Forze Armate

Il Libro dell'Anno 2005

Antonio Martino

Forze Armate

Il mestiere delle armi

Professionisti per le Forze Armate

di Antonio Martino

9 dicembre 2004

Con l'ingresso delle ultime 800 reclute nell'Esercito si conclude la coscrizione militare obbligatoria. L'abolizione della leva militare, prevista per il 2007 dalla legge approvata dal Parlamento nell'ottobre 2000 e anticipata di due anni dal disegno di legge licenziato dalla Camera dei deputati il 29 luglio 2004, dà il via alla completa professionalizzazione delle Forze Armate italiane.

Dalla coscrizione di massa al volontariato

Il 2004 sarà ricordato nella storia italiana come l'anno della sospensione della leva obbligatoria.

Le ultime chiamate del 2004, infatti, hanno rappresentato la fine di un lungo ciclo iniziato nel 1861, all'indomani della costituzione del Regno d'Italia. Nel 2005 gli ultimi coscritti completeranno il servizio. Già dalla fine dell'anno, le Forze Armate disporranno solo di personale volontario.

Si tratta di un grande evento che risponde a precise ragioni politico-militari così come lo fu, nel 18° e 19° secolo, il passaggio all'esercito basato sulla coscrizione di massa nella scia delle guerre napoleoniche che mutarono profondamente gli scenari militari precedenti, caratterizzati da eserciti contenuti e da soldati professionisti.

Dopo la parabola napoleonica le cose cambiarono.

Gli equilibri fra le Potenze europee dell'Ottocento dipendevano molto dal potere militare che, pur avvalendosi di nuovi e più potenti armamenti, via via messi a disposizione dal progresso scientifico e tecnologico, era fondato soprattutto sul numero degli uomini in armi.

"La superiorità numerica nella tattica come nella strategia è il principio più generale della vittoria" ricorda Karl von Clausewitz nel suo Vom Kriege, precisando, tuttavia, che l'esito della battaglia è determinato da una complessa pluralità di fattori.

Il numero significò potenza per le Forze Armate di quasi tutti i paesi europei nell'era dell'espansione coloniale e del fervore nazionalistico che avrebbe portato alla Grande Guerra. Vennero poi gli anni dei totalitarismi e il terribile Secondo conflitto mondiale, combattuto con un enorme dispiegamento di forze in quasi tutte le regioni del globo, come mai prima nella storia.

La pace che ne seguì - il nostro immediato passato - vide nuove contrapposizioni e divisioni: i decenni della guerra fredda richiesero ancora all'Italia e ai paesi europei, dell'Est e dell'Ovest, il ricorso alla leva, per garantire la disponibilità di forze numericamente consistenti e dotate di elevata prontezza operativa. Insomma, a 150 anni dal suo Vom Kriege, il pensiero di von Clausewitz manteneva ancora la sua validità.

Sarebbe tuttavia errato, almeno per il nostro paese, far coincidere tout-court con la dissoluzione dell'URSS l'avvio del processo che poi ha portato alla fine della coscrizione obbligatoria. Nel periodo della guerra fredda vi erano comunque dubbi sull'utilità di mantenere in vita uno schieramento militare quantitativamente ampio ma eccessivamente statico. E, in parallelo, si sottolineava la difficoltà di affidare sistemi d'arma sempre più moderni e sofisticati a personale di leva poco specializzato a causa della durata sempre più breve del servizio obbligatorio.

A queste riflessioni si aggiunsero, negli anni Ottanta, le considerazioni connesse con le missioni in Libano: prima conseguenza di una nuova politica di sicurezza e difesa che già faceva intravvedere possibili tappe successive, ovvero l'effettivo impiego militare in aree di crisi con lo scopo di salvaguardare la pace e la sicurezza delle popolazioni e di evitare, o contenere, il propagarsi di effetti negativi sulla stabilità locale e globale.

In definitiva, se molti fattori suggerivano il mantenimento di forze di leva, altri e più consistenti elementi spingevano verso una crescente professionalizzazione.

Il Libro bianco della Difesa del 1985, voluto dal ministro Giovanni Spadolini, così fotografava la situazione del momento: "I moderni eserciti, prevalentemente meccanizzati, sono […] degli eserciti esistenti fin dal tempo di pace, così come le forze navali ed aeree: di ridotte dimensioni, commisurati non tanto al potenziale demografico quanto a quello economico e tecnologico della Nazione, con organici completi che consentano loro di far fronte ad eventuali attacchi a sorpresa e di assolvere con immediatezza i propri compiti operativi.

Gli eserciti di questo tipo possono essere composti esclusivamente di personale volontario a lunga ferma, oppure in prevalenza di personale in servizio di leva obbligatorio, con ferma relativamente 'lunga', con funzioni non solo addestrative ma anche operative, allo scopo di mantenere costantemente ad organici completi le unità d'impiego. È evidente che anche nel caso dell'esercito di leva occorre un forte nucleo di personale di carriera e volontario a lunga ferma […] sia per l'inquadramento sia per l'espletamento degli incarichi che richiedono un più lungo ciclo addestrativo e una maggiore specializzazione.

La scelta fra la coscrizione obbligatoria e il reclutamento volontario non è dettata solo da considerazioni di carattere tecnico, ma soprattutto da ragioni di carattere sociale, politico, istituzionale ed economico.

In Italia, la coscrizione obbligatoria, prevista dalla Carta costituzionale, continuerà a rimanere il fondamento del reclutamento, in particolare dell'Esercito. Essa può rispondere alle esigenze funzionali della nostra difesa, purché integrata con un sufficiente numero di volontari specializzati a lunga ferma, di ufficiali e sottufficiali in servizio continuativo. Corrisponde, inoltre, alle tradizioni della nostra storia unitaria, nonché ad esigenze d'ordine politico e sociale, per la necessità di garantire una stretta osmosi fra Forze Armate e società".

Nella seconda metà degli anni Ottanta, quindi, pur con la sfida degli euromissili ancora immanente, già si delineavano concrete ragioni a sostegno di un modello misto leva-volontari che poi avrebbe rappresentato la transizione fra gli anni Ottanta e oggi, anche nel rispetto dell'evoluzione dottrinale e operativa dell'Alleanza Atlantica e delle politiche europee di difesa e sicurezza comune.

Dopo il 1989, con la caduta del Muro di Berlino e il collasso dell'impero sovietico, il servizio di leva non costituiva più, sotto l'aspetto tecnico-militare, una risposta ottimale alle nuove minacce.

