GAETA

Enciclopedia Italiana (1932)

GAETA (A. T., 27-28-29)

Goffredo COPPOLA
Carmelo COLAMONICO
Gino CHIERICI
Paolino MINGAZZINI
Ernesto PONTIERI
Camillo MANFRONI
Cesare CESARI
Tammaro DE MARINIS

Città della provincia di Roma, che fece parte fino al 1927 della soppressa provincia di Caserta, di cui costituiva uno dei 5 capoluoghi di circondario. Essa si allunga nel ben riparato golfo omonimo, sul fianco settentrionale di un promontorio che lo divide dal Golfo di Terracina, ed è formata da due distinti nuclei urbani: Gaeta propriamente detta a SE. ed Elena a NO. Gaeta costituisce il nucleo primitivo, che sorge proprio nel tratto estremo del promontorio, al di là di un basso istmo, detto di Montesecco, e in posizione perciò fortissima per il suo netto distacco dalla terraferma. Tale distacco risulta ancora più accentuato dalla presenza dell'altura di Monte Orlando (167 m.), il quale si erge tra l'istmo di Montesecco e l'abitato, e scende ripido sul mare verso S. e SO.; sicché, avvolto pur esso quasi interamente dalla stessa cinta di mura che avvolge la città e munito per natura dalla parte del mare, veniva a costituire un elemento di prim'ordine nel sistema difensivo della piazzaforte. Elena è l'antico Borgo di Gaeta; è il centro abitato che sorse fuori delle mura, in tempo posteriore alle invasioni saracene, per raccogliere la popolazione dedita ai lavori agricoli e alla pesca, e che si sviluppò gradatamente fra le colline e il mare, lungo la strada litoranea che congiunge Gaeta all'antica Via Appia (la sua lunghezza si approssima oggi ai 3 km.). Dei due centri abitati, sin dal sec. XVII il Borgo contava più numerosa popolazione che Gaeta; nel 1735 figuravano assegnati 5196 ab. al primo e 3030 alla seconda. Subito dopo il famoso assedio del 1860-61, la popolazione di tutto il comune di Gaeta fu censita in 14.217 abitanti, e salì a 18.385 nel 1871 (11.192 a Borgo e 7193 a Gaeta). L'ultimo ventennio del secolo scorso segnò l'inizio per i due centri di una considerevole emigrazione transoceanica, e nel 1897, costituitosi il Borgo a comune autonomo col nome di Elena (da quello dell'attuale regina d'Italia, che pochi mesi prima era andata sposa a Vittorio Emanuele III), gli fu assegnata un'area di 21,5 kmq., mentre ne rimaneva una di kmq. 6,88 al comune di Gaeta. Nel 1901 veniva censita nei due comuni, rispettivamente, una popolazione di 10.369 e 5528 ab., che aumentava a 11.510 e 6586 nel 1921. Dal 17 gennaio 1927 i due comuni sono stati nuovamente riuniti a formarne uno solo, quello di Gaeta, distinto amministrativamente nelle sezioni S. Erasmo (la città chiusa dentro le mura) e Porto Salvo (Elena). Il censimento del 1931 assegna al nuovo comune una popolazione di 22.882 ab. La maggiore attività economica è tuttora spiegata dagli abitanti di Elena (Gaeta è popolata soprattutto da militari e impiegati); per quanto decaduta, viene sempre praticata a Elena l'industria della costruzione dei battelli a vela, è in fiore la pesca e vi è un'importante vetreria. Il territorio del comune è fittamente coltivato a ortaggi, ulivi, viti e alberi da frutta. A occidente dell'istmo di Montesecco si allunga la spiaggia di Serapo, che è molto frequentata nella stagione balneare. Nelle sue vicinanze, M. Orlando precipita sul mare con alta parete, formando una triplice spaccatura (la cosiddetta "Montagna spaccata"), in una delle quali un masso caduto dall'alto della rupe nel sec. XV e rimasto incastrato a circa 40 m. s. m., nel fianco dell'abisso, dà ricetto alla piccola cappella del Crocifisso.

