Fìdia

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Artista ateniese (n. Atene 490-485 circa - m. dopo il 432 a. C.), figura capitale, nello sviluppo dell'arte greca, legata alle grandi creazioni periclee e, in particolare, al Partenone e alla sua decorazione scultorea. La sua biografia è lacunosa: nasce da Carmide, è fratello (o zio) del pittore Paneno, fa il suo apprendistato artistico nell'ambito dello stile severo con gli scultori Egia e Agelada. La sua acme è datata intorno al 448 a. C., e Platone lo cita ancora attivo nel 432. Genialmente esperto in tutte le tecniche della scultura (bronzo, marmo, avorio, oro), inizia la sua attività fuori di Atene: a Pellene, ove crea una statua di Atena, soggetto da lui prediletto, in tecnica criselefantina; a Platea, ove plasma una statua di Athena Areia; a Tebe e Olimpia. In Atene si possono datare tra il 465 e il 455 le statue poste sull'Acropoli, cioè l'Apollo Parnopios (identificato nel tipo Kassel) e l'Anacreonte Borghese (copia romana a Copenaghen). F. doveva essere ben noto se gli viene pubblicamente affidata la creazione della grande statua bronzea dell'Athena Promachos, votata dalla pòlis; ricostruibile da sommarie riproduzioni monetali romane, la statua, raffigurante la dea armata stante, era posta sull'Acropoli tra i Propilei e il Partenone. Al 450 risalirebbe un'altra Atena, commissionata dagli ateniesi di Lemno e detta Lemnia, ricostruibile come una figura stante che regge l'elmo con la destra e la lancia con la sinistra: la bellezza del viso di cui, le fonti dicono, F. "ornò la vergine diffondendo un rossore per le guance affinché sotto questo e non sotto l'elmo si celasse la bellezza della dea" è stata intravista nella levigatissima testa Palagi di Bologna. Intorno al 448 (per altri dopo il 432) è datato il soggiorno di F. a Olimpia, per il cui tempio creò la statua più famosa dell'antichità, lo Zeus, una delle sette meraviglie del mondo, alto circa 14 m con la base; da una descrizione di Pausania sappiamo che il dio era assiso su un trono riccamente decorato con pittura e rilievi, coronato di ulivo, con una Vittoria criselefantina nella mano destra e nella sinistra lo scettro con l'aquila. Il mantello d'oro era decorato con figure e gigli. Dello Zeus si hanno deboli riflessi in monete adrianee di Elide, in gemme e in copie ridotte della testa (come quella rinvenuta a Cirene). Al soggiorno presso Olimpia (ove è tornata alla luce, di recente, l'officina del maestro) si devono anche la creazione di un Anadòumenos (copia romana Farnese a Londra) e di un'Afrodite Urania (copia romana a Berlino). Più nulla possediamo di tante altre creazioni fidiache quali un gruppo bronzeo di Delfi (si è ipotizzato che di questo gruppo facessero parte i celebri bronzi di Riace, ma l'ipotesi è molto discussa: v. Riace). Verso il 446 F. si appresta alla complessa sistemazione urbanistica dell'acropoli, cui viene chiamato a sovraintendere da Pericle, ideando il Partenone e i Propilei, e, sotto l'Acropoli, l'Odèon di Pericle: è un imponente complesso di monumenti che celebra la gloria di Atene e della sua dea eponima, alla quale viene eretta un'altra imponente statua criselefantina, terminata nel 438. La statua, alta 12 m, aveva nella mano destra protesa una Vittoria, e alla spalla sinistra era poggiata la lancia; ai piedi lo scudo decorato con una Amazzonomachia all'esterno e una Gigantomachia all'interno; l'orlo dei sandali era decorato con rilievi rappresentanti le lotte dei Centauri e Lapiti; nella base della statua era effigiata la nascita di Pandora. Venerata come Parthènos, questa effigie venne collocata nel tempio che da essa prese il nome di Partenone (v.), ideato da F. e costruito da Ictino. In questo edificio, nonostante le varie attribuzioni a diversi maestri, la critica più recente ha ormai assodato che tutta la decorazione scultorea è concezione fidiaca scaturita dal suo genio fecondo e multiforme che ideò, disegnò, plasmò i modelli, ne curò la traduzione in marmo, eseguita da una schiera di aiuti che lavoravano sotto la sua costante direzione, e rifinì e dette l'ultima mano a gran parte delle sculture. Frontoni, metope e fregio del Partenone (Londra, British Museum), meglio di ogni copia degli altri capolavori di F., ci fanno conoscere l'arte di questo grande maestro, di una fantasia esuberante che dà forme a tutti i miti e tratta tutte le tecniche, si muove nell'atmosfera olimpica degli dei, e trasporta in una sfera trascendentale la visione dell'Atene del suo tempo. Nel corteo panatenaico del fregio, per es., sembrano convivere l'Atene delle antiche tradizioni (le figure del lato N sono ordinate in ritmi di 4 e 12, corrispondenti alle tribù e alle fratrie stabilite dall'eroe fondatore Erittonio) e l'Atene di Pericle (le figure del lato S sono in ritmi di 10, come le tribù dell'Atene democratica), unite nell'omaggio religioso. Potente nel nudo, giunge a una nuova espressione nel panneggio con stoffe trasparenti e sottili dalle mille pieghe vibranti; sa ottenere nel ritmo la più solenne staticità ieratica con i colossali simulacri divini e un movimento pieno di impeto e di espressione, o una calma di sostenuto abbandono nelle figure frontonali; arriva alla felice risoluzione dei più ardui problemi nella composizione dei frontoni, delle metope, della superficie di uno scudo e dell'architettura di un trono. Genio multiforme, F. giganteggiò su tutti i contemporanei e aprì una nuova epoca nel cammino dell'arte greca; creando il linguaggio classico, incarnò l'ideale estetico e culturale di un periodo, segnò uno dei momenti più felici della civiltà greca. Poco dopo il 438 F. avrebbe creato, in gara con Cresilo, Fradmone e Policleto, una statua di Amazzone, riconosciuta del tipo Mattei (copia romana nei Musei Vaticani). Ma dopo la creazione del colosso della Parthènos le invidie e le inimicizie dei circoli ateniesi non mancarono di farsi sentire; l'artista fu accusato dapprima di appropriazione di parte dell'oro e dell'avorio destinati alla statua; quando provò la sua innocenza fu accusato di empietà essendosi ritratto insieme con Pericle sullo scudo della dea. Secondo una versione, F. sarebbe allora fuggito in Elide; secondo un'altra, imprigionato, morì in carcere. ▭ Tav.

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