Le operazioni 'fuori area', in un lasso di tempo brevissimo, erano diventate la nuova priorità delle nostre Forze Armate, non più inchiodate sulla cosiddetta 'soglia di Gorizia' o relegate ai pattugliamenti aeronavali nel Mediterraneo centrale.

Nelle operazioni in Albania, Somalia e Mozambico venne impiegato ancora in larga misura, come era stato in Libano, personale di leva che aveva dichiarato la propria disponibilità all'impiego fuori area. Emergevano, frattanto, difficoltà nel reclutamento di personale volontario di truppa, forse per mancanza di attrattiva, dopo lunghi anni in cui il mestiere militare non era di moda o per l'incertezza sullo status al termine della ferma.

A metà degli anni Novanta, il modello di riferimento era ancora quello 'misto', nonostante che l'intervento militare contro l'Iraq per la liberazione del Kuwait, avvenuto sotto l'egida ONU, ne avesse messo in luce certe inadeguatezze rispetto allo schieramento alleato.

La Legge Finanziaria del 1994 gettò le basi per incentivare i reclutamenti di personale volontario, prevedendo per la prima volta la possibilità di uno sbocco nelle forze di Polizia per i volontari che avessero terminato, con merito, la ferma volontaria.

Il d. legisl. nr. 196/1995 disegnò un modello di Forze Armate la cui ossatura operativa era costituita da volontari in ferma breve e in servizio permanente.

Le dotazioni organiche costituenti il punto di arrivo di tale modello, da perseguire entro il 2006, prevedevano circa 55.000 volontari di truppa (dei quali 25.000 in servizio permanente e 30.000 in ferma breve di tre anni) e una non trascurabile componente di truppa in servizio obbligatorio di leva pari a circa 100.000 unità.

L'evoluzione delle strategie alleate ed europee

Le guerre nei territori della ex Iugoslavia chiamarono la NATO e l'Europa a un impegno militare, in Albania, in Bosnia e poi in Kosovo, per stabilizzare una crisi che andava rapidamente degenerando. Anche da questi nuovi impegni emerse la necessità di personale militare specializzato.

NATO e Unione Europea si dimostrarono in grado, con capacità crescente, di affrontare e circoscrivere la crisi balcanica, consolidando così la nuova stagione di libertà e democrazia sbocciata dopo la caduta del Muro di Berlino. Inoltre, l'allargamento di NATO e Unione Europea verso l'Europa baltica, centrale e danubiana e i nuovi rapporti con la Federazione russa contribuirono a smorzare quasi del tutto le residue preoccupazioni di una minaccia da Est. Ed è proprio dall'evoluzione delle strategie alleate ed europee che vennero ulteriori stimoli alla progressiva adozione di un modello basato esclusivamente su personale volontario.

La NATO, frattanto, aveva compiuto un lungo cammino nella ridefinizione del proprio ruolo, dal vertice di Roma del 1991 al vertice di Istanbul del 2004. Al Summit di Roma dell'8 novembre 1991, i capi di Stato e di governo presentarono il 'Nuovo concetto strategico dell'Alleanza'. In esso si esplicitava un nuovo ruolo più politico della NATO, che mirava ad avvalersi anche di altri strumenti di confidence-building per la riaffermazione della sicurezza in Europa. Da un punto di vista prettamente militare venne riconosciuto che la tipologia delle nuove minacce, la cui definizione era evidentemente influenzata dalla contemporanea crisi iugoslava, richiedeva non più grandi forze stanziali, ma la costituzione di appostiti frameworks militari da attivarsi come pronta risposta alle crisi continentali. In tal senso, si cominciava a parlare di alta mobilità e proiettabilità, così come di rischi derivanti dalla proliferazione di armi di distruzione di massa. Tuttavia, tutto questo continuava a essere inquadrato ancora in un'ottica strettamente difensiva delle funzioni dell'Alleanza.

Nel 2004, a Istanbul, la NATO ha confermato di non essere più un organismo che guarda solo all'Europa, ma fa della lotta al terrorismo internazionale una delle sue finalità principali, configurandosi come una struttura di sicurezza atlantica capace di agire a livello globale, ove lo richieda la propria sicurezza. Sono nate, così, nuove priorità oltre i Balcani, nuovi partenariati, nuove missioni quale quella in Afghanistan.

L'Europa, nel campo della sicurezza comune, ha compiuto, negli stessi anni, un cammino rilevante. Si è passati dalle "Disposizioni concernenti una politica estera e di sicurezza comune" del Trattato di Maastricht del 1992 alle scelte operative sulle 'capacità militari' del vertice di Helsinki, del 1999, e alla successiva formazione di una prima ossatura di forze comuni articolate su un certo numero di battle groups, scaturita dalla Conferenza sullo sviluppo delle capacità militari dell'Unione Europea del novembre 2004.

Inoltre, la Costituzione Europea, firmata solennemente a Roma nell'ottobre 2004, ha confermato la centralità della "politica estera e di sicurezza comune" e della "politica di sicurezza e di difesa comune" quali assi portanti dell'Unione del futuro. In entrambi i fori, NATO e Unione Europea, lungo tutti gli anni Novanta, si sono andate consolidando le indicazioni verso strumenti militari fortemente professionalizzati, con rilevanti capacità di proiezione, forte connotazione interforze e in grado di integrarsi rapidamente in complessi multinazionali.

Un iter tortuoso

Appariva chiaro che uno strumento militare di leva non poteva corrispondere a queste specifiche; tuttavia il percorso verso la successiva scelta di Forze Armate interamente volontarie non fu diretto e lineare.

Si iniziò, nella metà degli anni Novanta, con un ciclo complesso di provvedimenti volti a rafforzare la componente professionale ma, soprattutto, a rendere meno gravoso il servizio di leva, attraverso una riduzione della durata, una sua crescente, anche se problematica, 'regionalizzazione', un allargamento nelle concessioni di permessi e licenze per motivi familiari, di studio e di lavoro.

In quello stesso periodo esplose, poi, il fenomeno dell'obiezione di coscienza, riconosciuto come 'diritto soggettivo'. Il numero degli 'obiettori' crebbe così in modo esponenziale, evidenziando importanti interrogativi etici, ma ponendo anche problemi seri di utilizzo di quella massa crescente di giovani presso gli Enti abilitati al loro impiego, avviando uno sterile contenzioso che coinvolse la Difesa in inutili polemiche e distinguo.

Sempre negli anni Novanta iniziò a essere visibile il fenomeno del calo demografico nelle classi di leva. Se molti figli del baby boom degli anni Sessanta avevano goduto del congedo trovandosi in sovrannumero, ora si poneva il problema opposto.

