie esplorazioni, guidate da intenti puramente scientifici e con adeguata preparazione dei loro esecutori (C. Niebuhr in Arabia, 1761-67; S. Pallas in Siberia, 1768-74; J. Bruce nell'Etiopia, 1769-72; R. Forster con G. Cook nel Pacifico meridionale e nel Mare Polare, 1772-75, ecc.). Nel 1784 sorge in Inghilterra la Società asiatica, nel 1778 l'Associazione per l'esplorazione dell'Africa, la quale, nei primi decennî del sec. XIX promuove ardite spedizioni specialmente nel bacino del Niger e nel Sudan. Anche l'interno dell'America, tanto nel nord quanto nel sud, diviene meta di frequenti viaggi scientifici. Nel 1821 è fondata la Società geografica di Parigi, nel 1828 quella di Berlino, nel 1830 quella britannica. Con questo nuovo sviluppo dell'attività esploratrice si collega per varie vie l'opera di costruzione e di sintesi di Alessandro di Humboldt e di Carlo Ritter, che possono considerarsi come gl'instauratori della geografia moderna.

Il Humboldt (1769-1859), naturalista d'origine, è veramente il primo viaggiatore-geografo nel senso genuino della parola; infatti fondamento della sua opera scientifica furono le esplorazioni compiute nelle Ande settentrionali, nelle Antille e nel Messico (1799-1804), cui aggiunse in seguito un viaggio in Siberia. Per la scienza geografica egli ha anzitutto importanza per avere - seguendo un movimento da poco iniziatosi in Europa (O. B. De Saussure, Voyages dans les Alpes, Neuchâtel 1780-96) - presa in considerazione su larga scala la terza dimensione, l'altitudine, e gettate le basi dello studio scientifico del rilievo terrestre. Ma egli è anche il primo a fare osservazioni e misure sistematiche, oltre che sull'altitudine, sugli elementi del clima (temperatura, piovosità) e altresì studî sui terreni e la vegetazione, e anche indagini sui fatti umani (tipi e ripartizione delle abitazioni, ecc.). Ma nello studio di qualunque dei su accennati fenomeni, il Humboldt tende ad assurgere, dall'esame delle condizioni in cui esso si verifica nella regione visitata, alla ricerca delle altre regioni nelle quali lo stesso fatto o fenomeno si osserva, indagandone insomma la distribuzione spaziale e le leggi di questa distribuzione; lo studio della distribuzione spaziale di un fenomeno, più che del fenomeno in sé, diviene fine precipuo del geografo. E, accanto a questo fine, un altro, del resto strettamente collegato, se ne delinea; in quanto lo studio di un dato fenomeno in una data regione conduce il Humboldt a ricercare tutti gli altri fenomeni che con quello possono aver relazione di causa a effetto: così, studiando il clima, ne mette in luce i rapporti con la vegetazione, studiando le sedi umane, cerca indagare i rapporti di esse col rilievo, col clima, con la vegetazione. Lo studio della coordinazione dei fenomeni nello spazio e delle loro reciproche connessioni e interdipendenze diviene con il Humboldt l'oggetto supremo della scienza geografica e l'elemento che distingue e individua la geografia dalle altre scienze. Nel campo della biogeografia il Humboldt appare un novatore col suo suggestivo libro Ideen zu einer Geographie der Pflanzen (1805), che ha alcuni punti essenziali di contatto con la Tiergeographie dello Zimmermann (1778). Non va dimenticato che sin dal 1775 era comparso il celebre libretto di E. F. Blumenbach, De generis humani varietate nativa, che contiene lo schema di una classificazione delle razze umane su base geografica.

Il Ritter (1779-1859), discepolo di G. G. Herder, è invece un geografo da tavolino e un maestro. Nella sua Allgemeine vergleichende Erdkunde (2ª ed., rimasta interrotta dalla morte; 10 voll., comprendenti l'Africa e parte dell'Asia), ciascuna regione non è solo considerata in sé, come di solito nelle vecchie opere a base statistica, ma come parte d'un unico organismo, il globo terraqueo, la quale è in continue e necessarie correlazioni con le altre. Nessuno ha inteso meglio di lui il cosiddetto principio di coordinazione spaziale; ma questo principio egli lo ha poi specialmente applicato allo studio dell'azione reciproca dell'uomo sull'ambiente e dell'ambiente sull'uomo: studiando a fondo l'ambiente fisico d'una regione cerca di mettere in rilievo l'influsso che esso esercita, mediante l'esame comparativo delle caratteristiche e delle vicende dei diversi popoli che abitarono la regione. Anche un altro principio fondamentale della geografia, quello di causalità, è in tal modo da lui avvertito, ma non sempre applicato entro giusti limiti.

I caratteri peculiari che contraddistinguono l'indagine geografica possono dunque dirsi ormai determinati dopo Humboldt e Ritter. Sennonché gl'indirizzi da loro avviati erano sostanzialmente diversi e, per molto tempo, in Germania e fuori, mancò chi sapesse vederne la compenetrazione e la fusione. Humboldt non trovò subito continuatori dotati di mente altrettanto larga e comprensiva quanto la sua, laddove Ritter, professore a Berlino per mezzo secolo, educò una folla di scolari, reclutatati in massima parte fra gli studiosi di scienze storiche e proclivi sempre più a considerare, sulle orme del maestro, lo studio dell'influenza dell'ambiente sulla vita e lo sviluppo storico dei popoli (C. Kapp, Philosophische Erdkunde, 1845). E così uno scolaro del Ritter, il Guthe, autore d'un diffusissimo manuale di geografia per le scuole tedesche, scriveva (1868): "La Geografia c'insegna a conoscere la Terra come sede e dimora degli uomini". Per tal modo la geografia fisica, nonostante la meravigliosa opera del Humboldt, passava ancora in seconda linea, a favore della concezione storica della geografia, predominante tra il 1840 e il 1870. È questo un periodo molto importante giacché in questo tempo la geografia entrava ufficialmente tra gli insegnamenti universitarî in molti stati d'Europa; vi entrava, pertanto, come scienza sussidiaria o collaterale della storia e di altre scienze morali, di solito nelle facoltà filologico-storiche.

Sennonché una reazione in favore della geografia fisica si verifica dopo il 1870, determinata da una felice concomitanza di varie circostanze: a) i nuovi progressi delle esplorazioni, soprattutto nelle regioni polari, in quelle a clima desertico, nelle zone equatoriali, nelle grandi aree montagnose; e ancora l'esplorazione delle grandi profondità oceaniche; b) il nuovo orientamento delle scienze naturali, soprattutto di quelle biologiche; c) il grande sviluppo della cartografia topografica in tutti i paesi civili.

a) L'esplorazione scientifica, proseguita durante il sec. XIX con grande attività, condusse alla soluzione di tutti i maggiori problemi relativi all'Africa (scoperta delle sorgenti del Nilo, esplorazione del bacino del Congo e degli altri grandi bacini fluviali, traversata e riconoscimento del Sahara, delle zone a foreste equatoriali, ecc.), e in pari tempo al riconoscimento delle aree interne dell'Asia e dell'Australia, ecc. Oggetto particolare dell'attività esploratrice furono poi le calotte polari: sia quella artica, dove furono riconosciuti il passaggio di NE. e quello di NO., il mondo insulare nordamericano e le condizioni geografiche e fisiche del Mare Artico, raggiungendosi finalmente (1903) il polo stesso (v. Artiche, regioni; Artico, mare); sia quella antartica, dove i viaggi diretti ad avvicinarsi sempre più al Polo (J. Ross, 1842) condussero all'accertamento dell'esistenza di un vasto continente antartico, noto ormai nei suoi contorni e nei suoi caratteri generali e sul quale fu anche raggiunto, con spedizioni in slitte (Amundsen, 1911) il Polo. Con l'esistenza di questo continente è collegata tutta una serie di problemi morfologici, glaciologici e climatici (v. Antartide).

Dopo il 1850 cominciò anche, soprattutto per fini pratici (posa di cavi telegrafici sottomarini), l'esplorazione delle profondità oceaniche, su cui si avevano fin allora nozioni errate; il viaggio della nave Challenger (dal 1872 al 1876), quelli delle navi Gazelle e Tuscarora, si può dire che rivelassero misteri del tutto ignorati, sia nel campo fisico, sia in quello biologico; da allora le esplorazioni sono continuate e hanno procurato la conoscenza fondamentale delle condizioni batimetriche, fisiche e biologiche di tutti gli spazî oceanici. Ora da questo grande movimento di esplorazioni derivò, ancora una volta, una massa enorme di dati e di fatti nuovi nel campo della geografia. Fatti e aspetti della superficie terrestre, già ben noti nei paesi europei e in altri di più antica conoscenza, venivano ora riconosciuti sotto nuove forme e nuovi tipi, in ambienti diversi dai nostri; per questa via a poco a poco la nozione generale di tutte queste classi di fatti si completava e se ne poteva iniziare uno studio sistematico e un tentativo di classificazione. Così lo studio dei ghiacciai (glaciologia) era già sorto, ma per lungo tempo fu limitato alle Alpi, dove s'incontrano due o tre tipi di ghiacciai; tutta la glaciologia era glaciologia alpina. Ma col progresso dell'esplorazione degli altri grandi sistemi montuosi del globo, si conobbero molti altri tipi di ghiacciai ignoti alle Alpi e si arrivò a farne uno schema di classificazione. Altrettanto si puo ripetere, ad es., per i fiumi, dei quali a lungo si conobbero bene solo i tipi proprî dei paesi europei e degli altri prossimi al Mediterraneo, per le forme carsiche, ecc.

b) I principî generali della mutabilità ed evoluzione delle specie vegetali e animali in rapporto con l'ambiente, non soltanto fornirono il sostrato per la costituzione, su nuove basi, della geografia botanica e della geografia zoologica, ma aprirono l'adito a più larghe concezioni, in quanto se ne poteva intravedere l'applicazione ai fatti umani studiati dalla geografia, taluni dei quali si presentavano sotto una luce nuova. In questo campo esercitava particolare influenza in Germania l'opera di Maurizio Wagner.

c) Dopo la metà del sec. XIX tutti gli stati civili d'Europa cominciano ad avvertire imperiosa la necessità - già sentita da taluni alla fine del sec. XVIII - di possedere esatte rappresentazioni cartografiche a grande scala del proprio territorio, fondate su rilievi topografici. Il valore delle carte topografiche si rivelò enorme per qualsiasi studio di geografia fisica: esse permettevano di sostituire, a indagini grossolane e sommarie, investigazioni minuziose e rigorose, offrendo ovunque una solida base per osservazioni dirette e anche elementi preziosi a integrazione di quelle, in modo che quasi ogni fenomeno o ogni categoria di fenomeni della superficie terrestre emersa poteva nuovamente essere preso in esame con metodi di gran lunga più affinati. E poiché i rilievi topografici presto si estesero anche a talune grandi aree extraeuropee - ad es., territorî appartenenti a stati europei, come l'India, il Canada, l'Australia, o paesi civili d'oltremare, come gli Stati Uniti e il Giappone - e i metodi di rilievo e di rappresentazione si vennero abbastanza uniformando, si rese anche via via possibile di moltiplicare quelle indagini comparative dei fenomeni, le quali costituiscono una delle caratteristiche precipue della geografia moderna.