Gaeta ha un piccolo porto nella parte più orientale del promontorio; esso è aperto verso nord e serve solo per le navi di modesto pescaggio; le grandi navi si ancorano nella rada di fronte a Elena. Nel triennio 1926-28, il movimento della navigazione si è svolto nella media annua di 26 mila tonn. di merci per Gaeta (fatto soprattutto da piroscafi) e di 14 mila per Elena (fatto quasi esclusivamente da velieri).

Gaeta è testa di linea di una ferrovia che la congiunge con Sparanise, sulla Roma-Caserta-Napoli; questa ferrovia taglia a Formia la direttissima Roma-Napoli; Gaeta è peraltro legata con Formia mercé un servizio automobilistico.

Monumenti. - La città è interessante per le tortuose straducce medievali dove le case dei secoli XII e XIII e gli archi di appoggio e i giardini pensili creano prospettive pittoresche. I principali monumenti antichi sono il magnifico sepolcro di Lucio Munazio Planco, sufficientemente conservato, resti della tomba di L. Sempronio Atratino, e ruderi sparsi di ville romane. S. Giovanni a Mare, in cui si fonde lo schema della basilica con quello della chiesa bizantina a pianta centrale, contiene frammenti del sec. IX e del X. La cattedrale, consacrata nel 1106, rifatta nel 1792, conserva una navata antica ora destinata a museo e alle opere d'arte più importanti: la colonna del cero pasquale con rappresentazioni a bassorilievo della vita di S. Erasmo (sec. XIII); la Madonna degli Angeli, attribuita al Bronzino; il Martirio di S. Erasmo, del Saraceni; l'Assunta del Conca; lo stendardo della battaglia di Lepanto; S. Erasmo, statua d'argento sbalzato, in parte del sec. XIV. La cripta fu decorata con marmi policromi e stucchi nel 1666 e affrescata da Giacinto Brandi. Il campanile, eretto nella seconda metà del secolo XII, è un magnifico esemplare di quell'architettura che risalendo dalla Sicilia si sviluppò nella costiera amalfitana e trionfò nel duomo di Caserta vecchia. A questa corrente, oltre la parte antica della cattedrale, non fu estranea la chiesa cassinese di S. Lucia, la quale contiene avanzi di plutei a formelle del secolo XIII, un Cristo in tavola, forse duecentesco ma in parte ridipinto, un trittico su fondo d'oro del 1456 attribuito al Silvestri. Frammenti di plutei e fregi marmorei del sec. IX sono nella grande chiesa di S. Domenico ora restaurata, di un tardo ogivale (campanile coevo a quello del duomo). Elementi di architettura del sec. XIV troviamo nella chiesa dell'ospedale della SS. Annunziata, fondato verso il 1355, che ha quadri del Conca, di Luca Giordano, una Deposizione dello Spagnoletto; nella vicina cappella cinquecentesca due tele di F. Criscuolo (1531). Interessanti i palazzi dei Caetani di Castelmola, del sec. XII; di Ladislao, del sec. XV; e Guastaferri, del sec. XVI. La cinta bastionata della città, costruita nel 1516, esiste ancora in parte. Il castello che domina la città è di origine sveva, ma fu modificato dagli angioini e poi dagli aragonesi: Carlo V lo ampliò. A O., la celebre Montagna spaccata, con la cappella del Crocefisso, costruita nel sec. XV. Dalla parte opposta, il faro, innalzato nel 1255, indica ai naviganti l'ingresso del golfo, uno dei più belli della costa tirrena.