Tutti questi fattori vennero a costituire, al termine del passato decennio, un insieme gravosissimo per le Forze Armate: classi di leva meno numerose; crescente numero di obiettori; difficoltà nell'utilizzare operativamente i giovani di leva alle armi e nel raggiungere i tetti prefissati di personale volontario.

Era francamente troppo per continuare a giustificare un sistema di leva o misto, reso inutile dalla storia, di scarsa utilità a fini militari, senza la funzione di amalgama sociale molto utile nel passato.

Tutto questo mentre il rapido succedersi degli impegni all'estero comportava, per le Forze Armate, un ruolo sempre più significativo a supporto della politica estera del paese così da onorare tutti gli impegni assunti in sede europea e atlantica.

In questo clima, il 3 settembre 1999, il Consiglio dei ministri approvò il disegno di legge destinato a mettere fine alla coscrizione obbligatoria.

Il provvedimento fu presentato alla Camera dei deputati l'8 ottobre 1999 e prese il numero 6433: "Delega al Governo per la riforma del servizio militare".

I presupposti della legge si fondavano sulla chiara evidenza che le forze militari, oltre al tradizionale e perdurante ruolo di difesa della sovranità e integrità nazionale, venivano chiamate a una funzione più dinamica per garantire la stabilità e la sicurezza collettiva con operazioni di gestione delle crisi e di supporto della pace. L'obiettivo finale diveniva quello di calibrare uno strumento militare di ridotta entità ma di più elevato profilo qualitativo in termini di capacità di proiezione, flessibilità e supporto logistico-amministrativo, pienamente integrabile e interoperabile dal punto di vista interforze e multinazionale. Tutto ciò in armonia anche con gli aspetti prima evidenziati: il nuovo sentire sociale nei confronti della leva (percepita come un onere non più attuale e nemmeno accettabile), i fenomeni demografici e la crescita dell'obiezione. Inoltre, attraverso la legge, si ponevano le basi per superare le evidenti limitazioni poste dai provvedimenti attuati negli anni precedenti per aumentare il benessere dei militari di leva.

È importante precisare che quanto generalmente passa sotto la dizione di 'fine della leva' non corrisponde, in realtà, all'abolizione della coscrizione obbligatoria. Essa rimane nell'ordinamento costituzionale quale obbligo al momento sospeso, al quale si potrebbe fare ancora ricorso in casi eccezionali, quali lo stato di guerra o la presenza di crisi di particolare gravità, che richiedano interventi organici e rilevanti di forze organizzate.

La professionalizzazione dello strumento militare significava anche la sua riduzione numerica e consentiva di programmare il ricorso a una forza totale di 190.000 fra uomini e donne (nel frattempo era stata approvata anche la legge per il servizio femminile su base volontaria) quale livello adeguato per rispettare gli impegni operativi assunti a livello nazionale e internazionale.

La scommessa era enorme. Il personale volontario doveva rapidamente crescere dalle circa 30.000 unità del 1999 a oltre 100.000 unità al momento della cessazione della leva e occorreva rendere competitiva sul mercato del lavoro giovanile la domanda professionale legata al personale volontario di truppa. Su tale argomento il consenso politico fu pieno e consentì di agire su più punti, così da disegnare uno scenario economico e giuridico di reali opportunità.

Per i volontari a ferma prefissata (che dopo un certo numero di anni devono comunque abbandonare le Forze Armate che oggettivamente necessitano di aliquote consistenti di persone giovani) vennero così previsti sbocchi interni alle Forze Armate nel ruolo dei volontari in servizio permanente, con compiti e ruoli particolari e maggiori possibilità di passaggio nelle categorie superiori. Per il personale che non avrebbe trovato collocazione nell'ambito delle Forze Armate al termine della ferma, furono previsti particolari sbocchi occupazionali: assunzioni nella pubblica amministrazione, accesso diretto alle carriere iniziali nelle forze di Polizia a ordinamento militare e civile, nel Corpo nazionale dei Vigili del fuoco e nei ruoli civili della Difesa, facilitazioni per il collocamento sul mercato del lavoro privato anche attraverso specifici accordi.

L'altro grande problema posto dalla professionalizzazione delle Forze Armate è stato quello dei costi: le spese relative agli stipendi dei volontari, le spese connesse al miglioramento della qualità della vita, all'ammodernamento e adeguamento delle infrastrutture logistiche per renderle più confortevoli. Infine, per non distogliere il personale da incarichi operativi e dai relativi cicli di preparazione e addestramento si è posta la necessità di ricorrere a servizi esterni, a pagamento, per le necessità primarie di sussistenza.

Nell'ottobre del 2000, il disegno di legge governativo venne approvato dalla Camera dei deputati a grande maggioranza, con il totale appoggio del centro-destra, allora all'opposizione. Divenne la l. 14 novembre 2000, nr. 331 "Norme per l'istituzione del servizio militare professionale", pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale nr. 269 del 17 novembre 2000.

La legge conferiva delega al governo di adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge stessa, un decreto legislativo volto a disciplinare la progressiva riduzione dell'organico complessivo delle Forze Armate prevedendo l'ultima chiamata per i giovani di leva nati entro il 1985; il decreto, inoltre, doveva prevedere il progressivo affidamento di incarichi amministrativi e logistici a personale civile del Ministero della Difesa, al fine di salvaguardare prioritariamente l'impiego operativo dei volontari di truppa e coordinare le norme vigenti in materia di reclutamento del personale militare femminile.

Il decreto, dopo i passaggi parlamentari, è stato approvato, in via definitiva, il 4 aprile 2001 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale l'11 giugno 2001 come d. legisl. 8 maggio 2001, nr. 215 "Disposizioni per disciplinare la trasformazione progressiva dello strumento militare in professionale, a norma dell'art. 3, comma 1, della l. 14 novembre 2000, nr. 331".

Il governo Berlusconi, subentrato al precedente a seguito delle elezioni politiche del maggio 2001, decise di dare un ulteriore impulso alla professionalizzazione delle Forze Armate come previsto nel proprio programma elettorale.

È opportuno sottolineare che la sospensione della leva consente, da un lato, di accelerare il passaggio a Forze Armate composte da professionisti, favorendo le aspirazioni di quanti intendono impegnarsi nella professione militare, con retribuzioni adeguate, condizioni di vita dignitose e successivi sbocchi occupazionali; dall'altro lato, corrisponde alle aspettative delle famiglie e dei giovani non interessati al servizio militare. La sospensione della leva, infatti, consente ai giovani di realizzare le scelte fondamentali della vita senza ritardi o impedimenti, agevolando i percorsi di studio, la formazione professionale, l'inserimento nel mondo del lavoro e della produzione.

