EGITTO

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)

EGITTO (XIII, p. 537; App. I, p. 542)

Enrico MACHIAVELLI
Sergio DONADONI

Popolazione (XIII, p. 542; App. I, p. 542). - In base ai risultati del censimento del 1947 era aumentata a 19.090.448 ab., compresi 50.000 nomadi, distribuita nelle provincie come risulta dalla tabella.

Tra altre città importanti si ricordano Fayyūm (ab. 72.465, Asyūṭ (ab. 88.730), Suez (ab. 108.250), el-Gīzah (ab. 66.213), Rosetta (ab. 28.698), Assuan (ab. 25.397), ecc. In complesso l'aumento è stato equivalente al 14‰ annuo. In aumento sono anche le nascite da oltre 650.000 nel 1942 a oltre 785.000 nel 1945, ma anche la mortalità è in leggero aumento (quasi 500.000 e 512.000).

Condizioni economiche (XIII, p. 542; App. I, p. 542). - L'agricoltura rimane la base dell'economia egiziana che non si è strutturalmente modificata in quest'ultimo decennio. La popolazione agricola costituisce oltre il 60% del totale; secondo dati del 1945 il 34% della superficie agricola appartiene a proprietà di superficie inferiore ai 2 ha. e oltre il 35% a quelle di superficie superiore a 20 ha. Tra i proprietarî sono in assoluta prevalenza (94%/ quelli di appezzamenti con superficie inferiore ai 2 ha.

La principale coltura è il cotone (nel 1945-46 413.000 ha. con 2.346.000 q.), ridotta nel periodo della guerra a favore delle colture cerealicole, ma già in notevole ripresa; segue il frumento (692.000 ha. e 11.821.000 q. nel 1945); il mais (789.000 ha. e 16.973.000 q.), consumato in particolare dalla popolazione rurale e operaia. Seguono l'orzo (151.000 ha. e 2.616.000 q.), il riso (265.000 ha. e 8.568.000 q.), ecc. Notevole ancora la canna da zucchero (40.000 ha.) in crisi di sovraproduzione (quasi 2 milioni di q.) nel 1945-46 e le colture orticole. Non hanno un particolare sviluppo l'allevamento del bestiame e le risorse minerarie, tra le quali predominano i fosfati e il petrolio.

Il commercio è attivo, come mostrano i dati seguenti (in milioni di lire egiziane, escluso oro, argento e il commercio col Südān):

Finanze (XIII, p. 552; App. I, p. 543). - Lo stato di guerra non ha notevolmente influito sulla struttura finanziaria del paese; dal 1940 al 1945 gli esercizî si sono anzi chiusi con un leggero avanzo.

Il debito pubblico, salvo una punta massima nel 1943 che raggiunse i 106,7 milioni di lire egiziane, è rimasto stazionario sui 92 milioni. Fino al 1943 esso era costituito quasi esclusivamente dal debito estero (89,7 milioni), ma nel settembre di quell'anno il debito estero venne riscattato e convertito in un prestito nazionale. I rapporti finanziarî con la Gran Bretagna si sono sostanzialmente trasformati, in quanto l'Egitto, alla fine della guerra, risultava creditore della Gran Bretagna, per forniture e servizi varî, di saldi accumulati in sterline per 450 milioni di sterline.

La guerra ha notevolmente gonfiato la circolazione fiduciaria che è aumentata del 576%, passando da 20,4 milioni di lire egiziane nel 1938 a 138 milioni al 31 dicembre 1947; a tale data l'emissione autorizzata era di 145 milioni coperti per il 4,4% da oro e per il restante 95,6% da titoli di stato egiziani e britannici.

Col 15 luglio 1947, in base ad un accordo finanziario con la Gran Bretagna per un primo e provvisorio regolamento dei saldi accumulati in sterline, l'Egitto ha abbandonato l'area della sterlina. Nel 1947 il governo ha annunciato l'intenzione di nazionalizzare la Banca nazionale d'Egitto.

L'Egitto fa parte degli Istituti di Bretton Woods con una quota che nel settembre 1947 è stata elevata da 45 a 60 milioni di dollari per il Fondo monetario e da 40 a 53 milioni per la Banca mondiale.