V. tavv. XLVII e XLVIII.

Storia. - Incerta è l'etimologia dell'antico nome di Gaeta, Caieta. Una leggenda, cantata da Virgilio, fa morire qui la nutrice di Enea, che avrebbe dato il nome al luogo. Politicamente Caieta non ebbe autonomia, ma dipese sempre da Formia (v.), il che spiega come alcuni fatti, come la morte di Cicerone, siano riferiti come avvenuti ora nell'uno ora nell'altro luogo. Fu celebrata nell'antichità per il porto e per la spiaggia e quindi per le ville, come quelle di Cicerone e di varî imperatori. Solo dopo la distruzione di Formia nell'874 crebbe dalle rovine della città vicina.

Divenne allora sede di vescovado e, alla fine del sec. IX, emancipatasi dal ducato di Napoli, anche capitale d'un omonimo ducato, che si rese presto indipendente dall'impero bizantino e conseguì una crescente importanza nella vita politica dell'Italia meridionale. Ipata, console, duca si disse il capo di questo nuovo stato, che ebbe una monetazione largamente diffusa nei mercati italiani e una legislazione notevolmente influenzata dal diritto romano.

I commerci marittimi non solo costituirono la fonte principale della ricchezza di Gaeta nel Medioevo, ma vi crearono un vero e proprio "popolo", onde il governo del ducato e l'amministrazione interna della città ebbero una particolare fisionomia. Difatti il potere ducale andò sempre indebolendosi fino a trasformarsi da monarchico in aristocratico, laddove il popolo guadagnò continuamente in fortezza, prosperità e coscienza: già nel 1029 al duca e ai "grandi e mediocri cittadini" di Gaeta, l'esule Sergio IV, duca di Napoli, giurava solennemente ampie franchigie, qualora fosse riuscito, col loro aiuto, a ricuperare íl dominio perduto. Tali peculiarità della sua storia procurarono a Gaeta la denominazione di piccola Venezia del Tirreno. Le navi di Gaeta parteciparono alla celebre battaglia di Ostia dell'849, e in gran parte spetta a essa il merito della vittoria che gli stati meridionali riportarono sui musulmani presso le foci del Garigliano nel 915.

La comparsa dei Normanni nel Mezzogiorno segnò la fine dell'indipendenza gaetana, durata un secolo e mezzo, dal fondatore di essa, Docibile I, all'ultimo erede della sua dinastia, Giovanni V (1032). Palleggiato di poi fra i principi longobardi di Capua e di Salerno, nel 1066 il ducato era già in possesso di Riccardo di Capua, erede di Rainulfo, primo conte normanno di Aversa, a cui era stato ceduto da Guaimario IV di Salerno fin dal 1032; e dai conti normanni di Capua esso pervenne finalmente a Ruggiero II, fondatore della monarchia siciliana, nel 1136.

Ma la monarchia non soffocò né la prosperità del commercio di Gaeta né la struttura del suo reggimento democratico; con un giudice e quattro consoli, rinnovabili ogni anno, con un consiglio di sapientes viri e col presidio di cospicue prerogative, su cui verranno più tardi elaborati gli statuti, Gaeta costituirà la città privilegiata del regno. La sete di più larghe franchigie la portò a ribellarsi a Federico II e a darsi a Gregorio IX; il che le costò una dura limitazione delle sue antiche prerogative. Ma anche quando le amministrazioni comunali del Mezzogiorno finirono con l'essere livellate dall'accentramento monarchico Gaeta conservò un'amministrazione conforme alle sue tradizioni e alla sua compagine sociale, e meritò, in ogni tempo, i favori dei re di Napoli.

Piazzaforte e porto militare di prim'ordine, protetta da un complesso di fortificazioni formidabili e di varia epoca, essa è stata detta la chiave di Napoli; certo i destini del regno sono stati spesso decisi fra le sue mura o su quella pianura campana di cui Gaeta rappresentava, dopo Capua, l'estremo baluardo.

