Federal Reserve

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Federal Reserve

L. Randall Wray

La F. R. fu istituita con il Federal Reserve Act del 1913, per "assicurare elasticità alla valuta, offrire i mezzi per riscontare le cambiali commerciali, istituire un più efficace sistema di vigilanza bancaria negli Stati Uniti". Per molti anni, il principio ispiratore della F. R. fu la Real bills doctrine (dottrina delle cambiali commerciali), in base alla quale essa 'riscontava' titoli stanziabili (prestando riserve alle banche) per agevolare gli scambi. Nel corso della Prima guerra mondiale la F. R. acquistava il debito del Tesoro per percepirne gli interessi; negli anni Venti si comprese che in tal modo essa creava riserve bancarie addizionali e la possibilità di un'espansione più che proporzionale dei depositi (il cosiddetto moltiplicatore dei depositi). Nel 1924 la F. R. tentò per la prima volta di operare in maniera anticiclica, 'allentando' la sua politica durante la recessione per favorire l'incremento dei prestiti bancari. L'acquisto di obbligazioni, però, non provocò un'espansione delle riserve delle banche, poiché queste ridussero i loro prestiti presso lo sportello di sconto (discount window). Per la prima volta, la F. R. capì che riserve, prestiti e offerta di moneta dipendono dalla domanda, e non possono essere fatti variare direttamente tramite la politica monetaria. Si comprese, in particolare, che la vendita di obbligazioni da parte della F. R. semplicemente forzava le banche a ricorrere allo sportello di sconto per rimpiazzare le riserve perse. In tal modo la F. R. non poteva governare neanche il volume dei prestiti bancari controllando le riserve.

L'interpretazione della politica che fu adottata dalla F. R. durante gli anni Trenta del Novecento non è univoca. I monetaristi sostengono che la F. R. ridusse l'offerta di moneta, causando la crisi finanziaria e la Grande depressione; molti altri pensano che l'inerzia della F. R. contribuì al peggioramento della situazione. In realtà, la F. R. intervenne immediatamente, acquistando 125 milioni di dollari in titoli di Stato il giorno del crollo della Borsa, quasi raddoppiando le attività possedute in un giorno. La F. R. di New York inoltre concesse prestiti alle banche della città che stavano aiutando le loro banche corrispondenti. Durante i primi mesi della crisi, l'istituto continuò ad assecondare la domanda di moneta e usò operazioni di mercato aperto per stabilizzare i tassi d'interesse. Ma, nell'autunno del 1931, essendo aumentati sensibilmente i deflussi di oro, la F. R. aumentò i tassi allo scopo di proteggere le riserve auree. L'offerta di moneta si stava riducendo non a causa della politica della F. R., ma perché le banche non trovavano clienti meritevoli di credito. La politica monetaria poteva fare ben poco: la ripresa richiedeva stimoli fiscali, che arrivarono soltanto con il New Deal e la Seconda guerra mondiale.

La Seconda guerra mondiale generò enormi disavanzi fiscali e, nel 1942, la F. R. acconsentì a fissare il tasso sui buoni del Tesoro a 3/8 di un punto percentuale. L'effetto che si ottenne sul lungo periodo fu un ingente debito pubblico che consentì alla F. R. di creare riserve attraverso l'acquisto di titoli piuttosto che tramite prestiti allo sportello di sconto. Dopo la guerra, la F. R. si preoccupò per il possibile insorgere di tensioni inflazionistiche. Nel 1947 il Tesoro allentò i vincoli sulle attività della F. R., che aumentò rapidamente i tassi d'interesse. Negli anni successivi, la F. R. continuò a esercitare pressioni per ottenere maggiore autonomia, al fine di condurre politiche monetarie attive. Tale politica portò all'Accord del 1951, che poneva fine all'impegno della F. R. di tenere bassi gli interessi pagati dal governo. Per i successivi tre decenni, la F. R. attuò le sue politiche anticicliche fissando, seppure non esplicitamente, un obiettivo in termini di tassi d'interesse.

