DIANA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1960)

DIANA (Diana)

P. E. Arias

Divinità, originariamente italica, identificata all'Artemide (v.) greca con attribuzioni diverse da quest'ultima.

A 30 stadî da Capua esisteva il pagus Dianae Tifatinae col magister fani Dianae Tifatinae (C. I. L., x, 3924, 3918: 211 a. C.) che fu oggetto di grande considerazione sin nel I sec. a. C. Gli scrittori greci (Paus., v, 12, 3; Athen., xi, 466 E) celebrano la ricchezza di questo santuario, mentre varie iscrizioni testimoniano la vitalità del culto; i dedicanti si rivolgono a D. come cacciatrice, e cacciatori la ringraziano, mentre la cerva è indicata come famula Dianae da Silio Italico (xiii, 124).

Ma originariamente D. non doveva essere cacciatrice; in tutti i culti italici la dea si presenta come protettrice delle donne e delle nascite.

A Pesaro è venerata come Giunone e la Mater Matuta dalle matrone (C. I. L., i, 168). Famoso era il santuario nel bosco di Ariccia (Tac., Hist., iii, 36) dove il nemus Dianae col vicino lacus Nemorensis ha importanza religiosa ed anche politica per essere stato il centro religioso della Lega Latina (cfr. Strabo, v, 239 e C. I. L., xiv, 2128, 2212-2214, 3537, 4202) e D. ha la principale funzione di proteggere le nascite e di allontanare le malattie; gli ex voto fittili consistono in organi genitali, in statuette di madri coi piccoli in braccio, ecc. Il corteo in onore di D. era di donne incoronate che impugnavano delle faci (Prop., ii, 32, 9).

Ufficialmente D. entra come compagna di Apollo nel culto romano nel 431 a. C. davanti alla porta Carmentalis, presso quello che sarà il teatro di Marcello, e la triade di D., Apollo e Latona si troverà spesso onorata (Liv., v, 13, 6), anche nel tempio di Apollo Palatino (Prop., ii, 31, 15). La vittoria di Milazzo del 260 a. C. aveva particolarmente contribuito alla diffusione del culto di Artemis Phakelitis onorata nel santuario, appunto, di Mylae (B. Pace, Arte e civiltà della Sicilia, pp. 177, 306); la dea là onorata non era che la D. lucifera di alcune iscrizioni (C. I. L., v, 7355) connesse con la protettrice delle nascite (= Iuno Lucina, cfr. Mart., x, 70, 7). Un tempio dedicato a D. si trovava a Roma nella zona del Circo Flaminio ed era stato dedicato dal console M. Emilio Lepido nel 179 a. C. (Liv., xxxix, 2, 8). D. come patrona di caccia è esclusivamente di ispirazione greca ed estranea al culto italico, mentre D. si presenta come patrona di collegi in Roma (C. I. L., xiv, 2156), ad Ariccia, Lanuvio e nelle province. Un'atmosfera di culto barbarico si diffuse ad un certo momento nel culto aricino di D. allorché la statua della dea si disse che era giunta dalla Tauride a Reggio e le si diede l'attributo di Ταυροπόλος, ma anche questa fu una trasformazione dovuta ai contatti col mondo greco (v. ifigenia).

Dal punto di vista iconografico in suolo italico non si ha nessuna manifestazione originale e la rappresentazione figurata di D. non era differente da quella di Artemide Efesia, come nel santuario sull'Aventino in Roma. In antefisse di Capua D. con arco e faretra è rappresentata galoppante a cavallo, seguita da un'oca (Gaz. Arch., vii, 1881-82, p. 82).

Nel sec. V d. C., D., insieme a Virbio o a Endimione, appare in una valva del dittico "Queriniano", conservato nel Museo Cristiano di Brescia.

Bibl.: T. Birt, in Roscher, I, c. 1002 ss., s. v.; G. Wissowa, in Pauly-Wissowa, V, 1905, cc. 325-38, s. v.; J. Frazer, The Golden Bough, Londra 1911-1912, passim; A. Giuliano, in Arch. Classica, V, 1953, p. 48 ss.; G. Bovini - L. B. Ottolenghi, Cat. Mostra d. Avori, Ravenna 1956.