D'ADDA, Ferdinando

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 31 (1985)

D'ADDA, Ferdinando

Franca Petrucci

Di antica famiglia lombarda, nacque a Milano il 27 ag. 1650 da Costanzo conte di Sale e da Anna Cusani.

Intraprese studi giuridici e addottoratosi fu ascritto al Collegio dei giureconsulti di Milano, da cui non fu però ratificata la sua scelta come uditore di Rota a Roma. Tuttavia il comasco Innocenzo XI, legato al D. anche da vincoli di parentela, lo trattenne nell'Urbe e, creatolo in epoca imprecisata referendario utriusque signaturae, loincaricò di portarsi in Spagna per consegnare la berretta al nunzio Savio Mellini. La fiducia del papa nel D. doveva essere notevole se nell'autunno del 1685 pensò di inviarlo alla corte d'Inghilterra.

Nel febbraio di quel medesimo anno era successo sul trono inglese Giacomo II e al monarca si erano subito presentati due grossi problemi: barcamenarsi negli affari interni cercando di affermare il proprio assolutismo e affrancarsi dalla tutela francese. A questi problemi, legati l'uno all'altro perché un sovrano inglese in buon accordo con il suo Parlamento sarebbe stato inevitabilmente antifrancese e viceversa, se ne aggiungeva uno - la fede cattolica - che sarebbe stato appena tollerabile da parte dei sudditi se si fosse mantenuto su un piano personale, ma che diveniva spinosissimo, mostrando il sovrano di volere travalicare affatto il piano personale. Il papa, d'altro canto, non sembrava tanto abbagliato dalla speranza di un recupero alla fede cattolica dell'isola, quanto piuttosto preoccupato che l'Inghilterra, cattolica o protestante che fosse, non soggiacesse all'influenza del re di Francia, cristianissimo sì, ma nettamente in contrasto con lui. Innocenzo XI, proprio scegliendo per inviare a Giacomo II le congratulazioni per la sua ascesa al trono il D., non ecclesiastico e tanto meno nunzio, aveva mostrato tutta la cautela con la quale intendeva procedere allacciando queste relazioni diplomatiche. Altro scopo del papa era quello di contrastare l'influenza che esercitava Luigi XIV sul re attraverso i gesuiti e in special modo per mezzo di p. Edoardo Petre, gran favorito di Giacomo II.

Il D. arrivò a Londra il 9 nov. 1685. Il re, accogliendolo cordialmente, si professò figlio devoto del pontefice, lo pregò di non apparire ufficialmente come inviato del papa e gli annunciò l'invio a Roma del conte di Castlemaine, che fini poi per essere molto sgradito a Innocenzo XI.

In quel medesimo giorno il re aveva fatto alle Camere tre richieste di fondamentale importanza: l'approvazione per la costituzione di un esercito stanziale, la revoca della legge del habeas corpus, che aboliva il carcere preventivo e gli arresti arbitrari, e l'abolizione del Test Act, che obbligando tutti i funzionari di Stato a giurare di professare la religione anglicana, escludeva tutti i cattolici dal servizio della Corona. Il D. inviò la relazione sulle richieste del re, ma sembrò non afferrarne la portata, tanto che in un primo momento parve credere che sarebbero state soddisfatte entro pochi giorni. Successivamente si rese conto che le difficoltà che si opponevano all'approvazione erano "stimate da tutti impossibili a superarsi". Evidentemente il D., piombato senza un'adeguata preparazione in una situazione complessa e irta di difficoltà, cominciava almeno a rendersi conto dei problemi. Tuttavia, quando il re prorogò il Parlamento al 10 febbr. 1686, il D. non dubitò che la dilazione avrebbe permesso al sovrano "di fortificare meglio il suo partito". Nel dicembre si rendeva conto che la volontà del re di istaurare un assolutismo cattolico era fermissima, ma che l'opposizione che questa risoluzione poteva far sorgere avrebbe potuto risolversi in "un grandissimo male per i cattolici". Pensava anche che il sovrano non avrebbe dovuto essere così intransigente nei riguardi del Parlamento, ma non pareva dubitare che l'azione del re avrebbe finito con il trionfare. Il D. non disapprovò neanche l'istruzione dei processo contro E. Hales, voluta dal re perché i giudici potessero affermare che il sovrano aveva il diritto di dispensare dall'applicazione delle leggi vigenti.

