DIDEROT, Denis

Enciclopedia Italiana (1931)

DIDEROT, Denis

Manlio Duilio Busnelli

Enciclopedista, nato a Langres in Champagne il 5 ottobre 1713, morto a Parigi il 30 o il 31 luglio 1784. Figlio primogenito d'un agiato coltellinaio, il D. venne destinato dapprima allo stato ecclesiastico: a otto anni fu messo a studiare presso i gesuiti di Langres, e a dodici ebbe la tonsura. Però in seguito alla sua riluttanza per la vita religiosa il padre lo fece entrare in un collegio di Parigi, dove il D. ebbe per compagni i giovani dei più alti ceti, e più tardi l'affidò al procuratore Clément de Ris, affinché questi l'istruisse nella professione forense. Ma alle pratiche legali il D. preferiva lo studio del latino e del greco, dell'italiano e dell'inglese, delle matematiche e della filosofia. Dopo due anni, licenziato dal procuratore e privato dal padre d'ogni sussidio, il giovane D. iniziò quella vita di lotte e di sacrifici, ch'egli doveva sperimentare per oltre dieci anni. Stretto dalla necessità, diede lezioni, si fece precettore e scrittore d'omelie, si mise agli stipendî dei librai, pensò anche di calcare le scene. Il 6 novembre 1743, senza il consenso paterno, sposò la bella cucitrice Anne-Antoinette Champion, di tre anni maggiore di lui: brava e onesta massaia, ma che poi divenne, invecchiando, sempre più scontrosa e acre. Per sopperire agli accresciuti bisogni, il D. si dedicò a varî lavori di traduzione e di compilazione, che costituirono il suo primo tirocinio d'enciclopedista: recò in francese la mediocre Histoire de la Grèce dell'inglese Temple Stanyan (1743); parafrasò nell'Essai sur le mérite et la vertu (1745) le Characteristics dello Shaftesbury; si associò col Toussaint e l'Eidous per tradurre dall'inglese il voluminoso Dictionnaire universel de médecine del James (1746). In quest'anno comparvero anche, in edizione clandestina, le Pensées philosophiques, la sua prima opera originale, che suscitò vivo scalpore per l'audacia delle idee, e venne condannata al fuoco dal parlamento di Parigi, con decreto del 7 luglio 1746; il che non impedì però che fosse varie volte ristampata, sotto titoli diversi, vivente il D.: notevole l'edizione pseudo-londinese del 1777, con la traduzione italiana a fronte. Il D., col pretesto di ricondurre gli uomini alla religione naturale, muove guerra a tutti i culti, e specialmente al dogma e alla morale cristiana. Si dichiara ancora deista, e fa perfino una subdola professione d'ortodossia cattolica, ma in realtà è panteista; non concepisce Iddio coesistente con l'universo, se non divinizzando l'universo stesso. A questo periodo appartiene anche un romanzetto orientale, Les Bijoux indiscrets (1748), scritto nel genere galante allora messo in voga da Claude-Prosper Crébillon, per divertire la sua amica M. me de Puisieux, e severamente giudicato più tardi dallo stesso D., come "un delirio della sua immaginazione". Si trovano però nel romanzo alcuni accenni che permettono di seguire il D. nell'evoluzione del suo pensiero filosofico: evoluzione che più chiaramente apparve nella Lettre sur les aveugles à l'usage de ceux qui voient (1749), dove il D. fa ragionare il matematico Saunderson, il quale, non avendo mai veduto la luce, muore senza comprendere il sacerdote che gli parla di Dio. Quelle pagine, ispirate a una filosofia sostanzialmente atea e materialistica, provocarono l'arresto del D. e il suo incarceramento nel castello di Vincennes: mite prigionia, tanto che il D. se ne poté allontanare per cogliere in flagrante l'infedele M. me de Puisieux, e rompere con lei la relazione; ma compromettente per l'avvenire dell'impresa a cui si era da qualche anno accinto: l'Enciclopedia.