Nel 1869, Oscar Peschel, in origine discepolo del Ritter, pubblicava i suoi Neue Probleme der vergleichenden Erdkunde als Versuch einer Morphologie der Erdoberfläche, nei quali - riprendendo uno dei supremi principî del Ritter, quello cioè che il nostro globo sia da considerare, e nel suo complesso e nelle sue varie parti, come un organismo vivente - applicava tale principio allo studio dei fenomeni fisici della Terra, affermando che tutti i fenomeni della superficie terrestre debbono essere studiati, nelle loro reciproche relazioni e connessioni, come altrettante manifestazioni della vitalità del globo terrestre intimamente e indissolubilmente legate le une alle altre (concetto ologeico); la vita vegetale e animale è uno dei tanti fenomeni terrestri che la geografia studia, non in sé e per sé, ma nella sua distribuzione spaziale e nelle connessioni con altri fatti (clima, suolo). La geografia fisica è dunque concepita come una vera e propria fisiologia della Terra. Mai prima l'oggetto e i compiti di questo ramo della geografia né la posizione della biogeografia a fianco della geografia fisica erano stati definiti tanto chiaramente. Il Peschel, autore fecondo e chiaro, fece scuola: tra i molti suoi seguaci, spinti, talora con esclusivismo, alle indagini di geografia fisica, e gli ultimi seguaci del Ritter, sempre più dominati da tendenze storiche, sorsero fiere controversie: per un certo tempo i geografi, in Germania, e anche fuori, furono divisi fra pescheliani e ritteriani, e si manifestò nella geografia un dualismo, che in seguito doveva, come vedremo, risultare in realtà inesistente.

Ma le indagini proseguite sopra le solide basi poste dal Peschel mostrarono sempre meglio come la geografia fisica mettesse in vista gli elementi permanenti o per lo meno più stabili dell'ambiente nel quale l'uomo si muove e opera; come perciò anche gli studî relativi ai fatti umani dovessero necessariamente prender le mosse dall'esame del quadro fisico. Lo sviluppo degli studî di geografia fisica fu grandemente agevolato anche dai progressi della geologia e specialmente dal moltiplicarsi dei rilievi geolitologici a grande scala iniziati in molti stati civili. I legami tra geografia fisica e geologia si stringevano sempre più, anzi dal connubio tra le due scienze nasceva un nuovo ramo di ricerche, che, con espressione già usata dal Peschel, si disse morfologia terrestre; essa studia la superficie solida della Terra nelle sue forme e nei suoi tipi, nella sua evoluzione, quale risultato dell'opera di agenti che continuamente lavorano sotto i nostri occhi a plasmarla e a trasformarla. F. v. Richthofen, E. Suess, E. Brückner, A. Penck, e in Francia E. De Margérie ed E. De Lapparent, possono considerarsi come i fondatori di questo ramo di studî, cui si devono i primi tentativi di sistematica delle forme del terreno.

Nonostante questo connubio fra le due scienze della terra, si potevano tuttavia, nel campo metodico, distinguere i limiti dell'una verso l'altra: lo stesso Richthofen, in un discorso rimasto celebre (Aufgaben und Methoden der heutigen Geographie, 1885) precisava che la geografia fisica studia solo la superficie terrestre, lasciando lo studio del sottosuolo alla geologia; il geografo inglese Mackinder definiva la geografia come la scienza del presente della Terra spiegato col passato, la geologia come la scienza del passato spiegato col presente; definizione che vale soprattutto a chiarire gli aiuti vicendevoli che si possono porgere le due scienze, tra le quali esiste tuttavia un divario profondo, non nell'oggetto, ma nei metodi di ricerca. Prima e meglio di questi due, l'italiano G. Dalla Vedova tornando ancora alle idee madri di Humboldt e di Ritter, stabiliva in forma precisa e sicura che il compito peculiare alla geografia, quello che meglio la individua dalle altre scienze, consiste nell'accertamento della distribuzione e delle correlazioni causali fra le forme, i fenomeni, gli esseri che hanno sede sulla superficie terrestre (Il concetto scientifico e il concetto popolare della geografia, 1881). Un indirizzo estremo della geografia, che tenderebbe a far rientrare tutti gli argomenti di studio nel campo della geografia fisica (rappresentato, ad es., da G. Gerland), non ebbe molto seguito; ad esso si riattacca tuttavia, in sostanza, il disegno del primo e finora unico Atlante fisico generale, completo, quello di H. Berghaus, il quale comprende carte relative non solo a fatti biogeografici, ma anche a fatti etnografici.

Ma dopo il 1880 risorge, nella stessa Germania, con intenti e indirizzi rinnovati, anche lo studio geografico dei fatti umani, anzi si costituisce un ramo ben definito della nostra scienza, per il quale si adotta il nome, datole da F. Ratzel, di antropogeografia o geografia antropica (in fr. géographie humaine; in it. geografia antropica o anche antropogeografia). Se il Ratzel non può dirsene a rigore il creatore - perché molte delle sue idee direttrici si ritrovano precedentemente, soprattutto presso scrittori italiani del secolo XIX (Melchiorre Gioia, C. Cattaneo, G. D. Romagnosi) - egli ne fu senza dubbio il sistematore, soprattutto con l'ampio trattato in due volumi Anthropogeographie (1882-1891), con altre opere di gran mole (Politische Geographie, 1897; Die Erde und das Leben 1901-02) e con molti altri scritti minori. Il Ratzel riprende consapevolmente alcuni concetti ritteriani, ma trae specialmente i suoi principî fondamentali dall'evoluzionista M. Wagner, e, in quanto cerca di ricondurre l'indagine geografica dei fatti umani ai suoi fondamenti naturalistici, si riattacca anche al Peschel. Il Ratzel ha collocato definitivamente l'antropogeografia al suo vero posto entro l'ambito della biogeografia, in quanto ha cercato anzitutto di gettare le basi di una trattazione comprensiva dei problemi generali che concernono la diffusione e la distribuzione, sulla superficie terrestre, della vita in genere (senza distinzione di vita vegetale, animale, umana). Il Ratzel rappresenta la vita come formante uno strato pressoché continuo, sebbene di spessore diverso, intorno alla Terra; pone cioè una biosfera accanto all'atmosfera e all'idrosfera. Come l'aria e l'acqua, la vita è in perpetuo movimento alla superficie terrestre e come fenomeno di movimento presenta, sia nel suo insieme, sia in ogni suo gruppo o forma, dei limiti, al pari di altri fenomeni del mondo fisico; lo studio dei limiti dei fenomeni biologici e umani è divenuto, dopo il Ratzel e per merito suo, un'indagine schiettamente geografica. Nella biosfera tutti gli organismi, e perciò anche i gruppi umani, vivono e si muovono entro i limiti di un certo quadro naturale, e hanno bisogno, per svilupparsi, di un certo spazio. Quegli organismi o quei gruppi di organismi che dispongono d'un più largo spazio per svilupparsi liberamente, hanno maggiore probabilità di evolversi e dì progredire: la lotta per l'esistenza si risolve per il Ratzel in una lotta per lo spazio; questa è, anzi, secondo lui, la legge dominatrice di tutto lo sviluppo del mondo organico (ed egli la applicherà, più tardi, anche agli stati, traendone deduzioni di cospicua importanza politica). In questa lotta l'uomo trionfa sugli altri organismi viventi, perché, mentre possiede una larghissima facoltà di adattarsi all'ambiente, ha anche la capacità di reagire verso l'ambiente che lo circonda e di modificarlo, entro certi limiti, a proprio vantaggio. Perciò nello studio dei rapporti fra la terra e l'uomo, accanto alle influenze dell'ambiente sull'uomo, vi è luogo a considerare le influenze dell'uomo sull'ambiente. Il Ratzel analizza per la prima volta in modo concreto le influenze dell'ambiente sull'uomo, cioè del territorio abitato sui suoi abitatori (situazione del territorio, forma, estensione, confini; rilievo, acque, costituzione geolitologica, fattori climatici; ambiente biologico); come pure indaga, viceversa, la diffusione e la differenziazione dell'umanità sulla superficie terrestre in relazione con quelle influenze, e perciò anzitutto l'area e i limiti dell'habitat della specie umana, o ecumene, la diversa densità di stratificazione dell'uomo su essa, i caratteri e la distribuzione delle tracce che l'uomo imprime sulla faccia della terra (dimore, strade, coltivazioni, ecc.). Si delinea dunque una doppia serie di problemi - o forse meglio due opposte facce degli stessi problemi - che formeranno d'ora in poi il contenuto principale della geografia antropica.

L'opera del Ratzel, ben lungi dall'essere perfetta, suscitò fiere critiche anche in Germania. Troppo dominato da tendenze naturalistiche, egli non appare affatto esauriente nello studio dei fatti dipendenti dalle reazioni dell'uomo sull'ambiente, ossia delle trasformazioni che l'uomo produce sulla terra per il fatto, non solo di abitarvi, ma di utilizzarne le risorse (del mondo vegetale, animale, minerale) e di ripartirsi in diversi aggruppamenti etnici, politici, sociali. Inoltre egli esagera nel ricercare la spiegazione dei fatti umani in cause d'ordine naturale, trascurando i fattori d'ordine storico e culturale. Dopo il Ratzel l'antropogeografia dovra ancora allargare i suoi campi d'indagine e mutare anche, notevolmente, il suo orientamento. Ma, nonostante le sue esagerazioni e i suoi difetti, il Ratzel ebbe grande importanza anche come maestro, dacché, mentre fervevano le dispute intorno al valore generale delle sue idee dal punto di vista metodico, molti scolari applicavano i principî generali a tutta una serie di ricerche monografiche.

Sebbene le idee del Ratzel non avessero immediatamente un notevole seguito fuori della Germania, questo paese appare ancora, nell'ultimo quarto del secolo scorso, alla testa degli studî geografici. Ma anche in altri stati, la geografia, rinnovata, faceva ormai rapidi e vivaci progressi. In Francia, mentre fiorivano gli studi di geografia fisica e assumevano un indirizzo più rigoroso le indagini di geografia regionale, E. Reclus intraprendeva una grande opera di divulgazione geografica, abbracciante, col titolo Nouvelle géographie universelle (1875-94), la descrizione di tutto il mondo basata sullo studio dei rapporti fra il suolo e l'uomo. L'importanza di questa opera dal punto di vista metodico sta nel suo carattere scientifico e divulgativo insieme.

Opere di intenti analoghi appaiono anche altrove (in Italia La Terra, diretta da G. Marinelli e scritta da numerosi collaboratori: 1882-1901); si tentano anche intere collezioni organiche di manuali geografici (ad es., la Bibliothek geographischer Handbücher, fondata da F. Ratzel e poi diretta da A. Penck); si rinnovano i dizionarî di geografia (il maggiore è il Nouveau dict. de géogr. univ. di P. Vivien de Saint-Martin, 1879-94), e acquistano una straordinaria diffusione gli atlanti di geografia, i migliori dei quali sono ancora prodotti in Germania (Atlante di Stieler, 1ª ed. 1821; 10ª ed. 1921; Atlanti di André, Debes, ecc.; v. atlante). Anche le società geografiche si moltiplicano (Soc. geogr. di Vienna, 1845; Soc. geogr. americana, 1852; Soc. geografica russa, 1865; Soc. geogr. italiana, 1867; Soc. geogr. di Madrid, 1875); tutti gli stati civili ne hanno ormai una o parecchie (v. anche bibl.).

