Galli

Enciclopedia Dantesca (1970)

Galli

Arnaldo D'addario

Una delle più antiche consorterie fiorentine, che D. ricorda (Pd XVI 105), insieme ai Sacchetti, ai Giuochi, ai Fifanti e ai Barucci, come già potente ai tempi di Cacciaguida. Gli araldisti fiorentini le avrebbero assegnato più tardi origini romane, in concomitanza con la tesi storiografica della derivazione di Firenze da Roma.

I G. avevano case e torri in Mercato Nuovo (G. Villani IV 13, V 39) e terreni nel poggio presso Firenze che poi ne prese il nome, là dove ancora oggi è la villa detta ‛ del Gallo ', che da essi passò ai Cerretani, poi ai Grassi, ai Piccioli e agli Alberti, e dalla cui torre Galileo puntò il cannocchiale verso il firmamento, recandovisi dalla sua dimora ai piedi della collina. Nei secoli XIII e XIV esercitarono anche traffici commerciali con la Francia, e molti di essi dimorarono in quel regno per seguire quegli interessi.

Che i G. appartenessero al gruppo delle famiglie più importanti della città è indicato dall'investitura cavalleresca concessa a uno di essi, Federigo, da Carlo Magno nel 786 (Malispini LIII) e dalla presenza di altri membri della casata nei consigli del comune; Albonetto, consigliere del podestà, è presente nel 1215 all'atto di ratifica delle convenzioni stipulate con i Bolognesi.

Nel quadro della frattura politica tra le consorterie consolari fiorentine, i G. seguirono i ghibellini - nel 1242 un Guido fu ferito dai guelfi che lo avevano assalito a tradimento - ed ebbero una parte di primo piano nel governo della città, con Giovanni e Biliotto di Mannello, durante il periodo delle fortune di quella fazione. Essi favorirono la conclusione della pace con Siena nel 1260, ma con l'appoggio dato alla stipulazione di quel trattato umiliante per Firenze si attirarono l'odio, oltre che dei guelfi, di tutti i cittadini. Nel 1268 furono, perciò, cacciati in esilio non solo quei due principali esponenti, ma insieme a essi molti altri della famiglia, fra cui Neri e Guiduccio di Lottieri, Lapo, Tellino, Corrado e Lambertino di messer Guido, con i figli e i discendenti. Gli esuli non si acconciarono facilmente alla nuova situazione; mentre alcuni, comportandosi remissivamente, si guadagnarono il perdono politico, altri - come Lapo di messer Guido - si ostinarono nell'opposizione al comune guelfo e vennero definitivamente banditi. Nel 1282, nel 1293 e nel 1311, furono ripetutamente esclusi dalla partecipazione al governo della città come ghibellini e come magnati. La ‛ riforma ' di Baldo d'Aguglione, anzi, comprese Bonaguida G. e suo figlio Galluccio tra coloro che si escludevano espressamente da ogni eventuale, futuro perdono politico.

I G. furono, per di più, i primi fra i magnati a subire il rigore degli Ordinamenti di Giustizia, con la conseguente rovina economica e con la dispersione della casata. Poiché uno di essi, Segna, aveva ucciso (1293) in Francia - ove si trovava per seguire gli affari della compagnia - due fratelli di Vanni Ugolini, ‛ popolari ', dediti alla pratica dell'usura, il comune condannò tutta la consorteria in solidum con il reo, ne fece diroccare le case in città a furor di popolo e ne guastò i possessi in contado. Il provvedimento provocò il declino dei G., che scomparvero dal novero delle famiglie cittadine già nella prima metà del secolo XIV. Quelli di loro che si trovavano in Francia non ne fecero più ritorno.

Nessun rapporto genealogico hanno con questi G. i G. di Santa Croce, abitanti nel ‛ gonfalone ' Carro, che furono compresi nello ‛ squittinio ' del 1524 e finirono nel 1650 con la morte di un Giacinto di Pandolfo. Né ne hanno altri G., iscritti all'arte dei legnaiuoli, e i G. che, nel 1574, provenienti da Prato, furono ammessi nella cittadinanza fiorentina nella persona di Agnolo di altro Agnolo, lanciaio.

Non mancarono, tuttavia, tentativi da parte di genealogisti del secolo XVI, i quali vollero trovare - ma senza fondamento - attacchi tra queste nuove famiglie e i G. ricordati da Dante.

Questi ultimi, infatti, usarono per arme un leone d'oro rampante in campo rosso; stemma del tutto diverso da quelli che portavano le altre famiglie dal medesimo cognome.

Bibl. - Oltre ai cronisti citati nel testo, cfr., in Arch. di Stato di Firenze, Bibl. mss., 293 (II 97), 422, c. 324; Carte dell'Ancisa, AA, 151, 155, 156, 349; FF, 586; HH, 530, 532, 533; KK, 675, 679; Ll, 207; MM, 110, 111, 216; Carte Pucci, VI 6: e, in Bibl. Naz. Centr. di Firenze, Carte Passerini, 188. Dei G. parlano gli eruditi: B. De' Rossi, Lettera a Flamminio Mannelli... delle famiglie e degli uomini di Firenze, Firenze 1585, 44, 45; P. Mini, Discorso della nobiltà di Firenze e de' fiorentini, ibid. 1614², 140, 143, 146; ID., Difesa della città di Firenze e de' fiorentini contra le calunnie e maldicenze de' maligni, Lione 1577, 290, 297, 302, 304; U. Verino, De Illustratione urbis Florentiae, Firenze 1636², 84; F.L. Del Migliore, Firenze città nobilissima illustrata, I 1, ibid. 1684, 283; Delizie degli eruditi toscani, a c. di I. da San Luigi, ibid. 1770-1789, ad indicem.

Per la parte avuta dai G. nella storia del comune di Firenze, si vedano: F.T. Perrens, Histoire de Florence, Parigi 1877, I 311; II 407; Davidsohn, Storia II II 633, 635, 644; IV II 647.

La vicenda genealogica dei G. è sintetizzata da G.G. Warren Lord Vernon, L'inferno di D.A., II (Documenti), Londra 1862, 479; L. Passerini, annotazioni al romanzo storico di A. Ademollo, Marietta de' Ricci, ovvero Firenze al tempo dell'assedio, IV, Firenze 1845², 1297; Scartazzini, Enciclopedia, i quali accennano - particolarmente il Passerini - anche alle altre famiglie fiorentine di questo nome.

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