D'allora in poi, per un ventennio, l'agitata e burrascosa vicenda del grande Dizionario fu una cosa sola con la sua vita. Il mondo dell'Enciclopedia, con D'Alembert, Voltaire, Rousseau, Helvétius, d'Holbach, Marmontel, Condillac, Turgot, Quesnay, ecc. fu il suo mondo. I nemici dell'Enciclopedia - alla testa i gesuiti con il Journal de Trévoux, e i giansenisti con le Nouvelles ecclésiastiques - furono i suoi nemici. E non soltanto a colpire l'autore drammatico, ma più specialmente l'enciclopedista, fu sferrato l'attacco del Fréron nell'Année littéraire e del Palissot nelle Petites histoires sur de grands philosophes, contro i due drammi del D., Le fils naturel ou les épreuves de la vertu (1757) e Le père de famille (1758). I plagi e le imitazioni dal Vero amico del Goldoni, denunciati dal Fréron, misero effettivamente il D. in un certo disagio. Ma né le polemiche, né i divieti della censura, né le condanne dell'autoria ecclesiastica, né gli stessi ordini di soppressione del Consiglio di stato, riuscirono a impedire che la vasta opera si compisse: nel 1765 gli ultimi volumi del testo erano stampati, e nel 1772 usciva l'ultimo volume d'incisioni. Fu per il D. una fatica immane, a cui egli trovò conforto nella devozione della figliola Marie-Angélique, nella salda amicizia del Grimm, del d'Holbach, dell'abate Galiani, di M. me d'Èpinay, e soprattutto nel tenace affetto di Sophie Volland, ch'egli aveva conosciuta trentenne nel 1755 e con cui scambiò per lunga serie d'anni una corrispondenza, fedele e vivacissimo specchio della sua vita privata. All'amico Grimm poi, il D. dovette la fortuna d'essere ammesso a godere delle liberalità di Caterina II di Russia, che ne acquistò la ricca biblioteca, gli accordò una lauta pensione, e lo indusse ad affrontare, già sessantenne, il faticoso viaggio da Parigi a Pietroburgo (1773-1774). Alla corte imperiale il D. ebbe un'accoglienza principesca: vi conobbe finalmente le seduzioni della gloria, e quegli onori di cui la patria gli era stata sempre avara. Ma i disagi del viaggio e del clima avevano fortemente scossa la sua fibra. Di ritorno a Parigi, si lagnava di non aver più idee, d'essere continuamente stanco. Tuttavia gli ultimi dieci anni non furono del tutto sterili. Appartengono tra l'altro a questo periodo il brillante Entretien d'un philosophe avec le maréchale de * * *, i Principes de politique à l'usage des souverains, la gustosa comimedia-autoritratto Est-il bon? est-il méchant?, e l'Essai sur les règnes de Claude et de Néron, prolissa apologia di Seneca, della filosofia e di sé stesso. Il 19 febbraio 1784, il D. ebbe una violenta crisi d'idropisia; ai primi di maggio, lasciò la "soffitta" di via Taranne, che occupava fin dal 1754, per trasferirsi prima in una villa di Sèvres, e di là in un sontuoso appartamento, in via Richelieu a Parigi, offertogli dall'imperatrice di Russia.

