ANGELINI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 34 (1988)

ANGELINI, Francesco

Luciano Segreto

Nacque a Rotella (Ascoli Piceno) il 30 nov. 1887. Il padre, Igino, venditore ambulante, e la madre, Lucia Marini, nonostante la loro modesta condizione, in virtù di grossi sacrifici riuscirono a farlo studiare sino a livello universitario. L'A. si diplomò infatti presso la Scuola di farmacia, con diritto di abilitazione, dell'università di Camerino nel luglio del 1909.

Lavorò per qualche mese presso la farmacia notturna di Ancona, ma dovette interrompere quasi subito tale impegno per assolvere gli obblighi militari. Nel novembre del 1909 si iscrisse al corso allievi ufficiali farmacisti presso l'ospedale militare di Torino. Nell'ottobre 1910, ottenuto il grado di sottotenente, lo si ritrova nella farmacia militare di Novara e, dopo un breve periodo nella cittadina piemontese, si fece destinare all'ospedale militare di Ancona, così che poté anche riprendere servizio presso la farmacia notturna della città.

Lasciata la divisa, nel 1912 rilevò una piccola farmacia secondaria di Ancona con i risparmi accumulati nei primi anni di lavoro, ma soprattutto grazie ad un prestito di 9.000 lire raccolto tra amici e parenti (un prestito che la sua abilità e competenza professionale gli consentirono di restituire nel giro di soli tre anni, dato che fin da allora l'A. cominciò a produrre in proprio una certa quantità di farmaci poco complessi e molto richiesti).

Con lo scoppio del conflitto e l'entrata in guerra dell'Italia, l'A. venne richiamato in servizio come ufficiale farmacista. Se, per certi versi, la parentesi bellica frenò i progetti che egli aveva cominciato ad accarezzare tra il 1912 e il 1915 con i timidi esordi come piccolo produttore di medicinali, per altri versi l'esperienza quotidiana negli ospedali militari, li chiarì e li irrobustì: l'enorme consumo di preparati medicinali mise infatti in luce le gravi difficoltà in cui si trovava l'industria chimico-farmaceutica italiana.

Frutto secondario della più generale inconsistenza di gran parte del settore chimico (faceva eccezione solo la produzione di fertilizzanti), il ramo farmaceutico non aveva ancora raggiunto un livello tale da poter far fronte alle necessità del paese. Prima della guerra le poche aziende del settore di una certa consistenza (la Carlo Erba di Milano e la Schiapparelli di Torino) riuscivano a coprire solo una minima quota del mercato interno, largamente dominato dalle aziende tedesche. Nel corso del conflitto sorsero in Italia parecchi laboratori (la maggior parte annessi alle farmacie), alcune imprese si dedicarono più a fondo a questa attività e un certo apporto lo diedero pure gli stabilimenti farmaceutici militari. Non mancarono le frodi (impiego di una materia prima "simile" in luogo di quella idonea), né si poté fare a meno di ricorrere alle importazioni, in particolare dalla Svizzera.

Cionondimeno il consuntivo che era lecito trarre alla fine del conflitto era, nel complesso, abbastanza lusinghiero: tanto che fin dal 1919 l'industria farmaceutica italiana - certo improvvisata, caotica, ancora strutturalmente debole - era comunque già in grado di iniziare ad esportare alcuni prodotti che andavano sotto il nome di "medicamenti composti" (pastiglie, pillole, sciroppi), anche se restava ancora in parte dipendente dai mercati esteri per i preparati di base (acetanilide, acido salicilico, antipirina, aspirina, ecc.).

Al ritorno ad Ancona l'A. riprese in mano la gestione della farmacia e, nel contempo, attrezzò un piccolo laboratorio per la fabbricazione di medicinali nel quale lavoravano all'inizio tre operai. Le riflessioni provocate dall'impatto con il fenomeno bellico non si limitarono tuttavia alla sola sfera economica. È di quegli anni anche la maturazione di alcune convinzioni politiche e ideali che portarono l'A. ad iscriversi al partito repubblicano, una formazione che nella fascia adriatica romagnolo-marchigiana vantava vasti e solidi legami popolari. Nelle elezioni amministrative dell'autunno 1920 fu eletto consigliere comunale e l'anno successivo assunse pure la carica di assessore all'igiene dell'amministrazione retta dall'onorevole Pacetti.

Con l'avvento del regime mussoliniano e la fascistizzazione di tutte le strutture politiche ed amministrative dello Stato si interruppe anche questa prima esperienza in campo politico. Da quel momento, e fino al ritorno della democrazia, egli si ritirò dalla scena pubblica e si dedicò unicamente agli affari.

