DELFI

Enciclopedia Italiana (1931)

DELFI (Δελϕοί, Delphi)

Silvio FERRI
Silvio FERRI

È oggi un semplice villaggio del nomos di Ftiotide e Focide (A. T., 82-83) sul fianco meridionale del Parnaso (1085 ab. nel 1928), sorto nel 1892 con l'antico nome in occasione degli scavi per i quali fu necessario sacrificare il preesistente villaggio di Kastrì. La zona archeologica ad esso contigua contiene i resti del famoso santuario nazionale greco e dell'antico centro sorto attorno ad esso, scavati dai Francesi (1892-1895).

Topografia. - Sotto il nome di Delfi (in origine, o almeno fino a Omero, , Pytho, Pito) si comprende la città, il temenos del santuario, la fonte Castalia, il gruppo dei templi di Marmarià. La fonte sgorga tuttora nella gola stretta che si apre tra le due pareti rocciose delle Fedriadi: sulle pendici della prima si stende il peribolo del tempio, su quelle della seconda erano costruiti gli edifici di Marmarià. La comune via d'accesso a Delfi era quella di terra, dalla Beozia; di là venne, secondo il mito, Apollo, di là si svolge la descrizione di Pausania.

Il gruppo di Marmarià, racchiuso da un recinto lungo 150 metri circa, alla cui porta orientale si trova il piccolo temenos degli eroi salvatori (Phylakos, Hyperochos, Pyrrhos), comprende, da est, un tempio di Atena Ergane della fine del sec. VI, edificato su altro più antico; due edicole, di cui la seconda, ionica, con elementi architettonici molto simili al tesoro dei Sifnî; la famosa tholos dei primi del sec. IV; e infine un tempio più recente di Atena. Procedendo dalla porta ovest del recinto si incontrano il Ginnasio e la Palestra con le Terme; si sale verso la Castalia, e di qui, con una lieve divergenza a sinistra, lungo una strada non ancora scavata, si arriva al peribolo del santuario.

Il sacro recinto di Delfi si estende sulla pendice sud e sud-est della Fedriade occidentale, misurando, nella sua forma presso a poco rettangolare, m. 190 per 135, con una superficie di ha. 2,5 circa. Ha in tutto nove porte. La porta principale, rivolta verso la Castalia, è a m. 533 sul livello del mar , lo stilobate del tempio è a 573 metri; più in alto sono la Lesche degli Cnidî, il teatro, lo stadio; l'ippodromo era invece nel piano verso il mare.

La descrizione segue la successione logica di Pausania e di Plutarco, la quale fu poi quella del credente ellenico che, dopo le abluzioni nella piscina della Castalia, per salire al Tempio, attraversava obliquamente l'Agorà (1) (una piazza con portico a monte, botteghe, basi di statue imperiali) giungendo alla porta principale (2), donde entrava nella ἱερὰ o via sacra.

1° rampante: a destra (3) inizia la serie degli ex-voto la base iscritta del toro di bronzo, offerto attorno al 500 a. C. dai Corciresi, opera dell'egineta Teopropo; seguono: (4) grande nicchia rettangolare costruita da Lisandro dopo Egospotami (404 a. C.), e già ornata da 38 statue di bronzo, di dodici delle quali abbiamo le iscrizioni dedicatorie; (5) base degli Arcadi, posta sui gradini della precedente, con varie statue bronzee di dei ed eroi arcadi: ne rimangono le iscrizioni, spesso col nome degli artisti; (6) statua equestre di Filopemene (183 a. C.), sempre sui gradini di (4); (7) esedra semicircolare con le statue dei re e delle regine di Argo, opera di Antifane di Argo (circa 369 a. C.); (8ì nicchia rettangolare, forse eretta dai Beoti nel 368 a. C. e contenente delle statue; (9) nicchia nella roccia, e due piccole nicchie in muratura; (10) nicchia semicircolare incerta; (11) base con decreti di prossenia per Etoli e Naupattî, forse con tre statue di eroine naupattie; (12) tesoro, o tempietto in antis, costruito in poros verso la metà del sec. VI, poi ingrandito e rifatto in pietra del Parnaso. Al primo tempietto appartengono le note metope dette dei Sifnî. Nelle sostruzioni sud sono incisi molti decreti di prossenia; (13) in corrispondenza a (9) e (10), un poco in alto, sono le fondazioni di un altro tesoro aperto verso nord; da esso deriverebbero il gruppo di Tityos e di Triopas e le note Cariatidi. Fu eretto nella metà del sec. VI ed è attribuito agli Cnidî.

1° rampante: a sinistra (14) base di Faillo, eretta dai Crotoniati; (15) base di Milziade con 16 statue di bronzo, che Pausania dice eseguite da Fidia; (16) esedra semicircolare; (17) base, forse di Gerone; (18) dedica dei Reggini con iscrizione, circa del 460; (19) base dei Tarentini per la vittoria sui Messapî (490 a. C.), con statue, opera di Agelada; (20) tesoro di Sicione, in tufo sicionio, della fine del sec. V. Nelle sostruzioni si riscontra materiale di una tholos e di un tesoro più antichi: vi furono rinvenute metope scolpite; (22) tesoro dei Sifnî (per un certo periodo attribuito agli Cnidî) eretto verso il 530; (23) dedica dei Liparei.