Il Libro bianco 2002, presentato nel gennaio del medesimo anno, poneva già in premessa il nodo dell'accelerazione al passaggio verso Forze Armate di mestiere. "In primo luogo - si precisava - tutto il settore del personale ha bisogno di un'opera di bilanciamento, e questo sarà il primo obiettivo del nuovo Governo che si è prefisso anche di ridurre la fase di transizione dalla 'leva' al 'professionismo' militare in modo da poter concludere entro il 2004, prima della fine della Legislatura, la formazione di Forze Armate interamente professionalizzate in numero di 190.000 uomini".

Nella seduta del 9 luglio 2002, il ministro della Difesa ricordò alla Commissione Difesa della Camera che il progressivo esaurimento della coscrizione obbligatoria richiedeva ormai il rapido passaggio al sistema professionale. Per questo motivo si rendeva indispensabile anticipare al 1° gennaio 2005 la sospensione della leva che precedentemente era stata fissata al 1° gennaio 2007.

Nel contempo, la Difesa e il Governo avrebbero garantito l'efficacia e affidabilità del reclutamento dei volontari di truppa.

La l. 23 agosto 2004, nr. 226 "Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore" rende il servizio volontario una via privilegiata per il successivo accesso ad alcune carriere delle Forze Armate ovvero alle forze di Polizia o ai Vigili del fuoco. Inoltre, la Difesa ha avviato e concretato ulteriori iniziative tese a rendere la professione militare più attraente sul mercato del lavoro, anche per giovani interessati a trascorrere in armi solo un periodo limitato, garantendo loro concreti sbocchi occupazionali.

In tal senso, si sono raggiunte importanti intese con associazioni di categoria quali Confindustria, Confapi e Confcommercio, per favorire il collocamento di quei giovani al di fuori delle carriere militari, costituendo il primo passo di una collaborazione che ha come obiettivo quello di colmare la carenza delle professionalità nelle medie-piccole imprese e nei servizi del terziario.

In termini più tecnici, a decorrere dal 1° gennaio 2005 possono essere reclutati nell'Esercito, nella Marina Militare e nell'Aeronautica Militare volontari di truppa in ferma prefissata di un anno (rinnovabile, al termine della ferma, per un ulteriore anno) e volontari di truppa in ferma prefissata quadriennale (rinnovabile, al termine della ferma, per due successivi periodi, ciascuno della durata di due anni).

Nel 2005 si è così giunti, finalmente, alla conclusione di un lungo percorso che ha portato a Forze Armate professionali, dopo molte traversie di varia natura.

I giovani si dimostrano attenti alle opportunità offerte dal volontariato e si è rivelata vincente l'osmosi fra il volontariato e le successive carriere nelle stesse Forze Armate e altri corpi civili e militari. Non è da trascurare l'aspetto retributivo, interessante per i ventenni.

Tutto questo, però, da solo non basterebbe per avere Forze Armate adeguate ai tempi.

Lo strumento militare italiano, negli anni appena passati, si è profondamente ristrutturato; la professionalizzazione giunge al termine di un percorso già segnato dalla 'riforma dei vertici' con la centralizzazione delle operazioni, della programmazione e l'unificazione dell'intelligence, nonché dall'ingresso delle donne. Indubbiamente, le Forze Armate di oggi esprimono capacità operative ben maggiori rispetto al passato, qualitativamente comparabili con quelle dei nostri maggiori alleati, pur se a un minore livello quantitativo.

Tuttavia è necessario pensare a uno strumento in continua evoluzione, in linea con le grandi decisioni assunte nelle sedi NATO e UE. In definitiva, la pianificazione di lungo periodo dovrà essere orientata su una riduzione calibrata del numero delle forze, su un incremento marcato della qualità e sulla loro effettiva impiegabilità.

Alta tecnologia significa anche garantire la difesa nazionale con mezzi nuovi, per incrementare la sorveglianza degli spazi aerei e marittimi, da dove possono provenire attacchi terroristici non convenzionali o missilistici. Poi occorre ragionare in una logica di proiezione, concetto che è divenuto attualissimo in pochi anni. Gli interessi nazionali vanno difesi anche lontano, in una visione di sostenibilità nel tempo e nello spazio di forze generalmente integrate in missioni multinazionali. Particolare attenzione va prestata al rinnovo concettuale e professionale delle componenti della mobilità strategica e della logistica, da aggiornare e promuovere quale vero asse portante delle forze del futuro.

La partecipazione alla forza mobile della NATO, la NATO responce force, assicura comunque di poter fare affidamento, quando occorra, su capacità di alto livello soprattutto in termini di supporto alle forze combattenti. Parimenti, l'Italia lavora per fornire all'Europa un adeguato strumento di risposta rapida, integrato e non ripetitivo o sostitutivo di quello alleato.

L'elevato impegno richiesto dalle missioni fuori dei confini nazionali richiede di concentrare ogni sforzo sulla componente operativa, così da concedere una giusta turnazione ai reparti, contenere l'usura e assicurare la manutenzione dei mezzi. Le vecchie Forze Armate statiche di un tempo sono l'opposto di tutto ciò, perché la parte combattente era una percentuale ridotta.

La situazione si sta invertendo, con risultati progressivi che vedono la semplificazione e la riduzione dell'area tecnico-amministrativa e degli stessi Comandi militari. L'integrazione interforze è in atto da anni. Ma resta da fare altro.

Le quattro componenti delle Forze Armate devono essere strutturate e addestrate per garantire un risultato sinergico in ogni occasione. Ciò richiede un intenso lavoro di programmazione e di preparazione, anche attraverso idonee esercitazioni, nonché un vero e proprio cambio di mentalità, già di per sé favorito dal costante ricambio generazionale delle Forze Armate. La costituzione del COI, il Comando operativo di vertice interforze presso lo Stato Maggiore della Difesa, quale massimo centro decisionale per la gestione delle operazioni, rappresenta un risultato concreto e un grande passo in avanti rispetto al passato.

Ulteriore grande obiettivo è un Comando unico per le forze speciali, dimostratesi indispensabili in tutte le recenti esperienze delle missioni internazionali.

