ROSSI-LANDI, Ferruccio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88 (2017)

ROSSI-LANDI, Ferruccio. –

Roberto Gronda

Nacque a Milano il 1° marzo 1921, figlio di Gino e di Elvina Bünger.

Il padre, senese di origine, si era trasferito a Milano per intraprendere un’attività imprenditoriale. In quella città aveva sposato Elvina Bünger – una «gentildonna austro-ungarica» a cui Ferruccio avrebbe rivolto parole di grande affetto nella dedica al libro Ideologia (Milano 1978) – con la quale ebbe due figli. Successivamente il padre abbandonò la famiglia e si trasferì a Parigi, dove ebbe un altro figlio, Guy, con cui Ferruccio intrattenne poi rapporti di familiarità.

Rossi-Landi crebbe dunque in un ambiente culturalmente stimolante, con un forte respiro europeo. Svolse tutti gli studi inferiori e superiori a Milano, fino a conseguire la maturità classica presso il liceo Manzoni nel 1939. Nello stesso anno si iscrisse all’Università di Milano e, dal 1941 al 1943, svolse il servizio militare in Corsica e in Sardegna. Finita la guerra di liberazione, a cui prese parte nelle file delle truppe alleate, il 13 dicembre 1945 si laureò in lettere con il voto di 110 e lode discutendo una tesi dal titolo Motivi culturali e correnti d’arte nell’opera di Anatole France (relatore Carlo Cordié e correlatore Antonio Banfi), un lavoro che gli valse il premio Stendhal per la migliore tesi di laurea in letteratura francese discussa nell’anno accademico 1944-45. Dal 1946 al 1948 studiò contrappunto e fuga presso il conservatorio di Milano e iniziò l’attività di insegnamento nei licei e negli istituti tecnici di Milano e provincia.

Nel 1948 si iscrisse all’Università di Pavia dove conseguì, in data 28 febbraio 1951, la laurea in filosofia (ancora una volta con 110 e lode), con una tesi dal titolo Introduzione alla semiotica di Charles Morris, relatore Enzo Paci e correlatore Gustavo Bontadini.

La scelta di affrontare un tema così particolare come la semiotica di Morris aveva precise ragioni, sia biografiche sia teoriche. Innanzitutto, era un segno degli interessi prevalenti nell’ambiente culturale che Rossi-Landi frequentava a Milano: dal 1948 era membro del Centro italiano di metodologia e analisi del linguaggio e aveva collaborato, fin dalla fondazione, alla rivista Methodos. Animatore di quel gruppo era Silvio Ceccato che, fra le altre cose, nel 1949 aveva curato la traduzione italiana di Signs, language, and behavior per i tipi di Longanesi. Ceccato esercitò un’influenza profonda su Rossi-Landi, tanto che la prospettiva operazionista rimase per molto tempo un punto di riferimento per la sua riflessione filosofica. Ma agivano anche precise ragioni teoriche, come dimostra il fatto che a Morris Rossi-Landi dedicò ben due monografie, la prima del 1953, intitolata semplicemente Charles Morris (Roma-Milano), e la seconda nel 1975 dal titolo Charles Morris e la semiotica novecentesca (Milano).

Ai suoi occhi, il pensiero di Morris rappresentava un tentativo ambizioso di compiere una «fusione dei due orientamenti americani, il pragmatismo e l’empirismo logico, in una dottrina detta empirismo scientifico, che mira[va] a raccogliere anche elementi degli accennati movimenti europei [positivismo logico, Circolo di Vienna e scuola di Cambridge] in una specie di corpus unitario» (Charles Morris, 1953, pp. 13 s.). Una prospettiva, dunque, che consentiva a Rossi-Landi di fare i conti con le più avanzate correnti del pensiero americano ed europeo, in un’ottica che però non si manteneva né puramente espositiva né semplicemente eclettica, ma seguiva precisi fini teorici. L’obiettivo era quello di sviluppare una scienza dei segni che non fosse né mentalista né comportamentista, ma che andasse alla ricerca delle «operazioni (il lavoro, l’attività) mediante le quali si giunge a parlare di qualcosa in qualche modo» (p. 124). Un approccio che, pur con continue correzioni e integrazioni, non avrebbe mai più abbandonato.

