Destra

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2006)

Destra

Gianfranco Pasquino

di Gianfranco Pasquino

È impossibile definire e analizzare la d. senza, al contempo, definire, in sé e per contrasto, la sinistra e analizzarla nelle sue differenze rispetto alla destra. È quanto hanno sostenuto, con accentuazioni diverse, i due più importanti studiosi italiani della politica del 20º sec.: N. Bobbio e G. Sartori. Per il primo, "esiste una destra in quanto esiste una sinistra, esiste una sinistra in quanto esiste una destra" (Bobbio 20044, p. 62). Per il secondo, "quello che ci obbliga a utilizzare l'identificazione e la disposizione destra-sinistra è una ragione formidabile, vale a dire che questo sembra essere il modo più appariscente e più costante con il quale non soltanto gli elettorati di massa, ma anche le élites percepiscono la politica" (Sartori 1976, pp. 78-79), senza contare che 'il posizionamento sinistra/sinistra' serve anche a identificare tendenze, collocazioni non-allineate e configurazioni atomizzate altrimenti incomprensibili. A questo punto, i percorsi analitici di Bobbio e Sartori si separano poiché i loro interessi di studiosi divergono. Bobbio intende individuare "le ragioni e i significati di una distinzione politica" fra d. e sinistra. Sartori è interessato quasi esclusivamente alle modalità con le quali, dal punto di vista costituzionale e politico, d. e sinistra entrano in competizione fra loro e quali ne sono gli effetti sul funzionamento del sistema dei partiti e sullo stesso sistema politico. Cosicché, Sartori conclude che fino a quando lo spazio politico è e rimane unidimensionale, la distinzione destra/sinistra tiene ed è analiticamente utile. Quando lo spazio politico si rivela multidimensionale, le troppe dimensioni confondono le distinzioni fra le diverse d. e le diverse sinistre che si sono affacciate alla ribalta della storia dei sistemi politici e tutto diventa analiticamente più difficile e politicamente più confuso. A questo punto si situa il problema che Bobbio affronta e intende risolvere. In termini tecnici, nel corso del tempo tutti i sistemi politici, specie quelli occidentali, sono evoluti attraverso conflitti e fratture (cleavages) significative. Queste fratture e le risposte specifiche date loro dalle organizzazioni politiche e, in special modo, dai partiti hanno plasmato la nostra concezione di che cosa è d. e che cosa è sinistra. Se consideriamo solo tre tradizionali assi di conflitto, ossia quello religioso: laicità e religiosità; quello economico: Stato e mercato (o, anche se non perfettamente coincidente, pubblico e privato); quello sociale: operai e imprenditori (lavoratori e proprietari dei mezzi di produzione), la d. si caratterizza, in prevalenza, per una molto più diffusa pratica religiosa, per una esplicita propensione per il mercato, per un preciso riconoscimento di un ruolo privilegiato ai proprietari dei mezzi di produzione. Tuttavia, nel corso del tempo, mentre la distinzione sociale, di classe, mai così netta come espressa sopra, si appannava e sfumava in strutture di classe molto 'complessificate', sono emersi altri criteri distintivi di d. e sinistra.

A un livello più elevato di generalizzazione, è possibile sostenere che la d. ha spesso fatto propria una visione ideologica che era complessivamente fondata sulla triade Dio, patria, famiglia. Naturalmente, le modalità con le quali questa ideologia viene tradotta nella pratica politica e nella formulazione delle politiche pubbliche fa una grande differenza. La d. storica italiana (1861-1876) seppe proporne una traduzione nient'affatto grettamente partitica e particolaristica, ma nazionale, nel significato migliore del termine, e non nazionalistica, senza cedimenti confessionali. In Francia, è stata la storia rivoluzionaria e postrivoluzionaria a favorire la comparsa di una pluralità di d.: restauratrici, orleaniste, bonapartiste (Rémond 19683), ma anche di una d. repubblicana e, in qualche modo, sociale come quella gollista. Altrove, come in Gran Bretagna, furono piuttosto il conflitto economico e le fratture sociali a consentire ai conservatori di occupare con successo lo spazio politico della d. senza accentuare, pur traendone oggettivo vantaggio, nessuna delle componenti ideologiche/religiose sopra identificate. L'esempio inglese suggerisce che qualsiasi d. ha una sua specificità nazionale, ma indica anche che è possibile e utile individuare alcune caratteristiche comuni alle d. esistite e attualmente esistenti; inoltre, indica che il liberalismo non deve in alcun modo essere automaticamente identificato con la destra. Infatti, non solo in Inghilterra, ma un po' dovunque nei sistemi politici democratici, i liberali non hanno occupato lo spazio di destra. In un certo senso, in quanto prevalentemente interessati alle regole e alle tecniche di limitazione del potere, i liberali appaiono sganciati dalle fratture e dai conflitti che separano con sufficiente nettezza d. e sinistra. È soltanto in una visione ideale, priva di traduzione pratica, che i liberali potrebbero essere collocati a d. mentre i socialisti occuperebbero lo spazio della sinistra. La realtà è sempre stata diversa, più complicata e variegata. È così possibile sostenere che, in materia di atteggiamenti verso la vita, la d. si caratterizza per il rispetto della tradizione; in materia di valori, la d. è conservatrice; in materia di rapporti fra persone, la d. crede nelle gerarchie di potere, di status, di merito e, soprattutto, le valorizza.