In conclusione, alla fine del sec. XIX la geografia - lasciata ormai definitivamente ad altre scienze (astronomia, geodesia, fisica) le ricerche sulla forma e le dimensioni della Terra, sulla posizione di questa nel cosmo e nel sistema solare, che formavano già la cosiddetta geografia astronomica o matematica - appare saldamente costituita nei suoi due grandi rami, la geografia fisica e la geografia antropica, ciascuno individuato da oggetti e compiti proprî.

La geografia contemporanea

Se noi esaminiamo un mappamondo, anche di modeste dimensioni, di cento anni fa, cioè dell'epoca di Humboldt e di Ritter (p. 609), troviamo ancora, sulle aree emerse, dei grandi spazî incogniti, che coprono le calotte polari, quasi tutto l'interno dell'Australia, vastissime regioni dell'Africa e dell'Asia. Oggi queste aree incognite sono quasi del tutto scomparse; un mappamondo dei nostri giorni non mostra più che delle piccole macchie bianche nel Sahara, nell'Arabia meridionale, nell'Australia, e soprattutto, ancora, intorno ai Poli. Per condurre a termine il riconoscimento di questi ultimi spazî ignoti, l'esplorazione dispone di nuovi mezzi efficacissimi: l'automobile che si è rivelato di straordinario ausilio, ad es., nella ricognizione delle zone desertiche, i mezzi aerei, sperimentati con successo in quelle stesse zone, ma soprattutto nell'Artide e nell'Antartide (voli di Amundsen, Nobile, Wilkins, Byrd, ecc.). Su essi si basano principalmente i programmi d'esplorazione per il prossimo avvenire.

Molto più imperfetta è tuttora la conoscenza del fondo degli oceani: prima del 1914 gli scandagli fatti nelle aree oceaniche di profondità superiore a 2000 m. (che si ragguagliano a circa 300 milioni di kmq.), non erano forse più di 7000, cioè all'ingrosso uno ogni 40-50.000 kmq. (circa 7 misure sole su un'area pari a quella dell'Italia). Ma anche in questo campo si è acquistato negli ultimi anni un nuovo meraviglioso mezzo d'indagine, quello degli scandagli ad eco, che permette di eseguire in poche ore decine e decine di misure (mentre con gli scandagli a fune una sola misura a profondità abissali richiedeva molte ore). Con questo nuovo procedimento la spedizione tedesca della Meteor (1925-27) ha effettuato nell'Atlantico centrale e meridionale 67.000 scandagli; la campagna idrografica italiana, nel Mare delle Sirti, del 1930, ne ha effettuati, con tre navi, oltre 250.000. Si tratta, in questi casi, di veri e proprî rilievi topografici del fondo dei mari, che, quando si saranno sufficientemente moltiplicati, condurranno a risultati forse inaspettati per la conoscenza della crosta terrestre. Anche l'esplorazione dell'atmosfera, che interessa direttamente la geografia, perché sede, nei suoi strati inferiori, di fenomeni e di forze che modificano continuamente la crosta solida, ha fatto, negli ultimi decennî, nuovi, grandiosi progressi: le osservazioni meteorologiche sistematiche, effettuate nei varî paesi con procedimenti e strumenti analoghi e perciò conducenti a risultati comparabili, si vanno ogni anno moltiplicando: anche qui s'introducono e si perfezionano nuovi mezzi d'indagine (palloni-piloti, palloni-sonde, ecc.; v. meteorologia).

In conclusione si può affermare che il riconoscimento dei lineamenti fondamentali del globo terraqueo e dei suoi fenomeni è oggi compiuto; chiusasi l'epoca delle esplorazioni geografiche estensive, si è invece iniziata quella delle esplorazioni più circoscritte spazialmente, ma più approfondite, condotte con metodi e strumenti sempre più affinati. Soltanto dopo aver acquisita la conoscenza di quei lineamenti fondamentali è divenuto possibile di gettare le basi di una geografia scientifica: lo studioso, dopo aver riconosciuto l'intero globo nei suoi aspetti generali, lo ripercorre nuovamente, passo passo, studiandolo intensivamente, in tutti i particolari della sua mutevole e variopinta fisionomia. Questa è forse la caratteristica più saliente dell'attuale scienza geografica e che meglio ne specifica l'indirizzo ai giorni nostri.

La geografia appare oggi una scienza d'indole complessa, in quanto attrae nel campo delle proprie indagini fatti d'interdipendenza e di reciproche connessioni e relazioni: correlazioni di oggetti e fenomeni fisici fra loro; di fenomeni biologici e umani fra loro e ancora di fenomeni fisici con fenomeni biologici e umani, e viceversa: correlazioni che hanno la loro radice nel fatto fondamentale che questi oggetti e fenomeni coesistono nel medesimo spazio e s'influenzano a vicenda, onde derivano forme e aspetti continuamente modificati della superficie terrestre, ossia quelli che con termine frequentemente usato si chiamano paesaggi geografici.

Un'altra caratteristica della geografia contemporanea, che merita d'essere posta in rilievo, è la scomparsa di quel dualismo che alcuni decennî fa sembrava esistere fra i due rami principali della scienza, la geografia fisica e l'antropica: esse appaiono invece, ormai, accomunate dall'unità dei metodi d'indagine e dall'oggetto finale, che è in sostanza la descrizione, spiegazione e classificazione dei varî aspetti della superficie terrestre, quali risultano dall'opera degli agenti fisici, dalla presenza e dalla differenziazione delle associazioni biologiche, dalla presenza e dall'attività dell'uomo.

I metodi della ricerca geografica

I principî metodici dell'indagine geografica possono ridursi a quattro. Il principio di estensione si concreta nella ricerca dell'area di estensione o di ripartizione d' un fenomeno alla superficie terrestre. Ad es., mentre il geologo analizza il meccanismo del fenomeno vulcanico in sé stesso, il geofisico il meccanismo dei ghiacciai, il geografo studia la distribuzione dei vulcani e dei ghiacciai alla superficie terrestre e la fisionomia dei paesaggi che ne derivano. La statistica esamina - elaborando criticamente dati e indici numerici - l'andamento dei fenomeni demografici, la geografia studia la distribuzione della popolazione sul globo. Nell'indagine di questi fatti distributivi, le rappresentazioni cartografiche arrecano un prezioso aiuto. Una spiccata tendenza della geografia attuale è appunto quella di rappresentare cartograficamente tutti i fatti la cui distribuzione è suscettibile d'essere messa in evidenza con carte. Questo principio ha trovato larghissima applicazione anche nell'Enciclopedia Italiana.

Il principio di coordinazione (che il De Martonne chiama anche "principio della geografia generale") è stato da lui formulato in questi termini (Traité de géogr. physique, I, p. 22): "Lo studio geografico di un fenomeno suppone la preoccupazione costante di fenomeni analoghi che possono manifestarsi in altri punti del globo". Così, ad es., l'analisi dei caratteri delle coste dalmate acquista un valore geografico quando noi possiamo riavvicinarle ad altre sezioni di coste similari, in modo da mettere in vista come quella determinata famiglia di coste si possa spiegare in base ai principî generali della evoluzione delle forme litorali. Come nota il De Martonne, l'applicazione di questo principio presuppone la conoscenza approfondita d'una gran parte del globo terrestre; perciò solo da pochi decennî ha cominciato a dare frutti sicuri. Proprio all'applicazione di questo principio si deve se si è pervenuti a poco a poco a raggruppare i diversi oggetti e fenomeni geografici in famiglie, in tipi, in classi, ecc. (di forme costiere, come di ghiacciai; di vulcani, come di centri abitati, ecc.); la geografia tende con ciò, come prima di lei altre scienze naturali e sociali, a classificare scientificamente i fatti che studia.

Il terzo principio metodico, o principio di causalità, si applica quando dall'esame d'un fenomeno si risale alle cause che ne determinano l'estensione e la distribuzione alla superficie terrestre e nello stesso tempo alle conseguenze di tale ripartizione. Tale ricerca è propria della geografia e individua questa scienza di fronte alle altre scienze fisiche, naturali e sociali con le quali essa è in contatto. L'applicazione di questo principio, avviata già, come si è visto, dal Humboldt, ha impresso una nuova fisionomia a tutti i diversi rami della geografia. La morfologia terrestre e l'antropogeografia ne hanno profittato maggiormente. Ma le cause della distribuzione attuale dei fenomeni e degli oggetti che il geografo esamina, non si ritrovano sempre nelle condizioni presenti; queste debbono essere spiegate col passato. Questa concezione storica, che fu dapprima applicata da una scuola di geografi americani allo studio delle forme del terreno, si è estesa con grande profitto allo studio di tutti i fatti biologici e antropici in specie, poi a quelli climatici, idrografici, ecc. La tendenza a considerare storicamente tutti i fatti è un altro dei caratteri più salienti della moderna scienza geografica.

Un quarto principio, che risulta in sostanza dalla combinazione dei primi tre e trova la sua applicazione soprattutto nella geografia regionale, può dirsi il principio di correlazione; esso fu messo in luce particolarmente dal Peschel, e può enunciarsi dicendo che le varie parti della superficie terrestre, anche se per comodità di studio vengono esaminate isolatamente, debbono pensarsi in continue e costanti correlazioni fra loro, come membri d'un unico organismo.

Geografia fisica

Si è già accennato che lo studio delle forme e degli aspetti della superficie emersa della Terra o morfologia terrestre - si è definitivamente costituito su basi scientifiche nella seconda metà del sec. XIX e in stretto connubio con la geologia. Infatti la morfologia terrestre si è giovata e si giova del fatto che in molti paesi civili si accompagnano oggi ai rilievi topografici, rilievi geologici e idrografici, cosicché, parallelamente alle carte topografiche si possiedono carte geolitologiche, carte dei tipi di suolo, carte idrografiche, talora alla medesima scala e costruite su base comune (come avviene in Italia per la carta topografica e quella geologica) e perfino eseguite contemporaneamente. Sorta, come si è veduto, in Germania, la morfologia terrestre è stata singolarmente vivificata dalla concezione storica sviluppata dal geografo americano W. M. Davis e dalla sua scuola, concezione secondo la quale le singole forme della superficie terrestre sono da considerarsi come in continua trasformazione, anzi come fasi transitorie di un'evoluzione più o meno avanzata, la quale tende verso stadî terminali determinati o determinabili; lo studio del ciclo di questa evoluzione morfologica permette di distinguere nei rilievi terrestri forme giovani, mature, senili, decrepite e anche (poiché il ciclo, una volta compiuto, può in determinate condizioni riaprirsi), ringiovanite, ereditate, ecc. Gli aspetti, così profondamente disformi, di taluni rilievi, possono dunque, almeno in parte, riguardarsi come stadî diversi di uno stesso ciclo morfologico. Tale ciclo si svolge tuttavia in modo differente a seconda della qualità e della struttura del terreno e a seconda dell'agente modellatore che prevale (acque correnti, ghiaccio, vento, ecc.), onde si possono distinguere forme dovute all'erosione fluviale, forme glaciali, eoliche, carsiche, ecc. Queste concezioni ritraggono poi la loro importanza dal fatto che furono dal Davis poste a base d'una descrizione razionale e d'una classificazione delle forme del terreno.