Storia (XIII, p. 590; App. I, p. 543).

La seconda Guerra mondiale colse l'Egitto quando l'opinione pubblica che in un primo tempo, salvo i nazionalisti, aveva salutato con plauso il trattato anglo-egiziano del 1936, andava assumendo verso di esso un atteggiamento sempre più critico, sentendone gli oneri politici ed economici per l'Egitto non compensati da adeguati sostanziali vantaggi. Nondimeno, il governo di ‛Alī Māhir Pascià mantenne gli obblighi militari che derivavano all'Egitto dal trattato, ponendo a disposizione della Gran Eretagna il proprio territorio e le proprie vie di comunicazione, ma dichiarando, al tempo stesso, la volontà di mantenere il paese fuori del conflitto. La situazione si fece ancor più delicata all'entrata in guerra dell'Italia (giugno 1940), con la quale l'Egitto interruppe subito le relazioni, senza però mai venire, né allora né poi, a una dichiarazione di guerra. In quello stesso giugno, al gabinetto del rigido neutralista ‛Alī Māhir successe uno formato da Hasan Ṣabrī Pascià, alla cui morte, pochi mesi dopo, subentrò Ḥusein Sirrī Pascià, che tenne il potere dal novembre 1940 al febbraio 1942. Lo sforzo di questi uomini di governo, e della Corona dietro di essi, fu in questi anni di conciliare il mantenimento degli impegni assunti con l'alleanza britannica, e la conservazione del massimo possibile di indipendenza del paese, nella paradossale posizione di neutrale alleato di un belligerante, in una guerra combattuta sul suo suolo stesso.

La guerra oscillò per un biennio, con alterne vicende, alla frontiera occidentale d'Egitto: alla puntata italiana di Sīdī Barrānī (settembre 1940) rispose la prima offensiva di Wavell che portò gli inglesi sulla Sirte mentre, nella primavera del 1941, la controffensiva di Rommel riportava le linee quasi sull'antico confine. Alessandria era intanto più volte bombardata dall'aviazione italo-tedesca, suscitando le platoniche proteste del governo egiziano. All'interno, le manifestazioni esteriori della vita politica, sorvegliate e praticamente imbrigliate dall'autorità militare britannica, si mantenevano su una linea di fedeltà all'alleanza, e insieme alla neutralità del paese, pur trasparendo a tratti l'esistenza di forze, lavorate dalla propaganda dell'Asse che, da una sconfitta della Gran Bretagna, si ripromettevano la piena indipendenza. Col passar del tempo, l'invadenza britannica nella politica interna egiziana si fece sempre più sensibile e quando, nel febbraio del 1942, il gabinetto di Ḥusein Sirrī Pascià si dimise, per un dissidio con la Corona in occasione della rottura di relazioni con la Francia di Vichy, l'azione dell'ambasciatore inglese sir Miles Lampson fu decisiva per la soluzione della crisi. Sotto questa pressione, re Fārūq fu indotto a chiamare al governo an-Naḥḥās pascià, capo del Wafd che, da oltre quattro anni, era stato escluso dal potere. Così il partito, che un tempo era stato il più risoluto avversario del dominio britannico in Egitto, tornava a dirigerne ora le sorti, appoggiato, se non addirittura imposto dagli Inglesi stessi, nel duplice scopo di accontentare una larga parte dell'opinione pubblica egiziana tuttora filo-wafdista, e di avere al potere lo stesso governo e lo stesso uomo che aveva stipulato il discusso trattato del 1936.

