Cucina

Universo del Corpo (1999)

Cucina

Eva Barlösius e Anna Laura Palazzo

Il termine cucina, che deriva dal latino coquere, "cuocere", ha, come i suoi corrispettivi in molte lingue europee, un duplice significato: indica da un lato l'ambiente dove si cuociono i cibi, dall'altro l'attività attraverso cui le materie prime alimentari vengono elaborate e trasformate in vivande. La centralità del bisogno fisiologico di nutrirsi fa sì che le tecniche e usanze relative alla preparazione e consumazione dei cibi nelle varie epoche storiche e parti del mondo costituiscano un capitolo importante della cultura umana, nel quale si intrecciano aspetti simbolici, sociali e tecnologici.

La prospettiva sociologica

di Eva Barlösius

l. La cucina come fenomeno socioculturale

Mentre gli animali, in larga misura, sanno per istinto di che cosa devono nutrirsi, gli uomini non si limitano ad assumere cibo ma appagano i loro bisogni alimentari secondo norme sociali e culturali. È appunto questo l'elemento distintivo dell'alimentazione umana rispetto a quella animale. Tale differenza emerge con evidenza se si considerano tre aspetti: gli uomini scelgono quali piante e animali sono commestibili e accettabili come sostanze nutritive secondo criteri culturali (per es., nei paesi europei gli insetti non sono ritenuti commestibili, mentre lo sono in quelli africani); inoltre trasformano gli alimenti in pietanze, utilizzando a tale scopo tecniche culinarie come la preparazione e la cottura; infine elaborano modalità comportamentali per la consumazione dei cibi, come le buone maniere a tavola, attribuendo al mangiare e al bere una funzione sociale fondata su un codice di regole relativamente stabile. Al pari degli altri fenomeni socioculturali, anche la cucina si caratterizza per una grande varietà di forme; esistono perciò non una ma innumerevoli cucine, praticate in ambiti specifici. La distinzione tra di esse si attua sostanzialmente su tre livelli: vi sono cucine che si riferiscono ad aree geografiche coincidenti per lo più con quelle etniche, come le cucine regionali e nazionali; cucine che si basano su differenze e disuguaglianze sociali, come quelle aristocratica, borghese, contadina e proletaria; cucine che servono a solennizzare eventi collettivi e individuali, come la cucina dei giorni di festa. Le diverse forme non sono statiche ma conoscono, nel corso della storia, uno sviluppo connesso ai mutamenti politici, sociali ed economici; così le cucine 'nazionali' sono nate quando si è avviato il processo di formazione dello Stato nazionale, ma non rappresentano affatto, come sembra suggerire la denominazione, tutte le cucine presenti in un determinato contesto geopolitico, bensì lo stile culinario della classe dominante all'epoca della fondazione dello Stato stesso, per es. quello della nobiltà urbana in Francia o della gentry in Inghilterra. Dal punto di vista sociologico, le cucine nazionali sono all'origine di fenomeni di unificazione e di differenziazione culturale nei confronti dell'esterno: proprio in quanto rispondenti a un bisogno primario, su di esse, più che su altre manifestazioni, si fa leva per destare sentimenti di superiorità culturale e di svalutazione delle pratiche culinarie altrui. Esse inducono cioè due processi: l'uno volto a creare un'identità culturale collettiva, l'altro ad affermare differenziazioni sociali ed etniche. Questo aspetto emerge con evidenza considerando le definizioni negative spesso usate per le cucine nazionali diverse dalla propria e che si traducono in espressioni del tipo 'mangiatori di spaghetti'. A essere caratterizzate sono non le cucine, ma le persone, e ciò è indicativo di come la cucina costituisca un mezzo per sottolineare peculiarità e separazioni.

2.