Le sinergie devono sempre essere coltivate fra le Multinational specialized units, composte da Carabinieri, e gli schieramenti militari e civili nei teatri di crisi, così da produrre sia un efficiente servizio di polizia sia una rete di protezione dei diritti basilari delle popolazioni locali. Né va sottaciuto il ruolo polivalente del genio e dei reparti impegnati nella rilevazione e bonifica degli inquinanti nucleari, biologici o chimici, dove si è combattuto o dove esistono minacce terroristiche.

Di fondamentale importanza è il rafforzamento della capacità di operare in schieramenti internazionali. Questo comporta studio delle lingue, esercitazioni in comune, armonizzazione delle procedure e delle modalità operative. La NATO è stata e continua a essere una grande scuola in tal senso, ma gli sforzi per migliorare non si fermano.

In conclusione, il sistema euroatlantico garantisce una cornice di sicurezza non solo agli alleati vecchi e nuovi, ma a ben più vasti scenari mondiali.

La democrazia e la libertà sono estese e forti come non mai. L'Italia ha onorato i suoi impegni.

Le Forze Armate sono profondamente mutate.

Il 'mestiere delle armi', come dimostra l'arruolamento volontario, è tornato a essere apprezzato e rispettato.

repertorio

Servizio obbligatorio ed eserciti di volontari

Il reclutamento nel mondo antico

Negli antichi regni del Vicino Oriente, cioè nelle monarchie di Egitto, Mesopotamia, Assiria, i sovrani arruolavano e armavano i guerrieri che dovevano seguirli in battaglia. Di un vero e proprio servizio obbligatorio si può parlare solo con il sorgere delle città greche ma, poiché in queste coloro che erano chiamati alle armi dovevano equipaggiarsi in proprio, alla leva erano sottoposti ordinariamente solo i cittadini che potevano sostenere la spesa. I non abbienti non erano però del tutto esenti da obblighi militari, perché a essi ogni pòlis poteva ricorrere per i servizi ausiliari e anche per quelli di linea, in caso di estrema necessità, fornendo loro le armi a spese dell'erario; in particolare nelle città marinare (come Atene) l'ultima classe dei cittadini forniva le ciurme della flotta. In Atene il servizio militare divenne generale nel 4° secolo, ma al principio del 3° l'obbligo venne meno. Presso gli spartani, che erano tutti soldati di linea dai 18 ai 60 anni, la leva avveniva per decreto dell'assemblea; gli abitanti della regione circostante, i perieci, se abbienti, fornivano gli opliti. A partire dal 3° secolo le pòleis, pur conservando formalmente l'obbligo militare, ricorsero sempre più largamente a leve di mercenari, che potevano essere arruolati direttamente o indirettamente, attraverso condottieri che assoldavano armate in proprio.

L'evoluzione del servizio militare nella storia dell'antica Roma ha notevole importanza come riflesso della storia sociale e politica. A tutti i cives poteva essere richiesto il servizio militare (delectus) ma, poiché anche a Roma nell'epoca più antica il soldato doveva armarsi con mezzi propri, la leva venne a interessare solo i possidenti iscritti nelle prime cinque classi censitarie dell'ordinamento serviano. Nei casi di necessità, però, lo Stato armava a sue spese i non abbienti, i liberti e finanche gli schiavi. Le operazioni di leva erano complicate e protette da numerosi istituti giuridici, ma se necessario i magistrati potevano chiamare alle armi senza l'osservanza delle norme ordinarie e richiedere un giuramento in massa (coniuratio) ai cittadini, che accorrevano al loro appello straordinario (delectus tumultuarius). Mario (fine del 2° secolo a.C.), per fronteggiare le invasioni germaniche, ricorse all'arruolamento sistematico dei nullatenenti, creando così il primo esercito di mestiere. Rimanendo pur sempre l'obbligo teorico della leva, dopo Mario si ricorse con crescente frequenza all'arruolamento di volontari; negli ultimi tempi della Repubblica i generali procedevano alle leve con i loro conquisitores ("arruolatori") e Ottaviano organizzò le sue schiere private con denaro proprio. Sotto l'Impero la leva era un diritto del principe e avveniva per cura dei suoi legati e di appositi ufficiali (delectores, "reclutatori"); con Adriano giunse a compimento quel processo di provincializzazione dell'esercito, che secondo i più recenti studi risulta avviato già nel 1° secolo d.C., almeno dall'età dei Flavi. Al principio del 4° secolo, pur restando formalmente l'obbligo generale del servizio, in realtà l'esercito si alimentava di volontari, cittadini dell'Impero e più spesso barbari d'oltre frontiera. Erano soggetti al reclutamento obbligatorio, in virtù dell'ereditarietà delle professioni stabilita da Diocleziano e Costantino, i figli dei veterani oltre ai vagi e ai vacantes, cioè coloro che non erano occupati nell'agricoltura e negli uffici; certe comunità di dediticii, come i gentiles e i laeti, erano anch'essi obbligati alla leva. I grandi proprietari potevano da tempo molto più antico presentare un sostituto (vicarius). Già alla fine del 4° secolo, nonché nel 5° e 6° (Giustiniano), l'esercito era formato solo di volontari e di mercenari barbari (nell'Impero bizantino furono invece combinati il mercenariato e la leva obbligatoria selettiva).

Mercenari e compagnie di ventura fra Medioevo ed età moderna

Negli Stati romano-barbarici il servizio militare spettava teoricamente a tutti i liberi; in realtà ben presto, in tempi differenti nei diversi regni (per es., nell'Italia longobarda verso la fine del 7° secolo, altrove forse prima), i liberi poveri eludevano il servizio, prestato quasi soltanto dai possessori di terre oppure di ricchezza mobile; lo stesso principio fu in vigore in età carolingia, quando ai possessori si aggiunsero i vassalli del re o dell'imperatore o dei nobili (conti, duchi ecc.). Se i beni di un singolo possessore non erano sufficienti per armare un combattente, si ricorreva all'associazione di più uomini liberi, uno solo dei quali veniva reclutato nell'esercito armato a spese di tutti (adiutorium). A partire dall'età postcarolingia, il servizio militare si restrinse sempre più ai vassalli e perse gran parte del suo carattere pubblico.