Nel 1289 la sua resistenza impedì a Giacomo d'Aragona d'impadronirsi della capitale; lo stesso toccò nel 1463 alle truppe di Giovanni d'Angiò, invocato dai baroni ribelli contro Ferrante d'Aragona. Da essa partì, nel 1571, Marco Antonio Colonna, il vincitore di Lepanto, e, al ritorno, nel suo duomo ricco di tesori e di memorie, egli depose il glorioso vessillo datogli da Pio V. Costretti, in ore burrascose, ad abbandonare Roma, alcuni pontefici trovarono rifugio fra le robuste mura di Gaeta: memorabile fra tutte la dimora che vi fece nel 1849 Pio IX in compagnia del re di Napoli e del granduca di Toscana: allora Gaeta, divenuta la cittadella della reazione, per nove mesi ebbe fama mondiale.

Gaeta sostenne ben 14 assedî; di cui i più celebri furono quelli del 1806 e del 1860, Nel 1806 il generale francese J.-L. Reynier intimò al principe d'Assia Philippsthal la resa della città. Alla resistenza opposta, il Massena inviò nuove truppe comandate dal generale Lacour così da investire la piazza con 14 mila uomini e 70 cannoni. Gaeta resistette ancora cinque mesi, capitolando il 18 luglio 1806.

Nel 1815, un corpo austriaco comandato dal barone von Lauer, coadiuvato dalla flotta inglese, investì la piazza per terra e per mare. Essa era difesa dal generale Alessandro Begani, che nonostante la caduta di Murat volle mantenersi al suo posto d'onore, resistendo con soli 1000 uomini dal 16 luglio all'8 di agosto, ricacciando più volte gli assalitori e obbligandoli a limitarsi a operazioni di blocco, che costarono agli assalitori perdite gravissime, essendo le posizioni occupate soggette ai tiri della piazza. Arresosi per mancanza di viveri e per le malattie che infierivano fra le truppe, il Begani ottenne onorevolissime condizioni.