Aspetti comuni e differenze

Nell'ambito dell'attività culinaria si possono schematicamente individuare alcune caratteristiche generali che accomunano le varie cucine, nonostante le differenze culturali. Il primo elemento di connessione consiste nell'impiego, da parte della maggioranza delle cucine, di una sola sostanza vegetale contenente amido (talvolta di due). Le sostanze più diffuse sono le patate e i diversi tipi di cereali (riso, mais, grano, orzo, miglio e segale), che dal punto di vista fisiologico-nutritivo sono di fondamentale importanza in quanto forniscono un alto contenuto energetico e concorrono in modo essenziale a soddisfare il fabbisogno proteico. Tali sostanze ricche di amido devono essere cotte per diventare più digeribili, ma ciò non ne modifica le proprietà nutritive. La maniera in cui vengono trattate e le pietanze che se ne ricavano sono però oggetto di elaborazione culturale, ed è questo aspetto che determina i diversi tipi di cucine. Una seconda generalizzazione si fonda sul fatto che, non possedendo tali sostanze vegetali un sapore spiccato, è necessario renderle sapide con ingredienti diversi, quali spezie, erbe, foglie, salse ecc., che conferiscono a ogni cucina il gusto tipico. Per es., per la cucina indiana l'ingrediente base è il curry, per quella ungherese il peperoncino, per quella italiana importanti prodotti aromatizzanti sono i pomodori, le olive e il basilico.

Un terzo elemento comune si può ravvisare nel fatto che alla sostanza vegetale base si affiancano altri componenti alimentari, principalmente verdure, latticini e carne. Il loro maggiore o minore pregio è indizio dell'origine sociale di una cucina: in quelle ricche la sostanza vegetale base è sostituita da maggiori quantità di carne e altri prodotti costosi. La stessa tendenza è osservabile nelle società del benessere, in cui, a partire dalla metà del 19° secolo, si è notevolmente ridotto il consumo di patate e di cereali, mentre è nettamente cresciuto quello di carne, verdure, latticini e frutta. In situazioni di crisi si assiste a un'inversione di tendenza: si rinuncia anzitutto alla carne, poi ad altri prodotti costosi, mentre aumenta fortemente il consumo della sostanza base. Se necessario, si introducono ulteriori limitazioni nell'uso dei prodotti aromatizzanti, sostituendo spezie o ingredienti pregiati con altri più a buon mercato. Ma anche in tempi di carestia è molto raro che si arrivi a rimpiazzare l'alimento base, per es. il riso con i cereali. Ciò non avviene neppure se il secondo alimento è meno costoso e disponibile in grandi quantità, perché tale sostituzione porterebbe allo snaturamento dell'intera cucina: sarebbero infatti ignorate le tecniche di cottura e le ricette, con conseguente alterazione dei sapori abituali. Smarrita la propria specificità culturale, modificate radicalmente le procedure, il mangiare e il bere si ridurrebbero a un mero sostentamento fisico. Riguardo agli elementi di differenziazione fra le cucine, se ne possono indicare soprattutto due. Esistono diversità fra le cucine dei vari continenti, per es. tra quella europea e asiatica, riconducibili principalmente a dati biologici, climatici, geografici e ad altri fattori naturali; questi aspetti determinano anche le varietà regionali. Le differenze che si riscontrano tra aree climatiche e geografiche simili o assimilabili derivano, invece, non tanto dalle materie prime disponibili quanto dalla loro diversa distribuzione sociale. Le cucine per dispiegare le proprie potenzialità necessitano di condizioni materiali favorevoli: di norma, la cucina povera non è stata in grado di sperimentare ricette e modi di cottura, non tanto per ossequio alla tradizione quanto per mancanza di mezzi; nelle cucine aristocratiche e borghesi che possedevano in abbondanza materie prime, tempo e una complessa tecnica culinaria, le ricette e i modi di preparazione potevano invece essere affinati e moltiplicati. Le specificità culturali di una cucina sono perciò sempre interpretabili alla luce dell'articolazione e stratificazione sociale, che rappresenta un fenomeno tutt'altro che marginale, in quanto condiziona le tecniche di preparazione e la scelta degli ingredienti. Le ricette riflettono, così, l'ambito culturale e sociale di una cucina, la gamma delle conoscenze ed esperienze nel campo, registrando il numero degli ingredienti usati, la tecnica culinaria impiegata, il tempo di preparazione investito; si può dedurre la ricchezza di una cucina anche dal numero delle parti commestibili oggetto di scarto. Dalle ricette, siano esse state tramandate per via orale o scritta, per es. in libri di cucina per famiglie o in manuali per maîtres, oppure immagazzinate nei computer delle grandi catene alimentari, è sempre possibile trarre la lista degli ingredienti e l'elaborazione tecnica. La trasformazione delle materie prime in pietanze si collega costantemente alle possibilità tecnico-culinarie e al soddisfacimento di determinate esigenze fisiologiche, che impongono per es. di non mangiare crude le patate per via della solanina, di eliminare la fasina presente nei fagioli riscaldandoli sulla fiamma e di rendere più digeribile la carne cuocendola. Questi condizionamenti fisiologici e tecnici non spiegano, tuttavia, la molteplicità dei modi di preparazione dei cibi. Le patate, per es., non vengono solo cotte - cosa necessaria dal punto di vista alimentare -, ma sono trasformate in una gamma variegata di pietanze. La molteplicità di ricette dimostra che i diversi modi di cucinare sono un'espressione culturale; a conferma di ciò, è significativo anche sottolineare il fatto che la maggior parte delle ricette e delle tecniche di preparazione sviluppatesi nel corso della storia non è affatto ottimale dal punto di vista fisiologico: al contrario, la loro applicazione produce spesso effetti negativi. Grigliate, arrosti, fritture e molte altre procedure culinarie aumentano il gusto e il sapore dei cibi, ossia le proprietà organolettiche, ma non ne migliorano le qualità fisiologiche, come la genuinità e la digeribilità.

