ENRICO da Isernia

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 42 (1993)

ENRICO da Isernia (Henricus de Isernia)

Hans Martin Schaller

Fu maestro di retorica e dettatore presso le corti di Federico di Wettin a Meissen nel 1269-70 e di re Ottocaro II Přzemysl di Boemia a Praga tra il 1270 e il 1278.

L'unica fonte per la biografia di E. sono le sue numerose lettere. Da esse si apprende che egli discendeva da una famiglia, probabilmente cavalleresca, di Isernia. L'ipotesi espressa anche di recente da parte ceca, che E. fosse boemo, è priva di qualsiasi fondamento. La contea del Molise, nella quale si trovava Isernia, apparteneva ai conti di Celano, che però erano stati privati del loro territorio nel 1223 da Federico II e costretti quindi a vivere in esilio. Il padre di E. era stato un fedele vassallo dei conti e per questo dovette patire molte sofferenze sotto la signoria sveva, riuscendo a salvare la vita e la libertà solo con il ricorso alla corruzione. Dopo la morte del padre, avvenuta durante il regno di Manfredi (1258-1266), E., che aveva studiato le "artes liberales" a Napoli nel 1258, e probabilmente anche in anni successivi, tornò nella sua città d'origine. Al suo arrivo fu però imprigionato con l'accusa di aver sottratto alla confisca una parte dell'eredità paterna; fu rilasciato solo dopo lunghi sforzi.

La vittoria di Carlo d'Angiò del 1266 riportò il feudo nelle mani di Ruggero di Celano, ma la situazione di E. non migliorò. Probabilmente fu questo il motivo che lo spinse a recarsi nel maggio o nel giugno 1268 a Viterbo, dove allora risiedeva papa Clemente IV; forse nutriva anche la speranza di fare carriera nella Curia romana. Per un certo tempo si guadagnò da vivere con la correzione e la trascrizione di codici. Fu allora che subi un nuovo colpo: dopo la sconfitta di Corradino (23 ag. 1268) gli avversari di E. sostennero che egli era stato un seguace del giovane Svevo e che aveva combattuto nel suo esercito. E. si difese senza successo da queste calunnie: il governo angioino lo esiliò e confiscò le sue proprietà.

Durante la lunga vacanza della sede apostolica dopo la morte di Clemente IV (29 nov. 1268) E. si trovò privato di ogni fonte di guadagno, cadendo quindi in miseria. In questa difficile situazione, al principio del 1269 accettò un invito del maestro Pietro de Prece (o Pretio), che lo chiamava presso di sé. Pietro (forse originario di Prezza, presso Sulmona) aveva già servito Federico II e Manfredi. Alla morte di quest'ultimo si era recato in Germania, divenendo protonotario di Corradino. Nel 1267 aveva seguito lo Svevo in Italia e dopo la sua sconfitta era riuscito a fuggire in Italia settentrionale e poi in Germania. I ghibellini sostenevano allora quale pretendente al trono di Sicilia e all'Impero il dodicenne Federico di Wettin, figlio del langravio Alberto di Turingia e nipote del margravio Enrico di Meissen, perché era nipote di Federico II per via della madre Margherita. Federico era fidanzato con Cunigonda, figlia di Ottocaro II di Boemia: si poteva perciò sperare che il ricco e potente re boemo avrebbe appoggiato una nuova spedizione in Italia. Pietro, che già aveva scritto manifesti per Manfredi e Corradino, si occupava ora della propaganda per Federico di Wettin. E. si recò quindi alla scuola di questo famoso pubblicista e si impratichi del linguaggio della Cancelleria sveva, che ora sopravviveva in altre parti dell'Europa. E. si volse quindi a propugnare le idee ghibelline, poiché solo in seguito alla cacciata di Carlo d'Angiò dal Regno di Sicilia poteva sperare di riottenere l'eredità paterna.

Non è noto dove risiedessero E. e Pietro de Prece: forse a Pavia o a Piacenza, centri ghibellini, o forse anche alla corte di Federico di Wettin in Sassonia. A sostegno dell'ultima ipotesi vi è il fatto che Pietro indirizzò la "adhortatio" per il pretendente al trono Federico alla lotta contro Carlo d'Angiò, indirizzata da Pietro al margravio Enrico di Meissen. In ogni caso E. si recò verso la fine del 1269 a Meissen e a Pirna, dove si trovavano anche altri italiani esiliati: tra questi il famoso Giovanni da Procida e i maestri Nicola da Trani e Vitale da Aversa, che avevano già servito alla corte di Manfredi. Forse la lettera del 1270 di Federico di Meissen a re Enzo, prigioniero a Bologna, fu redatta proprio da Enrico. Le speranze dei ghibellini furono però presto deluse. Il padre di Federico, il langravio Alberto, non si recò in Italia alla data prestabilita (24 giugno 1270), forse per dispute familiari.