Nel febbraio del 1686, mentre la sessione del Parlamento veniva ancora una volta prorogata, la condotta poco prudente del re lo spinse a chiedere al D. di assumere la qualifica di nunzio. Non avendone questi la facoltà dal papa, si ripiegò su quella di inviato.

Altri desideri che il sovrano voleva esauditi dal papa erano l'elevazione al cardinalato per Rinaldo d'Este e al vescovato per il gesuita p. E. Petre e per questo era lo stesso Castlemaine che insisteva presso il pontefice. Da costui il monarca ottenne soltanto la promessa che il D. sarebbe divenuto ufficialmente nunzio apostolico dopo che il Castlemaine fosse stato ricevuto ufficialmente come inviato regio, il che avvenne l'8 genn. 1687. Nello stesso mese il D. comunicava che, dopo le ulteriori proroghe del Parlamento, il re intendeva "chiamare a sé tutti li parlamentari ad uno ad uno "per conoscere i loro sentimenti" a fine di levare dall'animo loro tutte le gelosie immaginarle che hanno concepite, che li privilegi loro siano in pericolo di perdersi e che si tratti della libertà della patria".

Il 3 marzo 1687 il D. divenne arcivescovo in partibus di Amasea e ricevette così la qualifica di nunzio. Nell'aprile Giacomo II promulgava la cosiddetta dichiarazione d'indulgenza, che sospendeva tutte le leggi penali in materia ecclesiastica.

Nella lettera del 4 aprile, il D. ne chiariva lo scopo riposto: dividere le forze degli oppositori. In effetti l'indulto parve far conseguire al sovrano qualche successo, perché si schierarono dalla sua parte alcuni dei cosiddetti nonconformisti. Il D. esultava annunciando il 16 maggio: "Questi settari fanno a gara nel dare le pubbliche testimonianze del loro riconoscimento verso la clemenza reale per la concessa libertà di conscienza".

Continuando nel suo atteggiamento di ostentazione della sua fede, il sovrano, che nel medesimo mese aveva sciolto il Parlamento, volle, il 3 luglio, che il D. fosse consacrato vescovo nella cappella di S. Giovanni nel palazzo di S. Giacomo. La mattina dopo, trovandosi il neoeletto negli appartamenti della regina, il monarca gli si gettò ai piedi in ginocchio, chiedendo la sua benedizione. Avrebbe poi voluto riceverlo solennemente., ma fu consigliato di farlo in forma privata a Windsor. Tuttavia il sovrano lo fece invitare, nel novembre, alla festa del Lord Mayor di Londra.

Già dal febbraio intanto gli oppositori del re si stavano coalizzando nel nome di Guglielmo d'Orange; dall'ottobre il D. cominciò a parlare della spedizione del pretendente, sostenendo che questo credeva "con la sua prava politica di assicurarsi il cammino al trono reale, a cui con ansia" diceva "aspira e gli pare di esserne già in possesso". Nel frattempo, dall'estate, il re era totalmente assorbito dall'intento di rinnovare il Parlamento in modo che sia la Camera dei comuni sia quella dei lords risultassero favorevoli alla politica reale. Nel dicembre il re confidava al D. di essere fiducioso che potessero essere eletti "parlamentarii a sua soddisfatione", anche se "tutti gli anglicani erano contrari" poiché egli "li andava rimuovendo dagli impieghi e aveva gente abile e ben stante per far loro succedere nelle cariche". Com'è noto, dopo la seconda dichiarazione d'indulgenza (77 apr. 1688) e il processo ai vescovi che si rifiutavano di leggerla pubblicamente, finito con la loro assoluzione, i congiurati si rivolsero a Guglielmo d'Orange. Altra ragione che li spinse a questo fu la nascita in giugno del figlio maschio del re, al cui battesimo assistette il D'Adda.