L'assedio del 1860-61 segnò la fine della dinastia borbonica. Dopo la resa di Capua e il combattimento di Mola di Gaeta, i borbonici, battuti dalla 1ª divisione italiana del generale M. De Sonnaz, raggiunsero nella fortezza il re Francesco II, la corte, i ministri, il corpo diplomatico e circa 12 mila uomini con 300 bocche da fuoco al comando del generale Salzano, che già vi si erano rifugiati. Dell'investimento della piazza fu incaricato il generale Cialdini comandante dal IV corpo d'armata, composto della 4ª e 7ª divisione, rispettivamente agli ordini dei generali Pes di Villamarina e Leotardi, e comprendenti le brigate Regina, Savona, Bergamo e Como, in tutto 16 mila uomini. Intanto anche la squadra sarda, al comando del Persano, era stata mandata nel Basso Tirreno; per appoggiare le operazioni dell'esercito. La squadra ebbe anzitutto l'ordine di aiutare l'esercito, comandato dal Cialdini, nel passaggio del Garigliano: ma allorché il 27 ottobre una divisione si presentò alla foce del fiume, vi trovò una divisione navale francese (amm. Barbier du Tinan), che in nome del governo imperiale si oppose a ogni azione. Il re Vittorio Emanuele II telegrafò tosto all'imperatore Napoleone III, il quale abbandonò allora l'idea di proteggere da parte di mare la città di Gaeta e il re Francesco, sicché la divisione francese si ritirò e la sarda poté eseguire gli ordini del Cialdini, proteggendo con le sue artiglierie la costruzione del ponte sul fiume e riducendo al silenzio le opere avanzate di Mola. I borbonici intanto avevano tentate due sortite, una il 12 novembre e l'altra il 29, entrambe respinte; e mentre le trattative per l'allontanamento dei Francesi erano avviate, il 9 gennaio Gaeta fu investita da un primo violento bombardamento, dopo il quale chiese un armistizio di 10 giorni, che fu concesso. Partito l'ammiraglio Barbier, il Persano il 19 gennaio iniziò il blocco anche dal lato di mare. Le operazioni di bombardamento cominciarono tre giorni dopo, contemporaneamente al bombardamento terrestre. Sulla spiaggia di Mola furono posti in azione i nuovi cannoni rigati Cavalli. Le cannoniere Confienza (Saint-Bon), Vinzaglio (Burone Lercari), Veloce (Cappellini), sostenute dalla Garibaldi (D'Amico), attaccarono le batterie esterne, mentre la Carlo Alberto (Millelire), la Vittorio Emanuele (Provana), la Monzambano (Monale) e la Costituzione (Wright) si recavano a bombardare la città dalla parte del fanale. Più tardi entrò in azione anche la nave ammiraglia, Maria Adelaide (Acton): ma, secondo gli accusatori del Persano, scambiati appena pochi colpi, l'ammiraglio si sarebbe ritirato, avendo la sua nave ricevuto lievi danni dalle batterie nemiche. Il Vecchj, con la testimonianza di superstiti e dello stesso generale Cialdini, combatté l'accusa di pusillanimità rivolta al Persano. In seguito a numerose avarie, riportate dopo circa due ore di bombardamento, la Confienza e la Vinzaglio chiesero e ottennero di ritirarsi, sicché sul fronte esterno rimasero solo la Garibaldi e la Veloce: ma presto giunse in loro aiuto la Costituzione, inviata dal Persano. Nel pomeriggio le navi maggiori, Maria Adelaide, Carlo Alberto, Vittorio Emanuele, e poco dopo la Ardita (Ansaldi) sfilarono a mezzo tiro di cannone dinanzi alle batterie centrali, casamattate, attaccandole con numerose fiancate. A sera la squadra prese il largo e riparò le sofferte avarie, non gravi, meno quelle della Vinzaglio che, rientrata in combattimento, era stata ripetutamente colpita e fu dovuta mandare all'arsenale di Napoli. Il giorno successivo il Persano pensò di tentare un colpo ardito, trasformando in incendiaria la Confienza, anch'essa malconcia, affidando al suo comandante, già da allora noto per audacia, il compito di avvicinarsi alle fortificazioni e farle saltare con la nave stessa: ma quando i preparativi stavano per essere compiuti, la piazza si arrese. Frattanto le operazioni di bombardamento continuavano, ma solo di notte e per opera di navi isolate, mentre il grosso dell'armata attendeva al blocco e respingeva i tentativi di rifornimento della piazza per via di mare. Ma quando il 5 febbraio per l'incendio di una polveriera si aprì una breccia nel bastione di Sant'Antonio, il Persano inviò la Garibaldi a completare l'opera dalla parte del mare, il che fu fatto dal D'Amico con prontezza e ardimento. Il 6 febbraio fu concessa una sospensione d'armi, che durò tre giorni; e in questo tempo una nave della squadra prese a bordo circa 200 feriti borbonici. Riprese le ostilità, l'armata ricominciò i bombardamenti notturni, nei quali si segnalò la Carlo Alberto. Il 13 febbraio, scoppiata con gravissimi danni l'altra polveriera detta Transilvania, la piazza capitolò.

Questo assedio durato tre mesi era costato 46 morti e 320 feriti alle truppe italiane, 826 morti e più di 500 feriti alle truppe borboniche. La capitolazione fu firmata nella villa Castellone (Formia). Dopo di essa Francesco II e la sua corte, sul vapore Mouette, partirono per Terracina; e di là per Roma. I prigionieri (circa 10 mila) furono inviati alle isole del golfo di Napoli, e la brigata Regina, entrando prima in Gaeta, issò sulla torre d'Orlando la bandiera italiana.