Il minuscolo laboratorio creato subito dopo il conflitto si era nel frattempo molto sviluppato. La ACRAF (Aziende chimiche riunite Angelini Francesco) - questa la ragione sociale dell'impresa costituita dall'A. all'inizio degli anni Venti per la gestione del piccolo stabilimento - dava ora lavoro a parecchie decine di operai. Inoltre, nel 1926, l'ex farmacista (a quell'epoca l'A. poteva ormai considerarsi a pieno titolo un industriale) costituì la società anonima Industrie chimiche Italia centrale (ICIC) con sede e unità produttive ad Ancona. Tale impresa affiancò la prima creazione industriale dell'A. nel campo della produzione farmaceutica, dando vita nel contempo ad un'altra serie di lavorazioni nel settore degli oli vegetali, secondo un progetto di diversificazione delle attività produttive che negli anni seguenti si sarebbe affermato in maniera più marcata.

Alcune tendenze della politica economica fascista favorirono indubbiamente il consolidamento delle industrie farmaceutiche dell'Angelini. Sostanzialmente privo di preoccupazioni dal lato del fattore lavoro, l'industriale marchigiano poté concentrarsi quasi esclusivamente sullo sviluppo tecnico-produttivo e finanziario delle proprie aziende. La formazione universitaria, quasi prima ancora di quella imprenditoriale, lo spinsero a tener sempre vivo l'interesse per la ricerca scientifica e le sue applicazioni sul terreno industriale: una scelta, questa, che in campo industriale-farmaceutico era pressoché obbligata, pena l'esclusione dal mercato. Le due fabbriche (che negli anni Venti e Trenta erano giunte ad occupare alcune centinaia di operai) furono dotate di moderni laboratori per lo studio di nuovi preparati, mentre per quanto riguarda gli approvvigionamenti di certe materie prime impiegate nelle lavorazioni l'A. cercò, non senza successo, di rendersi vieppiù indipendente dai fornitori. Con l'avvio della politica autarchica da parte del regime questi orientamenti si consolidarono ulteriormente.

La ICIC acquistò degli appezzamenti di terreno per complessivi 300 ettari in provincia di Ancona, sui quali coltivare il ricino. L'olio ottenuto dalla spremitura dei semi non era tuttavia impiegato a fini medicinali se non in misura minima. Veniva invece venduto principalmente al ministero dell'Aeronautica, che lo impiegava come lubrificante per i motori d'aeroplano. Inoltre, negli stessi impianti di spremitura alla vigilia del secondo conflitto mondiale venivano anche immessi i semi di lino (la pianta era pure coltivata in provincia di Ancona), il cui olio poteva essere usato, tra l'altro, come surrogato della gomma elastica o per fabbricare saponi molli trasparenti e grassi idrogenati.

La seconda guerra mondiale comportò inizialmente una notevole intensificazione dell'attività nelle fabbriche dell'Angelini. Poi, con il mutamento delle sorti militari del conflitto, cominciò un periodo alquanto difficile. Gli stabilimenti furono ripetutamente bombardati. Quattro dei cinque capannoni della ACRAF furono distrutti, mentre nulla rimase degli impianti delle ICIC. Il lavoro venne tuttavia proseguito in provincia, a Castelferretti, con 250 operai, in un laboratorio che l'A. allestì alla meglio per non interrompere totalmente la fabbricazione di medicinali quantomai utili alle popolazioni delle Marche e dell'Abruzzo.

Con il ritorno della pace l'A. predispose immediatamente un piano per la ricostruzione degli stabilimenti. La trafila per ottenere gli aiuti statali o alleati avrebbe certamente comportato tempi molto lunghi. L'industriale marchigiano decise invece di affrettare quanto possibile la ripresa delle attività e si rivolse perciò ad alcune banche, dalle quali ottenne un prestito di circa mezzo miliardo di lire, una cifra enorme per l'epoca, ma che testimonia anche la grande affidabilità dei suoi progetti. Inoltre, per superare ritardi che potevano sopravvenire a causa della scarsità di materiali da costruzione, rilevò addirittura una fornace che iniziò a lavorare praticamente solo per lui.

La fine del regime fascista e la nascita dell'Italia democratica e repubblicana significarono per l'A. anche un ritorno alla vita politica attiva. Nel 1948 venne eletto nuovamente consigliere comunale per il partito repubblicano e l'anno seguente succedette ad un altro repubblicano, Giuseppe Mario Marsigliari, alla guida dell'amministrazione cittadina. Confermato pure nelle elezioni successive, mantenne la carica di sindaco fino alla morte, ad eccezione di una parentesi di un anno nel 1950-51. L'A. diede un contributo decisivo in qualità di sindaco (utilizzando anche le sue qualità imprenditoriali) allo sviluppo e al consolidamento delle attività portuali e profuse un grande impegno perché si creasse la zona industriale di Ancona.