Del resto, il gusto e la cucina sono strettamente connessi. Il mangiare e il bere sono esperienze sensoriali che possono procurare piacere e godimento, e la cucina come corpo di regole contiene appunto indicazioni su come trasformare le materie prime in pietanze gradevoli e saporite. Il gusto e il piacere del palato sono anch'essi una questione culturale, da cui discendono le differenze regionali e sociali delle cucine; in particolare, l'orientamento del gusto ha come risvolto sociale il fatto che non ci sono uguali opportunità di piaceri gastronomici per tutti i ceti. Rappresentano situazioni eccezionali, momenti di rottura rispetto alla fisionomia nonché alle scelte di una determinata cucina, i periodi di crisi o di carestia in cui vengono a mancare gli ingredienti e le premesse tecnico-culinarie per preparare i piatti abituali. Anche in tali momenti, tuttavia, si cerca di imitare, per quanto possibile, le pietanze note. Non a caso, la maggior parte dei libri di cucina dei periodi di guerra abbonda di indicazioni sui surrogati con i quali riprodurre, anche se in modo approssimativo e non convincente, i piatti usuali, tradizionali.

Gli ambienti, le strutture, le tecnologie

di Anna Laura Palazzo

L'attività culinaria è documentata sin dall'antichità più remota. L'evoluzione delle modalità di alimentazione conosce quasi ovunque una fase caratterizzata dall'introduzione della tecnica della cottura: a tale proposito, l'antropologia si è lungamente interrogata sul ruolo del caso - il fulmine o l'incendio - nella preparazione dei cibi al fuoco vivo o mediante pietre arroventate, dovendo peraltro accantonare la medesima ipotesi per giustificare l'introduzione della cottura a vapore. L'intenzionalità di procedure più o meno elaborate viene ribadita dalla contestuale evoluzione delle tecnologie applicate: ovunque i primi arnesi e strumenti di lavoro - rustiche griglie e spiedi su trespoli di varia foggia, rudimentali recipienti da cucina in terracotta o più tardi in metallo - rispondono efficacemente al loro scopo. L'esigenza di riservare uno specifico ambiente della casa alla preparazione dei pasti non è sempre e comunque una funzione diretta del grado di emancipazione di una civiltà: la cottura dei cibi si svolge preferibilmente, laddove il clima lo consente, all'aria aperta o in locali ventilati, siano essi precarie capanne o più solide costruzioni in muratura, atti ad assicurare il migliore tiraggio del fumo.

