CASTRO, ducato di

Enciclopedia Italiana (1931)

CASTRO, ducato di

Omero Masnovo

L'origine di Castro, le cui rovine si ammirano nel Viterbese, al confine del Lazio con la Toscana, nella vallata del torrente Olpeta, è oscura. Appartenne per tempo allo stato pontificio e fu governato prima da podestà inviati dal papa; poi fu concesso in vicariato a Raniero dei Baschi da Urbano VI, e. innalzato più tardi a ducato da Paolo III, il primo novembre 1537. L'anno dopo Pier Luigi Farnese, figlio di Paolo III, cedeva Frascati alla Camera apostolica in cambio della città di Castro, che veniva eretta in ducato in favore di Pier Luigi e successori primogeniti. Il suo territorio era composto in parte di paesi già appartenenti ai Farnese, e in parte da paesi aggregati dalla Camera apostolica. Paolo III vi aggiunse anche Ronciglione e altre terre contigue, col titolo di contea. Il ducato di Castro diventò così il feudo più importante dello Stato pontificio, sia per l'estensione, sia per le vistose rendite. Salito al trono pontificio Urbano VIII, della casa Barberini (1623-1644), i nipoti cardinali Francesco e Antonio fecero proporre la vendita del feudo al duca Odoardo, il quale rispose fieramente che il feudo gli si poteva togliere, ma col cannone, non con l'oro.

Urbano VIII e i Barberini mal sopportavano l'esistenza del ducato farnesiano, giungente fin quasi alle porte di Roma e il cui padrone era di famiglia troppo ricca e già sovrana a Parma e Piacenza.

Nel 1639 certi Siri e Sacchetti, - mercanti e banchieri romani ai quali, in società con D. Taddeo Barberini, prefetto di Roma e nipote del papa, il duca Odoardo, sul principio dell'anno innanzi aveva ceduto in appalto i proventi del ducato di Castro - si rifiutarono di mantenere i patti, allegando il soverchio rimviho del prezzo del grano, principale cespite di rendita del ducato. Naturalmente i Barberini incoraggiavano i Siri a pretendere la revisione dei patti d'appalto. Ma il duca Odoardo che, non pagato dagli appaltatori, non poteva a sua volta pagare i creditori dei Monti, ossia dei prestiti che egli aveva contratti assicurandone il pagamento sulle rendite dei suoi feudi, decise di recarsi sul posto per appianare le difficoltà. E invece il suo soggiorno romano non servì che ad aumentare le ragioni di dissidio coi Barberini; i quali, approfittando del fatto che sul ducato di Castro la S. Sede si era sempre riservato l'importantissimo privilegio dell'estrazione dei grani e della costruzione, senza bisogno di ulteriore permesso, di tutte quelle opere di fortificazione credute necessarie alla difesa, nel marzo 1641 indussero il card. Antonio, camerlengo di S. Chiesa, a emettere un editto vietante rigorosamente l'estrazione dei grani del ducato, sotto pena delle più gravi punizioni e misure. Nello stesso tempo, un altro decreto ordinava l'apertura di una nuova strada da Sutri a Roma, sviando così ogni commercio dalla via di Ronciglione.

Il duca, per tutta risposta, si diede senz'altro a fortificare e a presidiare Castro. Il card. Antonio ottenne facilmente dallo zio papa un monitorio che intimava al duca di demolire entro quindici giorni tutte le fortificazioni erette nel ducato e di licenziare le milizie straordinarie, sotto pena della scomunica e della decadenza da tutti i feudi che teneva dalla Chiesa. Il duca rispose protestando. Poiché la questione non poteva risolversi pacificamente, si ricorse alle armi. Don Taddeo, a capo dell'esercito papale, invase il feudo, e facilmente s'impadronì della rocca di Castro, il 13 ottobre 1641, dopo pochi giorni di debole resistenza.

Ma il duca Odoardo non ritenne di aver perduto la partita, e, sprezzando le minacce papali, andava ancora ammassando truppe. Intanto nei primi del 1642 il cardinale camerlengo metteva all'incanto Castro, Ronciglione e le terre soggette. Contemporaneamente i Barberini facevano serî preparativi di guerra ai confini del Bolognese e del Modenese, non nascondendo la loro intenzione d'invadere e conquistare il ducato di Parma e Piacenza, feudo della Chiesa.