Grazie a una borsa di ricerca bandita dal ministero degli Affari esteri, ebbe l’opportunità di recarsi a Oxford, dove trascorse un periodo di studio di quasi due anni (dall’ottobre 1951 al luglio 1953). Fu un momento decisivo per la sua formazione intellettuale: erano quelli gli anni in cui, grazie alla pubblicazione della traduzione inglese delle Ricerche filosofiche di Ludwig Wittgenstein, la filosofia del linguaggio ordinario stava affermandosi come paradigma filosofico dominante. E Rossi-Landi ne subì il fascino, pur percependone con chiarezza i limiti intrinseci. Era infatti ben consapevole che la mancata distinzione fra lingua e linguaggio rappresentava un presupposto sbagliato della ricerca filosofica perché rischiava di trasformare quest’ultima in analisi lessicografica. E d’altronde il rifiuto di ogni generalizzazione che Wittgenstein propugnava quale terapia filosofica non gli appariva come una prospettiva feconda. Però, allo stesso tempo, l’attenzione che i filosofi oxoniensi dedicavano all’uso particolare del linguaggio portava in primo piano la concretezza del parlare, nella sua realtà storico-sociale, e dava sostegno a una concezione del filosofare come attività rivolta alla chiarificazione concettuale, due idee che avrebbero costituito i cardini fondamentali del pensiero maturo di Rossi-Landi.

Quelli trascorsi in Inghilterra furono anni importanti anche da un punto di vista personale. Il 20 maggio 1953 sposò a Oxford Barbara Holmberg, da cui ebbe due figlie, Agneta e Cristina, prima di separarsi nel 1958 e ottenere l’annullamento del matrimonio cinque anni più tardi. Tornato in Italia, conseguì la libera docenza in filosofia teoretica nel 1955 e tenne dapprima corsi liberi all’Università di Milano e, successivamente, un incarico d’insegnamento di filosofia all’Università di Padova per il triennio 1958-61. Profondamente critico della tradizione filosofica italiana, si avvicinò in quegli anni al movimento neoilluminista, di cui condivideva l’istanza di rinnovamento culturale: frutto di questa collaborazione furono i due volumi sul Pensiero americano contemporaneo, apparsi nel 1958 per le edizioni di Comunità. Il tentativo di rinnovare profondamente la cultura italiana passò anche dalla presentazione al pubblico italiano di testi di autori stranieri. Di Morris tradusse i Lineamenti di una teoria dei segni (Torino 1954); insieme a Ceccato, aveva tradotto il libro di Hugo Dingler Storia filosofica della scienza (Milano 1949). Ma la sfida culturalmente più affascinante fu la traduzione di The concept of mind di Gilbert Ryle, per cui venne scelto il titolo provocatorio – in chiave tutta antidealista – di Lo spirito come comportamento (Torino 1955). E, nella stessa ottica, non vanno dimenticati i tentativi di riportare all’attenzione del dibattito filosofico nazionale pensatori come Eugenio Colorni e Giovanni Vailati.

Il precipitato di questo decennio di lavoro fu Significato, comunicazione e parlare comune (Padova 1961).

Un libro tanto difficile quanto ambizioso, in cui Rossi-Landi si proponeva di andare alla ricerca di ciò che costituisce il parlare comune, ovvero quell’attività che tutti gli esseri umani condividono e che rende possibile ogni forma di comunicazione. Un’impresa di sapore trascendentale dunque, come Rossi-Landi non mancava di notare, che mirava a individuare quello sfondo che, nella sua costanza, permette di utilizzare in modo significativo «qualsiasi lingua o linguaggio tecnico, qualsiasi ricerca in un modo o nell’altro specializzata, qualsiasi terminologia personale o di gruppo» (p. 114).

Il libro ebbe scarso successo e fu accolto con freddezza e diffidenza. Forse anche questo convinse Rossi-Landi a partire per gli Stati Uniti: nel biennio 1962-63 fu visiting professor all’Università del Michigan e all’Università del Texas, iniziando così un’attività di insegnamento all’estero che avrebbe continuato negli anni successivi, prima a Cuba nel 1971 e poi ancora negli Stati Uniti nel 1975. Durante quel primo soggiorno statunitense conobbe Genevieve Dougherty Vaughan, che sposò a Corpus Christi nel settembre 1963 e da cui ebbe tre figlie, Amelia, Beatrice ed Emma, prima di divorziare nel 1978.