Nella casa italica il focolare perennemente acceso, situato in fondo all'atrio accanto alla cisterna, simboleggiava la continuità della famiglia attraverso il culto degli antenati, Lari e Penati, identificati con il principio generatore della gens: esso consisteva di un semplice banco rettangolare in muratura addossato alla parete. Con l'evoluzione della casa, lo spazio per cucinare viene alloggiato in un locale apposito separato dalla latrina, dove si dispone di acqua per lavarsi, ma a essa attiguo, per poter usufruire dei medesimi condotti di scarico. Il peristilio, ampio cortile aggiunto sul retro dell'abitazione, arieggia e disimpegna la cucina nei confronti degli altri lo cali. Ad analoghi principi distributivi si richiama il tipo edilizio della residenza coloniale nei paesi ispano-americani: se nelle abitazioni più modeste la cucina affaccia sul patio di rappresentanza, evoluzione dell'antico atrio, nelle dimore più articolate essa viene ricavata insieme ad altri spazi di servizio e agli alloggi dei domestici intorno a un cortile minore. Nei paesi europei la sopravvivenza e l'evoluzione di un ambiente funzionalmente connotato, riservato alla preparazione dei pasti, sembrano seguire da presso le fasi di sviluppo e decadenza delle singole civiltà. A ogni modo l'attrezzatura mobile che rende possibile l'esplicazione delle attività culinarie, anche in assenza di locali deputati, resiste con varie fortune ai periodi oscuri: tripodi, graticole, caldaie di ferro e di bronzo e varie suppellettili fittili, caratteristici della dotazione di età romana, si trasmettono di generazione in generazione. La strumentazione è completata da diversi arnesi per gestire la cottura: coltelli, mestoli e spiedi; attizzatoi, ventole o piccoli mantici per ravvivare il fuoco; ferri e palette per rimuovere la cenere e molle di varia foggia per i tizzoni ardenti; il contenitore per il combustibile, infine, è un vano ricavato nello spessore del muro, o più semplicemente una cassa o un secchio per la legna o, più tardi, per il carbone. Con lo sfaldamento dell'Impero, le città si spopolano a favore di unità rurali autosufficienti - le domus cultae - basate su un regime di autarchia alimentare. Nonostante la ripresa dell'economia di scambio dopo l'anno Mille, il primato antico delle campagne sulle città si rifletterà sino al 18° secolo anche nell'organizzazione dello spazio domestico: le abitazioni rurali, ma ancora di più i castelli e le dimore dei grandi proprietari terrieri, disporranno assai prima delle case di città di uno o più ambienti, secondo le necessità, riservati esclusivamente alla preparazione dei pasti e alle attività di trasformazione e conservazione degli alimenti stessi.

Se nella tradizione medievale, l'ampio locale dominato dal focolare, la sala, spesso attrezzato anche per il riposo notturno, tende ad assolvere contemporaneamente le diverse esigenze sociali e private del nucleo familiare, nei palazzi rinascimentali si fa più netta la separazione tra gli ambienti destinati alla pratica conviviale, ravvivati da un grande fuoco, e i locali di servizio: quelli utilizzati per la preparazione dei pasti generalmente attrezzati con il pozzo, la cisterna e l'acquaio per la rigovernatura, quelli riservati allo stoccaggio e alla conservazione dei viveri, e infine i luochi freschi, asciutti e ben ventilati, destinati alla lavorazione dei derivati del latte e alla frollatura e salatura delle carni.

