ERASMO da Rotterdam

Enciclopedia Italiana (1932)

ERASMO da Rotterdam

Angiolo Gambaro

Geert Geertsz (che doveva poi tradurre il suo nome in quello umanistico di Desiderio Erasmo) nacque a Rotterdam la notte fra il 27 e il 28 ottobre probabilmente del 1466; era figlio naturale di un certo Gerardo, che pare fosse già costituito negli ordini sacri, e della figlia di un medico, Margherita. Fanciullo, fu mandato alla scuola dei Fratelli della vita comune, a Deventer; e, divenuto orfano di padre e di madre, entrò nel 1487 nel monastero degli agostiniani di Emmaus o Steyn presso Ter-Gouw in Olanda, dove rimase cinque anni, spesi nello studio febbrile dei classici pagani e dell'umanista Lorenzo Valla, il quale divenne uno dei suoi modelli e una delle sue guide. Nello stesso tempo fece la sua professione religiosa e fu ordinato sacerdote. Ma la mancanza di vocazione monastica gli convertì in prigione il convento, da cui lo liberò un caso insperato, l'essere stato assunto al servizio del vescovo di Cambrai in qualità di segretario (1494). Allora comincia la sua vita errabonda, in cerca d'istruzione e di celebrità, di protezioni e di pensioni: Cambrai, Parigi e Orléans furono le sue prime tappe. Passa poi in Inghilterra (1499-1500) dove contrae preziose amicizie con Giovanni Colet, con Tommaso Moro; vi ritorna nel 1505, e conosce allora l'arcivescovo di Canterbury, Wharam. Nel settembre del 1506 viene in Italia e vi resta tre anni.

Quel soggiorno, che il De Nolhac chiama uno dei fatti più importanti del Rinascimento, gli porse occasione di ricevere il dottorato in teologia nell'università di Torino, di visitare le principali città del Nord e del Sud fino a Napoli, di approfondire nei contatti con Giovanni Lascaris e con Marco Musuro la sua conoscenza del greco, di mettere a profitto per i suoi lavori personali ricche biblioteche e preziosi manoscritti, di preparare edizioni latine uscite dalla stamperia d'Aldo Manuzio, e soprattutto di annodare feconde relazioni coi dotti più reputati della penisola, fra i quali Paolo Bombasio, Andrea Navagero, Scipione Forteguerri, G. B. Egnazio, Bernardo Rucellai, Girolamo Aleandro, Celio Calcagnini, Egidio da Viterbo, Urbano Bolzani.

Lasciata con rammarico l'Italia, E. fa una nuova lunga dimora in Inghilterra; e ritornato sul continente soggiorna parte a Lovanio, parte a Bruxelles e ad Anversa, non tralasciando viaggi nella Germania Renana, sempre infaticabile nel comporre le sue opere e nel diffondere la conoscenza dei monumenti letterarî antichi. Infine nel 1521 si stabilisce a Basilea, vicino al libraio Froben suo amico. Era all'apogeo della sua gloria: invitato a gara da Francesco I di Francia, dall'arciduca Ferdinando d'Austria, dal re Sigismondo di Polonia, trattato con riguardi dall'imperatore Carlo V e dal papa Leone X, familiare e corrispondente con cardinali e con principi tedeschi e italiani, consultato dai dotti, era il re intellettuale del suo tempo, come Voltaire del sec. XVIII. Nel 1529 per i torbidi scoppiati a Basilea si rifugia a Friburgo in Brisgovia; ma sei anni dopo riprende la via di Basilea ove muore nella notte dall'11 al 12 luglio 1536.