Così si chiuse la vita del D., ma egli ebbe la singolare fortuna di rivivere, si può dire, a intervalli e sotto aspetti nuovi, nelle opere che s'andarono via via scoprendo e pubblicando dopo la sua morte, e che costituiscono senza dubbio la parte più significativa della sua produzione: Rêve d'Alemberen, Supplement au voyage de Bougainville, Èléments de penysiologie, La Religieuse, Jacques le fataliste, Le Neveu de Rameau, Paradoxe sur le comédien, Salons, Lettres à M.lle Volland. È infatti da queste opere postume che la personalità di D. si sprigiona in tutta la sua complessa potenza, nella sua audacia speculativa, e nella sua ferace versatilità. Ingegno veramente enciclopedico, avido d'ogni sapere, non v'è campo dell'intelligenza umana ch'egli non abbia esplorato o percorso E più vasta impronta in qualcuno di essi avrebbe forse lasciato, se, com'egli stesso lamenta, la sua "sfrenata curiosità" non l'avesse irresistibilmente tratto a darsi a sempre nuovi generi di studî, senza mai arrestarsi ad approfondirne alcuno con disciplina e metodo costante. Ma il D. sembra essere - come quel suo secolo in dissoluzione e in divenire - stanco e impaziente d'ogni giogo e d'ogni regola. Dotato d'una sensibilità straordinariamente viva e mutevole, appartenne, anche per il pensiero, alle proprie passioni, agli avvenimenti, alle circostanze: a tutto e a tutti fuorché a sé medesimo. E di volta in volta, i più disparati contrasti della sua sensibilità si rispecchiarono anche nelle sue idee. Il cinico bestemmiatore del cristianesimo si commoveva sino alle lacrime assistendo alle cerimonie del Corpus Domini; l'impudico autore dei Bijoux indiscrets s'improvvisava paladino della virtù; l'araldo della rivoluzione inneggiava all'autocrate Caterina di Russia, e, in un commento al Beccaria, si dichiarava contrario oltreché all'abolizione della pena di morte, anche all'integrale soppressione della tortura. Ma frammezzo a tante contraddizioni, circola nelle sue opere un'inesauribile dovizia d'idee geniali e feconde. E i suoi capolavori sono appunto quelli, dov'egli, infervorato da qualche idea, ha dato libero sfogo al suo genio eminentemente discorsivo e polemico. L'arte di comporre gli era ignota o indifferente: "Io non compongo - protestava, non sono autore; io leggo o converso, interrogo o rispondo". Questo spiega la scarsa riuscita del D. nei generi che richiedono obiettività d'analisi psicologica e continuità di svolgimento. Scadentissimi, infatti, sono i suoi drammi, Le fils naturel e Le père de famille, degni di ricordo soprattutto per la fortuna incontrata in Germania a opera del Lessing, e per le teorie che li accompagnano: teorie nelle quali il D., cercando, sull'esempio del La Chaussée, del Lillo, del Moore, la realizzazione teatrale dell'ideale borghese, ha intraveduto alcuni aspetti del dramma moderno. Neppure appartengono ai capolavori i suoi romanzi, Jacques le fataliste e La Religieuse: il primo, imitazione o meglio involontaria parodia dello Sterne, incoerente sequela di storie strampalate e di digressioni senza fine, tra cui spicca l'episodio realista di M. me de la Pommeraye, e brillano qua e là fulgide gemme; La Religieuse, narrazione angosciosa e fosca dei tormenti fisici e morali che soffre una giovine, destinata dalla madre colpevole al chiostro, e assetata della vita libera del mondo: appassionata requisitoria contro l'istituzione monastica, piuttosto che nitida e profonda pittura di un'anima. Il D. eccelle invece quando può discorrere a proprio agio di sé, e andar divagando fra le mille idee e impressioni e ricordi che gli scaturiscono dalla mente con vena inesausta, come nelle lettere a Sophie Volland; come nel Paradoxe sur le comédien, dove sostiene che l'artista dev'essere insieme sensibile e impassibile; come, massimamente, nel Neveu de Ramneau, l'opera sua più originale e possente, che il Goethe stesso volle volgere in tedesco. Sotto la truculenta maschera di Jean-François Rameau, dissoluto e famelico nipote del grande musicista, il D., esasperato contro i nemici dell'Enciclopedia, inchioda alla gogna con furibondo e cupo sarcasmo i Fréron e i Palissot, e sottopone, a un tempo, a un fuoco di fila di critiche demolitrici la vecchia opera classica del Lulli e del Rameau, cuí contrappone le divine armonie del Pergolese e della scuola napoletana, e le innovazioni feconde d'Egidio Romualdo Duni, da lui esaltato come il creatore della nuova declamazione musicale francese. Tutto ciò in una prosa colorita, sanguigna, carnale, che direttamente parla ai sensi: la stessa prosa che costituisce il fascino di quelle rassegne d'arte, che, scritte per la Correspondance littéraire del Grimm, vanno sotto il nome di Salons, e hanno fatto dire del D. ch'egli ha introdotto in francese "i colori della tavolozza e dell'arcobaleno".