A questo punto la via si volge a destra. In corrispondenza al gomito, si hanno a sinistra i resti di due tesori riferibili, l'uno (24) ai Tebani (dopo il 371), l'altro (25) forse ai Beoti; al di là una sala a colonne (26), forse oploteca o sala d'armi. Sopra, a nord, in fila sono le sostruzioni di altri quattro tempietti, di cui i primi due vengono attribuiti a Potidea (27, 28), segue quindi un Asclepieo (30) del sec. III. Entro i muri dell'Asclepieo è compreso un rettangolo di strana costruzione a piccoli parallelepipedi di tufo, forse trasportati dall'Etruria: vi si vuol vedere il tesoro di Caere-Agylla (29). Ad ovest sussiste un tratto di peribolo poligonale (31).

2° rampante: piegando a destra si presenta dinnanzi il Tesoro degli Ateniesi, eretto in marmo pario dopo Maratona, o, secondo altri, all'epoca di Clistene, sulle fondamenta di un tempietto più antico di epoca solonica (32). Nella ricostruzione moderna le parti mancanti sono state sostituite con tufo. Sussistono, più o meno mutile, le 30 metope con le imprese di Teseo e di Eracle, parte dei frontoni e degli acroterî. Sulle pareti sono varie iscrizioni, tra cui quelle relative ai pitaisti ateniesi, e gl'inni con note musicali (ora al Museo). A sud fu aggiunta una terrazza, sulla cui base è un'iscrizione relativa alla battaglia di Maratona, riprodotta in caratteri arcaici nel sec. IV, sull'altra più antica; (33) segue un rettangolo di m 6 × 13, forse il buleuterio, quindi un gruppo di rocce vergini (34) nelle quali si suole localizzare la "roccia della Sibilla" con la tana di Pito, il santuario di Gea, il platano di Agamennone, la statua di Leto. Li presso si ergeva la colonna (alta m. 9,15) dei Nassî con la sfinge, ora al Museo, alzata circa il 550 a. C. Alle spalle della roccia si allunga da est a ovest per m. 83 (altezza media m. 3,65) il magnifico muro poligonale che forma la terrazza per il tempio. Costruito alla fine del sec. VI, fu in seguito ricoperto da iscrizioni che vanno dal 276 al 90 a. C. Addossato all'estremità orientale del muro era il portico degli Ateniesi (35) coi trofei guadagnati, forse, a Salamina. È lungo m. 28,75 (pari a 100 piedi attici) ed è costituito da 8 colonne ioniche (ne restano 3) con architrave probabilmente di legno. Nel triangolo a destra del 2° rampante si svolgeva la festa novennale del Septerion o Stepterion. La piazza, detta Halos, è circondata da tre esedre convergenti al centro e limitata a sud da tre basi, dono dei Focesi, destinate ad Artemide, Atena, Apollo; nel centro era la capanna, dimora simbolica del pitone (Plut., Delph. orac., 15). Di là dalla Halos una scala scende a due tesori d'incerta attribuzione (36,37): (Cirene? Acanto? Massalia e Roma? Aphroditeion?). Più a monte sono altri tre tesori di cui è identificato solo quello di Clazomene (38) con capitelli egittizzanti. Iniziando l'ultima rampa, si hanno a destra: (39) la base dei Focesi per una vittoria sui Tessali; (40) quella dei Tarentini per le vittorie sui Peucezî; (41) il tripode aureo di Platea (la sola base); (42) il carro aureo dei Rodî; (43) le due basi di Attalo I e Eumene II; (44) un tesoro, forse dei Cretesi; alle spalle un portico (45) eretto da Attalo verso il 200, poiadattato a cisterna.

A sinistra della rampa, non lungi dallo spigolo est del muro poligonale, doveva ergersi la base triangolare della Nike di Peonio (forse ve ne erano due), e più verso il tempio il monumento rettangolare di L. Emilio Paolo (46) per la vittoria su Perseo di Macedonia, cui faceva riscontro, dall'altra parte del tempio, quello del re Prusia (182-149 a. C.), ora ricostruito fuori posto (47); di contro al tempio l'altare dei Chioti (48).

Giunti al sommo della rampa, e piegando verso il tempio, si hanno a sinistra in prima fila le 4 basi dei Dinomenidi (Gelone, Gerone, Polizalo, Trasibulo) (49); il grande basamento della statua di Apollo Sitalca e l'altro di Timareta. Qui presso era la base della colonna di Acanto con le tre danzatrici; qui è tuttora in situ la base di un curioso ex-voto, già costituito da un falciatore che mieteva spighe auree di grano. Alle spalle sta il cosiddetto temenos di Neottolemo (50) con resti di un antico muro poligonale, sul quale, in alto (51), si stendono le basi delle nove statue dei principi Aparidi di Farsalo.