Nell'estate ci furono tentativi da parte della diplomazia reale di ottenere un aiuto indiretto da un intervento papale. Il pontefice avrebbe potuto, secondo il suggerimento del cancelliere, conte di Sunderland, compiacendo la Francia per la questione dell'arcivescovato di Colonia, alleggerire la pressione internazionale che spingeva l'Orange contro Giacomo II ma, mentre in genere le istruzioni al nunzio più che suggerimenti concreti contenevano molti appelli a Dio perché volesse illuminare il sovrano inglese, in questa occasione Roma aveva negato nel modo più assoluto la possibilita di un intervento in questo senso.

D'altra parte, in due occasioni nel settembre, il D. mostrava di essere lontano dal vedere le cose con realismo. Non credeva infatti che "i mali intentionati del Regno volessero combattere le leggi divine ed humane..., appoggiare un attentato simile e mettersi volontariamente in quei mali che sono consecutivi ad una guerra". Inoltre incitava il re a guardarsi dall'affidarsi alla Francia, la quale a questo scopo "aggrandiva" i problemi. Ma alla corte inglese si cominciava a sentire minacciosamente vicina la spedizione dell'Orange e il D., che nel maggio si era compiaciuto di annunciare l'ordine del re di varare venti vascelli da guerra, enumerava le concessioni elargite dal sovrano, spinto dall'incombere degli eventi, ai suoi sudditi. Egli avvertiva però il pericolo che simili concessioni fossero intese come elargite per "gratia del principe d'Orange, non dalla clemenza e bontà del re". Con la lettera del 15 dic. 1688 il D. annunciava che la flotta olandese era nel Canale; le successive narrano lo sbarco degli invasori, le defezioni di corpi militari, la costernazione dei cattolici inglesi.

Il D. resistette a Londra fino al dicembre, poi, accogliendo l'invito del re, si travestì da valletto e lasciò la città al seguito del duca di Savoia, precedendo di poco la fuga di Giacomo II in Francia, dove fu ancora in contatto con i reali inglesi, ma dove Luigi XIV si rifiutò di riceverlo. Rientrò in Italia nel marzo del 1689.

Il Gigli (P. 352) rimprovera duramente al D. la sua scarsa informazione sulle cose inglesi, di non aver saputo insinuare consigli illuminati e costruttivi, oltre che di prudenza, al re e quindi di non aver saputo "influire con apprezzabile efficacia sulla condotta del monarca inglese". Tuttavia, ammesso che il D. non sia stato una figura di primo piano, egli, agendo come fece, non tradì, né travalicò le direttive ricevute. Il papa infatti sembrò non credere mai al riacquisto dell'Inghilterra alla fede cattolica; parve invece essere molto più intensamente coinvolto nelle questioni politiche che lo opponevano alla Francia e che lo spinsero a propendere per Fazione di un principe protestante a svantaggio di un re cattolico.

In ogni caso a Roma ci si mostrò grati dell'azione svolta dal nunzio e il 16 ottobre il D. divenne assistente al soglio pontificio. L'innalzamento alla dignità cardinalizia giunse il 13 febbr. 1690 ed il 16 aprile il D. ebbe il titolo di S. Clemente.