La sua immensa attività letteraria si spiegò in più campi. Critico di razza, addestratosi nello studio del Valla, curò edizioni di classici antichi, di santi Padri (quali S. Cipriano, S. Girolamo, S. Agostino, S. Ambrogio, S. Ilario), del testo greco del Nuovo Testamento, del quale pure pubblicò un'elegante traduzione latina e commenti e parafrasi, seguendo un criterio filologico che, se non di rado offre il fianco a gravi rilievi, rappresenta tuttavia per quei tempi un considerevole progresso. Erudito incomparabile, diede prova della sua profonda cultura classica specialmente nella vasta opera degli Adagia, che iniziò la sua grande riputazione in Italia. Scrittore di bella letteratura, compose l'Encomium morias o Elogio della pazzia, il più celebre dei suoi lavori, pensato nel viaggio di ritorno dall'Italia nel 1509, ma scritto in Inghilterra poco dopo, vivacissima satira delle condizioni religiose e sociali del tempo, che, pur non essendo un capolavoro, ha notevolissima importanza come prologo della grande tragedia teologica del sec. XVI; e ottantacinque Colloquia, vere e proprie conversazioni scoppiettanti d'arguzie, in cui si rivela un'arte spontanea. Educatore e pedagogista, contribuì potentemente con parecchi scritti (tra cui la Prima educazione liberale dei fanciulli, la Urbanità dei costumi puerili, alcuni Colloquî, il Metodo degli studî, l'Abbondanza dei vocaboli, il Modo di scrivere le lettere, il Ciceroniano, ecc.) a trasformare l'educazione e i suoi metodi: ne espunge l'imitazione servile, segno di schiavitù intellettuale; celebra la libertà e in funzione di essa concepisce la filologia stessa; ristabilisce la cura del corpo nei suoi naturali diritti; vuole avviato il fanciullo fin dai primi anni nell'istruzione generale, specie nello studio delle lingue; condanna i sistemi costrittivi vigenti nelle scuole d'allora; insiste sui molti riguardi dovuti alla giovane età, alla quale non si dovrebbe imporre né troppo lavoro né studî ripugnanti; reclama per la donna i medesimi diritti all'istruzione che per l'uomo.

Teologo, fu nemico della teologia scolastica tanto nella sua ossatura quanto nei suoi procedimenti e in altre sopravvivenze del Medioevo, e fece del suo meglio per imprimere alle scienze ecclesiastiche una tendenza umanistica. Dell'Antico Testamento tiene sì poco conto, che lo vedrebbe perire senza rimpianto, purché rimanga il Nuovo: e per l'interpretazione del Nuovo, intesa a ritrovare il vero insegnamento di Cristo, specifica e sviluppa con modernità di vedute le norme esegetiche nella Ratio verae theologiae o Metodo degli studî teologici. Quivi, senza negare i diritti della tradizione, pone in guardia l'esegeta contro le interpretazioni legate alle scuole filosofiche, ree, secondo lui, d'avere trasformato le lezioni divine del Vangelo in fredde e astratte speculazioni. Tale diffidenza, istintiva verso la filosofia e la metafisica si rivela anche nell'Enchiridion militis christiani o Manuale del soldato cristiano (1502), dove predica l'utilità degli studî letterarî per la formazione del cristiano e del teologo, e proclama la necessità di restaurare la religione del puro spirito, lungi dai labirinti delle dispute e fuori dai lacci delle elaborate formule razionali. Da una mentalità siffatta non poteva risultare che una teologia stranamente elastica e umbratile.

La preoccupazione di E. era invece di natura schiettamente etica. "Non occorre sempre trovare dottrine chiare: importa soprattutto accertare dottrine utili", dirà nella polemica con Lutero. Lo stesso suo atteggiamento nei riguardi della Chiesa non tende a colpire direttamente il dogma, ma gli uomini; a restaurare la purezza della fede, e con ciò della vita morale. Il concetto di humanitas, quale è tratteggiata già nell'opera giovanile - ripresa più tardi - Antibarbari, in cui si fondono due diverse correnti, la devotio moderna dei Paesi Bassi e gli aristocratici ideali di cultura dell'Umanesimo italiano; che è quindi una humanitas, intellettualmente ricca, ma a un tempo moralmente forte, sintetizza le aspirazioni di E. Il quale non può così amare la riforma violenta: e, pur ponendo in ridicolo gli ecclesiastici, è lontanissimo da ogni idea di violento rivolgimento, lontanissimo dal voler attentare al dogma e propugna invece una riforma pacifica, graduale, frutto di persuasione e di ragionevolezza.

Con ciò si spiega l'atteggiamento ch'egli assume di fronte a Lutero e alla Riforma. Nei primi tempi, E. non s'era dimostrato contrario al monaco di Wittemberg: nel 1518, anzi, gli aveva inviato i suoi saluti e, perfino, aveva commentato non sfavorevolmente le 95 tesi. E ancora più tardi, nel 1519, in una lettera a Federico di Sassonia, esortava il duca a non permettere che un innocente, come Lutero "sub praetextu pietatis aliquorum impietati dedatur", esprimendo così la sua simpatia per l'uomo, seppure non per la dottrina (quo minus ad me pertinet causa lutheriana). Ma quando vide per l'apostasia del frate sassone la rottura dell'unità spirituale d'Europa e lo scatenarsi delle passioni popolari e lo sconvolgimento del suo vecchio mondo letterario, allora iniziò e condusse intorno alla libertà e natura dell'uomo un serrato duello teologico con Lutero.