La via sacra corre ora lungo il lato nord del tempio di Apollo. Il tempio (52) è poggiato a sud su una possente muraglia, sorretta a sua volta da una terrazza inferiore poggiante sul muro poligonale: su questa terrazza inferiore, tra altri edifici, era forse l'abitazione della Pitia. Il tempio aveva tre gradini; era dorico-perittero (m. 60 × 24) con 6 colonne di tufo sulla fronte, e 15 sui lati. Nell'adyton del tempio si trovavano l'onfalo, il tripode, le 2 aquile, il sarcofago di Dioniso e il chasma nel quale veniva a gorgogliare l'acqua della Cassotis (53). Di tutto ciò nulla è stato trovato, tranne la parte superiore d'un onfalo di tufo, ora al Museo. Il tempio fu eretto dopo il terremoto del 373 sugli avanzi del tempio degli Alcmeonidi (anno 536 segg.; le sculture dei frontoni sono al Museo), il quale però era stato preceduto dal tempio di Trofonio e Agamede, e da un altro ancora più antico, tipo Orcomeno. Nessuna traccia abbiamo dei frontoni descritti da Pausania. Il muro che protegge a nord la via Sacra è il famoso Ischegaon (355 a. C.). All'angolo nord-ovest fu trovato l'Auriga in bronzo, già ex-voto di Polizalo, salvatosi dalla distruzione solo perché travolto e seppellito dal terremoto del 373; lì presso è l'esedra di Cratero (54) dove si trovava il gruppo in bronzo, opera di Lisippo e Leocare, con Alessandro in lotta col leone. Di qui una scala porta al piano del teatro costituito da 35 gradini con circa 5000 posti, costruito nel sec. IV restaurato in varie riprese. L'orchestra fu ornata in epoca romana da rilievi con le fatiche di Ercole, ora al Museo. A est del teatro è la Cassotis (53); venti metri più in là si addossava al muro di cinta la Lesche degli Cnidî con peristilio interno già decorato da Polignoto dopo il 450.

La città, che si stendeva attorno al temenos, non presenta finora alcun dato interessante; notevoli le tombe nei fianchi della collina, e la zona delle aie, dove si radunavano nel sec. IV le assemblee anfizioniche; più su, il bello stadio, abbastanza ben conservato, con 12 gradini a nord e 6 a sud.

Arte. - Se è notevole l'interesse architettonico dei molti edifici delfici, come i tesori di Cnido e di Sifno, l'edicola di Marmarià, il tesoro degli Ateniesi, e l'elegantissima tholos di Marmarià, addirittura capitale è il contributo che gli scavi hanno dato alla storia della plastica in tutte le epoche. I due kouroi di Polimede da Argo e le metope di Sicione per il gruppo peloponnesiaco; la sfinge dei Nassî, le cariatidi di Cnido e di Sifno, il frontone e il fregio dei Sifnî per le scuole artistiche delle isole; i resti del frontone del grande tempio degli Alcmeonidi per il gruppo attico: tutta questa serie di monumenti costituiscono forse il nucleo piu̇ vivace e rappresentativo della scultura del sec. VI. Per il sec. V Delfi offre le metope del tesoro degli Ateniesi, ciascuna con due personaggi; l'Auriga in bronzo, la Nike del tempio di Atena Pronaia; alla fine del secolo vanno datati forse i rilievi delle metope della tholos, e le tre danzatrici della colonna, riferite ad Alcamene o a Callimaco, l'inventore, secondo la tradizione, del capitello corinzio. Le statue del gruppo di Daochos sono magnifici esemplari dell'arte del sec. IV e dell'influenza lisippea. E per i secoli seguenti basti il ricordo di un ritratto di principe del sec. III, del rilievo di Pidna (sec. II); e, per l'epoca romana, dell'altare di Marmarià, dei rilievi del teatro, della statua di Antinoo.

V. tavv. CXXXVII e CXXXVIII.

Bibl.: Relazioni particolareggiate degli scavi, in Fouilles de Delphes, Parigi 1910 segg.; per l'arte: Ch. Picard, P. de La Coste-Messelière, La sculpture grecque à Delphes, Parigi 1927; per le iscrizioni: H. Pomtow, Tituli Delphici, Lipsia 1905-1912; v. anche Fr. Poulsen, Delphi, Londra s.a., ecc.

L'oracolo.

L'essenza religiosa di Delfi è legata al luogo ed è indipendente dalle personalità divine che le vicende etniche hanno posto a contatto col luogo stesso. Delfi, pertanto, offre la speciale storia religiosa, non di un'idea o di un dio migrante, ma di un attorno al quale sono passate generazioni e ondate migratorie, ciascuna delle quali, accogliendo per necessità gli elementi trovati e fattili proprî, ha a sua volta lasciato alle successive qualcosa di suo. Il "luogo" religioso di Delfi era costituito da una fessura nella roccia, entro la quale originariamente pareva si udisse un gorgoglio di acque ottenuto artificialmente in epoca posteriore, come è documentato, per mezzo di un ruscello; da un albero, forse senz'altro un lauro, il quale ombreggiava la voragine; da tre fonti (Castalia, Cassotis, Delfusa) nelle vicinanze. La selvaggia asperità del luogo completava e coloriva, come imponente scenario, il quadro religioso.

Conformemente al carattere storico, proprio del più antico stadio religioso della Grecia, Delfi appare all'alba della storia come oracolo di Gea-Terra (e poi Themis), della quale la voragine è la bocca, e il sacro antichissimo betilo, l' , è l'ombelico; da quella bocca escono assieme responsi e fantasmi, o "sogni". Contemporaneamente tre Ninfe, le Thriai, che nella tradizione insegneranno poi ad Apollo l'arte mantica fondata sul suono dei ciottoli rotolanti (Hymn. in Herm., v. 552) impersoneranno bene le tre fonti. Infine con le Ninfe-Fonti e con la Dea delle nascite e delle morti, era ben religiosamente collegato il culto del serpente-anima. Il mostro Python è certamente preapollineo, anche se compare sulla scena delfica soltanto all'avvento di Apollo; nel più antico stadio da noi ricostruibile Delfi fu pertanto sede di oracoli per incubazione.