Tornato in Italia, continuò a insegnare nei licei e, contestualmente, ad approfondire un percorso di ricerca che andava precisandosi attorno all’idea di lavoro umano. Se Significato, comunicazione e parlare comune risentiva ancora dell’influenza operazionista, gli scritti successivi degli anni Sessanta – raccolti nei volumi Il linguaggio come lavoro e come mercato (Milano 1968) e Semiotica e ideologia (Milano 1972) che, insieme con Metodica filosofica e scienza dei segni (Milano 1985) vanno a comporre la cosiddetta trilogia bompianiana dell’autore – rendevano esplicito l’impianto materialista del suo pensiero, dando forma a una genuina filosofia della praxis profondamente debitrice all’insegnamento di Giambattista Vico, Georg Wilhelm Friedrich Hegel e Karl Marx. Era ormai chiaro a Rossi-Landi che si doveva estendere il concetto di lavoro fino a farlo coincidere con una definizione di ciò che è umano: «se non vogliamo ammettere che qualcosa di umano esista per l’uomo senza intervento dell’uomo stesso, dobbiamo attenerci al principio che ogni ricchezza o valore [...] sono il risultato di un lavoro che l’uomo ha compiuto o può compiere» (Il linguaggio come lavoro e come mercato, cit., p. 62). E il concetto di lavoro gli consentiva, attraverso il principio di omologia, di offrire una spiegazione comune, genetica, della produzione materiale e di quella linguistica: in entrambi i casi, questa era l’ipotesi fondamentale di Rossi-Landi, abbiamo a che fare con artefatti che dipendono da altri artefatti di ordine e complessità inferiore, pur essendo a essi irriducibili. Da un punto di vista analitico, il riconoscimento di questa somiglianza strutturale consentiva di applicare le categorie economiche (capitale costante e capitale variabile, per esempio) allo studio dei prodotti linguistici. Si trattava dunque di un risultato teoricamente prezioso perché apriva le porte a una spiegazione immanente, ma non riduzionista dei fenomeni culturali e artistici. Grazie a questo apparato concettuale, Rossi-Landi era quindi in grado di prendere posizione su temi di ampia portata come il rapporto, molto dibattuto in quegli anni, fra natura e cultura e sulla controversia fra idealismo e realismo, evitando gli eccessi di una e dell’altra parte.

Frutto dell’approfondimento di questa linea di ricerca furono gli importanti testi Linguistics and economics (The Hague 1975) e soprattutto Ideologies of linguistic relativity (The Hague 1973), in cui Rossi-Landi prendeva posizione sulla tesi della relatività linguistica resa celebre da Edward Sapir e Benjamin Lee Whorf (l’ipotesi Sapir-Whorf). Poco dopo la pubblicazione di questi lavori, nel 1975, vinse il concorso in filosofia morale: l’anno successivo si trasferì dunque da Roma, dove risiedeva dal 1970 e svolgeva l’attività di libero docente in filosofia teoretica, a Lecce presso la facoltà di magistero in qualità di professore straordinario di filosofia della storia. Vi rimase un solo anno, però, perché nel 1977 ottenne la cattedra di filosofia teoretica presso l’Università di Trieste.

L’ultimo decennio della vita di Rossi-Landi vide affermarsi come oggetto privilegiato della sua ricerca l’analisi dell’ideologia. Non era certo questo un argomento nuovo: anzi, era da un decennio – perlomeno a partire dal 1968, quando, con Mario Sabbatini, aveva fondato la rivista Ideologie – che molti dei suoi lavori vertevano su questo tema. Ma è soltanto con il libro Ideologia (Milano 1978) che Rossi-Landi giunse finalmente a una formulazione compiuta delle proprie concezioni al riguardo. Ancora una volta, il principio ispiratore era il rifiuto di ogni tentativo di evitare la contingenza e la storicità dell’essere umano: ogni discorso andava dunque riconosciuto come ideologico e le differenze di valore fra i vari discorsi andavano ricercate non in un preteso accordo con qualche elemento sovrastorico, ma facendo riferimento al valore delle progettazioni sociali proposte.

Morì improvvisamente il 5 maggio 1985 a Monfalcone, a causa di un attacco ischemico durante una gita in barca.

Fonti e Bibl.: Reading su F. R.-L., a cura di J. Bernard et al., Napoli 1994; C. Bianchi, Su F. R.-L., Napoli 1995; A. Ponzio, Linguaggio, lavoro e mercato globale. Rileggendo R.-L., Milano 2008; Id., F. R.-L. e la filosofia del linguaggio, Lecce 2012.

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