Nel 13° secolo Federico II e i Comuni toscani cominciarono ad assoldare cavalieri mercenari e nel secolo successivo in Italia e in Francia si fece generalizzato l'uso della 'condotta': il condottiero disponeva di una sua compagnia e trattava alla pari con gli Stati come da potenza a potenza. Nel 15° secolo le Signorie italiane assoldavano compagnie di ventura sempre più piccole e talvolta anche mercenari isolati; il capitano generale di una certa signoria disponeva, è vero, di una condotta propria, ma questa non rappresentava che una piccola parte dell'intero esercito. Accanto ai mercenari Venezia, fin dal terzo decennio del 15° secolo, allineava anche effettivi di leva (cernite), mentre Caterina Sforza (signora di Forlì e Imola) e Cesare Borgia disponevano di un esercito permanente, oltreché di proprie milizie mobili. In Francia già nel 1439 Carlo VII stabilì che a nessuno fosse lecito disporre di bande proprie o di proprio seguito; nel 1445 infine istituì le compagnie d'ordinanza, che costituirono il primo nucleo d'esercito statale regolare a base di professionisti pagati dallo Stato.

Nel corso del 16° secolo i maggiori eserciti europei erano in gran parte mercenari, ma reclutati dal 'maestro di campo' in nome del sovrano. Fra i corpi più noti i lanzichenecchi (letteralmente "servi del paese"; contadini inquadrati da signori feudali e pagati, almeno in teoria, dallo Stato) e le ordinanze svizzere, che rappresentavano per la prima volta la nazione armata, ma erano posti al servizio di questa o quella potenza. Nel 17° secolo con il condottiero boemo Albrecht von Wallenstein, che combatté per conto degli Asburgo, sembrò risorgere la vecchia forma della compagnia di ventura autonoma, Stato nello Stato; ma nella seconda metà del secolo si accentuò la tendenza verso gli eserciti statali permanenti, a base di professionisti.

La nascita degli eserciti nazionali

La Rivoluzione americana (1775-83) introdusse il concetto di esercito di leva formato da non professionisti per la difesa di uno Stato considerato di proprietà dei cittadini, ai quali spettava perciò il diritto-dovere di difenderlo. Il concetto si affermò in Europa attraverso la Rivoluzione francese. Il principio del reclutamento obbligatorio generale fu introdotto dalla Convenzione con il decreto sulla leva di massa nell'agosto 1793, che chiamò alla difesa armata del territorio nazionale otto classi dai 18 ai 25 anni; una legge del 1798 disciplinò la materia con l'istituzione del servizio militare obbligatorio per cinque anni e l'applicazione della coscrizione a cinque classi di leva, e cioè ai cittadini validi dai 20 ai 25 anni. Tale sistema durò con Napoleone I fino alla proclamazione dell'Impero (1804); in seguito Napoleone dovette attingere anche a classi in anticipo sulle cinque di leva e a quelle già congedate.

La Prussia, dopo la distruzione a Jena nel 1806 dell'esercito professionale, avviò un processo di rinnovamento del sistema di arruolamento che si concluse nel 1813 con l'istituzione del servizio militare obbligatorio, sancito definitivamente dalla legge del 1814. Si stabilì un servizio di tre anni nell'esercito attivo e di due nella riserva, poi di 15 anni nella Landwehr, "milizia territoriale". Nel 1861 il servizio della riserva fu portato da due a quattro anni, mentre quello prestato nella Landwehr, ridotto a cinque anni, poté giovarsi di una istruzione intensa, che trasformò questa milizia in una ulteriore riserva dell'esercito attivo. Questo dispose così potenzialmente di nove classi di 50.000-60.000 uomini ognuna, in aggiunta alle tre classi in servizio effettivo.

La Francia rimase fedele fino al 1866 al sistema napoleonico, per il quale si tenevano alle armi solo frazioni di più classi di leva (dai contingenti non incorporati si attingevano le riserve), aggiungendovi in più due anni di servizio nella riserva per i contingenti veramente chiamati alle armi. La riforma del 1868 non alterò il carattere professionistico dell'esercito francese; finì anzi col rafforzarlo, portando da due a quattro gli anni nella riserva.

Dopo la duplice affermazione nelle guerre del 1866 e del 1870, il sistema prussiano di arruolamento obbligatorio per molti anni e con una preparazione diffusa si affermò in tutta Europa, tranne che in Inghilterra e in Svizzera. Nella Prima guerra mondiale gli eserciti inquadrarono l'enorme contingente di 18-23 classi chiamate per intero alle armi; la Seconda guerra mondiale, più tecnica, richiese effettivi minori.

L'evoluzione dell'ordinamento italiano

L'Italia derivò il suo sistema da quello piemontese e poi da quello prussiano. L'ordinamento di Emanuele Filiberto, perfezionato da Vittorio Amedeo II, aveva dato vita a un esercito di professionisti volontari a lunga ferma, affiancato da un esercito di milizia mobile organizzata in reggimenti provinciali autonomi. Nel 1815 i contingenti provinciali cessarono di formare reparti a sé e passarono nell'esercito d'ordinanza, che conservò il suo carattere professionistico. Più precisamente la legge del 1815 stabiliva che gli 8000-9000 soldati d'ordinanza dovevano ogni anno istruire e inquadrare un uguale numero di provinciali: costoro, dopo aver prestato un servizio di pochi mesi, restavano per otto anni a disposizione dell'esercito attivo e per altri otto nella riserva. A differenza della Francia e di quasi tutti i vecchi eserciti, il Piemonte, avvicinandosi al sistema prussiano dei riservisti addestrati, preferiva trovare la riserva negli elementi congedati (e quindi in parte almeno istruiti), anziché in quelli mai chiamati delle classi di leva (e quindi privi di qualsiasi addestramento). Dopo i risultati non favorevoli della duplice campagna del 1848-49 si ebbe la riforma del 20 marzo 1854, che fondeva il sistema francese e quello prussiano: pochi i soldati d'ordinanza con ferma di otto anni rinnovabili (a questa categoria appartenevano tra gli altri i Carabinieri), molti di più i soldati di leva, ripartiti in prima e seconda categoria; per la prima categoria la ferma durava undici anni, di cui cinque in attività di servizio e sei nella riserva in congedo illimitato (sistema prussiano delle riserve istruite); per la seconda cinque anni da passarsi tutti in congedo illimitato, meno un periodo d'istruzione di 40 giorni (sistema francese delle riserve non istruite o molto scarsamente istruite). Questa riforma fu estesa nel 1861 a tutto il Regno d'Italia. Nel 1863 si ebbe la prima leva estesa a tutto il territorio nazionale. Venivano però conservati gli istituti della surrogazione e dell'affrancazione previo pagamento di consistenti tasse, che confluivano nella 'cassa militare' destinata a finanziare i premi di rafferma.