Un secondo stadio è rappresentato da un'oscura e incerta signoria di Posidone. Posidone, in seguito confinato al puro elemento liquido (mare e fonti), ma originariamente un possente dio fondamentalmente ctonio, anzi addirittura infero, in relazione alla concezione transoceanica dell'al di là, è forse in sostanza assai più vicino a Gea di quanto la tarda teologia soglia dare l'idea. Così l'appellativo di Delphinios, comune a Posidone e Apollo (e da Delphinios deriverà Delphi, non viceversa: cfr. P. Kretschmer, Einleitung in d. Gesch. d. griech. Sprache, 420), è probabilmente antecedente all'uno e all'altro e costituisce la nota fondamentale di un culto costiero, di cui i due nomi divini non sono che i casuali e contingenti predicati. E intanto con Posidone la pietrabetilo ovoide, già nello stadio geico pensata e interpretata come l'ombelico di Gea (senza pregiudizio di altri significati ancora più antichi, che noi ignoriamo) assume facilmente l'esegesi della pietra fasciata imbandita da Gea-Rea a Crono e da questi vomitata: è il primo lineamento "olimpico" che si registra nel religioso di Delfi. Così le gerarchie divine, o, meglio, le generazioni umane che le creano, vivificano e interpretano i fatti religiosi preesistenti e da loro indipendenti. E la sacra leggenda narrerà che a sua volta Posidone pur mantenendo un'ara e un culto, si sia ritirato al Tenaro, lasciando libero campo ad Apollo.

Ma a Delfi si conservava anche la tomba di Dioniso e si celebravano anche feste novennali e triennali in onore di lui. Come e quando Dioniso si sia inserito nell'ambiente delfico è tanto difficile a dire specificatamente quanto logico e facile immaginare. Infatti la via d'ingresso di Dioniso deve essersi svolta, da un lato attraverso le infiltrazioni tracie di cui è traccia nei nomi di Tamyris e di Philammon in Delfi stessa, e in quello dei Thraikidai, custodi del tempio (Diodoro XVI, 24); e infine nella vicinanza delle ninfe poetiche dell'Elicona sede di nascita di Dioniso. Possono anche avere influito i culti demetriaci dell'Ellade tipo quello di Titorea e di Eleusi. La somma delle tradizioni circa l'avvento di Apollo addita un incontro e un accordo tra un culto apollineo cretese-ionico stabilito a Crisa (ma l'elemento cretese potrebbe essere stato etiologicamente dedotto dal nome Κρῖσα-Κρῆσσα) e un'ondata di popolazioni doriche discesa al mare dall'interno.

L'elemento criseo creò la leggenda di Apollo-delfino che guida la nave, l'elemento continentale foggiò un Apollo discendente dall'Olimpo e indotto da una ninfa a fermarsi nel sacro luogo. La teologia poi ravviva di smaglianti colori la nuova combinazione: Apollo arciero, dopo breve lotta, uccide il mostro di Gea, supera gli estremi tentativi di resistenza da parte di essa, ma deve sottostare alla comune legge degli omicidi; e la pompa novennale che da Tempe in Tessaglia moveva verso Delfi fu messa in relazione appunto con la purificazione di Apollo in seguito alla pitoctonia. Apollo diventa così il "dio di Delfi", ma a significare la minore importanza del nome rispetto al τόπος, egli deve ammettere e armonizzare attorno a sé, per simboli, se non in effettiva presenza, tutti gli elementi religiosi del passato. La pietra di Rea fasciata dalla rete - tomba del Python - l'altare e le feste di Posidone; la tomba, le feste e le caratteristiche mantiche di Dioniso col quale è diviso l'impero nel corso dell'anno; i Deucalionidi, attraverso Prometeo, discendenti anch'essi da Gea, residuo quindi del periodo geico, ai quali era devoluto il sacerdozio, del resto non troppo chiaro né importante, dei cinque ὅσιοι; i Driopi, antichi abitanti locali vinti e assoggettati; i già citati Thraikidai; e le Ninfe; e infine i più svariati generi mantici delle antichissime epoche: oneiromanzia (propria di Gea), interpretazione di voci e di suoni ( dell'eco, dei venti, dei ciottoli), auspici (aquile e Omfalo), empiromanzia (segni dedotti dal fuoco sugli altari), divinazione con le sortes (dadi, onde le frasi tecniche restate nell'uso ανεῖλεν ἐξέπεσε), alfitomanzia. Anche il tripode, che taluno vorrebbe forse connettere con il solo Apollo, è certamente più antico, giacché nelle forme mantiche della empiromanzia esso tripode funzionava evidentemente da braciere.

Apollo pertanto non avrebbe lasciato di suo alcuna impronta all'infuori del fatto dell'impero, se l'alleanza con Dioniso non gli avesse fornito un nuovo elemento determinativo di mantica, la μανία, l'estasi, propria del culto orgiastico dionisiaco; alleanza tanto più stretta in quanto, essendo, come abbiamo visto, Dioniso una specie di prestanome che velava l'effettivo sussistere del culto topico iniziale di Gea, solo in questa maniera Apollo, stornando col farli suoi i possibili e inevitabili riaffioramenti dei culti ctonî, si assicurava florida e tranquilla esistenza.