Più in generale, Bobbio è giunto alla conclusione che la d. accetta le disuguaglianze come naturali, quindi come sostanzialmente inevitabili. Si potrebbe aggiungere che non pochi filoni di pensiero della d. ritengono che le disuguaglianze sono anche positive poiché riflettono il contributo delle capacità e dell'impegno delle persone e che qualsiasi tentativo di ridurre, comprimere, eliminare le disuguaglianze rischia di ridurre, comprimere, eliminare la libertà. I cittadini debbono essere lasciati liberi di decidere quanto diseguali desiderano essere. La d. non sembra interessarsi all'origine delle disuguaglianze e non si preoccupa, quindi, di offrire ai cittadini quelle eguaglianze di opportunità iniziali che consentano a tutti di competere ad armi pari. Inoltre, per la d. il luogo classico della competizione è il mercato, talvolta idealizzato come lo strumento migliore, più equo e imparziale per l'allocazione di beni, ricompense, premi. Alla fine, la d. ritiene che gli uomini e le donne sono, in quanto individui singoli, tutti e ciascuno completamente responsabili del loro destino, di successo e insuccesso, e che la meritocrazia costituisce un esito perseguibile e in sostanza apprezzabile. Come disse con una celebre espressione il primo ministro conservatore inglese (1979-1990), M. Thatcher, "non c'è qualcosa chiamato società" cui attribuire responsabilità o dalla quale estrarre solidarietà.

La ricerca delle caratteristiche costitutive della d. come posizione politica è utile, ma non deve consentire il lusso di trascurare i cambiamenti intervenuti nel tempo nelle organizzazioni e nei movimenti di d. nel mondo occidentale, dove queste categorie hanno e mantengono valore interpretativo ed esplicativo. A partire dagli anni Ottanta del Novecento, due sono stati gli sviluppi più significativi. La premessa per capire questi sviluppi è che di d. ce ne sono state sempre almeno due: una d. democratica e una d. che, nel mondo occidentale e pur con le peculiarità di ciascun Paese, deve essere definita, quanto meno in senso lato, come fascista. Il primo sviluppo è consistito in un progressivo sganciamento della d. fascista dal suo passato nella ricerca di rispettabilità e di (re)-inserimento nel sistema politico. Questa d. ha tentato di caratterizzarsi come nuova facendo leva su temi identitari, intesi al recupero di una tradizione nazionale, spesso in opposizione alla costruzione europea, e con richiami populistici di contro a regimi democratici ritenuti, se non elitari, poco aperti alle reali esigenze dei settori sociali popolari portatori di stili di vita semplici, tradizionali, comunitari. Il secondo sviluppo, appena più recente, è quello della comparsa di d. estreme, xenofobe, razziste, inclini all'uso della violenza e portatrici di una visione chiusa ed esclusiva delle rispettive comunità alle quali imporre e fare rispettare valori assolutamente omogenei (Ignazi 2003).