Le concezioni fondamentali della scuola morfologica americana sono oggi vivacemente combattute, soprattutto in Germania, anche da alcuni di coloro che ne erano prima convinti assertori. E nella stessa Germania si è cercato di elevarsi, dalla considerazione delle sole forme del terreno, a una descrizione scientifica di tutto il "paesaggio" (Landschaft) fisico e antropico, sceverandone i singoli lineamenti fisionomici (determinati dal clima, dal rivestimento vegetale, dalle forme del terreno, dal suolo, ecc.); si è arrivati per questa via a una classificazione dei paesaggi e si è cercato di dar vita a un ramo speciale della geografia, la descrizione razionale e comparata del paesaggio (Vergleichende Landschaftskunde di S. Passarge). Altri ha tentato altre vie. Comune a tutti questi tentativi è lo sforzo di porre l'indagine delle forme e degli aspetti della superficie solida della terra su basi sistematiche e di addivenire a una descrizione razionale, esplicativa (non solamente espositiva o rappresentativa) e ad una classificazione di quelle forme e di quegli aspetti. È troppo presto per poter dire quale delle varie vie finora tentate finirà col prevalere (cfr., per maggiori ragguagli, morfologia). Comunque, un altro elemento comune agl'indirizzi moderni della morfologia è la considerazione degli stretti rapporti fra le forme del terreno e il clima; si riconosce infatti sempre più come e quanto le forme superficiali si differenzino, a seconda del differenziarsi dei climi, poiché dalle condizioni del clima dipende principalmente il prevalere dell'uno o dell'altro fra gli agenti modellatori della superficie terrestre. Per questa ragione - e non per questa sola, come vedremo - lo studio del clima, o climatologia, viene oggi considerato come parte integrante della geografia, e si differenzia sempre più dall'indagine del meccanismo dei fenomeni atmosferici, che è fatto dalla meteorologia (v. clima; meteorologia). Ma i rapporti fra morfologia e climatologia sono molto più complessi, in quanto è ormai accertato che le forme del terreno, che noi oggi esaminiamo e studiamo in una data parte della superficie terrestre, sono il risultato, non soltanto delle forze agenti attualmente, ma anche di quelle che agirono in un passato geologicamente non lontano, nel quale peraltro le condizioni del clima potevano essere profondamente diverse. Vi è anzi chi pensa che nelle linee generali le forme attuali siano prevalentemente il risultato di azioni modellatrici svoltesi in climi passati e diversi dall'attuale (Vorzeitformen di Passarge) e che solo il modellamento dei particolari sia opera degli agenti oggi operanti (Jetztzeitformen).

La climatologia - sviluppatasi anch'essa solo in epoca molto recente, da quando cioè si possiedono osservazioni meteorologiche sufficienti ed eseguite con metodi comparabili sulle varie parti della Terra - mira oggi principalmente: a) a distinguere o classificare i varî tipi di climi e a indagarne la distribuzione nelle varie parti della Terra (v. clima); b) a indagare le variazioni del clima nelle epoche geologiche passate (almeno nel più recente passato geologico) e nelle epoche preistoriche e storiche; c) a mettere in luce i rapporti fra le condizioni di clima e la distribuzione della vita vegetale, animale e umana alla superficie della Terra.

Meno progredito della morfologia e della climatologia è un terzo capitolo della geografia fisica, l'idrologia, denominazione che oggi si dà prevalentemente allo studio scientifico delle acque continentali, studio che tuttavia comprende anche parti esorbitanti dal campo della nostra scienza. Anche qui l'impronta geografica deriva dall'applicazione dei principî metodici generali sopra accennati. Il geografo pertanto, da un lato indaga l'evoluzione e le trasformazioni della rete idrografica superficiale, dall'altro cerca di addivenire a una classificazione dei varî tipi di sorgenti e di corsi d'acqua. Ma i tentativi di classificazione sono da poco usciti dallo stadio preliminare, soprattutto per la deficienza che finora si lamenta di osservazioni e misure sistematiche sui caratteri, il regime, ecc., di corsi d'acqua di paesi lontani e poco noti (v. fiume). Appartiene all'idrologia anche lo studio dei laghi, nel quale pure trovano applicazione il criterio storico (indagine della genesi ed evoluzione dei bacini lacustri), il criterio sistematico (classificazione dei laghi) e il criterio distributivo (associazione e distribuzione dei laghi alla superficie della Terra). V. lago; limnologia.

Quanto allo studio degli spazî oceanici, mentre l'indagine delle proprietà fisiche e chimiche delle acque marine e quello del meccanismo e delle cause dei movimenti delle masse acquee, è oggi divenuto compito della fisica terrestre (v. oceanografia; oceano), rientra nel campo della geografia non soltanto lo studio dei mari come agenti modellatori della crosta terrestre e come fattori di particolari condizioni climatiche, ma anche, anzi principalmente, lo studio dei singoli bacini oceanici e marini come individui a sé, nei loro caratteri morfologici (onde si comincia oggi a parlare di una morfologia degli spazî oceanici) e nell'insieme delle condizioni derivanti dalle reciproche relazioni fra tutti i fenomeni coesistenti nello spazio di ciascun oceano o mare (si veda, ad es., per l'Atlantico, la Geographie des Atlantischen Ozean di G. Schott).

Geografia botanica

di Giovanni Negri

Numerose nozioni sulla provenienza, la distribuzione e le esigenze culturali delle piante utili erano possedute anche dagli antichi e alcune osservazioni ecologiche, quali quelle eseguite nel 1540 dal Bembo sulle zone altimetriche dell'Etna, rimontano a parecchi secoli addietro; non è però possibile parlare di geografia botanica prima che Linneo, verso la metà del sec. XVIII, definisse la specie vegetale. A lui e ai suoi allievi rimontano infatti le prime flore redatte secondo criterî moderni e adombranti una classificazione delle stazioni vegetali e nozioni sui mezzi di dispersione delle specie e sui loro centri d'origine; materiali che servirono poi a C. Willdenow per un primo sehizzo fitogeografico (1792) e criterî che informarono il vasto schema della distribuzione della vegetazione sul globo che una mente superiore, una cultura profonda e l'esperienza di lunghi viaggi, consentirono ad Alessandro di Humboldt di tracciare in principio del secolo scorso. I vasti quadri fisionomici di Humboldt propongono i problemi che numerosi fitogeografi hanno poi studiato nella prima metà dell'800, come J. Schouw (1822) e A. -P. De Candolle (1826), tentando la suddivisione della superficie del globo in regioni floristiche naturali; come lo Schouw stesso, riconoscendo il rapporto fondamentale intercedente tra forme di vegetazione e stazione; come F. Unger (1836) e Thurmann (1849), gettando le basi della discussione sull'importanza rispettiva della struttura fisica e della composizione chimica del suolo; come A. Grisebach (1838), formulando il concetto di formazione vegetale; come Unger (1852), tentando di fondare l'interpretazione della distribuzione delle piante sulla ricostruzione della vegetazione dei periodi geologici precedenti al nostro. Nel 1855 finalmente la pubblicazione della Géographie botanique raisonnée di A. De Candolle, chiudeva questo primo periodo con una sintesi il cui valore dura tuttora.

Un secondo periodo si apre poi con la comparsa della On the origin of species di C. Darwin (1859) e con l'importanza attribuita da lui stesso e da altri viaggiatori naturalisti (Wallace, M. Wagner, Beccari) alla documentazione fornita dalla distribuzione delle piante e degli animali alle ipotesi evoluzioniste. La grande opera fitogeografica di A. Grisebach Die Vegetation der Erde (1872), deve infatti alla mancata accettazione delle teorie evolutive il suo carattere statico e la scarsa influenza esercitata, malgrado il reale valore e la ricca documentazione. Essa è stata presto superata dal libro di A. Engler, Versuch einer Entwicklungsgeschichte der Pflanzenwelt (1879-82), raccogliente, in un quadro veramente superbo, i numerosi dati accumulati dall'analisi sistematica di un grandissimo materiale, proveniente da tutte le parti del globo, e dai sensibili progressi compiuti dalla geografia fisica e dalla paleogeografia. Il metodo sistematico-genetico della scuola di Engler si può considerare come definitivamente acquisito alla scienza, grazie a una vasta letteratura in continuo progresso e quantunque in un tempo più recente, dopo la pubblicazione dell'opera di A. W. Schimper, Pflanzengeographie auf physiologischer Grundlage (1890), sia andato affermandosi, parallelamente, un secondo indirizzo inteso allo studio più particolare delle reazioni biologiche delle specie vegetali (autoecologia) e delle associazioni che esse costituiscono (sinecologia) alle condizioni dell'ambiente. Questo indirizzo, che ha avuto in Italia un precursore in Federico Delpino, possiede oggi le sue sintesi trattatistiche nelle opere di Drude, Clements, Schroeter e soprattutto nelle ripetute edizioni dell'opera del Warming, e si è dimostrato estremamente fecondo in tutti i campi della biologia geografica ed evoluzionistica, non solo per le numerosissime ricerche che ha promosso in tutte le parti del globo, ma anche perché, dopo aver descritto e classificato formazioni vegetali proprie dei più varî climi, utilizzando i progressi della sistematica, della geografia fisica e della paleontologia del Quaternario, ci ha assicurato precise nozioni, non solo sui processi di sviluppo e sulle successioni presentate dai consorzî vegetali, ma anche sulle trasformazioni che i paesaggi vegetali hanno subito nelle ultime fasi della storia del globo prima di raggiungere la loro condizione attuale. È inutile insistere sull'importanza di questi risultati non solo per la conoscenza teorica dell'evoluzione della vegetazione e delle oscillazioni del clima, ma anche per le norme pratiche che ne possono trarre l'agricoltura e lo sfruttamento delle materie prime fornite dal regno vegetale.

Geografia zoologica

La geografia zoologica si occupa dei caratteri faunistici presentati dalle varie regioni della terra, e ha lo scopo di dividere la terra in regioni e sottoregioni zoogeografiche dandone i caratteri e rilevandone le affinità. Queste divisioni hanno il torto d'essere più o meno artificiali, o perché basate su pure considerazioni geografiche, come quelle di Moebius (1891) o perché si fondano sulla distribuzione di determinati gruppi di animali, mostrandosi in disaccordo con altri gruppi.