Pare che in Sassonia E. fosse vissuto in povertà. Poiché anche il ritorno in patria era divenuto impossibile, egli si recò a Praga dietro consiglio di Pietro de Prece, probabilmente ancora nel 1270, per tentare li la fortuna. Nell'autunno del 1270 E. accompagnò in Ungheria l'armata di Ottocaro II. La sua prima lettera da Praga è databile approssimativamente, poiché egli menziona come imminente l'attacco del duca Enrico di Baviera contro la Boemia della primavera del 1271.

Durante l'estate di quello stesso anno i ghibellini dell'Italia settentrionale progettarono nuovamente una campagna contro Carlo d'Angiò e già in settembre il vicario generale di Federico annunciò a Verona il prossimo arrivo del suo signore. Fu probabilmente in questo periodo che E. scrisse a Giovanni da Procida per informarsi sull'impresa progettata. Questa però proprio in quel momento naufragò definitivamente, poiché Ottocaro II con la nascita di un erede (Venceslao II, nato il 27 sett. 1271) perse ogni interesse per Federico. Nel 1273 sciolse addirittura il fidanzamento di sua figlia col il margravio, probabilmente per l'intervento di papa Gregorio X. Alla morte di re Riccardo (2 apr. 1272) aspirò egli stesso al trono tedesco e all'Impero.

In principio E. aveva trovato accoglienza a Praga presso il "inotarius terre" di cui è ignoto il nome. Egli fu anche aiutato da un compatriota, Enrico, notaio della Cancelleria reale, attivo a Praga già da qualche tempo. Questo Enrico era un ecclesiastico; nel 1274 divenne protonotario e partecipò fino al 1278 alla stesura di quasi tutti i documenti per la Boemia e per la Moravia. Alla morte di Ottocaro II perse il suo impiego e dovette lavorare al servizio della città di Praga; nel febbraio 1278 viene menzionato come deceduto. Egli stesso firmò sempre solo come "Henricus", benché nei documenti posteriori al 1287 venga spesso chiamato anche "Italicus". Poiché E. si faceva chiamare "de Isernia" quando aveva a che fare con degli italiani ma anche "Italicus" con altre persone, alcuni storici hanno identificato i due personaggi. Ma l'errore è manifesto, poiché esistono due lettere di E. al protonotaro Enrico. Inoltre E. era laico, aveva moglie e figli; i suoi dictamina sono scritti in stile alto, mentre il protonotaro, come si evince dalla sua collezione di formulari (pubblicata da J. Voigt, Das urkundliche Formelbuch), utilizzava una lingua oggettiva e semplice. Inizialmente E. non trovò a Praga alcun impiego, e perciò fondò a Vyšehrad, sede tra l'altro della Cancelleria regia, presso la chiesa collegiata, una scuola, dove insegnò grammatica, logica e retorica.

Nell'estate del 1273 E. si recò a Bologna con l'incarico ufficiale di sollecitare il papa e i cardinali, di passaggio sulla via per il secondo concilio di Lione, a sostenere la candidatura di Ottocaro II al trono vacante del Regno tedesco. Anche se la sua missione falli, egli approfittò del soggiorno presso la Curia romana per ottenere da due cardinali (uno era Bonaventura da Bagnoregio) e da altre personalità, come il ministro generale dei francescani Giovanni da Vercelli, delle lettere di raccomandazione per Ottocaro II e il suo influente consigliere Bruno di Schaumburg, vescovo di Olomouc, grazie alle quali egli sperava di ottenere un impiego. Poiché ebbe anche l'appoggio del cancelliere Pietro, preposto di Vyšehrad, nel 1274 E. venne effettivamente nominato notaio della Cancelleria reale e accolto nella familia del re. Nello stesso tempo otteneva vitto e alloggio presso il monastero premonstratense di Strahov. Ma dopo la morte dell'abate i canonici lo trattarono cosi male che su invito del decano si trasferi nella collegiata di Vyšehrad. Non c'è nessuna prova che E. si occupasse della stesura o della dettatura di documenti. Egli faceva parte piuttosto di un circolo di letterati cui probabilmente era affidata la redazione di lettere e manifesti che avevano pretese stilistiche. Inoltre prendeva parte a missioni diplomatiche, come quando accompagnò il vescovo Bruno di Olomouc in un viaggio in Polonia.