Nell'ottobre del 1979, il governatore P. Volcker annunciò un cambiamento radicale: la F. R. avrebbe adottato come suo obiettivo il tasso di crescita dell'aggregato monetario M1, e avrebbe abbandonato il riferimento ai tassi d'interesse. In pratica,allo scopo di controllare la crescita della moneta, la F. R. calcolava le riserve totali compatibili con l'obiettivo di crescita della moneta e da esse sottraeva le riserve prese a prestito, ottenendo l'ammontare di quelle non prese a prestito. Tuttavia, se la F. R. non assicurava sufficienti riserve di quest'ultimo tipo alle banche, queste ricorrevano allo sportello di sconto, facendo aumentare le riserve prese a prestito e provocando di conseguenza uno scostamento delle riserve totali dall'obiettivo fissato dalla Federal Reserve. Dal momento che le riserve obbligatorie sono sempre calcolate con un ritardo, la F. R. non poteva rifiutarsi di concedere le riserve necessarie allo sportello di sconto. La F. R. scoprì in questo modo di non essere in grado di controllare le riserve. Inoltre, nonostante una politica monetaria persistentemente restrittiva, il tasso di crescita di M1 andò notevolmente oltre i valori desiderati, dimostrando che la F. R. non era in grado di realizzare neanche il suo obiettivo concernente la crescita della moneta. Nel 1982, dopo una profonda recessione, fu abbandonato il tentativo di perseguire obiettivi in termini di riserve, nel 1986 quello di raggiungere un determinato tasso di crescita di M1, mentre il tentativo di controllo della crescita di aggregati monetari più ampi naufragò definitivamente nel 1993.

La politica monetaria attuale

Dall'inizio degli anni Novanta, la F. R. opera ispirandosi genericamente al new monetary consensus, l'approccio ortodosso alla teoria e politica monetaria. La politica della F. R. si ispira a cinque principi chiave: trasparenza; gradualismo; attivismo; l'inflazione come unico obiettivo ufficiale; un tasso d'interesse neutrale come strumento di politica.

Nell'ultimo decennio, la F. R. ha aumentato la propria trasparenza, rendendo noti i suoi interventi con ampio preavviso e annunciando con chiarezza i propri obiettivi in termini di tassi d'interesse. Inoltre essa opera con gradualità, ossia tenta di raggiungere l'obiettivo fissato mediante piccoli aggiustamenti dei tassi (in genere da 25 a 50 punti base) nel corso di diversi anni. La trasparenza e il gradualismo creano, però, fra gli operatori, aspettative di continui rialzi (o ribassi) dei tassi, e la F. R., allo scopo di evitare shock sui mercati, è indotta a realizzarli effettivamente anche se le mutate circostanze economiche non sembrano più richiederli.

Il principale strumento di politica della F. R. è il 'tasso neutrale', ossia il tasso d'interesse che assicura una crescita stabile del PIL a piena capacità. Tale tasso tuttavia non può essere individuato finché non è raggiunto, e pertanto non può essere dichiarato in anticipo, in contrasto con il principio della trasparenza. La F. R. si trova costretta a rivedere frequentemente il tasso sui fondi federali nel tentativo di raggiungere il tasso neutrale, ma, come sostenuto da M. Friedman, una politica monetaria attiva ha tante probabilità di destabilizzare l'economia quante ne ha di stabilizzarla, e ciò è ancor più vero se la politica monetaria è guidata dalla volontà di raggiungere un tasso neutrale non osservabile e da aspettative di mercato alimentate dalle dichiarazioni rese dalla stessa Federal Reserve.

La F. R. afferma che la sua principale preoccupazione è l'inflazione, ma in realtà essa definisce i propri obiettivi anche in relazione ai prezzi delle attività e alla distribuzione del reddito, rivelando una posizione sfavorevole al mondo del lavoro e ai salariati. Tra i diversi motivi per cui nel 1994 i tassi furono aumentati, vi era il desiderio della F. R. di fare esplodere la bolla speculativa sui mercati mobiliari, così come è probabile che il loro aumento all'inizio del 2000 mirasse a contenere la crescita dei corsi azionari; mentre l'incremento dei tassi avviato nel 2004 era probabilmente indirizzato a rallentare la speculazione immobiliare. Per quanto riguarda le variabili distributive, la F. R. permette una crescita vigorosa, e persino prezzi crescenti, fintantoché l'occupazione aumenta debolmente e i salari non aumentano; quando essa teme un rialzo dei salari, aumenta i tassi d'interesse.