Nell'estate del 1942, la situazione parve precipitare quando la seconda controffensiva di Rommel, ricacciata l'8ª armata dalla Cirenaica che aveva faticosamente rioccupata con l'offensiva del gen. Auchinlek, non si arrestava - come l'anno precedente - al confine ma si addentrava in territorio egiziano. Tra la fine di giugno e i primi di luglio, la caduta di Tobruch e di Marsa Maṭrūḥ portò le colonne avanzate italo-tedesche oltre la stretta di el-‛Alamein, sin quasi ai sobborghi di Alessandria mentre Germania ed Italia, in una dichiarazione ufficiale comune (4 luglio), affermavano l'intenzione di "rispettare ed assicurare l'indipendenza e la sovranità dell'Egitto", dal cui suolo si accingevano a espellere gli Inglesi. Ma, dopo alcune settimane di panico, la situazione si stabilizzò, per capovolgersi pochi mesi dopo con la battaglia campale di el-‛Alamein (ottobre 1942), che spezzava il fronte delle truppe dell'Asse, e in pochi giorni le obbligava a sgombrare definitivamente il suolo egiziano.

L'ulteriore corso della guerra, allontanando sempre più il teatro delle operazioni dall'Egitto, diede, all'interno, il colpo di grazia alle correnti filotedesche, ma segnò insieme l'inizio d'una nuova fase della politica egiziana, volta a ottenere, nel quadro della profilantesi vittoria anglosassone, i maggiori vantaggi dell'atteggiamento - sino allora tenuto - di fedeltà agli obblighi assunti. Al ministero wafdista di Naḥḥās Pascià, revocato dal re nell'ottobre del 1944, successe un gabinetto presieduto dal leader sa‛dista Aḥmed Māhir, sostenuto da indipendenti e nazionalisti; sotto di esso l'Egitto divenne il centro propulsore e coordinatore del movimento per la creazione della Lega araba, che ebbe ad Alessandria (autunno 1944) una conferenza preparatoria e al Cairo, nel marzo 1945, la sua solenne costituzione. Poco dopo, proprio alla vigilia della vittoria alleata, l'Egitto compiva il formale atto di dichiarazione di guerra alla Germania, tenacemente sino allora evitato, e acquistava così il diritto a entrare come stato sovrano nell'appena costituita organizzazione delle Nazioni Unite. Il giorno stesso in cui la Camera votava tale risoluzione, un fanatico nazionalista uccideva il primo ministro Aḥmed Māhir (24 febbraio 1945) cui succedeva il ministro degli Esteri Noqrāshī Pascià.

Obbiettivo immediato della politica estera egiziana, appena chiuso il conflitto, fu la revisione del trattato del 1936. Sotto la pressione dell'opinione pubblica, il gabinetto Noqrāshī e quello succedutogli (17 febbraìo 1946) di Ismā ‛īl Ṣidqī aprirono subito, a questo scopo, negoziati con la Gran Bretagna. Le rivendicazioni egiziane erano: completa indipendenza del paese con ritiro delle truppe inglesi anche dalla zona del Canale e sovranità egiziana sul Sūdān, con l'annullamento del regime di condominio anglo-egiziano instaurato dall'accordo del 1899. Nominate da ambo le parti le delegazioni, i negoziati ebbero inizio al Cairo il 9 maggio e si protrassero per tutta l'estate. Nell'ottobre, dopo un diretto incontro a Londra di Ismā ‛īl Ṣidqī con Bevin, parve che un accordo fosse stato raggiunto, o fosse sul punto di raggiungersi, con la piena soddisfazione delle aspirazioni egiziane (sgombro totale e graduale del paese, unità della "Valle del Nilo" sotto la Corona egiziana), e un nuovo trattato d'alleanza anglo-egiziano che assicurasse la Gran Bretagna dell'assistenza egiziana in caso di guerra su territorio confinante con l'Egitto. Ma mentre lo sgombero delle truppe britanniche proseguiva regolarmente (il 4 luglio fu consegnata agli Egiziani la cittadella del Cairo, nel febbraio 1947 i forti e le caserme di Alessandria, nel marzo le caserme di Qaṣr en-Nīl), l'accordo generale si arenò, e il 27 gennaio 1947 sia al Cairo, sia a Londra fu ufficialmente annunziata la rottura dei negoziati. Lo scoglio più grave era stata la questione del Sūdān, di cui l'Egitto reclamava l'unione permanente sotto la corona egiziana, mentre la Gran Bretagna dichiarava di non poter accettare una soluzione che compromettesse la libera decisione dei sudanesi. Nel Sūdān infatti, accanto alle correnti favorevoli all'unione con l'Egitto, è stato incoraggiato sottomano dagl'Inglesi stessi un movimento diretto dal partito al-Umma, che reclama l'autonomia assoluta ("il Sūdān ai sudanesi").