Ph. L. Sclater (1857), basandosi sulla geografia e sulla distribuzione dei passeracei, divise la terra in Paleogea, comprendente le regioni paleartica, etiopica, indiana e australiana (cioè il vecchio e il nuovissimo mondo) e Neogea, comprendente le regioni neartica e neotropica (cioè le due Americhe). Egli fu seguito da K. Günther che trovò tale divisione valevole per i rettili; ma Murray (1866) la trovò non conveniente per i mammiferi. Le regioni di T. H. Huxley (1868), fondate sulla distribuzione dei gallinacei, ebbero scarso seguito. Si susseguirono numerosi tentativi di classificazione delle regioni zoogeografiche. Una data memorabile segnò la classica opera di Wallace, The geographical distribution of Animals (1876). Wallace riconosce le seguenti regioni: 1. Paleartica, con le sottoregioni europea, mediterranea, siberiana e manciuriana; 2. Etiopica, con le sottoregioni est-africana, ovest-africana, sud-africana e malgascia; 3. Orientale, con le sottoregioni indiana, ceilonica, indo-cinese, indo-malese; 4. Australiana, con le sottoregioni austro-malese, australiana, polinesica, neo-zelandese; 5. Neotropicale, con le sottoregioni cileana, brasiliana, messina, antilleana; 6. Neartica, con le sottoregioni californiana, delle Montagne Rocciose, alleganiana, canadese. Si deve a Heilprin (1887) la riunione delle regioni paleartica e neartica in un reame Olartico, che ben corrisponde alle affinità faunistiche generali, nonché la maggiore importanza data ai tratti di transizione. Trouessart (1890) mise in giusto rilievo il diverso comportamento dei varî gruppi animali rispetto alla geografia zoologica. La partizione delle terre in Notogea (corrispondente alla regione australiana), Neogea (comprendente l'America centrale e meridionale, le Antille e le Galapagos) è dovuta a un anonimo (1893) ed è oggi generalmente accettata. Tra gli ulteriori classificatori delle regioni zoogeografiche terrestri segnaliamo ancora Beddard (1895), Sclater (1899), Trouessart (1922).

Le regioni zoogeografiche marine sono state delimitate e caratterizzate da H. Woodward (1859) in base ai molluschi, da Günther (1880) in base ai pesci, da A.E. Ortmann (1896) in base soprattutto ai crostacei decapodi, da Sclater (1897) in base ai mammiferi, da G. Colosi (1919) in base ai caratteri di maggiore o minore arcaicità delle faune (v. zoogeografia).

Geografia antropica

La geografia antropica (in italiano anche antropogeografia o geografia umana) è il ramo della geografia di più recente sistemazione, per il che non può dirsi vi sia ancora accordo completo sui suoi limiti e sul suo campo d'indagine. Il progresso degli studî antropogeografici nel primo trentennio del secolo presente è stato singolarmente favorito, sia dall'accrescersi dei materiali e dei dati fondamentali offerti dai censimenti e dalle altre rilevazioni statistiche, sempre più ricche e complete in quasi tutti gli stati civili (non soltanto censimenti demografici propriamente detti, ma censimenti agricoli, industriali, statistiche delle occupazioni, ecc.), sia dal perfezionarsi delle carte topografiche, le quali oggi prestano un'attenzione sempre maggiore alla rappresentazione dei fatti umani (distribuzione e tipi delle dimore permanenti e temporanee, strade, colture, tracce topografiche inerenti allo sfruttamento minerario, ecc.), sia infine dal moltiplicarsi delle ricerche di dettaglio, fatte dapprima sulle orme del Ratzel, soprattutto in Germania, poi anche altrove (Francia, Italia, Stati Uniti) con direttive e vedute nuove. Infatti, mentre le idee del Ratzel, si facevano strada e venivano discusse anche fuori della Germania, nuovi indirizzi si aprivano alla geografia antropica, soprattutto in Francia per opera di P. Vidal de la Blache e J. Brunhes. Il Vidal de la Blache metteva in luce un concetto di grande importanza dal punto di vista metodico: quello cioè che le manifestazioni più evidenti dell'azione che la natura esercita sull'uomo e l'uomo sulla natura, sono quelle che si verificano attraverso il mondo vegetale e animale. Ad es. le influenze del clima e del suolo sono avvertite dagli uomini soprattutto in quanto l'uno e l'altro determinano in un dato territorio una fisionomia e una distribuzione speciale delle piante e degli animali che l'uomo può utilizzare, e da ciò dipende il genere di vita dei gruppi umani abitanti in quel territorio, dipendono in parte le condizioni economiche, sociali, ecc., uniformate o adattate a quel genere di vita. Viceversa l'azione modificatrice dell'uomo sull'ambiente naturale - prescindendo dalle tracce impresse per il semplice fatto che l'uomo abita la superficie terrestre e in essa si muove (dimore e loro aggruppamenti; strade, ecc.) - si manifesta prevalentemente mediante trasformazioni, artificiali e volute, dell'originario paesaggio vegetale e animale, in quanto l'uomo favorisce lo sviluppo e la diffusione di certe specie vegetali e animali a lui utili (un piccolo numero, in complesso) a detrimento di tutte le altre, inutili o dannose, che vengono perciò limitate o addirittura distrutte.

Appare perciò sempre più chiaramente anche per la geografia antropica come l'essenza delle indagini risieda nell'esame di fatti d'interdipendenza e di reciproca connessione: clima e suolo determinano il genere di vita di una determinata frazione dell'umanità; il genere di vita, quando non sia un fatto transitorio, ma si affermi e si consolidi perfezionandosi in un lungo periodo di tempo, determina speciali e cospicue trasformazioni del paesaggio vegetale e animale, ossia di alcuni dei lineamenti più appariscenti della superficie terrestre, ecc. Appare anche sempre più - e ciò fu messo chiaramente in luce soprattutto per opera di J. Brunhes e della sua scuola - come la geografia antropica prenda in esame tutti quei fatti derivanti dai rapporti fra Terra e uomo, che lasciano una traccia sulla terra stessa: sia fatti derivanti da semplice occupazione del suolo (dimore, strade), sia fatti derivanti da utilizzazione produttiva del suolo (agricoltura, allevamento, ecc.), ovvero da utilizzazione distruttiva (caccia, sfruttamento minerario), sia infine fatti inerenti alla costituzione e allo sviluppo delle grandi società umane (nazioni, stati).

È opportuno qui, senza entrare particolarmente in argomenti controversi, passare in rassegna più da vicino i diversi campi di studio della geografia antropica.

a) La geografia antropica considera in prima linea il modo come l'uomo (inteso come termine collettivo, cioè come uomo vivente in società, e perciò come sinonimo di gruppi umani) si distribuisce alla superficie terrestre, il modo, cioè, come varia quella che fu chiamata la "coperta umana" della superficie terrestre. Tali variazioni sono quantitative e qualitative: quantitative, onde lo studio dell'area di diffusione dell'uomo (habitat della specie umana o ecumene), della diversa densità della popolazione e delle sue cause; qualitative, onde lo studio della differenziazione dell'umanità in razze, tipi, ecc., studio che può rientrare nel campo dell'antropogeografia, non in quanto analisi dei caratteri intrinseci di ogni tipo (che è compito riservato all'antropologia), ma sotto un aspetto del tutto analogo a quello sotto il quale il geografo considera la distribuzione delle associazioni vegetali: in quanto, cioè, imprimono una fisionomia caratteristica alle varie regioni della Terra. L'indagine della densità della popolazione e delle sue cause appare oggi uno dei fatti fondamentali della geografia antropica, perché la densità è spesso l'indice che traduce numericamente una serie di fatti di ordine climatico, biologico, economico, ecc., intimamente connessi fra loro (v. popolazione). Ma, col differenziarsi delle condizioni morfologiche, di suolo, di clima, ecc., dall'una all'altra parte della superficie terrestre, vediamo variare, non solo la densità e i tipi fisici degli abitanti, ma gli adattamenti materiali dell'uomo all'ambiente: variano cioè i tipi, le forme, gli aggruppamenti delle dimore, il genere di vita, ecc., dei singoli gruppi umani. Tutta questa parte della geografia antropica, che è, in sostanza, una specie di ecologia dell'uomo, si può chiamare antropogeografia ecologica. Da un punto di vista più generale, l'influenza predominante su tutti i fatti che rientrano in questo campo è quella del clima; notevole importanza ha perciò, anche dal punto di vista antropogeografico, l'indagine delle eventuali variazioni del clima in tempi preistorici e storici.

b) L'uomo, nelle svariate manifestazioni della sua attività, può considerarsi come un potente ed energico agente modificatore della superficie terrestre sulla quale imprime durevoli tracce; in questo senso l'attività umana può studiarsi, almeno fino a un certo punto, alla stessa stregua degli āgenti fisici modificatori della superficie terrestre, e la sua azione, in alcune parti della Terra, ci appare non meno profonda di quella delle acque correnti, dei ghiacci, del vento, ecc.

Si è già accennato alle tracce che l'uomo imprime sulla Terra per il fatto di abitarvi in dimore, isolate o aggruppate, che vanno dai rudimentali ricoveri dei primitivi (utilizzanti talora ripari naturali più o meno trasformati) fino a quelle enormi e complicate agglomerazioni che sono le grandi città moderne. È indubitato che per questo fatto la superficie terrestre subisce profonde e durevoli modificazioni. Se si possedesse una carta topografica esatta del bacino medio del Reno quale era nell'età romana o nel primo Medioevo e la si potesse paragonare con una attuale, si vedrebbe che le trasformazioni prodotte in questa parte dell'Europa centrale per il solo fatto che l'uomo vi si è sempre più addensato, distribuendosi in una quantità enorme di località abitate, piccole e grandi, sono certo non meno cospicue di quelle che nello stesso periodo di tempo, o anche in un periodo molto più lungo, possano avervi apportato gli agenti fisici modellatori del suolo. Questa parte della geografia può chiamarsi la geografia delle sedi umane (Siedelungsgeographie dei Tedeschi). Due argomenti attraggono oggi soprattutto l'attenzione dei geografi: da un lato lo studio dell'abitazione rurale, in quanto questa, nei suoi diversi tipi, nel modo di costruzione, nella distribuzione spaziale, ecc., riflette le condizioni dell'ambiente naturale, culturale, economico; dall'altro lo studio geografico di quelle più complesse agglomerazioni che sono le grandi città moderne, onde si parla, soprattutto in Francia, di geografia urbana (P. Vidal de la Blache, J. Brunhes, R. Blanchard, ecc.).

c) Altre profonde e durabili modificazioni apporta l'uomo alla superficie terrestre per il fatto che, obbedendo alle elementari necessità di nutrirsi e di coprirsi, sfrutta e utilizza i prodotti del mondo vegetale, animale e minerale. Anche queste modificazioni sono spessissimo di vasta portata: ad es., distruzione di estesissime aree a foreste (sostituite da coltivazioni), onde una profonda alterazione dell'originaria coperta vegetale; trasformazione delle forme del terreno e di tutto l'aspetto primitivo del paesaggio in regioni d'intenso sfruttamento minerario, con mutamenti così profondi quali nessuna forza fisica potrebbe operare se non in lunghissimo volgere di tempo. Lo studio delle condizioni nelle quali si effettua l'utilizzazione delle risorse terrestri da parte dell'uomo e delle trasformazioni che ne derivano, costituisce quella parte della geografia antropica alla quale si dà il nome di geografia economica (in senso più stretto geografia della produzione). È noto poi che solo in piccola parte i prodotti del suolo e del sottosuolo si utilizzano greggi; la parte maggiore viene trasformata dalle industrie; lo studio della localizzazione e distribuzione delle industrie e delle cause che la determinano si dice talora geografia industriale. Si aggiunga ancora che, essendo i prodotti del suolo (vegetali e animali) e del sottosuolo distribuiti sulla Terra in modo enormemente differente per quantità e qualità, l'uomo si scambia tali prodotti con l'impiego di vie e mezzi, la cui creazione e costruzione apporta altre profonde modificazioni sulla crosta terrestre (grandi arterie stradali, ferrovie, porti, canali, ecc.). Lo studio di questi fatti è il compito particolare della geografia commerciale (in francese, con significato più ristretto e meglio determinato, géographie de la circulation; ted. Verkehrsgeographie), la quale si può definire lo studio delle relazioni tra i luoghi di produzione, i luoghi di trasformazione e i luoghi di consumo dei prodotti.