Nel settembre del 1524 usciva la De libero arbitrio collatio, alla quale Lutero rispondeva con il De servo arbitrio; Erasmo controbatteva con l'Hyperaspistes. Difendendo il libero arbitrio, la capacità di autodecisione dell'uomo, E. difendeva tutti i suoi ideali di rinnovamento morale con l'opera lenta e graduale dell'educazione, cristiana e umanistica a un tempo. Il dibattito ebbe ripercussioni enormi, data la celebrità di cui godeva E. e quella di cui cominciava a godere Lutero; e segnò, non solo il distacco netto fra le due personalità, d'altronde diversissime anche come indole e carattere - lucido, equilibrato, pacato E.; violento, rozzo anche e intransigente Lutero - ma altresì fra il riformismo umanistico e le correnti rivoluzionarie che alla Riforma facevano capo.

Tuttavia l'atteggiamento generale di E., quel suo incipiente razionalismo, le critiche mosse agli ecclesiastici, non potevano conciliargli, anche dopo la polemica con Lutero, il favore dei cattolici ortodossi; e questi videro invece in lui il precursore della Riforma. Ubi Erasmus innuit, ibi Lutherus irruit, fu detto. Così gli scrittori della Controriforma più che gli evangelici ebbero in orrore la sua memoria (testimoni Ignazio di Loiola e il Bellarmino); la Chiesa poi condannò i suoi libri. Solo nel sec. XVIII si formularono anche nel campo cattolico giudizî più sereni: J. Le Clerc, il De Burigny, J. Richard e il Tiraboschi cercarono di comprenderlo e ne rivendicarono con qualche riserva l'ortodossia.

In verità E., com'ebbe a qualificarlo il suo contemporaneo Ludovico Vives, fu un cristiano indipendente; e malgrado le sue ombre, si può aggiungere, precursore e iniziatore dello spirito moderno.

Opere: Per ogni ragguaglio bibliografico su E. cfr. il ricchissimo Répertoire des øuvres d'Érasme, diviso in tre serie (Gand 1897 segg.). Le principali edizioni delle Opera omnia sono quelle di Basilea 1540, 9 tomi in-folio (edizione di Beathus Rhenanus) e di Lione 1703-1706, voll. 10, t. 9 in-folio (edizione Le Clerc). D'importanza fondamentale per lo conoscenza dell'uomo e dei suoi ideali è l'Opus Epistolarum denuo recognitum et auctum per P. S. Allen, tomi I-VII (abbraccianti gli anni 1484-1528), Oxford 1906-1928. - Traduzioni italiane: Institutione del principe christiano di Erasmo Roterodamo tradotta a la lingua volgare, Venezia 1538. Per le traduzioni della Stultitiae laus e dei Colloquia familiaria, cfr. l'introduzione di B. Croce al volume: Erasmo da Rotterdam, Elogio della pazzia e dialoghi, Bari 1914; L. Pietrobono, Elogio della pazzia, cicalata di Erasmo di Rotterdam, nel vol.: L'Encomium morias, ecc., a cura di M. Besso, Roma 1918.

Bibl.: H. Durand De Laur, Érasme précurseur et intitiateur de l'esprit moderne, Parigi 1872, voll. 2; F. Polese, Erasmo maestro, Livorno 1885; P. S. Allen, The age of Erasmus, Oxford 1914; B. Croce, Pref. e intr. all'ed. it. di Elogio della pazzia e dialoghi, Bari 1914; M. Besso, Introd. al vol. L'Encomium morias, con l'iconografia dell'opera e dell'uomo, ecc., Roma 1918; P. Kalkoff, Erasmus, Luther und Friedrich der Weise, Lipsia 1919; J. B. Pineau, É., sa pensée religieuse, Parigi 1925; id., É. et la Papauté, Parigi 1925; J. Huyzinga, Erasmus, 2ª ed. olandese, Haarlem 1925; trad. ted. con bibl., Basilea 1928; P. De Nolhac, É. et l'Italie, Parigi 1925; A. Renaudert, É., sa pensée religieuse et son action d'après sa correspondance, Parigi 1926; P. Smith, A key to the Colloquies of E., Cambridge Mass. 1927; E. Maior, E. v. R., Basilea s. a.; H. Schlingensiepen, E. als. Exeget, in Zeitschr. Kirchengesch., XLVIII (1929), p. 16 segg.; G. De Ruggiero, Rinascimento, Riforma e Controriforma, I, Bari 1930, p. 142 segg.; R. Pfeiffer, Humanitas erasmiana, Lipsia-Berlino 1931.

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