Fallito il tentativo dell'accordo diretto, l'Egitto decideva di portare la propria causa dinanzi alle N.U., e il 10 luglio 1947 Noqrāshī Pascià (ritornato al potere sin dal dicembre 1946) presentava al Consiglio di sicurezza un ricorso contro la presenza di truppe britannicne nella "Valle del Nilo" e sul regime del Sūdān. Il ricorso fu discusso a Lake Success nell'agosto, e diede luogo a un duello oratorio fra Noqrāshī e il rappresentante inglese A. Cadogan che, in nome della Gran Bretagna, sostenne la piena validità del trattato del 1936, non modificabile secondo le sue stesse clausole prima di un ventennio. Il Consiglio di sicurezza non riuscì a concordare alcuna decisione sulla vertenza e questa, il 10 settembre, fu rinviata sine die. Ma il problema è sempre vivo e oggetto di appassionate discussioni sia in Egitto (ove il partito del Wafd, attualmente all'opposizione, ha aspramente accusato di incapacità il governo e la delegazione alle N. U., come responsabile dell'insuccesso), sia nel Sūdān, ove il contrasto fra fusionisti e separatisti costituisce il fulcro dell'incipiente vita politica locale.

Accanto alla questione capitale dei rapporti con l'Inghilterra, l'Egitto non ha mancato di far sentire la sua voce e spiegare attività in tutti i campi ove una affermazione di sovranità nazionale o di solidarietà panaraba, potesse aver luogo. Così, attraverso la Lega araba e in dichiarazioni governative, ha preso posizione per l'indipendenza totale della Libia e ha chiesto rettifiche a proprio favore del confine cirenaico (oasi di Giarabub); nell'autunno 1947 ha allacciato, per la prima volta, permanenti rapporti diplomatici con la Santa Sede; ha infine regolarizzato i rapporti con l'Italia, interrotti dal giugno 1940. Condizione di tale ripresa era il regolamento dei rapporti economici: le due questioni cioè interdipendenti delle riparazioni per danni di guerra richieste all'Italia, e dello sblocco dei beni italiani in Egitto, posti sotto sequestro sin dall'inizio delle ostilità. Trattative dirette italo-egiziane, svoltesi a Parigi nell'estate del 1946, in margine alla conferenza della pace, avevano fissato in 4 milioni e mezzo di sterline l'ammontare delle riparazioni; il relativo accordo fu firmato a Parigi il 10 settembre e ratificato dalla Costituente italiana nel maggio 1947, pe mettendo la ripresa dei normali rapporti diplomatici fra i due paesi (il ministro italiano presentò le credenziali a re Fārūq il 30 giugno); nell'autunno del 1947 anche il parlamento egiziano ratificava l'accordo e nell'aprile del 1948 si giungeva al totale sblocco dei beni italiani.

Uscito praticamente indenne dalla seconda Guerra mondiale, l'Egitto ha così vista rafforzata la sua posizione internazionale; avviato a maturazione se ancor non risolto il problema dell'assoluta indipendenza, rinsaldata la situazione economico-finanziaria, e aperte le prospettive di un ampliamento territoriale quale non aveva conosciuto dai giorni di Moḥammed ‛Alī Ismā‛īl.

Bibl.: A. Sammarco, Egitto antico e moderno, Roma 1941.

Archeologia e arte (XIII, p. 565 segg.).