Nel 1871 si entrò decisamente nel sistema prussiano, per il quale si ebbero un esercito attivo con ferma di due o tre anni, a seconda delle esigenze politiche, e una milizia mobile e territoriale costituente la riserva, ai cui obblighi si era soggetti fino ai 39 anni. Con la Prima guerra mondiale si andò oltre tali limiti: in totale servirono nell'esercito durante la guerra 27 classi di leva con oltre 5 milioni di uomini. Nel 1920 il reclutamento fu ridotto per l'esercito a 18 mesi e, per particolari condizioni di famiglia, a tre mesi, abolendo le varie forme surrogative (volontariato di un anno, sostituzione del fratello) e di selezione mediante estrazione a sorte. L'ordinamento Mussolini del 1925 diminuì le unità di mobilitazione e aumentò le esenzioni; divenne obbligatoria la partecipazione ai corsi Allievi ufficiali di complemento (AUC) per tutti coloro in possesso dei requisiti (laurea o diploma, idoneità fisica). L'insufficienza dei bilanci costrinse però a intaccare le scorte di mobilitazione, a ridurre l'addestramento e a non ammodernare adeguatamente l'armamento e gli equipaggiamenti. Una forma particolare di leva fu la serie di obblighi di servizio civile e servizio del lavoro "per concorrere alla difesa morale e materiale della Nazione": con le leggi emesse dal 1925 al 1942 furono mobilitati in totale 5.200.000 civili impiegati in settori di interesse per la Difesa, dei quali 1.200.000 donne. L'arruolamento coatto proseguì anche nella Repubblica Sociale, a favore dello sforzo bellico tedesco.

Al termine del Secondo conflitto mondiale, in Italia fu ripristinata la coscrizione, con ferma ridotta a 12 mesi, per tutti i giovani della classe 1925 in tutto il territorio nazionale. La Costituzione della Repubblica sancì nell'art. 52 l'obbligo personale di concorrere alla difesa del paese, che lo Statuto sabaudo del 1848 non prevedeva, demandando alle leggi le modalità attuative del servizio militare. Non accogliendo le preferenze degli Alleati per un esercito professionale, dopo il Trattato di Pace del 1947 l'Italia mantenne la leva, con ferma innalzata prima da 12 a 18 mesi (1952, guerra di Corea) e abbreviata poi a 15 mesi nel 1965, a 12 nel 1975 (con anticipo della chiamata a 19 anni) e a 10 mesi nei primi anni Novanta.

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L'organizzazione delle Forze Armate italiane

L'organizzazione delle Forze Armate italiane, ispirata agli artt. 11 e 52 della Costituzione, i quali dispongono che la finalità difensiva e lo spirito democratico devono essere posti a fondamento della Difesa nazionale, si è profondamente trasformata tra la fine degli anni Novanta e l'inizio del nuovo millennio con l'adozione di provvedimenti legislativi di grande portata: la riforma dei vertici militari (l. 18 febbraio 1997, nr. 25), l'ingresso delle donne (l. 20 ottobre 1999, nr. 380), l'elevazione dei Carabinieri al rango di Forza Armata (l. 31 marzo 2000, nr. 78), l'avvio della transizione al reclutamento professionale (l. 14 novembre 2000, nr. 331), la ristrutturazione dell'area operativa, amministrativa e tecnico-industriale del Ministero (vari decreti legislativi emanati fra luglio 1997 e maggio 2000).

La riforma dei vertici militari (l. 25/1997) ha semplificato notevolmente la catena gerarchica. Sotto la responsabilità del ministro della Difesa viene affidata al capo di Stato Maggiore della Difesa la guida dello strumento militare nel suo complesso e al segretario generale/direttore nazionale degli armamenti quella dello strumento amministrativo e della politica di ricerca, sviluppo e acquisizione dei materiali di difesa. L'intera struttura del Ministero è stata ampiamente riorganizzata: le Direzioni generali sono state dimezzate, gli organi periferici ridotti del 40%, i comitati consultivi ridotti a uno, l'area industriale della Difesa drasticamente razionalizzata e concentrata in un'agenzia, modello per trasformazioni ancora più profonde.

Attualmente le Forze Armate comprendono: Esercito, Marina Militare, Aeronautica Militare e Carabinieri.

L'Esercito

L'Esercito italiano allinea sei armi (fanteria, cavalleria, artiglieria, genio, trasmissioni, trasporti e materiali) e tre corpi (amministrazione e commissariato, sanità e veterinaria, ingegneri). A loro volta, alcune armi e alcuni corpi si compongono di 'specialità' che corrispondono al tipo di lotta che ciascun reparto è in grado di sostenere e per la quale viene strutturato e preparato. L'arma di fanteria comprende i granatieri, la fanteria di linea, i bersaglieri, gli alpini, i paracadutisti e i lagunari; l'arma di cavalleria include cavalleria di linea e carristi. Formata da personale altamente qualificato proveniente da qualsiasi arma, specialità o corpo dell'Esercito, l'aviazione dell'Esercito è l'unica 'specialità' di Forza Armata, non appartenente cioè a nessuna arma o corpo dell'Esercito.

I vertici organizzativi sono rappresentati dallo Stato Maggiore dell'Esercito (SME), organismo deputato alla definizione delle politiche di Forza Armata, e dal Comando operativo delle forze terrestri (COMFOTER), alle cui dipendenze agiscono tutte le unità e i supporti con compiti operativi. Il Comando è retto da un generale di Corpo d'Armata, il cui incarico coincide con la posizione NATO di comandante del Comando alleato interforze del Sud.

Alla fine degli anni Novanta l'Esercito ha quasi dimezzato la sua consistenza rispetto agli anni Ottanta. Con il d. l. 12 maggio 1995, nr. 196 si è definita la figura del volontario, che può avere un duplice status: volontario a ferma breve (VFB) e volontario in servizio permanente (VSP), fino a 56 anni. È stata anche definita l'entità dell'organico, complessivamente di 40.000 unità, di cui 23.000 VFB e gli altri VSP. La graduale professionalizzazione del personale, unita alla disponibilità di nuovi mezzi ad alta mobilità e nuovi elicotteri, ha permesso la creazione di unità di reazione rapida, in grado di partecipare a operazioni NATO a guida sia europea sia nazionale. Insieme alla Francia, alla Spagna e al Portogallo, l'Italia partecipa alla EUROFOR, forza terrestre di intervento, il cui comando è a Firenze.

