Grillparzer, Franz

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Poeta e drammaturgo (Vienna 1791 - ivi 1872). Considerato il più grande scrittore della letteratura austriaca, il centro della sua opera è l'analisi delle condizioni dell'agire umano, o più esattamente della difficoltà di tuffarsi nel flusso dell'azione individuale e storica (sintomatica è la novella Der arme Spielmann, 1848). L'irreversibilità di ciò che si compie è oggetto di uno studio psicologico e di una rappresentazione drammatica che suggellano il senso di una passiva inadattabilità alla vita, dove le stratificazioni autobiografiche e le implicazioni attuali assumono le forme del mito, della favola, della storia o della parabola.

Vita

Mortogli il padre nel 1809, fu costretto a provvedere alla famiglia prima con lezioni private e come istitutore, poi, dal 1813, come impiegato nell'amministrazione delle Finanze. Provato da altre tragedie familiari, a disagio nell'atmosfera dell'Austria conservatrice e reazionaria, amareggiato per la lentezza della sua ostacolata carriera (dal 1833 direttore degli archivi al Ministero delle finanze),  chiuse in sé la sua passionalità, rinunciando a formarsi una famiglia, vivendo solitario tra gli obblighi dell'impiego e il conforto della poesia. Priva di notevoli vicende esteriori, l'esistenza del poeta trascorse tutta a Vienna, con la sola interruzione di alcuni viaggi all'estero (in Italia nel 1819, a Venezia, Firenze e Roma; nel 1826 in Germania, dove conobbe il Goethe; nel 1836 in Francia e Inghilterra; nel 1843 in Turchia e in Grecia) e di frequenti soggiorni in luoghi di cura. Dedicò la sua attività letteraria soprattutto al teatro, affermandosi rapidamente e ottenendo notevoli successi, fin quando, caduta nel 1838 la sua commedia Weh' dem, der lügt, non volle per lungo tempo rappresentata alcuna sua opera nuova. Osteggiato spesso dalla polizia e dalla censura per i suoi sentimenti liberali, ottenne dopo il 1848 ampi riconoscimenti e onori, mentre i suoi drammi godevano di una felice ripresa sulla scena.

Opere e pensiero

Le sue aspirazioni di rinnovamento liberale lo resero in un primo momento critico nei confronti dell'Austria di Metternich (atteggiamento in cui fu confermato dai suoi viaggi in Italia, Germania, Francia, Inghilterra, Grecia, Turchia). A quell'Austria però si riaccostò poi idealmente quando le forze centrifughe del nazionalismo quarantottesco gli parvero rimettere in discussione i valori universalmente umani della tradizione austriaca. Rimasto lontano dall'esperienza romantica tedesca, guardò con non celata ammirazione ma anche con consapevole distacco alla classica perfezione di Goethe e in parte di Schiller. Nel suo animo però prevalevano le contrastanti eredità dell'illuminismo giuseppino e della tradizione barocca viennese. Esordì trionfalmente nel 1817 con l'Ahnfrau, ma più per l'esteriore affinità di quest'opera col popolare "dramma del destino", che non per l'annunciarsi in essa dei suoi temi più originali. Dopo il successo della Sappho (1818) e dopo un primo, poi non più rinnovato, contratto in qualità di "poeta di teatro", la sua carriera teatrale si esaurì con alcuni successi di stima, spesso insidiati dalla censura, e con la caduta della commedia Weh dem, der lügt (1838); né la tarda ripresa dei suoi drammi per opera di H. Laube, dopo il 1848, valse a mitigare il senso di frustrazione di G., che lasciò inedite le sue ultime tre tragedie.  In Sappho, nella trilogia Das goldene Vlies (1819-21) e nel Des Meeres und der Liebe Wellen (1831), il mito greco solleva i problemi della convivenza umana dalla banale attualità verso luminose sfere ideali. In Der Traum, ein Leben (1834) e a tratti in tutti gli altri drammi, il mondo fiabesco, attinto alla tradizione teatrale viennese e agli spagnoli del "siglo de oro", sembra garantire la possibilità di un'evasione in un mondo di sognata facilità, da cui riemerge però l'orrore di fronte alla responsabilità dell'agire. Alla lunga è però il mondo storico del passato austriaco (e anche spagnolo) a risultare più congeniale a Grillparzer. In esso egli riesce a esprimere, da un lato il senso di una continuità superindividuale (König Ottokars Glück und Ende, 1825), e dall'altro la minaccia di un inarrestabile disfacimento, alla luce del quale l'unica saggezza consiste nel rinunciare all'azione (Ein treuer Diener seines Herrn, 1828; Die Jüdin von Toledo, Ein Bruderzwist in Habsburg, Libussa, postume). Notevolissimi, più che le liriche, sono infine i diari e uno zibaldone critico.

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