Nell'ultimo decennio numerosi scavi determinati dalla necessità di fornire precisi elementi di valutazione a trovamenti casuali raramente han modificato in modo sensibile il panorama della civiltà egiziana. Altre imprese, invece, di più ampio respiro, raccogliendo materiale omogeneo e sicuro hanno talvolta con la scoperta clamorosa aperto inaspettatamente nuovi problemi; ma sempre hanno finito col dare elementi per la revisione (positiva o negativa) delle vecchie posizioni. Le più importanti missioni archeologiche impegnate in lavori di lunga durata sono quelle di Saqqārah, el-Gīzah, Heluān, Tuna (egiziane), di Deir el-Medīnēh, Tod, Medamud, Tani (francesi), di Medīnet Maadi e Antinoe (italiane), di Ermupoli (tedesca), di Edfu (franco-polacca), di Tebe (americana e egiziana): molte durante la guerra sospesero i lavori, già da alcune ripresi.

Per la stessa natura della civiltà egiziana e del modo in cui ne è stato impostato lo studio è raro che i trovamenti abbiano un interesse puramente archeologico: essi riflettono sempre in qualche modo fattori più propriamente storici o religiosi, che nei monumenti trovano la loro espressione figurativa ed epigrafica. Ma anche nel campo strettamente artistico i monumenti nuovi e le nuove sistemazioni sono tutt'altro che indifferenti.

La vasta attività nella regione menfita (Heluān, Saqqārah, el-Gīzah) ha portato alla scoperta di alcuni complessi funerarî che risalgono alla I din. (circa 3200 a. C.) e che riaprono il problema dell'ubicazione delle tombe dei re dell'epoca che finora si solevano collocare ad Abido: i loro nomi infatti appaiono anche in questi sepolcri. L'architettura, in mattoni crudi, presenta un certo numero di soluzioni tecniche diverse da quelle note finora; ma è chiaro che il poco che di tale epoca è rimasto fa sì che ogni nuova scoperta aggiunga qualche cosa senza che si possa per questo parlare di un reale mutamento delle nostre conoscenze. Più notevole la scoperta in una di queste tombe (Hemaka) della più ampia suppellettile arcaica che ci sia pervenuta. Il problema principale dell'architettura egiziana primitiva resta sempre il monumento funerario di Gioser a Saqqārah, ormai completamente esplorato.

Il complesso è stato ricostituito col presupposto che si abbia qui per la prima volta un trasferimento in pietra di moduli strutturali lignei; ma recentemente si è pensato che l'ispirazione dell'architetto vada piuttosto ricercata nei modelli votivi di edifici, qui ricostruiti con una singolare deformazione. Certo che lo stile elegante e flessibile di questa architettura, lontanissima da quella del periodo immediatamente seguente in poi, resta un caso fondamentale nella storia dell'arte egiziana e chiude come opera pienamente compiuta il periodo arcaico della storia di quel paese (circa 2778 a. C.).

L'epoca menfita propriamente detta si è arricchita di un notevolissimo numero di monumenti; ma forse più importanti che le nuove scoperte di materiale sono gli studî dedicati da H. Junker e da G.A. Reisner ai loro lunghissimi scavi nella necropoli di el-Gīzah. La profondità degli interessi culturali rende preziosa l'opera del primo, mentre quella del secondo insiste specialmente sugli elementi tecnici delle costruzioni singole e della urbanistica della necropoli. Le arti figurative dell'antico regno hanno anch'esse avuto una ampia illustrazione in temini di realia a opera dello Smith, parallela in un certo senso a quella del Reisner sull'architettura.

Assai diversa è la situazione per la prima epoca tebana (circa 2000-1785 a. C.). Gli scavi italiani a Medīnet Maadi han riportato alla luce un tempietto della fine di quell'epoca, incastonato in un edificio tolemaico. Restauri antichi svisano forse in qualche particolare la pianta; ma sembra che si possa immaginare un portale che si apre in una corte, il cui fondo è costituito da un portico a due colonne. Dietro si trova il santuario con tre nicchie.