È del 1952 la nomina dell'A. a cavaliere del lavoro e di qualche anno successiva quella a grand'ufficiale al merito della Repubblica, ma è della fine degli anni Cinquanta la realizzazione completa di un complesso mosaico di attività produttive, il cui centro propulsore rimaneva Ancona, ma le cui propaggini si estendevano ormai in parecchie regioni d'Italia.

Il modello aziendale cui diede forma l'A. (presidente o amministratore unico di tutte le aziende che facevano capo al gruppo) era basato da una parte sull'integrazione verticale (dalla produzione delle materie prime allo smercio dei prodotti finiti, persino al minuto) e dall'altra sulla diversificazione degli impegni. Al centro di questo piccolo impero imperniato sull'industria farmaceutica figuravano sempre la ACRAF (che tra il 1956 e il 1964 aumentò il proprio fatturato da quattro a tredici miliardi di lire) e le ICIC, presso le quali si preparavano oli medicinali e commestibili, mangimi e fertilizzanti.

Mentre per la ricerca applicata l'A. costituì un apposito centro dipendente dalla ACRAF a Roma, dove pure avevano sede gli stabilimenti della Romana Vernici, un'azienda dove si producevano coloranti ed alcune materie prime impiegate in altre fabbriche del gruppo, per la commercializzazione dei prodotti medicinali egli costituì la Fama (Farmaceutica maceratese) con sede a Macerata e la Farmasarda con sede a Sassari. Nell'Italia meridionale, sempre sulla fascia adriatica, avevano sede due altre unità produttive: la Fater (Farmaceutici Aterno) di Pescara (rilevata nel 1956 e potenziata sul piano finanziario sino a raggiungere, nel 1958, un capitale di 200.000.000), che si occupava della fabbricazione di specialità medicinali e della loro vendita all'ingrosso, e uno stabilimento situato a Trani, nel quale si distillava alcool, si producevano liquori e cremortartaro. A quest'ultimo tipo di attività davano un importante contributo anche la Casa vinicola Fazi Battaglia di Cupramontana (entrata a far parte del gruppo nel 1953) e la Baudino di Torino. L'A. costituì inoltre due società anonime con sede a Roma, la Giacobbi e la Farmaceutica latina, due società che possedevano e gestivano alcune farmacie nella capitale.

Attorno a questo nocciolo duro ruotavano altre attività, non meno importanti, che fecero sconfinare l'A. nel campo dell'industria agroalimentare: la Italim (Società italiana alimentare dietetica e conserviera), la SIMEM (Società industria molitoria e mangimistica), costituita nel 1957 con un capitale di 250.000.000, e la Società italiana sementi elette, fondata ad Ancona nel 1957 con un capitale iniziale di 50 milioni.

L'A. ricopriva inoltre una serie di cariche, in campo politico, economico e sociale. Oltre ad essere presidente della sezione di Ancona del Movimento federalista europeo, era presidente del Centro diagnostico anconetano per la lotta contro i tumori, presidente del Monte di credito su pegni del comune di Ancona, vicepresidente del Comitato per la zona industriale di Ancona e consigliere generale di amministrazione del Banco di Napoli.

Morì ad Ancona il 12 luglio 1964.

Bibl.: Il Chi è? nella finanza italiana 1955, Milano-Varese 1956, p. 28; Ancona che risorge, a cura dell'Amministrazione comunale di Ancona, Ancona 1956, pp. 7-9; Associazione fra le società italiane per azioni, Repertorio delle società italiane per azioni. 1958, Roma 1958, pp. 1131, 1374, 1397, 2291; Il Chi è? nella finanza italiana 1962, Varese-Milano 1963, p. 30; Un grave lutto per l'industria farmaceutica. F. A., in L'Industria dei fasci, X (1964), n. 6, pp. 14 s.; G. F., Un lutto per l'industria farmaceutica italiana. La scomparsa del dott. F. A., in Gazzetta farmaceutica, XIV (1964), n. 10, pp. 15 s.; più succinti, ma non per questo meno utili, i necrologi pubblicati nel Corriere della sera, 13luglio 1964 e La Voce repubblicana, 13-14 luglio 1964; Federazione nazionale dei cavalieri del lavoro, Elenco dei cavalieri del lavoro dalla fondazione dell'ordine, Roma 1967, p. 75; I creatori di lavoro, Roma 1968, pp. 27 s. V. infine: A. Giustini, F. A.: biografia di un imprenditore marchigiano 1912-1964, tesi di laurea, università di Ancona, facoltà di economia e commercio, a. a. 1985-86.

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