La geografia economica (e la commerciale) ha preso un grande sviluppo ed ha assunto nuovi orientamenti negli ultimi anni, soprattutto in Germania; mentre in passato vedeva come suo compito principale la esposizione, ben coordinata, dei prodotti delle varie regioni della Terra, ecc., oggi tende verso l'indagine dei rapporti fra le diverse forme di vita economica e le caratteristiche fisiche delle varie parti della Terra, cercando anche di addivenire a una divisione della Terra in zone e distretti economici, ecc. (Friedrich, Passarge, Sapper).

d) Infine l'uomo apporta profonde modificazioni alla superficie terrestre per il fatto di vivere aggruppato in società. I confini e le frontiere, le opere dirette alla protezione, alla conservazione e allo sviluppo degli stati, arrecano pure modificazioni notevolissime sulla faccia della Terra. La geografia degli stati è la geografia politica. Sulla superficie terrestre, così come noi la vediamo, gli stati sono degli oggetti, come i monti, i fiumi, i laghi; sono, anzi - oltre e più che dei semplici oggetti - degli organismi, che nascono, si accrescono, deperiscono, muoiono, obbedendo a leggi che hanno nelle condizioni di suolo, o più genericamente nell'ambiente geografico, la loro radice; leggi che la geografia aiuta a conoscere e a chiarire. Questa dottrina dello stato-organismo, già chiaramente indicata dal Ratzel nella sua Politische Geographie (1897), è stata poi sviluppata soprattutto dal sociologo svedese R. Kiellén (Der Staat als Lebensform, 1912) ed è, più o meno chiaramente, alla base di tutte le moderne trattazioni di geografia politica (Maull, Hennig, Dix, De Marchi, ecc.).

Antropogeografia generale o ecologica, geografia delle sedi, geografia economica e commerciale, geografia politica sono le varie parti costituenti l'edificio della geografia antropica.

Se si volesse, nel giro di una breve frase, individuare la geografia antropica di fronte alla fisica, si potrebbe dire che, mentre quest'ultima descrive razionalmente e studia il paesaggio fisico (in ted. Naturlandschaft), cioè gli aspetti della superficie terrestre quali sono foggiati e trasformati esclusivamente da agenti naturali, la geografia antropica descrive e studia il paesaggio umano (ted. Kulturlandschaft), cioè gli aspetti derivanti dalle varie manifestazioni dell'attività umana, le quali, sovrapponendosi alla fisionomia originaria, l'hanno - specialmente in paesi di antico sviluppo civile - sì fattamente modificata da trasformarla talora radicalmente.

Anche nelle indagini di geografia antropica, la considerazione del momento storico ha grande importanza; si può anzi essere indotti ad applicare anche alle modificazioni operate dall'uomo i concetti informatori della scuola morfologica del Davis. Si potrebbe, cioè, rilevare che sulla Terra vi sono paesaggi giovani dal punto di vista umano, nel senso che le tracce impressevi dall'attività dell'uomo vi si avvertono ancora debolmente o con scarsa intensità, e paesaggi vecchi, ossia paesaggi profondamente, intensamente modificati dall'uomo con opera di millenaria civiltà. Alcuni dei paesaggi giovani acquisteranno indubbiamente, con l'intensificarvisi dell'attività trasformatrice dell'uomo, l'aspetto che hanno ora i paesaggi vecchi. Non si può tuttavia riconoscere, nell'azione modificatrice dell'uomo, un ciclo, che tenda verso risultati finali determinati o determinabili, come nel campo della geografia fisica avviene per il ciclo morfologico, secondo il concetto del Davis; e pertanto il parallelo può servire, se mai, a dimostrare che il geografo considera oggi sotto lo stesso punto di vista e indaga con gli stessi metodi fondamentali l'opera degli agenti fisici e quella dell'uomo. Il dualismo che parve esistere un tempo fra geografia fisica e geografia antropica è, dunque, dal punto di vista del metodo, scomparso.

Geografia regionale o corografia

Tutti i problemi che la geografia studia nei suoi varî rami e capitoli possono essere considerati in generale, con riguardo cioè all'intero globo terraqueo, o in particolare, con riguardo a un determinato territorio. Si ha così la distinzione in geografia generale e geografia regionale; a quest'ultima fu applicato anche il termine corografia (gr. χῶρα "paese"). La distinzione, fatta tuttavia solo da uno speciale punto di vista (problema cartografico), si trova già, come si è sopra accennato, esplicitamente in Tolomeo; anzi, nella sostanza è anche anteriore (si delinea già chiaramente, ad es., in Eratostene); essa risorge col rinascere della scienza geografica nell'età moderna e si perpetua attraverso tutta l'evoluzione recente della geografia. Nello studio di una regione di limitata estensione si possono cogliere con maggiore immediatezza ed evidenza le tracce di quelle correlazioni fra i fatti fisici, biologici e umani che sono per eccellenza il campo di studio della geografia e che dànno propriamente la fisionomia del paesaggio. Da ciò qualche studioso moderno fu tratto ad affermare che l'essenza della geografia sta nello studio regionale, che la sola geografia regionale è la vera geografia; il che è certamente un'esagerazione. Ma non v'è dubbio che, in quanto scienza descrittiva, la geografia si concreta allorché scende, dall'esame dei fenomeni considerati in tutto il globo, allo studio di una determinata parte di esso, esaminata peraltro, non come interamente isolata dal resto, ma anzi intimamente connessa, come membro di un solo grande organismo.

Per la geografia regionale un problema preliminare e fondamentale sarebbe quello di addivenire a una divisione razionale della Terra in regioni o individui geografici, che risponda agli attuali criterî della scienza; ma non si può dire che il problema, tentato per varie vie, abbia finora ricevuto una soluzione del tutto soddisfacente. Esso si era affacciato alla mente dei Ritter, che formulava già il concetto di regioni naturali, nel senso però di grandi individui geografici, ben definiti e chiaramente rilevabili, nei loro confini e nei loro caratteri essenziali, anche da una carta geografica; più tardi sul concetto stesso di regione naturale e di regione geografica si è discusso a lungo, senza arrivare a un accordo (v. regione). E perciò anche le proposte di suddivisioni generali o parziali della Terra sono finora molto diverse anche per i principî dai quali muovono.

Una scuola di geografi tedeschi moderni tende a prendere le mosse da suddivisioni di limitatissima estensione, cioè da unità spaziali, nelle quali le correlazioni fra tutti gli elementi (fisici, biologici, umani) del paesaggio risaltino con immediata evidenza; queste unità, al disotto delle quali non sarebbe possibile un'ulteriore suddivisione senza rompere quelle correlazioni e disperdere il concetto stesso di paesaggio geografico, hanno ricevuto il nome di chore. Associazioni di chore formano poi regioni geografiche di maggiore estensione, queste a loro volta si raggruppano in individui d'ordine più elevato, e via di seguito. Ma, anche se questo concetto di chora sia destinato a sopravvivere, siamo tuttavia ben lontani dal poterlo applicare a tutta o anche a una parte notevole della superficie terrestre, dacché la sua applicazione implica un'indagine oltremodo minuziosa di ciascuna delle piccole unità elementari.

Il metodo opposto è seguito da coloro che partono dalla considerazione di tutto il globo terraqueo, o almeno di tutta la superficie emersa, introducendo una prima grande divisione in un numero abbastanza limitato di regioni molto estese e che potremo chiamare di prim'ordine, per addivenire, se mai, in seguito, a una suddivisione di ciascuna di queste in regioni di second'ordine, o sottoregioni, ecc. Ma i tentativi fatti finora, sia che s' inquadrino nella tradizionale distinzione delle "parti del mondo" (Hettner, Lautensach), sia che ne prescindano in tutto o in parte (Herbertson, Unstead, Braun), dànno sempre soverchia prevalenza agli elementi d'ordine fisico (morfologia, clima, vegetazione), come criterî di distinzione, anche se riescano a schemi di suddivisione applicabili poi anche nel campo della geografia economica o antropica in generale. Anche il tentativo del Banse ha in sostanza fondamento fisico; "il metodo sintetico" proposto dall'Unstead per determinare quelle che egli chiama regioni geografiche, non ha dato luogo ad applicazioni estese a tutto il globo. (V. regione; Terra, per la rappresentazione grafica di alcuni schemi di suddivisioni estese a tutta la superficie emersa della Terra).

Ancor meno progredito è il problema della distinzione di regioni geografiche in seno agli oceani; anzi esso si può forse per ora affrontare soltanto per l'Oceano Atlantico, perché gli altri sono ancora troppo poco conosciuti nei loro caratteri particolari; per l'Atlantico uno schema degno di considerazione si trova già nella Geogr. des Atl. Ozean di G. Schott.

Nei paesi ad antica civiltà è frequente il caso di regioni la cui individualità è deierminata da un complesso di ragioni, oltre che geografiche, anche talora storiche, etniche, ecc., e che sono contraddistinte da nomi di uso antichissimo e popolare. Lo studio geografico di questi individui regionali è abbastanza progredito in alcuni paesi, e soprattutto in Francia, in virtù d'un indirizzo inaugurato da P. Vidal de la Blache e L. Gallois, in Germania per opera della scuola di A. Hettner, di A. Philippson e ora anche, ma con intenti diversi, da quella di S. Passarge sulle linee direttrici da lui poste a fondamento della sua Vergleichende Landschaftskunde (v. sopra). Alcune delle più importanti opere descrittive di tutta la Terra su base corografica sono ricordate nella bibliografia.

A partire dal principio del sec. XIX, e soprattutto nell'ultimo cinquantennio, quello che può chiamarsi spirito geografico si è diffuso sempre più e ha dato un'impronta speciale ad alcuni rami delle scienze naturali e morali. Lo spirito geografico può dirsi consista, sia nel localizzare esattamente sulla superficie terrestre i fatti che si studiano, determinandone la distribuzione spaziale anche per mezzo di rappresentazioni cartografiche e risalendo poi all'indagine delle cause di questa distribuzione, sia nel porre i risultati dell'indagine geografica a fondamento dello studio di problemi e questioni proprie di altre discipline, particolarmente nel campo delle scienze applicate.

Nel primo senso lo spirito geografico ha validamente contribuito allo sviluppo delle scienze naturali, come la zoologia e la botanica, nelle quali gli elementi spazio, estensione, distribuzione, limiti, cioè elementi essenzialmente geografici, entrano in considerazione a ogni momento.