Temendo che le esorbitanze papali potessero spingere il Farnese a qualche tentativo disperato, Venezia, Firenze e Modena, per evitare un intervento straniero, si allearono (31 agosto 1642), obbligandosi a difendere il duca Odoardo. Il quale, già portato a stimare sé più del conveniente, reso baldanzoso dalla lega, per le Romagne e la Toscana s'inoltrò fino ad Acquapendente. Ma, all'avvicinarsi dell'inverno del 1642, dovette ritirarsi per mancanza di foraggi e di viveri. Poiché la guerra si trascinava senza conclusione, tra alternative di vittorie e di sconfitte, Venezia, il granducato di Toscana e il ducato di Modena, per tenere a freno l'audacia dei Barberini, si allearono anche col duca Odoardo e ripresero la guerra nel giugno 1643. Si poté così arrivare rapidamente alla pace.

Col trattato di Roma del 31 marzo 1644, la casa Farnese, grazie anche all'appoggio della Francia, recuperava il ducato di Castro e di Ronciglione e si riconciliava con la Santa Sede. La guerra provocò un diluvio di scritture in prosa e in versi, e vi fu anche chi vide in Odoardo "l'eroe d'Italia" (ms. 737 della R. Biblioteca di Parma).

La guerra di Castro riscoppiò nei primi anni del pontificato d' Innocenzo X, per l'assassinio (primavera del 1649) di monsignore Cristoforo Giarda, novarese; frate barnabita, elevato dal papa al vescovado di Castro, contro il parere di Ranuccio II, successore di Odoardo. Il delitto fu subito e unanimemente imputato a Iacopo Gaufrido, primo ministro di Ranuccio II.

La politica papale sfruttò tosto l'incidente per creare l'occasione che le offrisse il destro di occupare il feudo di Castro; e la guerra fu dichiarata nel concistoro del 19 luglio 1649.

Questa volta le truppe pontificie trovarono maggiore resistenza, ma il 2 settembre, per mancanza di munizioni, Castro era costretto alla resa, ed era raso al suolo, senza misericordia e senza considerazione delle numerose opere d'arte delle quali i Farnese avevano arricchito la capitale del loro feudo. In mezzo alle rovine, d'ordine del papa, fu eretta una colonna con l'iscrizione: "Qui fu Castro".

Ranuccio II, abbandonato dalla Francia, dovette cedere alla S. Sede - che si accollava tutti i debiti del Farnese - per un milione e settecentomila scudi, tutti i suoi beni e domini nello stato papale e anche assoggettarsi a imprigionare, processare e giustiziare il ministro Gaufrido (8 gennaio 1650). Al Farnese era però concessa la facoltà del ricupero, da conseguirsi rimborsando detta somma entro otto anni e in una sola volta. La S. Sede faceva sicuro assegnamento sul disordine finanziario della corte parmense e sull'indolenza del duca; e infatti gli otto anni trascorsero invano per Ranuccio. Il feudo non fu mai più ricuperato dalla casa Farnese, per quanto essa non cessasse di rivendicarlo. Per riaverlo Ranuccio II si strinse, come già suo padre, alla Francia, e in conseguenza di ciò nel trattato di pace dei Pirenei (1659), all'articolo 100, i re di Francia e di Spagna si obbligarono a interporre uffici e preghiere presso il papa affinché i Farnese ottenessero la restituzione di Castro e Ronciglione. Nel primo articolo del trattato di Pisa 112 febbraio 1664), sempre per il potente appoggio della Francia, il papa si obbligava solennemente a disincamerare Castro e Ronciglione e ad accordare al duca altri otto anni di tempo per il pagamento del riscatto: solo a questo patto Alessandro VII otteneva la restituzione di Avignone.

La politica francese tenne viva la questione ancora per qualche decennio, poi, quando i fini della politica francese mutarono, di Castro più non si fece parola tra la Francia e il Papato. Come salì al trono di Parma il duca Francesco, ritentò la difesa dei diritti di casa Farnese, inviando il marchese Pier Luigi della Rosa al congresso di Ryswick (1697) per protestare in suo nome presso le potenze colà radunate. Ma le proteste non poterono essere presentate, proprio per l'opposizione della Francia.

Bibl.: Sanctiones municipales statuum Castri et Roncilionis per S.D. Octavium Farnensium in terra Valentani, 1554; Sanctiones municipales ecc., Ronciglone 1648; L. Grottanelli, Il ducato di Castro, i Farnesi e i Barberini, in Rassegna Nazionale, LVI, i dic. 1890, pp. 476-504; LVIII, 16 marzo 1891, pp. 261-289; G. De Maria, La guerra di Castro e la spedizione dei presidii (1639-1649), in Miscellanea di storia italiana, Torino 1898, pp. 191-256; U. Benassi, Per la storia della politica italiana di Luigi XIV. Una missione farnesiana per il ducato di Castro, in Aurea Parma, 1915, pp. 76-95. Per gli scritti provocati dalla prima guerra di Castro, cfr. V. Di Tocco, Ideali di indipendenza in Italia durante la preponderanza spagnola, Messina 1928. Sull'argomento cfr. pure L. Pastor, Storia dei papi, XII.

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