Era necessaria la presenza di Apollo per il funzionamento del culto; anzi in origine gli oracoli venivano forse impartiti una volta sola l'anno il 7 del mese di bisio, il giorno cioè dell'Epifania. Ma anche la sacra leggenda del soggiorno invernale di Apollo negli Iperborei, e il pianto alla sua ἀποδημία e il peana al suo ritorno primaverile dimostrano l'adattamento, eseguito dalla teologia sulla persona stessa di Apollo, a credenze puramente ctonie a lui estranee. Con Apollo gli altri elementi mantici cedono il passo al nuovo fenomeno psicologico della giovinetta in deliquio: la Pizia.

Per la prassi generale di un oracolo, v. oracolo; per Delfi, nel periodo Apollineo, che è quello che coincide con l'epoca classica, la Pizia si asside sul tripode posto sopra la fessura della roccia, nella quale l'acqua della fonte Cassotis si perde per un rivoletto artificiale. La Pizia, scelta da tutte le donne delfiche, è giovane, per riflesso di Apollo, e vergine; solo quando Echecrate tessalo rapì una Pizia, furono elette per un certo tempo Pizie oltre la cinquantina. Una sola Pizia in origine; poi due, più una supplente, nel periodo storico più florido; infine, al tempo di Plutarco, solo una. I suoni e i movimenti della Pizia assisa sul tripode erano raccolti con ogni verosimiglianza dai profeti (προϕῆται) e, quindi, passati nelle mani dei sacerdoti (ἱερεῖς), due eletti a vita, i quali, conoscendo gli antefatti, la mentalità, il grado e le facoltà del richiedente, componevano il χρησμός, con maggiore o minore chiarezza a seconda della natura della domanda. Ma su questo argomento, le bizzarrie e il partito preso dei posteri hanno abbuiato e alterato i contorni di un fatto religioso assai semplice. Il Greco, individuo e ente politico, non suole procedere ad alcun atto senza l'aiuto indicatore della divinità; ma questo segno indicatore altro non è che un augurio, una buona parola che dia forza e persuasione all'azione.

Nella pluralità dei casi e degli oracoli la risposta era certo con precisione stabilita secondo determinate tabelle, certamente scritte, che il fedele stesso, o il sacerdote per lui, consultavano, in base a un determinato fatto mantico. Noi possediamo parecchie tarde redazioni greche, anche epigrafiche, di queste, o simili tabelle (p. e. Astrampsychos e altri). Ora, nel caso di Delfi, si ebbero due complicazioni che velavano un poco il nudo fatto empirico:1. l'elemento mantico nella sua forma particolare; 2. la speciale richiesta mantica che dai fatti domestici più comuni assurgeva spesso a importanza politica cittadina e panellenica. Ma la veste più splendida non può agli occhi della critica celare l'identità del fenomeno, umanissimo fenomeno; e anche nel caso di Delfi, del resto, i tardi trattati greci περὶ παλμῶν, per cui al movimento delle singole parti del corpo può essere annesso un dato significato, indicano la genesi logica dell'interpretazione mantica della mania.

A lato dei sacerdoti, ma fuori dell'organizzazione ufficiale del tempio, erano a Delfi (come in ogni altro oracolo) degli esegeti autorizzati (ἐξηγηταί) che interpretavano il responso ai richiedenti. Facevano invece parte del tempio, alla dipendenza dei sacerdoti, un προστάτης, addetto forse a incombenze materiali o vittuarie, e il νεωκόρος forse a vita (forse lo stesso che lo ἰερὸς παῖς τοῦ Πυϑίου in un'iscr. Bulletin de Corresp. hellén., 1896, 719), di cui la più viva immagine è lo Ione di Euripide. La citata epigrafe ricorda anche un πρέσβυς τῶν ὁσίων e dei misteriosi ἀργηΐδες. Di altre cariche prevalentemente politiche sarà detto oltre.

La consultazione si verificava quando, previo accurato esame delle prescritte prove, il dio fosse disposto a rispondere: è evidente che in queste prove preliminari si nascondevano gli esperimenti mantici preapollinei. Plutarco parla di regola di una consultazione al mese (Q. Gr. 9), quindi nove volte l'anno; ma può darsi che in questo giorno si svolgesse il χρηστήριον κοιξόν di Euripide (Ion, 4.20), e che poi i singoli personaggi potessero gli altri giorni egualmente consultare. La sorte determinava l'ordine di consultazione; ma chi era insignito della προμαντεία, nella spiegazione tradizionale avrebbe avuto la precedenza. Sennonché questa spiegazione è certamente errata; il πρό non è di precedenza come non lo è nella citata πρόμαντις "sacerdotessa", di Gea; il vero significato di προμαντεία si ricava dal fatto che solo i Greci, e in origine solo gli appartenenti al sistema politico che aveva in suo potere il τόπος potevano accedervi; l'oracolo in sé è sempre un'arma preziosa e gelosa; gli altri, dovevano presentarsi con l'intermediario di un delfico, o dovevano essere insigniti della προμαντεία, del diritto cioè di consultare l'oracolo direttamente senza intermediarî. Prima di entrare nel tempio si faceva un esperimento sacro su un animale (capra, pecora, toro, cinghiale); se i segni erano favorevoli, la Pizia, fatte rituali abluzioni nell'acqua di Castalia o Cassotis o con suffumigi, penetrava nella cella, vestiva un costume teatrale, beveva l'acqua della Cassotis, e sedeva sul tripode con una foglia di lauro in bocca e un ramoscello in mano. I consultanti, donne escluse, chiedevano a voce o per iscritto; la risposta, se il consultante era un delegato, veniva data suggellata; e, se si trattava di ambasciatori ufficiali (ϑεωροὶ) veniva portata negli archivî cittadini e là gelosamente custodita. Sparta, Atene, Argo avevano di tali raccolte.