La cucina del castello friulano di Fratta, mirabilmente descritta da I. Nievo nelle Memorie di un ottuagenario (1867), presentava ancora nel tardo Settecento l'aspetto che già aveva nella fase dell'apice della potenza feudale dei suoi proprietari: "un vasto locale, d'un indefinito numero di lati molto diversi in grandezza, il quale s'alzava verso il cielo come una cupola e si sprofondava dentro terra più d'una voragine; oscuro anzi nero d'una fuliggine secolare, sulla quale splendevano come tanti occhioni diabolici i fondi delle cazzeruole, delle leccarde, e delle guastade appese ai chiodi; ingombro per tutti i sensi da enormi credenze, da armadi colossali, da tavole sterminate [...]". Il focolare raccoglie una umanità di natura diversa legata al feudatario da corvées e da obblighi di fedeltà e di ossequio, spesso alimentati anche da vincoli di parentela, in attesa del rito del convivio: "Nel canto più buio e profondo di essa apriva le sue fauci un antro acherontico, una caverna ancor più tetra e spaventosa, dove le tenebre erano rotte dal crepitante rosseggiar dei tizzoni, e da due verdastre finestrelle imprigionate da una doppia inferriata. Là un fumo denso e vorticoso, là un eterno gorgoglìo di fagiuoli in mostruose pignatte, là sedente in giro sovra panche scricchiolanti e affumicate un sinedrio di figure gravi, arcigne e sonnolenti. Quello era il focolare e la curia domestica dei castellani di Fratta" (ed. Sonzogno, 1931, p. 8).

Questo tipo di immaginario fantastico imperniato sulla consistenza visiva del focolare sembra presiedere alla realizzazione di molte dimore singolari tra Medioevo ed età barocca: nel palazzo reale di Sintra, in Portogallo, la cucina è formata da due grandi ambienti quadrati comunicanti tra loro, sormontati da immense ciminiere che dominano con le proprie geometrie allungate l'intero complesso architettonico, garantendo un efficiente tiraggio dei camini dimensionati per soddisfare le esigenze pantagrueliche dei commensali. All'interno una piastrellatura bianca di lucide maioliche riveste le pareti, i volumi del forno e il piano dei fornelli. Nel convento di Alcobaça, sempre in Portogallo, la cucina, ristrutturata nel 18° secolo, assume dimensioni ancor più mastodontiche: le volte della copertura, che sfiorano i 20 m di altezza, avvolgono per intero le cappe dei giganteschi camini, in ciascuno dei quali era possibile collocare contemporaneamente nove buoi: un intero ruscello di acqua sorgiva fu deviato per gli usi della cucina, dove si conservava anche una vasca-vivaio di pesci.

Nelle campagne, la dotazione della cucina di una famiglia media, almeno sino al 18° secolo, è invece assai semplice. Un grande camino, sempre fuligginoso nonostante le cure per mantenerlo pulito, domina l'ambiente. Alle pareti, accanto al robusto tavolo, è fissata qualche mensola per riporre piatti, coltelli e le poche posate in uso. Nello spessore del muro può essere ricavato un alloggiamento per le altre suppellettili, eventualmente chiuso da sportelli in legno. I tegami sono appesi alle pareti, mentre le pentole più ingombranti dimorano stabilmente nel focolare; la madia per il pane, chiusa superiormente da un coperchio, offre un piano di lavoro. La saltuarietà dei mercati rende comunque indispensabile anche nelle case più modeste la dotazione di ambienti per la conservazione delle provviste. Nella stessa cucina, o in un locale adiacente, si allineano, appesi con ganci al soffitto, insaccati e carni salate e affumicate in casa e un corredo di erbe odorose e di spezie che correggono o coprono i sapori non sempre delicati dei cibi conservati.