Il 6 ag. 1278 Ottocaro II fu sconfitto a Dürnkrut (Austria inferiore) da Rodolfò d'Asburgo e ucciso da un cavaliere austriaco mentre cercava di fuggire. Da allora non si hanno più notizie di E.; nessuna delle sue lettere è infatti databile posteriormente al 1278. Qualora una lettera trovata in un manoscritto viennese (cfr. Novák, 1908, pp. 694 s.) fosse di suo pugno, E. sarebbe caduto in disgrazia nell'estate 1278 e costretto ad arruolarsi nella milizia di Praga. Forse accompagnò il suo re, o addirittura prese parte alla battaglia trovandovi la morte. Non è tuttavia da scartare la possibilità che egli dopo la sconfitta di Ottocaro II fosse entrato al servizio di Rodolfo d'Asburgo, poiché nelle lettere di quest'ultimo si ritrova a volte lo stile di Enrico.

L'importanza di E. risiede soprattutto nei dictamina che rappresentano una fonte preziosa non solo per la storia boema e austriaca degli anni 1270-78, ma anche per la storia della vita culturale e intellettuale e della retorica medioevale.

Gli scritti di E. si possono dividere in sei categorie:

1) Manifesti: tra questi testi, diffusi in nome di Ottocaro II, spiccano il manifesto contro il duca Enrico di Baviera e quelli relativi alla guerra tra Boemi e Ungheresi e al conflitto tra Ottocaro e Rodolfo d'Asburgo. 2 interessante dal punto di vista storico soprattutto l'ultima lettera circolare redatta da E., con la quale Ottocaro II nel 1278 chiede aiuto ai nobili polacchi contro Rodolfo, appellandosi alla solidarietà slava contro i Tedeschi.

2) Lettere: vanno ricordate innanzitutto quelle che, pur essendo state emanate da Ottocaro II, per via dello stile inconfondibile sono senza dubbio dei dettati di Enrico Si tratta delle lettere a Gregorio X, a cardinali, ai re tedeschi Alfonso e Rodolfo, a Stefano V re d'Ungheria, alla regina di Serbia, a Cunigonda moglie di Ottocaro, a numerosi signori, alle città lombarde e al capitolo generale dei cisterciensi.

Un secondo gruppo è costituito dalle lettere private di Enrico. Per lo più si tratta di elogi adulatori e di suppliche rivolte a personalità altolocate, ma vi si trova anche la corrispondenza con amici in Boemia e in Italia. Questa ha in parte carattere autobiografico, come mostrano i resoconti dettagliati delle sofferenze che E. aveva dovuto patire in patria. Sono certamente autentiche anche quelle lettere che E. indirizzava ai suoi scolari come maestro di retorica, cosi come l'ampia descrizione delle bellezze e delle meraviglie del Regno di Sicilia, inviata a Cunigonda figlia di Ottocaro II, quando questa era ancora fidanzata con Federico di Meissen. Sulle vedute politiche di E. ci informa una lettera al vescovo Bruno di Olomouc; egli si scaglia contro l'arroganza clericale affermando che l'Impero è paragonabile non alla Luna ma solo al Sole. Nella raccolta di lettere di E. sono inseriti però anche numerosi testi che non possono essere altro che finzioni o puri esercizi stilistici. A questa categoria appartengono la proclamazione per l'elezione all'Impero di Federico di Meissen, i dictamina contro i Romani, contro Carlo d'Angiò e contro la decadenza della giustizia, cosi come un pamphlet contro l'avidità, il lusso e l'impudicizia del clero. Vi sono poi alcune descrizioni della bellezza femminile, lettere d'amore e lettere erotiche ambientate in un dissoluto monastero femminile boemo e in un bordello praghese. Queste ultime lettere costituiscono una parodia dello stile solenne degli scritti papali e imperiali: frasi religiose e bibliche frammiste a oscenità.