Non è nota quale fosse la competenza del D. per questioni di carattere idraulico, ma certo egli firmò, dopo una visita durante la quale prese visione dei problemi ed esaminò molte possibili soluzioni, il 2 genn. 1694. insieme al card. F. Barberini, una Relazione dello stato presente delle acque che infestano le tre provincie di Romagna, Ferrara e Bologna (Bologna 1715). Essa, dopo l'esame di vari rimedi per ovviare ai danni delle inondazioni, conclude con il suggerire l'immissione del Reno nel Po. Forse per aver esaminato così da vicino i problemi relativi a queste province, il D., che dal 10 maggio 1695 era divenuto protettore dei camaldolesi e dal 2 genn. 1696era passato al titolo di S. Balbina, il 24settembre del medesimo anno assumeva l'amministrazione della legazione di Ferrara. Giunse nella città emiliana il 10 dicembre e sembra che non vi sia stato accolto molto favorevolmente per la soluzione che aveva proposto nella sua Relazione, considerata favorevole ai Bolognesi. Senza terminare il triennio, il D. passava il 24nov. 1698alla legazione di Bologna, che avrebbe mantenuto, dopo una proroga concessagli il 7 febbr. 1701., fino al novembre 1706. Interruppe il suo soggiorno nella città felsinea per partecipare al conclave da cui uscì eletto Clemente XI, e si trattenne a Roma. fino al febbraio 1701.

Durante la sua legazione si trovò a ricevere illustri personaggi di passaggio nella città, fra cui la regina di Polonia nel 1705, e tenne a battesimo a nome del papa il secondogenito del duca di Modena, Clemente. Alle sue lettere, conservate nell'Arch. Segreto Vaticano (Segr. di Stato, Bologna, voll. 75-87), sono accluse lettere e relazioni che egli riceveva da Venezia, Parma, Modena, Ferrara e che provvedeva a smistare direttamente a Roma. Mite, ossequiente, preoccupato, sollecito verso i suoi amministrati, vide coinvolta la sua provincia negli sconvolgimenti causati dal transito degli eserciti francese e imperiale, impegnati nella guerra di successione spagnuola. Secondo la testimonianza del solo F. A. Zaccaria (Auximatium episcoporum series, Auximi 1764, p. 114) avrebbe retto il vescovato di Osimo per diciotto mesi dal dicembre 1706.

Rientrato a Roma, il D., che il 16 apr. 1714 passò al titolo di S. Pietro in Vincoli e il 21 genn. 1715 a quello di card. vescovo di Albano, fu prefetto della Congregazione dei Riti. Morì il 27 genn. 1719 nella sua residenza in piazza SS. Apostoli e le sue esequie furono celebrate in S. Carlo al Corso.

Lasciò i suoi beni in eredità al Collegio della Propaganda Fide. Secondo il Calvi da un dipinto di I. Beckett fu tratta la stampa di un suo ritratto e altri due, opere di J. Blondeau e di H. Cause, da uno di A. Lesma; un altro suo ritratto inciso è opera di G. Rossi.

Fonti e Bibl.: E. Campana de Cavelli, Les derniers Stuarts à Saint-Germain-en-Laye, Paris-Londres-Edimbourg 1871, ad Indicem; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese ... di Roma, V, Roma 1874, p. 356; S. Muzzi, Annali di Bologna, VIII, Bologna 1846, pp. 150 s.; 331, 333, 337; A. Frizzi. Memorie per la storia di Ferrara, V, Ferrara 1848, p. 147; E. von Danckelman, Zur Frage der Mitwisserschaft Papst Innocenz XI. an der oranischen Expedition, in Quellen u. Forsch. aus ital. Archiven u. Bibl., XVIII (1926), pp. 324-29; G. Gigli, Il nunzio pontificio D. e la seconda rivol. inglese, in Nuova Riv. stor., XXIII (1939), pp. 285-352 (con ulteriore bibl.); G. Anstruther, Cardinal Howard and the English Court, in Arch. fratrum praedic., XXVIII (1958), pp. 353, 355, 358; L. von Pastor, Storia dei papi, XIV, 2, Roma 1962, pp. 168, 261, 271 s.; 368-71, 400, 426; B. Neveu, Jacques II médiateur entre Louis XIV et Innocent XI, in Mélanges d'arch. et d'histoire, LXXIX (1967). pp. 703, 707, 718-41 (con l'indicazione di ulteriori fonti e bibl.); R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica Medii et recentiors Aevi, V, Patavii 1952, pp. 16, 80; Famiglie notabili milanesi, a cura di F. Calvi, I, Milano 1875, s. v. D'Adda, tav. III; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés.; I, coll. 511 s.

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