Forse, il fenomeno più interessante per la ridefinizione delle caratteristiche della d., perché denso di significati e di conseguenze, consiste nella ristrutturazione della d. americana e, più specificamente, del Partito repubblicano. Non più soltanto conservatore, il Partito repubblicano, nella sua parabola da R. Reagan (1980-1988) a G.W. Bush (eletto presidente nel 2000 e rieletto nel 2004), ha ridefinito il suo seguito elettorale e i suoi stessi principi ispiratori. Questa ridefinizione si è fondata sul pensiero neoconservatore le cui componenti centrali sono l'individualismo, il rilancio di una concezione egemonica degli Stati Uniti e della loro 'eccezionalità' nella storia del mondo, una visione fortemente meritocratica della società, un sostegno al capitalismo. La d. neoconservatrice americana ha, inoltre, cercato e trovato l'appoggio di una galassia di associazioni confessionali che vorrebbero cancellare la legislazione che consente l'interruzione della gravidanza, che osteggiano l'insegnamento dell'evoluzionismo nelle scuole, che si oppongono al riconoscimento, sotto forma di eventuale matrimonio, delle coppie omosessuali. Queste sono tutte tematiche di d. che trovano eco anche nelle molte d. europee. Quello dei 'valori', declinati essenzialmente in chiave religiosa, sembra essere diventato il terreno d'incontro di coloro che, negli Stati Uniti e, in maniera minoritaria, altrove nelle democrazie occidentali, intendono plasmare le politiche della destra. Questo passaggio dai vecchi neoconservatori, poco inclini a mettere in discussione la separazione fra Stato e Chiesa, ai nuovi neoconservatori che hanno deliberatamente cercato e ottenuto con successo il sostegno delle potenti organizzazioni religiose ha contribuito all'emergere di una nuova variante della d. denominata negli USA teo-con. Se dalle caratteristiche distintive della d., vecchia e nuova, 'neo-con' e 'teo-con', si vuole passare alle ragioni per le quali gli appelli della d. siano riusciti a fare breccia in alcuni contesti o a dare vita a gruppi, organizzazioni e movimenti agguerriti e combattivi, allora, sembra utile guardare ai tratti costitutivi delle specifiche società, ma anche alle sfide che ciascuna società deve affrontare. Senza esagerare con l'incidenza della globalizzazione, non pare dubbio che la d. ha saputo sfruttare la paura e l'ansietà che i processi di globalizzazione hanno ampiamente prodotto. Al tempo stesso, anche l'estendersi e l'approfondirsi dell'unificazione europea sono stati percepiti come sfide ai sentimenti profondi di appartenenza alle comunità nazionali, come un pericoloso sradicamento. Di qui, il sostegno che tutte le d. hanno espresso al comunitarismo, come ideologia e pratica dello stare insieme in comunità saldamente legate da valori tradizionali di lunga data, e la loro opposizione all'europeismo criticato anche come reincarnazione del cosmopolitismo, ovvero, del repubblicanesimo cosmopolita, considerato, in larga misura a ragione, l'ideologia della o delle sinistre. Talvolta, il superamento dell'ansietà collettiva e delle paure per i grandi processi di cambiamento ha favorito il sorgere della risposta populista offerta da un leader nazionalista, xenofobo, con elementi di razzismo. Esiste, per quanto meno frequente, una variante di populismo di sinistra che sfrutta spesso gli stessi timori e lo fa con propaganda politica non molto dissimile da quella della d., il punto di contatto essendo il tradizionalismo comunitario.

È anche con riferimento a queste indistinzioni nette che, secondo alcuni autori, sarebbero venute meno le differenze fra d. e sinistra la cui polarità dovrebbe, quindi, essere quanto meno riletta alla luce dei tempi, rifondata oppure abbandonata. Tuttavia, poiché la grande maggioranza degli elettorati europei riconosce le differenze e si riconosce in loro, abbandonare la distinzione destra/sinistra non appare fecondo. È possibile, invece, cercare di rifondarla, seguendo le indicazioni di Bobbio, intorno al tema dell'eguaglianza che consente anche di districarsi nei processi di globalizzazione, di costruzione dell'Unione Europea e di riconoscimento/espansione dei diritti con particolare riferimento all'importante contrapposizione fra comunitarismo e repubblicanesimo. Con variazioni che rispecchiano anche le tradizioni nazionali, la d. risponde difendendosi e chiudendosi; allo stesso modo, con variazioni che hanno radici profonde nella storia e nella politica dei diversi sistemi, la sinistra tenta una risposta che faccia leva sull'offerta di nuove opportunità ai cittadini e sull'apertura a nuovi diritti. Queste risposte diverse sono una conferma che le differenze fra d. e sinistra permangono; sono profonde e visibili; costituiscono la stoffa della politica in Europa e nel mondo nel 21° secolo.

Bibliografia

R. Rémond, La droite en France: de la première Restauration à la ve République, Paris 19683.

R. Inglehart, H.D. Klingemann, Party identification, ideological preference, and the left-right dimension among Western publics, in Party identification and beyond, ed. I. Budge, I. Crewe, D.J. Farlie, London-New York 1976, pp. 243-73.

G. Sartori, Parties and party systems: a framework for analysis, Cambridge 1976.

D. Cofrancesco, Destra e sinistra, Genova 1981.

J.A. Laponce, Left and right: the topography of political perceptions, Toronto 1981.

D. Cofrancesco, Destra e sinistra: per un uso critico di due termini-chiave, Verona 1984.

N. Bobbio, Destra e sinistra: ragioni e significati di una distinzione politica, Roma 1994, 20044.

A. Giddens, Beyond left and right: the future of radical politics, Cambridge 1994 (trad. it. Bologna 1997).

P. Ignazi, Extreme right parties in Western Europe, Oxford 2003.

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