Spesso si parla di una geografia medica: essa si può intendere come lo studio della distribuzione geografica delle malattie, che ha effettivamente una grandissima importanza anche per l'indagine dell'origine e del modo di propagarsi delle malattie stesse; queste appaiono, infatti, spesso legate direttamente a condizioni di suolo e di clima, come accade, per citare esempî notissimi, della malaria, di molte delle cosiddette malattie tropicali, ecc. Grandi vantaggi ha portato il metodo geografico alle scienze sociali, in particolare all'etnografia, la quale oggi pone tra i primi suoi intenti quello d'indagare la localizzazione e la distribuzione di determinate forme o tipi di oggetti, strumenti, utensili, o anche di abbigliamenti, di dimore, ecc. (in questa Enciclopedia si troveranno numerosi esemipî di rappresentazioni cartografiche intese a mettere in vista tale distribuzione: v. aratro; capanna; casa; ecc.). Particolare sviluppo ha preso negli ultimi decennî la geografia linguistica, iniziata da J. Gilliéron: lo studio della distribuzione dialettale dei termini dello stesso significato, cartograficamente rappresentati in atlanti linguistici, ha permesso di distinguere le fasi più recenti dalle più antiche e di ricondurre le singole innovazioni linguistiche all'azione di determinati centri d'espansione.

In altro senso lo spirito geografico si sviluppa nell'applicazione dei risultati delle indagini geografiche. Un ramo vero e proprio della geografia applicata può dirsi la geografia militare, che ha avuto grande sviluppo a partire dall'epoca napoleonica, dapprima in Francia, poi anche in Germania e altrove. Essa ha preso le mosse dallo studio del terreno applicato alle operazioni militari (studio che in Francia si chiama topologia; cfr. Gen. Berthaut, Topologie. Étude du terrain, voll. 2, Parigi 1909-10); ma si è estesa poi all'esame di tutti gli altri fatti geografici, in quanto interessano la strategia, la logistica, la tattica. I trattati di geografia militare sono ormai numerosi e in molti paesi questo insegnamento ha un posto a sé nelle scuole militari. In Italia la geografia militare è stata collocata su solide basi, soprattutto per merito di Carlo Porro, il quale può considerarsi come l'iniziatore di una scuola nazionale (v. la sua Guida allo studio della geografia militare, Torino 1898, e le Monografie di geografia militare razionale di un suo discepolo, D. De Ambrosis).

La geografia nell'insegnamento e nella cultura d'oggi

In conclusione la geografia ha conseguito oggi una piena autonomia, per contenuto e per metodi, fra le varie scienze. Ciò ha per riflesso determinato una posizione autonoma di questa scienza anche nell'insegnamento universitario. Per quanto cattedre di geografia vi fossero state già, saltuariamente, in università italiane nel sec. XVIII (a Bologna, a Padova, a Napoli, ecc.), la prima cattedra permanente di geografia fu quella creata nel 1809 all'università di Berlino per Carlo Ritter. In seguito le cattedre si moltiplicarono nelle facoltà filosofiche delle università tedesche, mentre in altri stati le cattedre successivamente fondate venivano di solito aggregate alle facoltà letterarie. Così avvenne anche in Italia, in seguito alla legge Casati (1859). Più tardiva fu l'istituzione di cattedre autonome di geografia nella Gran Bretagna, in alcuni stati dell'Europa orientale, negli Stati Uniti, ecc.; predominando allora l'indirizzo naturalistico della geografia, queste furono spesso annesse alle facoltà di scienze naturali. Presso tali facoltà sono sorte poi, quasi ovunque, cattedre speciali di geografia fisica, come sono sorte cattedre speciali di geografia economica, commerciale, ecc., presso istituti superiori di commercio, politecnici, facoltà e scuole di scienze economiche ecc. Negli ultimi decennî si sono costituiti, presso alcune delle maggiori università di varî stati, istituti di geografia e sono sorte molteplici cattedre specializzate; la Germania resta tuttora il paese dove questa specializzazione è più progredita (il periodico Petermanns Mitteil. di Gotha pubblica annualmente l'elenco di tutti i corsi universitarî che si tengono in università e istituti affini tedeschi). Oggi si costituiscono qua e là anche seuole di geografia, la cui istituzione è giustificata soprattutto dalla necessità di fornire ai discenti corsi organici di studî anche per le discipline ausiliari e collaterali, di provvedere a esercitazioni di laboratorio eon indirizzo particolare, ecc.

Nelle scuole medie rimane ancora, in taluni stati, l'eredità del dualismo esistente in passato nel campo della geografia, in quanto l'insegnamento è affidato ora ai docenti di scienze naturali, ora a quelli di materie storico-letterarie. Per divulgare le conoscenze geografiche tra un pubblico più largo s'istituiscono oggi musei di geografia (Lipsia, Budapest).

Ai progressi della scienza geografica e anche alla sua divulgazione giovano poi i congressi geografici internazionali, dei quali il primo fu tenuto ad Anversa nel 1876. La serie fu continuata, a intervalli di tre o quattro anni, fino al X congresso, tenuto a Roma nel 1913. Dopo la conflagrazione mondiale, i congressi geografici internazionali furono posti sotto la direzione dell'Unione geografica internazionale, sorta nel 1918 come membro del Consiglio internazionale delle ricerche. Il primo dei congressi internazionali postbellici fu tenuto al Cairo nel 1925, il secondo a Cambridge nel 1928, il terzo a Parigi nel 1931. In questi congressi vengono discussi e avviati anche lavori geografici a collaborazione internazionale, come la Carta internazionale del mondo a 1 milionesimo, ecc. In molti stati si tengono poi anche congressi geografici nazionali: in Italia tale istituzione risale al 1892; i congressi hanno luogo da noi di regola ogni tre anni sotto la sorveglianza di un Comitato geografico nazionale.

Ai progressi della geografia e alla diffusione delle conoscenze geografiche contribuiscono infine le società geografiche e le riviste di geografia; un elenco delle principali si trova nella bibliografia che segue.

Bibliografia

a) Storia dell'esplorazione e della scienza geografica: P. Vivien de Saint-Martin, Histoire de la géographie, Parigi 1873 con atl.; O. Peschel, Geschichte der Erdkunde bis auf A. v. Humboldt u. C. Ritter, 2ª ed., a cura di S. Ruge, Monaco 1877; L. Hugues, Storia della geografia, Torino 1884 e 1891 (fino alla fine del Medioevo); S. Günther, Geschichte der Erdkunde, Lipsia-Vienna 1904; K. Kretschmer, Geschichte der Geographie, 2ª ed., Berlino-Lipsia 1923; J. N. L. Backer, A History of geographical Discovery and Exploration, Londra 1931; C. Sapper, L'esplorazione della crosta terrestre, in H. Kraemer, Universo ed umanità, trad. it., I, i, Milano s.a.; C. Weule, L'esplorazione della superficie terrestre, ibid., IV, x, Milano s.a.

Per l'età classica: H. Berger, Geschichte dre wissensch. Erdkunde der Griechen, 2ª ed., Lipsia 1903; E. H. Bunbury, History of ancient Geography among the Greeks and Romans, 2ª ed., Londra 1883; E. Tozer, A History of ancient Geogarphy, Cambridge 1897; Giesinger, in Pauly-Wissowa, Real-Encykl., s. v.

Per il Medioevo: R. C. Beazley, The Dawn of modern Geography, voll. 3, Londra 1897-1906; J. K. Wright, The geographical Lore of the time of the Cruisades, New York 1925; J. Lelewel, La géographie du moyen âge, Bruxelles 1852, con atlante; A. E. Nordensköld, Facsimile Atlas to the early history of Cartography, Stoccolma 1889; id., Periplus: an essay on the early history of charts and sailing directions, Stoccolma 1897.

Per il Rinascimento: S. Ruge, Geschichte des Zeitalters der Entdeckungen (trad. ital., L'epoca delle grandi scoperte geografiche), Berlino 1881; C. R. Beazley, Prince Henry the Navigator, 2ª ed., Londra 1923; C. Errera, L'epoca delle grandi scoperte geografiche, 3ª ed., Milano 1926.

Per l'età moderna: E. Heawood, A history of geographical Discovery in the XVII and XVIII centuries, Cambridge 1912; K. Wisotzky, Zeiströmungen in der Geographie, Lipsia 1897; F. Porena, Le scoperte geografiche del secolo XIX, Roma 1901; S. Günther, Entdeckungsgeschichte und Fortschritte der wissensch. Geographie im XIX. Jahrhund., Berlino 1902.

b) Scritti di metodica (concetto, limiti, metodi della geografia): tra i numerosissimi indichiamo, come rappresentativi di diverse tendenze: G. Della Vedova, Il concetto scientifico e il concetto popolare della geografia, Roma 1882; F.v. Richthofen, Aufgaben und Methoden der heutigen Geographie, Lipsia 1883; P. Vidal de la Blache, Le principe de la géographie generale, in Annales de géogr., 1896; W. M. Davis, An inductive Study of the content of Geography, Assoc. of Americ. Geographers, 1905; O. Marinelli, Del moderno sviluppo della geografia fisica e della morfologia terrestre, in Boll. Soc. geogr. ital., 1908; C. Bertacchi, Introduzione metodologica e storica al nuovo Dizionario di geografia universale, Torino 1912; E. De Martonne, Tendances et avenir de la géogr. moderne, in Revue de l'Univ. de Bruxelles, 1914; R. Lehmann, Die Einführung in die erdkundliche Wissenschaft, Lipsia 1921; C. Vallaux, Le sciences géographiques, Parigi 1925; A. Hettner, Die Geographie: ihre Geschichte, ihr Wesen und ihre Methoden, Breslavia 1927 (fondamentale anche per la storia della scienza); E. Tiessen, Die Eingrenzung der Geographie, in Peterm. Mitteil., 1927; V. Kraft, Die Geographie als Wissenschaft (Methodenlehre der Geographie, I), Lipsia-Vienna 1928; A. Penck, Neue Geographie, in Zeitschr. der Gesellsch. für Erdk. zu Berlin, 1928; R. Almagià, Problemi e indirizzi attuali della geografia, Soc. ital. progresso scienze, XVII Riunione, 1929; G. Granö, Reine Geographie, Helsinki 1929.

c) Trattati generali. Enciclopedie geografiche, ecc.: G. Marinelli, La Terra, voll. 7, Milano 1882-1901; O. Kende, Handbuch der geogr. Wissenschaft, voll. 2, Berlino 1914-25; S. Passarge, Vergleichende Landschaftskunde, Berlino 1921-1930; H. Wagner, Lehrbuch der Geographie, 10ª ed., Hannover e Lipsia 1923; trad. ital. di G. Cavallero sulla 8ª ed., Torino 1911 (sola geografia generale); H. Lautensach, Allgemeine Erdkunde, Länderkunde, Gotha 1925-26, voll. 2; Geografia Univeral, Descripcion moderna del mundo, Barcellona 1927 segg.; Bibliothek geogr. Handbücher begründet v. Fr. Ratzel (nuova serie, diretta da A. Penck, Stoccarda); Encyklopädie der Erdkunde, diretta da O. Kende, Lipsia e Vienna, in corso; Allgemeine Geographie, 10 volumetti della collez. Aus Naturund Geisteswelt, Berlino (in corso).

d) Opere generali di geografia fisica: A. Penck, Morphologie der Erdoberfläche, Lipsia 1894-95; W. M. Davis, Physical Geography, Boston 1898 (trad. ted. in collaborazione con G. Braun, Grundzüge der Physiogeographie, Lipsia 1911); R. S. Tarr e L. Martin, College Physiography, New York 1915; W. H. Hobbs, Earth features and their Meaning, New York 1921; G. Rovereto, Forme della Terra, Milano 1923-24, voll. 2; E. De Martonne, Traité de géographie physique, 3ª ed., Parigi 1925; A. Supan, Grundzüge der phys. Erdkunde (7ª ed., in 3 voll. interamente rifatta sotto la direz. di E. Obst, Berlino-Lipsia 1927); A. Philippson, Grundzüge der allgem. Geographie, 2ª ed., Lipsia 1928 segg.; G. Braun, Grundzüge der Physiogeographie, Lipsia 1929-30, voll. 2.