Le credenze compaiono soltanto a partire dal Set tecento quando, con la produzione di terraglie e porcellane a basso costo, il vasellame a disposizione della famiglia si arricchisce sensibilmente. Il processo di innovazione tipologica avviene per fasi: dapprima, si verifica soltanto una modificazione della madia che comporta l'introduzione di sportelli disposti in verticale in luogo del coperchio ribaltabile e l'innalzamento del piano di posa per rendere più agevole il lavoro. Successivamente, viene aggiunta un'alzata in legno, spesso sino al soffitto, fornita di piani disposti ad altezze diverse per riporvi vasellame e strumenti di lavoro di varie dimensioni. I cassetti compaiono per ultimi, quando la diffusione delle posate induce a realizzare uno spazio apposito per conservarle.

Benché praticamente ogni famiglia disponga di spiedi orizzontali e girarrosti verticali, il metodo di cottura più comune è costituito dalla bollitura. Nelle case più attrezzate, l'esigenza di cucinare pietanze diverse per il pasto quotidiano suggerisce l'impiego di un unico, capiente calderone pieno d'acqua in cui sono sistemati, separatamente avvolti in teli oppure entro recipienti di terracotta, i diversi cibi. L'acqua di cottura viene successivamente utilizzata per rigovernare, mentre la cenere è impiegata per sgrassare le stoviglie e per il bucato. Grandi pentole e calderoni sono poggiati su treppiedi o appesi a una catena fissata a una sbarra; nelle versioni più elaborate che consentono la rotazione della sospensione intorno a un perno verticale in virtù di un braccio mobile, può essere regolata, oltre che l'altezza sulla fiamma, anche la distanza angolare dalla fonte di calore. Risale al Seicento l'invenzione del cosiddetto potager, focolare in muratura rivestito di mattoni, alimentato a legna, forato al centro e rialzato rispetto al piano del pavimento. L'isolamento della fiamma che viene realizzato in questo modo rappresenta un fattore di sicurezza nei riguardi degli incendi, frequenti cause di morte per la donna di casa avvolta in vesti lunghe e ingombranti, facile esca al fuoco. Nelle città europee, non sempre le abitazioni sono dotate di un ambiente adibito a cucina. In Francia, nelle case di pigione, dove i locali concessi in affitto non sempre sono adiacenti, è frequente il caso di cucine in comune sistemate al piano terreno, dove una spessa placca metallica è posta a protezione del muro di fondo. Nel caso di alloggi minimi, il locatore può autorizzare l'inquilino a preparare i pasti nel focolare dell'unica stanza a sua disposizione, che riproduce lo schema della sala medievale: l'architrave della cappa è collocato a un'altezza tale da consentire di lavorare agevolmente in piedi. Nonostante il discreto tiraggio di questi camini, i problemi non mancano: accendere un fuoco è operazione laboriosa, regolarne il tiraggio, specie in ambienti non particolarmente attrezzati, può risultare difficile, e la cottura comporta un surriscaldamento del locale anche nella stagione estiva, con evidenti disagi. L'attività culinaria è perciò ridotta all'essenziale: ancora in pieno Ancien Régime le piccole trattorie, e soprattutto le 'rosticcerie', forniscono ai cittadini di che sfamarsi con modica spesa acquistando una vivanda calda da consumare eventualmente a casa.