Legato a un τόπος d'indiscutibile valore religioso tradizionale, Delfi era destinato a costituire un prezioso pegno e una possente arma nelle mani di chiunque possedesse politicamente la regione. L'acuirsi delle varie forme di vita politica produce naturalmente sull'oracolo che ai relativi popoli appartiene un aumento di lavoro e di mansioni. A lato della comune attività, domestica e religiosa, circa la prole o le messi, o i viaggi, o i sacrifici da farsi; le lotte fra Greci e barbari, fra tirannia e democrazia, il movimento colonizzatore dei secoli IX e VIII a. C. hanno dato un'impronta speciale all'attività delfica nel corrispondente periodo. Per quanto possa dirsi che Delfi, depositario della morale consuetudinaria, abbia tendenzialmente avversato le esagerazioni così della tirannide come della democrazia, non può in questo campo tracciarsi una norma fissa circa la sua condotta, troppe volte influenzata da paura forse e da altre contingenze; se Pisistrato, Policrate samio, Lygdamis nassio sono nemici per Delfi, sono invece amici Periandro e Falaride. Neppure troppo chiara è la condotta di fronte ai Persiani. Profonda e rettilinea, anche nei riflessi politici, fu invece l'azione delfica nell'esercizio delle due principali attribuzioni del nume titolare: fondazioni e purificazioni. I coloni sono sempre indirizzati o accompagnati dalla parola di Apollo che ne sorveglia anche lo sviluppo nelle nuove sedi: valga come tipo di κτίσις mantica quella notissima di Cirene narrata da Erodoto (IV, 150 segg.; 161). Le colonie d'altro canto sono tenute a una decima da pagarsi all'archegeta. Immensa è l'attività catartica di Delfi, dal noto caso di Oreste alla recente Lex cathartica cirenaica. Rami secondarî di azione delfica sono quelli relativi all'istituzione di culti eroici, alla sanzione di alcune costituzioni (p. e., Licurgo a Sparta), a una determinazione generale del calendario religioso dei Greci e infine al diritto di asilo e all'emancipazione degli schiavi, liberati sotto forma di vendita al tempio, di cui è satura l'epigrafia delfica.

Valga del resto come cautela generale che là dove noi troviamo istituirsi un Pythion, un santuario, o un sacerdozio connesso nominalmente con Delfi, non sempre dobbiamo pensare a filiazioni centrifughe; il più delle volte si tratta di creazioni locali che prendono quei nomi solo allo scopo di esercitare una concorrenza. Così deve considerarsi il Pythion di Pisistrato e gli esegeti πυϑόχρηστοι in Atene, che noi conosciamo dalle tarde iscrizioni pitaistiche trovate a Delfi (Fouilles de Delphes, III).

Le Termopile (la località di Antela propriamente) da tempo immemorabile erano un luogo sacro per comuni sacrifici annuali cui partecipavano i popoli circonvicini, o ἀμϕικτίονες, onde anfizionia (v.). Nel sec. VIII Pito-Delfi, collegata strettamente con Crisa, aumenta talmente di rinomanza da attrarre nel suo ambito la sede sociale dell'anfizionia, le cui adunanze continuano a chiamarsi Pilee. Vi partecipavano Ioni, Dolopi, Tessalli, Eniani, Magneti, Malî, Ftioti, Dori, Focesi, Locresi, Beoti, Perrebi; ciascuno con due delegati o ieromnemoni assistiti da πυλαγόραι. Si radunava due volte l'anno; i componenti, pur politicamente indipendenti, erano tenuti a non offendersi tra di loro contro il diritto delle genti e a punire socialmente chiunque arrecasse danno al tempio di Apollo. E facile compito dei sacerdoti fu di compilare, a questo proposito, edificanti annali retrospettivi con le liste degli attentatori a Delfi, tutti esemplarmente puniti. Divenuto pertanto centro di un ente politico, si iniziava così nel sec. VIII la nuova vita di Delfi.

Ma di fronte al trasferimento.dell'anfizionia, Crisa perde molto del suo potere sull'oracolo, che aiuta apertamente gli Spartani contro i Messenî. I Crisei fanno sentire il peso della loro favorevole posizione taglieggiando i pellegrini che si recavano a Delfi, e ciò contro gli espliciti decreti degli anfizioni. Costoro dichiararono la guerra (prima guerra sacra) a Crisa. I Tessali con Euriloco, gli Ateniesi con Solone e Alcmeone, i Sicionî con Clistene, per terra e per mare conducono spietatamente la guerra fino alla distruzione di Crisa, 590-589 a. C. Il porto viene colmato, e l'agro dichiarato incoltivabile come maledetto, Euriloco celebra i giuochi pitici, che d'ora in poi saranno nelle mani degli anfizioni, nel terzo anno delle olimpiadi; la prima pitiade decorre dal 586 e comprende oltre all'antico certame poetico della festa novennale anche gare ginniche ed equestri; Delfi dopo la guerra si trova in piena influenza tessala. Verso la metà del sec. VI vengono innalzati i ϑησαυροί di Sicione; nel 556 Creso (e prima di lui Mida, Gige, e Aliatte) manda ambasciatori sacri a Delfi e ne riceve speciali onorifici privilegi.