Si hanno gli elementi classici del più tardo tempio egiziano (pilone, cortile, ipostila, santuario), ma concepiti in un metro umano, con estrema eleganza e semplicità. È questo l'unico tempio del Medio regno che ci sia giunto sulle sue fondamenta; ma a Karnak si è potuto ricostruire un padiglione perittero dell'inizio di quest'epoca, che era stato in antico distrutto e il cui materiale era stato impiegato a riempire uno dei piloni del tempio di Ammone. L'edificio, che offre uno schema architettonico noto per epoche più tarde, consta di una camera circondata da un corridoio a pilastri su un plinto cui si accede per mezzo di rampe, ed offre nelle felici proporzioni e nella eleganza delle linee e della decorazione un parallelo al tempio di Medīnet Maadi. Alla luce di queste scoperte si possono meglio valutare i resti di un tempio dell'epoca trovato a Medamud. Essi coprono una singolare costruzione appena più antica, con corridoi curvi e locali isolati, in cui le preoccupazioni architettoniche han nettamente ceduto il passo a quelle cultuali.

Per la XVIII din. vanno segnalati i frammenti sempre più numerosi di rilievi dell'epoca di Eḫnaton (circa 1375 a. C.) che vengono estratti da più tardi templi di Tebe, di Antinoe, di Ermupoli e che indicano una zona assai ampia d'influenza dello stile amarniano. Per il nuovo impero è di grande importanza la prosecuzione dell'opera della missione americana a Medīnet Habu (che va pubblicando con estrema ricchezza e abbondanza di elementi quel tempio) e più gli scavi francesi a Tani che, riportando alla luce monumenti di grande importanza figurativa, riaprono il problema delle scuole locali di scultura. Pure a Tani si sono scoperte le tombe inviolate di Osorkon II, di Šešonq, di Psusenne I, di Amenemope. Se non possono rivaleggiare con quella di Tutanchamon per la ricchezza e la importanza delle opere fornite, rappresentano un non comune arricchimento del materiale di studio e offrono notevoli elementi allo storico.

A fianco di queste indagini si è svolta l'attività scientifica degli archeologi: saggi e opere numerose tendono ad affrontare problemi singoli, cercando di sistemare la documentazione. Accanto alla problematica tecnica è interessante notare in altri scritti una tendenza a interpretare l'archeologia egiziana in funzione della storia della cultura, in attesa di poter passare a una vera storia dell'arte; e in altri una apertura verso interessi comparativi, intesi anch'essi come storia della cultura dell'oriente classico. La difficoltà di elaborare l'immenso materiale a disposizione (comune a tutti i rami dell'egittologia) potrà forse essere affrontata con la compilazione di uno schedario archeologico, che si prospetta attualmente su piano internazionale.

Bibl.: Tutte le missioni sogliono pubblicare un rapporto provvisorio dei loro lavori in Annales du Service des Antiquités de l'Egypte, che costituiscono perciò il primo strumento di consultazione. La pubblicazione ne è continuata anche durante la guerra. Per il periodo arcaico, vedi: W. B. Emery e Z. Y. Saad; The Tomb of Hemaka, Cairo 1938; Hor Aha, ivi 1939; J. Ph. Lauer, La Pyramide à dégrés, ivi 1936-1939; H. Ricke, Beiträge zur aegyptischen Bauforschung und Altertumskunde, fasc. 4, Zurigo 1944. Per il periodo menfita: H. Junker, Giza, Grabungen auf dem Friedhof des alten Reiches bei den Pyramiden von Giza, 6 voll., Vienna 1929-1943; G. Jequier, Douze ans de fouilles dans la nécropole memphite, Neuchâtel 1940; G. A. Reisner, A History of the Giza Necropolis, Cambridge Mass. 1942; W. S. Smith, A History of Egyptian Sculpture and Painting in the Old Kingdom, Oxford 1946. Per il Medio regno: A. Vogliano, Secondo rapporto degli scavi condotti dalla R. Univ. di Milano nella zona di Madinet Madi, Milano 1937. Del tempio di Sesostri I a Karnak manca ancora una pubblicazione adeguata, che è in preparazione ad opera del Lacau. Per il tempio di Medamud: C. Robichon e A. Varille, Description sommaire du temple primitif de Médamoud, Cairo 1940. per gli scavi di Tani, un resoconto generale è fornito da P. Montet, Tanis, Parigi 1942. Sulla civiltà egiziana in generale: S. Donadoni, La civiltà egiziana, Milano-Messina 1940. Gli articoli e le rassegne bibliografiche sulle classiche riviste egittologiche completano l'informazione.

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