Vedi anche clima; meteorologia; oceanografia.

e) Opere generali di geografia antropica: Antropogeografia in generale: F. Ratzel, Anthropogeographie oder Grundzüge der Anwendung der Geogr. auf die Geschichte, I, Stoccarda 1882 (2ª ed. 1899; trad. ital. sulla 2ª ed. col titolo Geografia dell'uomo, Torino 1914); II, Stoccarda 1891; F. v. Richthofen, Allgemeine Siedelung- und Verkehrsgeographie, Berlino 1908; E. C. Semple, Influence of geographic Environment on the basis of Ratzel's Anthropogeography, New York 1911; E. Huntington e S.W. Cushing, Principles of human geography, New York 1921; P. Vidal de la Blache, Principes de géographie humaine, Parigi 1922; J. Brunhes, Géographie humaine, 3ª ed., Parigi 1925, voll. 3; E. Huntington, The human Habitat, Londra 1928; F. Schulze-Naumburg, Die Gestaltung der Landschaft durch den Menschen, 2ª ed., Monaco 1930.

Geografia economica e commerciale: M. Eckert, Grundriss der Handelsgeographie, Lipsia 1905; G. Chisholm, Handbook of commercial Geography, 10ª edizione, Londra 1925; P. Clerget, L'exploitation rationnelle du globe. Géographie économique, Parigi 1912; J. Russel Smith, Industrial and Commercial Geography, Londra 1914; G. Jaja, Geografia economica-commerciale, I, Livorno 1923; E. G. R. Taylor, The business man's Geography, Londra 1924; E. Friedrich, Allgemeine und spezielle Wirtschaftsgeogr., Berlino-Lipsia 1926; Andree-Heiderich-Sieger, Geographie des Welthandels, 4ª ed., Vienna 1926-1930, voll. 3 (fondamentale); J. Partsch, Geographie des Welthandels, Breslavia 1927; S. Passarge, Die Erde und ihr Wirtschaftsleben, Amburgo-Berlino 1927; K. Sapper, Allgemeine Wirtschafts- und Verkehrsgeographie, 2ª ed., Lipsia-Berlino 1930; K. Hassert, Allgemeine Verkehrsgeographie, 2ª ed., voll. 2, Berlino-Lipsia 1931; L. De Marchi, Fondamenti di geografia economica, 3ª ed., Padova 1931; P. Gribaudi, Geografia commerciale, I, Torino 1931.

Geografia politica: F. Ratzel, Politische Geographie, oder die Geographie der Staaten, des Verkehrs und des Krieges, 1ª ed., 1897, 3ª ed. a cura di E. Oberhummer, Monaco-Berlino 1923; C. Valaux, Le sol et l'état. Géographie sociale, Parigi 1911; E. Schöne, Politische Geographie, Lipsia 1911; J. Brunhes e C. Vallaux, La géographie de l'histoire. Géographie de la paix et de la guerre, sur terre et sur mer, Parigi 1921; A. Dix, Politische Geographie. Weltpolitisches Handbuch, Monaco-Berlino 1922; W. Vogel, Politische Geographie, Lipsia 1922; L. Febure, Le Terre et l'évolution humaine. Introd. géogr. à l'histoire, Parigi 1922; J. Fairgrive, Geogr. and World Power, 5ª impr., Londra 1924; trad. ted. di M. Haushofer, Berlino 1925; O. Maull, Polit. Geographie, Berlino 1925; L. De Marchi, Fondamenti di geogr. politica, Padova 1929; R. Hennig, Geopolitik, 2ª ed., Lipsia-Berlino 1931; A. Supan, Leitlinien der allgem. polit. Geogr., 3ª ed., Lipsia 1923.

f) Opere generali di geografia descrittiva: E. Reclus, Nouvelle géogr. universelle: La Terre et les Hommes, Parigi 1875-94, voll. 19 (trad. ital. di G. Brunialti: Nuova geografia universale, Milano 1884-1900, voll. 16). L'opera fu preceduta da due volumi di geografia generale (La Terre, Parigi 1867-68 e seguita da un'opera complementare L'Homme et la Terre, voll. 5, Parigi 1905-10); E. von Seydlitz, Geographie. Hundertjahr Ausgabe, Breslavia 1925-31, voll. 3; W. Sievers, Allgemeine Länderkunde, nuova ed. a cura di H. Meyer, Lipsia 1925, segg.; Géographie Universelle, Parigi dal 1926 (in corso); A. Hettner, Grundzüge der Länderkunde, 4ª ed., Lipsia 1926, segg.; W. Gerbing, Das Erdbild der Gegenwart, Lipsia 1926-27, voll. 2; J. Bowman, The New World. Problems in political Geography, 4ª ed., New York 1928; G. Marinelli, La Terra, citata in c); E. Banse, Illustrierte Länderkunde, 3ª ed., Brunswick 1931.

Per la divisione della Terra in regioni, ecc.: A. J. Herbertson, The major natural Regions, in Geogr. Journal, 1905; A. Hettner, Die geogr. Einteilung der Erdoberfläche, in Geogr. Zeitschr., 1908; J. Unstead e E. G. R. Taylor, General and Regional Geography, Londra 1910; M. Dryer, High School Geogr., New York 1912; E. Banse, Geographie, in Petermanns geogr. Mitteil., 1912; J. P. Unstead, A synthetic Method of determining geogr. regions, in Geogr. Journ., 1916.

g) Dizionarî geografici: P. Vivien de Saint-Martin e L. Rousselet, Nouveau dictionnaire de géogr. universelle, Parigi 1879-94, voll. 7; Sypplemento, 3 voll., 1897-900; Ritters Geograph. statistiches Lexikon, 9ª ed. a cura di J. Penzler, Lipsia 1904-06; C. Bertacchi, Nuovo dizionario geografico universale, Torino 1904-12; E. Banse, Lexikon der Geographie, voll. 2, Brunswick 1923.

h) Periodici di geografia: Bollettino della R. Società geografica italiana (dal 1868, mensile); Petermanns geogr. Mitteilungen, Gotha (dal 1855, già mensile, ora bimestrale; con fascicoli di supplementi, Ergänzungshefte); Geographische Zeitschrift, Lipsia (dal 1893, mensile); Rivista geografica italiana (dal 1895; attualmente 4-5 numeri l'anno); Zeitschr. der Gesellsch. für Erdkunde, Berlino (dal 1866, 10 numeri l'anno); La Géographie (titolo dell'antico Bulletin de la Société de géogr. de Paris, iniziato nel 1823; oggi bimestrale; dal 1931 La Géographie: Terre, Air, Mer; mensile); The Geographical Journal, periodico mensile della Soc. geogr. di Londra (dal 1830); The Geographical Review, periodico dell'American Geogr. Society (dal 1852; ora 4 numeri l'anno); Annales de Géographie, Parigi (dal 1892 bimestrale); Economic Geography, Clark University, Worcester (dal 1925, 4 numeri l'anno). Quasi tutte le Società geogr. del mondo hanno periodici geografici o bollettini (Edimburgo, Madrid, Lisbona, Zurigo, Monaco, Amburgo, Lipsia, Budapest, Bucarest, Cairo, ecc.). Geographisches Jahrbuch, Gotha (dal 1866, annuale; ampie rassegne bibliografiche su progressi della geografia nei suoi singoli rami e nei singoli paesi, redatti da competenti d'ogni nazione); Bibliograpahie géographique annuelle, Parigi (già supplemento agli Annales de géographie, ora a cura dell'Association des géographes français col concorso di altri enti geografici di varî paesi (i vol. l'anno); Hubners Geograph. Statistiche Tabellen, Francoforte sul Meno (continuato da F. Juraschek, i vol. l'anno); Hickmann, Geographisch-Statistisches Universal Atlas, Vienna; Almanach de Gotha, Gotha (1 vol. l'anno); The Statesman Yearbook, Londra (1 vol. l'anno); Annuaire statistique-économique de la Société des Nations, Ginevra (1 vol. l'anno); Calendario Atlante De Agostini, Novara (i fasc. l'anno).

i) Didattica della geografica e diffusione della cultura geografica: A. Geikie, The Teaching of Geography, 2ª ed., Londra 1892; R. Lehmann, Vorlesungen über Hilfsmittel und Methode des geogr. Unterrichts, Halle 1894-1913, voll. 2; W.L. Lyde, The teaching of Geography, Londra 1902; S. Günther e A. Kirschoff, Didaktik und Methodik des geogr. Unterrichts, in Handb. der Erziehungund Unterrichtslehre für höhere Schulen, 2ª ed., Monaco 1906; C. Gruber, Geographie als Bildungsfach, Lipsia 1904 (con un riassunto storico; cfr. anche C. Gruber, Die Entwicklung der geograph. Lehrmethoden im XVIII und XIX Jahrhund., Monaco 1900); B. Clemenz, Lehrbuch der Methodik des geogr. Unterrichts, Berlino 1905; H.R. Mill, Guide to geographical Books and appliances, Londra 1910; H. Kerp, Methodik des Unterrichts in der Erdkunde, Hannover 1913; F. Holtz, Principles and Methods of teaching Geography, Londra 1913; K. Rüsewald, Praktische Erdkunde. Übungen und Beobachtungen, Breslavia 1914; O. Marinelli e L. Ricci, Guida metodica per l'Atlante scolastico di geogr. mod., Milano 1914; G. Berg, Geographisches Wanderbuch, Lipsia 1914; K. Diwald, Die Landschaft als Lehrmittel, Vienna 1914; B.C. Wallis, The teaching of Geography, Lipsia 1916; R. Almagià, La geografia, guida bibl., 2ª ed., Roma 1922; S. Passarge, Erdkundliches Wanderbuch, Lipsia 1921-1922, voll. 2; J. Kirtland Wright, Aids to geogr. research. Bibliography and Periodicals, New York 1923; F. Lampe, Die Geographie als Lern- u. Lehrgebiet (Methodenlehre der Geogr., II), Berlino-Lipsia 1928. Per la bibliografia degli atlanti, v. atlante.

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