Nel 548-7 brucia l'antichissimo tempio di Trofonio e Agamede. Gli Alcmeonidi, nobili ateniesi esuli da Atene e nemici acerrimi di Pisistrato, intraprendono a proprie spese la ricostruzione, architetto Spintharos corinzio. Pisistrato, poco dopo, per combattere l'attività delfica, innalza un Pythion ad Atene e istituisce le Panatenee negli stessi anni delle Pizie. Ma nel 510 Delfi aiuta gli Alcmeonidi a rientrare in Atene, donde l'intervento dello spartano Cleomene ha fatto fuggire i Pisistratidi. L'oracolo interviene nella riforma ateniese di Clistene, scegliendo i 10 archegeti eponimi delle tribù.

Cominciano le prime lotte tra Persiani e Greci; l'oracolo dimostra poco patriottismo negli episodî dei Branchidi, di Mileto, di Cnido. Nonostante che gli Ateniesi abbiano dedicato a Delfi come decima di Maratona un gruppo di statue, all'appressarsi di Serse la Pizia scoraggia gli ambasciatori ateniesi; e, solo dopo l'intervento del delfico Timone, indica il famoso riparo di legno (Erodoto, VII, 141); mentre agli Argivi, Corciresi e Cretesi essa ordina di non unirsi all'esercito nazionale. Ma dopo Platea, passato il pericolo, Delfi riprende coraggio: la Pizia ordina che tutti i fuochi siano spenti e riaccesi poi con una novella fiamma portata da Delfi. È famoso il tripode sorretto dal serpente a tre teste dedicato dai Greci, poi trasportato a Costantinopoli, dove si trova tuttora sulla piazza dell'Ippodromo. Fra i varî doni fatti in quest'epoca (una lista in Pauly-Wissowa, Real-Encykl., IV, p. 2555) si ricordi il recuperato Auriga di Delfi, in bronzo, dedicato dai Dinomenidi. Dopo la battaglia di Oinophyta gli Ateniesi diventano arbitri della Focide; i Focesi dal canto loro tentano di riprendere l'antica direzione dell'oracolo. Delfi chiama in soccorso gli Spartani che sottraggono l'oracolo ai Focesi e ottengono la promanteia (a. 448); ma tosto Pericle interviene e ridà il tempio ai Focesi (II guerra sacra). Ma dopo Coronea (447) l'oracolo torna ad essere ostile agli Ateniesi, che per tutta risposta rendono ancora più importanti e sontuose le Panatenee. Delfi non prende parte alla fondazione di Turii, e al principio della guerra del Peloponneso augura la vittoria agli Spartani. La pace di Nicia (421) consacra l'autonomia e autodichia di Delfi. Nel periodo di Alcibiade sono visibili tracce di politica delfica da parte degli Ateniesi, ed Euripide nello Ione insiste nel collegamento Atene-Delfi. Dopo Egospotami predomina l'influenza spartana.

Col sec. IV le notizie sulla vita intima di Delfi si accrescono per i trovamenti epigrafici. In attesa della completa pubblicazione delle Fouilles de Delphes, è merito speciale del Bourguet di aver gettato un profondo sguardo nella costituzione delfica dalla metà del sec. IV in poi; da quest'epoca è possibile stabilire una lista degli arconti eponimi esistenti certamente anche prima (cfr. Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, 2589 segg.). E presso l'arconte troviamo gli ieromnemoni, quindi la βουλά o senato con una giunta esecutiva di 15 uomini per semestre e un γραμματεύς. Seguivano otto πρυτάνεις annuali con mansioni amministrative; mansioni analoghe avevano i πωλητῆρες τᾶν δεκατᾶν. Dopo il 373, e precisamente dal 369 in poi, sono nominati i ναοποιοί a vita, addetti alla ricostruzione del tempio nuovamente andato distrutto circa il 373. All'inizio del sec. IV appartiene anche la famosa iscrizione dei Labiadi, importante perché ci offre l'intima composizione di una gens delfica coi suoi culti, le sue feste, le sue leggi funerarie. È di quest'epoca il primo contatto di Roma con D.; i Romani, presa Veio, mandano un vaso aureo nel Tesoro dei Massalioti.

Giasone di Fere tentò di prendere la direzione delle Pizie del 370; ma fu tosto ucciso. Ai Tessali sono intanto subentrati i Tebani con Epaminonda nella preponderanza su Delfi; scoppia poco dopo la III guerra sacra, sempre per l'uso del suolo di Cirra fatto dai Focesi. Filomelo e Onomarco, focesi, prendono d'assalto Delfi e se ne appropriano i tesori. Tessali e Tebani, alleati, non riuscendo a definire la lotta, chiamano Filippo che vince i Focesi e si aggiudica i due voti di essi nell'anfizionia. Prosegue intanto la costruzione del tempio, mentre compaiono le monete con la leggenda ΑΜΦΙΚΤΙΟΝΩΝ (la prima monetazione delfica risale al 250 a. C.; Bulletin de Corr. hell., 1896,11 segg.).