3) Discorsi: oltre alle lettere sono stati tramandati anche alcuni discorsi di Enrico. In particolare una invectiva contro un maestro non ancora identificato, Ulricus Polonus, declamata dinnanzi a tutto il clero praghese.

4) Dall'attività d'insegnamento di E. scaturi un trattato sulla forma e la struttura delle lettere e sui "colores rhetorici" che comincia con le parole "Epistolare dictamen est".

5) Poesie: Il dettatore medioevale doveva anche essere capace di comporre versi. Di E. sono tramandate una poesia dedicata al vescovo Bruno di Olomouc, di contenuto teologico, un'altra indirizzata a re Ottocaro II e altri versi ancora.

6) Infine E., dopo il suo arrivo a Praga, adattò alla figura di Ottocaro Il delle profezie originalmente in favore di Federico di Meissen.

Quasi tutti i testi composti da E. sono scritti in uno stilusgravis degenerato, cioè in un linguaggio di difficile comprensione, spesso ampolloso e manieristico, formatosi in Francia nel XII secolo. Un importante rappresentante di questo stile era Alano da Lilla, spesso imitato da Enrico. Anche i letterati alla corte di Federico II coltivavano questa lingua, ma E. riusci a superare persino le artificiosità retoriche di Pietro Della Vigna e di Pietro de Prece, subendo forse l'influsso di dettatori come Giordano da Terracina e Giovanni da Capua che potrebbe aver conosciuto alla Curia romana. Dal punto di vista dei contenuti le sue opere mostrano non solo familiarità con la mitologia, la letteratura e la storia antica, ma anche una morale lasciva e un credo quasi pagano nella fortuna onnipotente. Da questo punto di vista E. può essere considerato un precursore degli umanisti italiani.

Fonti e Bibl.: Le lettere e gli altri scritti di E. sono editi in Th. Dolliner, Codex epistolaris Primislai Ottocari II. Bohemiae regis, Viennae 1803; J. Emler, Regesta diplomatica nec non epistolaria Bohemiae et Moraviae, II, Pragae 1882; B. Ulanowski, Neues urkundliches Material zur Geschichte Ottokars II. von Böhmen, in Mitteilungen des Instituts für österreichische Geschichtsforschung, VI (1885), pp. 421-439; A. Petrov, Henrici Italici Libri formarum e tabulario Otacari II Bohemorum regis, Sankt Petersburg 1906 (cfr. J. F. Novák, in Mitteilungen des Instituts für österreichische Geschichtsforschung, XXIX [1908], pp. 689-699); J. Werner, Ein Brief Friedrichs des Freidigen an König Enzio vom J. 1270, in Neues Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde, XXXIII (1908), pp. 535-538; K. Hampe, Beiträge zur Geschichte der letzten Staufer. Ungedruckte Briefe aus der Sammlung des Magisters Heinrich von I., Leipzig 1910; J. Třiška, Prague Rhetoric and the Epistolare dictamen (1278) of Henricus de I., in Rhetorica. A Journal of the history of rhetorie, III (1985), pp. 183-200.

Sulla biografia di E. cfr. J. Voigt, Das urkundliche Formelbuch des königl. Notars Heinricus Italicus, in Archiv für Kunde österreichischer Geschichtsquellen, XXIX (1863), pp. 1-184; J. Emler, Die Kanzlei der Nihmischen Könige Premysl Ottokars II. und Wenzels II. und die aus derselben hervorgegangenen Formelbücher, Prag 1878; J. Novák, Henricus Italicus und Henricus de I., in Mitteilungen des Instituts für österreichische Geschichtsforschung, XX (1899), pp. 253-275; O. Dobenecker, Ein Kaisertraum des Hauses Wettin, in Festschrift Armin Tille, Weimar 1930, pp. 17-38; B. Töpfer, Das kommende Reich des Friedens, Berlin 1964, pp. 184 s.; [M. Šváb], Latinské předkarlovskè kroniky a listy Jindřicha z Isernie ve vztahu k antice, (Cronache e lettere latine precaroline di E. d.I. relative all'antichità), in Antika a česká kultura, (Antichità e cultura ceca), Praha 1978, pp. 33-50, 519; A. Viti, Un misconosciuto memorialista sulle lotte svevo-papali nel Molise attorno al sec. XIII: il notaio E. D'T esule alla corte boema di Ottokar II (1209-1278), in Almanacco del Molise, V, pp. 81-128.

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