Arte della stampa. - Due rarissimi volumi testimoniano l'esercizio della stampa a Gaeta nel sec. XV: un Formulario de epistole vulgare missute et responsiue et altri fiori de ornati parlamenti... composto per Christoforo Landini citadino di Firenze, stampato nel 1487 forse da Andrea Freitag (unico esemplare noto è quello conservato nella Bibl. Naz. di Napoli) e un Dialogo di Santo Gregorio Papa stampato nel 1488 da un "maiestro Justo" (forse Iusto Hoenstein o Havenstein): se ne conosce il solo esemplare della Bibl. Naz. di Napoli. Oltre le due edizioni citate, esistono cinque altri libretti privi di note tipografiche i cui caratteri sono stati riconosciuti come gli stessi adoperati a Gaeta; quattro sarebbero stampati da Andrea Freitag intorno al 1487: L. Dati, La Sfera (Bibl. Corsini, Roma); La Passione di N. S. Gesù Cristo (Bibl. Vaticana); Pulci, La rotta di Babilonia (Bibl. Vaticana); Rhasis, Documenta (Roma, Bibl. Lancisiana). Il quinto fu impresso con i caratteri di "mastro Iusto" ed è un Lunario per gli anni 1485-1550 di Bernardo De Granollachs, di cui si conoscono due esemplari, uno dei quali nella Bibl. Naz. di Firenze.

Bibl.: C. Grossi, Il golfo di Gaeta, Roma 1927; L. Salemme, Gaeta, Milano s. a.; P. Gribaudi, Il golfo di Gaeta, Pavia 1906; id., I centri abitati nel golfo di Gaeta, Napoli 1930. - Sui monumenti della città v.: E. Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, Parigi 1904; G. Ferraro, La colonna del cero pasquale di Gaeta, Napoli 1905; id., Le monete di Gaeta, Napoli 1915; P. Fantasia, Sui monumenti medievali di Gaeta, Napoli 1920; G. Q. Giglioli, La tomba di L. Munazio Planco a Gaeta, in Architettura e arti decorative, I (1921-22), pp. 507-525; G. Caetani, Domus Caietana, S. Casciano Val di Pesa 1927; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Torino 1927, pp. 668, 1132. - Sulla storia della città, oltre le mediocri storie locali di L. Severo (Italia 1865); O. Gaetani d'Aragona (Milano 1879; Caserta 1885); S. Ferraro (Napoli 1903) e Vento (Caserta 1911), vedi: per l'antica Caieta: Ch. Huelsen, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, col. 1322 seg.; H. Nissen, Italische Landeskunde, II, ii, Berlino 1902, pp. 660-661; per l'epoca medievale e moderna, v.: Tabularium; Codex Diplomaticus Cajetanus, voll. 2, Montecassino 1887-91; C. Minieri-Riccio, Repertorio delle pergamene delle università e comune di Gaeta, Napoli 1884; B. Federici, Degli antichi duchi e consoli della città di Geata, Napoli 1791; M. Schipa, Il ducato di Napoli, Napoli 1895; P. Fedele, Il ducato di Gaeta all'inizio della conquista normanna, in Arch. stor. nap., 1904; id., Lo stendardo di Marco Antonio Colonna a Lepanto, Perugia 1904; id., La battaglia del Garigliano dell'anno 915 ed i monumenti che la ricordano, in Arch. Soc. rom. st. pat., 1899; M. Merores, Gaeta in frühen Mittelalter (VIII.-XII. Jahrh.), Gotha 1911; F. Schupfer, Gaeta e il suo diritto, Roma 1916; D. Tucci, La legislazione statutaria del comune di Geata, in Studi di st. nap. in onore di M. Schipa, Napoli 1926; id., La costituzione del comune di Gaeta, Cagliari 1925. - In particolare per l'assedio del 1860-61, v.: F. Carandini, L'assedio di Gaeta nel 1860-61, Torino 1874; A. V. Vecchj, Storia generale della marina militare, III, Livorno 1895, p. 211 segg.; A. Lumbroso, Il processo dell'ammiraglio Persano, Roma 1905; C. Cesari, L'Assedio di Gaeta e gli avvenimenti militari del 1860-61, Roma 1926.