Il governatore A. Greenspan è stato apprezzato per la maestria dimostrata nella gestione della politica monetaria durante la presidenza di B. Clinton. Tuttavia, i critici fanno anche notare una serie di 'passi falsi'. Greenspan aveva dichiarato, già a partire dal 1994, che il mercato mobiliare si mostrava "irrazionalmente esuberante" (sei anni prima che raggiungesse il proprio apice), e numerosi tentativi della F. R. di stabilizzarlo fallirono. Dopo il crollo della Borsa nel 2000, lo stesso governatore negò la possibilità di identificare una bolla speculativa. La F. R. ha spesso previsto pressioni inflazionistiche che non si sono mai realizzate, e in talune circostanze, come nell'estate del 2004, ha aumentato i tassi quando il mercato del lavoro si è mostrato debole, mentre in altre occasioni la riduzione dei tassi è parsa tardare pur in presenza di evidenti segnali di recessione.

La banca centrale agli inizi del Duemila

La maggior parte delle banche centrali opera attualmente sulla base di obiettivi definiti in termini di tassi d'interesse. Inoltre esse hanno compiti precisi in materia di supervisione sulle banche e altri istituti finanziari, sono prestatori di ultima istanza e occasionalmente applicano forme di controllo sul credito. Per realizzare l'obiettivo di un tasso non nullo, la F. R. varia le riserve per essere sicura che le banche ne detengano il volume desiderato (o richiesto, in Paesi, quali gli Stati Uniti, in cui vi è un coefficiente di riserve obbligatorie). È abbastanza facile stabilire se vi è un eccesso o difetto di riserve: in entrambi i casi il tasso overnight (con scadenza a 24 ore) si allontana dall'obiettivo, causando una variazione compensativa delle riserve da parte della banca centrale.

Quando si considera l'elemento essenziale dell'operare delle banche centrali, appare ovvia l'erroneità di interpretazioni basate sull'idea che esse controllino le riserve, sterilizzino i flussi internazionali di capitale, oppure finanzino i disavanzi di bilancio 'stampando moneta'. Infatti, se i flussi di pagamenti internazionali o le azioni di politica fiscale del governo creano riserve in eccesso, la banca centrale deve eliminare tale eccesso per impedire che il tasso overnight scenda a zero. D'altra parte, se i flussi di pagamenti internazionali o gli interventi di politica fiscale interni lasciano le banche con riserve insufficienti, il tasso overnight aumenta oltre il valore-obiettivo. Per tale motivo, la quantità delle riserve non è mai discrezionale. Allo stesso modo, non è corretta l'idea che una banca centrale può scegliere di stampare moneta per finanziare il deficit di bilancio. I moderni governi sovrani spendono accreditando conti bancari e tassano prelevando dagli stessi. La compensazione nei confronti del governo avviene tramite variazioni delle riserve delle banche che sono presso la banca centrale. I disavanzi determinano un aumento delle riserve che, se giudicate eccessive, sono ridotte tramite la vendita di titoli. Queste operazioni sono coordinate con il Tesoro, che emette nuovi titoli in corrispondenza delle spese in deficit (se prima o dopo le spese è irrilevante) per evitare che la banca centrale finisca per non avere più titoli da vendere. Ma in Paesi in cui la banca centrale paga interessi sulle riserve bancarie, la vendita di titoli non è necessaria: non esistendo una sostanziale differenza tra riserve remunerate o titoli pubblici che assicurino un rendimento, entrambi gli strumenti permettono di mantenere un tasso overnight positivo. Il punto importante è che le operazioni della banca centrale non siano discrezionali, ma determinate dagli obiettivi sui tassi d'interesse. La F. R. e le altre banche centrali dei Paesi con valute sovrane hanno completa discrezionalità per quanto riguarda i tassi overnight. Ciò che non è discrezionale è la quantità di riserve. Infatti, una carenza di riserve provoca un aumento del tasso d'interesse oltre il valore-obiettivo, mentre un eccesso ne provoca la riduzione. In conclusione, la politica monetaria consiste essenzialmente nel fissare i tassi d'interesse. Tuttavia, l'importanza dei tassi d'interesse non è affatto evidente, specialmente quando la trasparenza e il gradualismo eliminano il 'fattore sorpresa'. Di conseguenza, l'idea che con la politica monetaria si possa fare il fine-tuning dell'economia è probabilmente errata.

bibliografia

M. Friedman, The optimum quantity of money and other essays, Chicago 1969; A.-M. Meulendyke, US monetary policy and financial markets, New York 1989; S. Bell, Do taxes and bonds finance government spending?, in Journal of economic issues, 2000, 34, pp. 603-20.

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