La Marina

La Marina Militare comprende cinque corpi: armi navali, corpo sanitario, commissariato marittimo militare, genio navale, capitaneria di porto. La struttura organizzativa dello Stato Maggiore della Marina è articolata in organismi dipendenti dal capo di Stato Maggiore (CSM) della Marina tramite il sottocapo di Stato Maggiore (SCSM) della Marina e organismi dipendenti dal CSM della Marina con coordinamento funzionale del SCSM della Marina. Le unità navali e i reparti della Marina Militare sono - nella maggior parte dei casi - alle dipendenze, per mezzo di comandi intermedi, del Comando in capo della squadra navale (CINCNAV); i rimanenti unità e reparti, formati dal naviglio minore per l'impiego costiero e nell'ambito delle basi navali e da alcuni enti minori di supporto tecnico e logistico, sono invece alle dipendenze dei Comandi territoriali. La sede imbarcata del CINCNAV è la portaerei leggera Giuseppe Garibaldi, di base a Taranto; le unità navali e i reparti alle sue dipendenze sono inquadrati in un certo numero di comandi complessi.

L'unica eccezione a questa concentrazione di competenze operative è costituita dalle forze speciali (il Raggruppamento subacquei e incursori, con sede al Varignano, nel golfo di La Spezia), che per loro caratteristiche rimangono direttamente alle dipendenze del capo di Stato Maggiore della Marina.

Il territorio nazionale, con particolare riferimento alle regioni costiere dove sono ubicate le basi navali e le altre infrastrutture di primario interesse per la Marina Militare, ricade sotto la giurisdizione di sei Alti comandi periferici, costituiti da tre Dipartimenti militari marittimi (MARIDIPART) e da tre Comandi militari marittimi autonomi (CMMA), ognuno con una propria denominazione relativa all'area geografica di interesse.

L'Aeronautica

L'Aeronautica Militare ha avviato, a partire dal 1998, un processo di profonda riforma strutturale, passando da una organizzazione fondata su una ripartizione territoriale delle competenze a un assetto organizzativo a connotazione spiccatamente funzionale, con un unico responsabile per l'intero territorio nazionale. Le macrofunzioni individuate sono: addestramento, supporto logistico e formazione. Ognuna di esse fa capo a un Alto comando (rispettivamente Comando della squadra aerea, Comando logistico, Comando generale delle scuole) il cui comandante (generale di squadra aerea) è alle dirette dipendenze del capo di Stato Maggiore. Lo SMA comprende, oltre ai Comandi, altri enti come l'Ispettorato della sicurezza del volo, l'Ispettorato dell'aviazione per la marina, il Reparto generale sicurezza, il Reparto generale di controllo, la Direzione per l'impiego del personale militare nell'Aeronautica, l'Ufficio generale del ruolo delle armi e uffici dei capi dei corpi (commissariato, sanitario e genio).

Con la costituzione degli Alti comandi è stato necessario rivedere anche l'organizzazione dei livelli immediatamente dipendenti da essi; nella fattispecie, coerentemente con la riorganizzazione per funzioni in luogo di quella per territorio, è stato introdotto il livello 'intermedio', per individuare quella fascia di organismi preposti all'indirizzo e coordinamento delle unità elementari dipendenti. Alle dipendenze degli organi intermedi sono posti gli enti periferici con competenza nella gestione ed esecuzione delle specifiche attività. Nell'ambito del Comando della squadra aerea il livello intermedio è rappresentato da brigate e divisioni. A livello periferico si distinguono l'Area comando squadra aerea (CSA), che comprende stormi, gruppi radar, squadriglie radar, gruppi intercettori teleguidati, servizi di coordinamento e controllo, centro nazionale meteorologia e climatologia aeronautica ecc., e l'Area comando generale scuole (CGS), che include l'accademia, la scuola di guerra aerea, varie scuole di volo, per sottufficiali, di addestramento reclute.

L'Arma dei Carabinieri

Le caratteristiche, i compiti, le prerogative e le dipendenze dell'Arma trovano essenziale definizione nella l. nr. 78 del marzo 2000 e negli articoli ancora vigenti del Regolamento organico del 1934. In sintesi, l'Arma dei Carabinieri ha il rango di Forza Armata ed è forza di Polizia a competenza generale e in servizio permanente di pubblica sicurezza.

Quale Forza Armata, l'Arma ha collocazione autonoma nell'ambito del Ministero della Difesa, con linee ordinative che fissano la dipendenza del comandante generale dal capo di Stato Maggiore della Difesa per l'assolvimento dei compiti militari, esattamente definiti dalla l. 78/2000. Quale forza di Polizia, l'Arma dipende funzionalmente dal ministro dell'Interno ed espleta compiti di polizia giudiziaria e di ordine e sicurezza pubblica.

L'Arma ha una forza prevista dalle leggi (organica ed extraorganica) di 116.345 unità: 4145 ufficiali dei diversi ruoli, 29.936 ispettori (marescialli), 20.299 sovrintendenti (brigadieri) e 61.965 appuntati e carabinieri, compreso il contingente dei 12.000 carabinieri ausiliari. La forza effettiva è di circa 112.000 unità, ripartita nelle organizzazioni centrale, addestrativa, territoriale, mobile e speciale, cui si aggiungono i reparti per esigenze specifiche e organismi interforze. L'Arma, inoltre, impiega personale civile, delle varie qualifiche professionali, nel numero complessivo di 291 unità.

Il Comando generale è la struttura di direzione, coordinamento e controllo di tutte le attività istituzionali. Per quanto riguarda l'organizzazione periferica, nell'ambito del riordinamento dell'Arma è stato avviato l'iter istitutivo di cinque raggruppamenti tecnico-logistico-amministrativi che, inquadrati nei Comandi interregionali, assicurano le attività di sostegno a favore di tutti i reparti/comandi/unità dislocati nel territorio di competenza, indipendentemente dall'organizzazione funzionale alla quale appartengono.

L'organizzazione territoriale assorbe 87.720 unità e ha un'intelaiatura estremamente capillare: 5 comandi interregionali retti da generali di corpo d'armata, 19 comandi di regione affidati a generali di divisione/generali di brigata, 102 comandi provinciali attribuiti a colonnelli/tenenti colonnello, 10 comandi di gruppo assegnati a tenenti colonnello, 536 compagnie dirette da capitani, 10 tenenze e 4658 stazioni comandate da marescialli. Dell'organizzazione territoriale fanno parte anche nove squadriglie operanti in Sardegna, due squadroni eliportati 'cacciatori' della Calabria e della Sardegna, per il controllo di zone impervie, e 164 motovedette, coadiuvate dai carabinieri subacquei.

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