Comincia l'era tessalo-macedonica di Delfi, come le prossenie rivelano; la Pizia ϕιλιππίζει; la quarta guerra sacra, dichiarata contro Anfissa nel 339 è occasione a Filippo d'un nuovo intervento; con Cheronea (a. 338) comincia il periodo della preponderanza macedonica. L'anfizionia delfica, riordinata da Filippo, constava di 24 ieromnemoni (Tessali, Filippo, Delfi, Dori, Perrebi-Dolopi, Ioni, Beoti, Locresi, Achei [Ftioti], Magneti, Eniani [Etei], Malî).

Dal 290 al 189 si stabilisce la preponderanza etolica, e nel 279 gli Etoli menano gran vanto di aver respinto in mezzo a un poetico quadro di miracoli (neve, tempeste, terremoti, pietre rotolanti, apparizioni) l'incursione dei Galli. In memoria del fatto vengono fondate le Soterie, secondo il Beloch nel 261-256. Interessanti sono le vicende dell'anfizionia durante il periodo etolico: infatti il re dei Macedoni sparisce, e i voti etolici variano da 2 a 14, ma non come Etoli veri e propri, bensì delle varie città aderenti alla lega; soltanto gli ieromnemoni sono generalmente nativi di città etoliche. Nelle iscrizioni delle Soterie compaiono nove ieromnemoni; più tardi, nel 220, quando gli Etoli hanno occupato la Ftiotide, si hanno quattordici delegati etolici. È nel terzo secolo che cessano, pare, gli oracoli, in esametri; più verosimilmente prosa ed esametri sono sempre coesistiti. Notevole, circa il 206, l'oracolo di fondazione del culto di Artemide Leucofriene a Magnesia cui è concesso anche un voto di ieromnemone. Nel 216 i Romani, dopo Canne, avevano mandato a consultare l'oracolo Fabio Pittore; inviano doni dopo il Metauro; nel 205 vengono per la pietra della Gran Madre di Pessinunte e l'oracolo li rinvia ad Attalo che ubbidisce a Delfi.

Nella costituzione interna di D. si noti che col 201 cominciano gli atti di emancipazione e la successione dei due sacerdoti. Dopo il 92 cessa la divisione per semestre per i buleuti e sparisce il γραμματεύς; più tardi i buleuti discendono a quattro, tre e due.

La preponderanza romana può dirsi incominci il 191 dopo la sconfitta di Antioco alle Termopile. Nello stesso anno Manio Acilio Glabrione aveva delimitato il territorio di Delfi, e un senato-consulto ne aveva deliberato l'indipendenza. Nel 168 Emilio Paolo fa erigere la sua statua sul pilastro che Perseo aveva innalzato per la propria. Sono di questo tempo i doni della dinastia pergamena a Delfi per l'incoraggiamento della cultura, e la fondazione del sacrificio detto 'Ατταλεῖα. Nel 109 nuove minacce dei Galli frustrate da Minucio Rufo. Silla saccheggia il tempio; nuovo incendio dell'anno 83 circa. Comincia la decadenza; cessano anche i decreti di emancipazione. Cicerone interroga l'oracolo circa il 79-77 a. C. Augusto dopo Azio, ripristina l'anfizionia con 30 voti; Nerone dona 100 mila denari per il tempio, che d'altra parte aveva fatto saccheggiare. Tito è arconte eponimo nel 79; sotto Traiano, C. Avidio Nigrino regola alcune questioni di confine con Anfissa e altre città. Plutarco è sacerdote a vita di Delfi. Adriano parifica i voti dei varî popoli anfizionici in modo da fare una lega panellenica; è due volte arconte eponimo di Delfi che visita nel 126 e 129, quest'ultima volta con Antinoo. Al tempo di Pausania, nonostante i saccheggi e le rovine, il tempio funziona ancora regolarmente. S. Cipriano (200-257 d. C.) dice di aver visto ancora il dramma della pitoctonia. È dell'epoca di Giuliano l'oracolo riportato dal bizantino Cedreno in cui Apollo riconosce di "non aver più grotta, più lauro, più fontana fatidica". Con la morte di Giuliano il paganesimo si può dire chiuso, anche prima dell'editto di Teodosio.

Bibl.: Opere generali: A. Bouché-Leclercq, Histoire de la divination, Parigi 1879-81, III, p. 39 segg.; H. Pomtow e F. Hiller v. Gaertringen, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, col. 2517 segg.; O. Gruppe, Griechische Mythologie, p. 100 segg.; K. J. Beloch, Griech. Geschichte, passim. Le iscrizioni nelle Fouilles de Delphes, III; H. Collitz-F. Bechtel, Sammlung der griechischen Dialektinschriften, II, Gottinga 1891-99. E. Bourguet, l'administration financière du sanctuaire pythique au IVe siècle avant J. C., Parigi 1905; De rebus delphicis imperatoriae aetatis, Montpellier 1905; A. J. Reinach, L'Étolie sur les trophes gaulois de Kallion, in Journal international d'archéologie numismatique, 1911, p. 177 segg.; E. Reisch, De musicis graecorum certaminibus, Vienna 1885, p. 87 segg.; R. Flacelière, Remarques sur les Soteria de Delphes, in Bull. de Correspondance Hellénique, LII (1928), p. 256 segg.; id., Recueil des listes amphictioniques, etc., ibid., LIII (1929), p. 430 segg.

Tra le fonti greche superstiti, indispensabili i tre opuscoli delfici di Plutarco (De Pythiae oraculis, de E apud Delphos, de defectu oraculorum), e il decimo libro di Pausania.

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