Ma filosofo per antonomasia lo chiamavano i contemporanei; e in realtà il D. rimane uno dei più tipici interpreti della coscienza del tempo. Abbandonate le vie tradizionali della fede, egli tese ogni sforzo dell'intelletto a spiegare la natura senza Dio, prendendo la ragione per guida infallibile. Vissuto all'aurora e tra i primi splendori dell'era meccanica, non volle vedere nell'universo altra significazione se non meccanica. Il cosiddetto "bell'ordine del creato" gli apparve come il risultato necessario d'una serie infinita di tentativi e d'esperimenti successivi, attraverso i quali le specie si costituirono, formando una catena ininterrotta che va dall'atomo sino all'uomo, e attende forse ulteriori sviluppi e ulteriori accrescimenti a noi sconosciuti. Questa ipotesi, espressa fin dal 1754 nella Pensée sur l'interprétation de la nature, egli andò maturando e corroborando con le molteplici osservazioni biologiche, raccolte negli Èléments de physiologie. E nel Réve d'Alembert del 1769 (certo informato degli studî del De Maillet, del Bonnet, del Robinet, ma precorrendo Lamarck e Darwin), giunse a dare la formula della legge dell'evoluzione: "Gli organi producono i bisogni, e, reciprocamente, i bisogni producono gli organi". Abolita l'idea di Dio, proclamata la natura suprema regolatrice della vita umana, il D. ridusse la morale alla libera condiscendenza agl'istinti, senza freno di religione o di tradizione. Il suo ardore di libertà, spesso impregnato d'odio implacabile contro il vecchio mondo, contro le vecchie istituzioni politiche e sociali fondate sui dogmi, prorompe talvolta in invettive sinistre le quali sembrano preludere, nell'immagine e nel voto, alla Rivoluzione.

Edizioni: La principale raccolta delle opere del D., per quanto assai imperfetta, è ancor quella di J. Assézat e M. Tourneux (Œuvres complętes de D., voll. 20, Parigi 1875-1879), da integrare con gli scritti politici pubblicati da M. Tourneux in D. et Catherine II (Parigi 1899), e con le Observations sur l'Instruction de S. M. I. aux députés pour la confection des lois (1774), a cura di P. Ledieu (Parigi 1921). Le Neveu de Rameau, è pubblicato a cura di G. Monval (Parigi 1891), e il Paradoxe sur le comédien a cura di E. Dupuy (Parigi 1902).

Bibl.: Oltre ai notissimi saggi del Sainte-Beuve, del Carlyle, del Bersot, di E. M. Caro, del Brunetière, del Faguet, più volte ristampati, v. K. Rosenkranz, D.'s Leben u. Werke, voll. 2, Lipsia 1866; J. Morley, D. and the Encyclopaedists, Londra 1891; J. Barbey d'Aurevilly, Goethe et D., Parigi 1880; J. J. C. L[eids], Principaux écrits relatifs à la personne et aux oeuvres, au temps et à l'influence de D., Parigi 1887; J. Reinach, D., Parigi 1894; L. Ducros, D., Parigi 1894; F. Paître, D. biologiste, Lione 1904; A. Mesrobian, Les conceptions pédagogiques de D., Parigi 1913; L. Cru, D. as a Disciple of English Thought, New York 1913; J. Charpentier, D. et la science de son temps, in Revue du Mois, 1913; M. D. Busnelli, D. et l'Italie (con un saggio bibliografico sulla fortuna del D. in Italia), Parigi 1925. Manca una compiuta biografia critica del D. Intorno alla famiglia e al fratello suo, cfr. Ch. Marcel, Le frère de D., Parigi 1913; e sulla sua fine, v. dello stesso autore, La mort de D., Parigi 1925. Cfr. inoltre per l'iconografia: Kusner, D. D., mit 15 Vollbidern und 1 fac-simile, Berlino 1907; A. Séché e J. Bertaut, D., 42 portraits et documents, Parigi 1909.

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