Il pozzo inglobato nelle mura domestiche - in cucina o in cortile - è raro nelle dimore comuni. Per le esigenze di rifornimento idrico si raccoglie l'acqua in un capiente serbatoio di rame, la 'fontana', posto su una base di quercia, mentre un recipiente di minor dimensione è riservato all'acqua potabile. Tinozze mobili in legno o in metallo, oppure un acquaio generalmente realizzato in un unico blocco di pietra forata al centro per lo scarico fissato al muro, completano la dotazione necessaria. Nel 19° secolo si moltiplicano le abitazioni dotate di un pozzo munito di una pompa a mano che consente all'acqua di risalire fino al cortile, o in qualche caso addirittura fino alla cucina. Le prime cucine economiche, che si diffondono dalla seconda metà del 18° secolo, costituiscono il risultato di una nuova tecnologia di lavorazione del ferro mediante l'impiego del carbone coke, che consente di attuare procedimenti su colate di grandi dimensioni e di immettere sul mercato oggetti più resistenti a prezzo contenuto. In quegli anni il carbone sostituisce la legna, nei paesi che ne dispongono, anche come combustibile domestico. I primi esemplari di cucina economica sono alloggiati nel vano del camino e contengono un piano di cottura realizzato con una griglia, un forno di ferro con sportello incardinato e un serbatoio metallico per riscaldare l'acqua, fornito eventualmente di un rubinetto per facilitarne l'utilizzazione. Completano la dotazione il tradizionale braccio mobile per appendere pentole e bollitori e altri accessori che consentono la contemporanea cottura di diverse vivande. Intorno al 1840 viene codificato un nuovo modello di cucina economica che presenta alcune modifiche rispetto al prototipo dell'inglese T. Robinson: sulla piastra riscaldante di ferro o di ghisa, che ormai funge anche da superficie di appoggio dei recipienti, sono praticati dei fori circolari di dimensione regolabile che consentono di ridurre sino a escludere il contatto diretto con la fiamma. Il forno, foderato internamente con lastre metalliche, viene isolato all'esterno con piastrelle di ceramica.

Con il diffondersi dell'abitudine, specialmente presso i ceti borghesi, di abitare in appartamenti in affitto di medie dimensioni, la cucina si adatta a ospitare attività che nulla hanno a vedere con la preparazione dei pasti. Quei bucati che un tempo si facevano al lavatoio pubblico o venivano affidati alle cure di un lavandaio, sempre più spesso si effettuano in casa. Una prima rudimentale attrezzatura consiste in un mastello di legno dove i panni insaponati vengono continuamente rimestati utilizzando uno strumento apposito, la 'pala con cavicchi': l'efficacia del congegno dipende dall'energia dispiegata durante il trattamento, agevolato dall'introduzione di un meccanismo di trasmissione che manovra la pala attraverso una ruota azionata a mano posta sul fianco del mastello. Successivamente compare la lessiveuse, costituita da un grosso recipiente metallico chiuso superiormente da un pesante coperchio e provvisto di doppio fondo forato, in cui è ricavato un alloggiamento per il materiale sgrassante: lisciva - ossia acqua e cenere bollente - o carbonato di sodio. Una volta caricata con la biancheria preventivamente inumidita e insaponata e con una congrua dotazione di acqua, la lessiveuse viene richiusa e collocata sulla fiamma. Nel corso del lavaggio i sali disciolti evaporano attraverso un tubo centrale aspergendo i panni con i quali entrano a contatto anche attraverso i fori praticati nel doppio fondo. Il risciacquo è ancora operazione manuale, mentre l'introduzione di un mangano a rulli azionato da una ruota laterale facilita l'operazione di strizzatura del bucato.

In mancanza di un ambiente da utilizzare come guardaroba, anche l'attrezzatura per stirare trova posto in cucina: si diffondono i caratteristici ferri pieni, di varie fogge e forme, da scaldare su apposite stufe o sulla fiamma, come pure apparecchi a scatola, in cui viene introdotta una forma di metallo arroventata o della carbonella. Solo nel 20° secolo fanno la loro prima comparsa i ferri elettrici sia a secco sia a vapore. Nei paesi dell'Europa settentrionale, sullo scorcio del 19° secolo, con la diffusione del gas illuminante viene brevettato un nuovo tipo di fornello, alimentato dalle reti di distribuzione capillare che affiancano le condutture idriche municipali: un semplice contatore posto in corrispondenza dell'allaccio domestico segnala il consumo individuale del nuovo combustibile, eliminando i problemi di approvvigionamento e stoccaggio delle scorte. Anche la nuova cucina risulta assai pratica in virtù del minore ingombro e delle ridotte spese di installazione e manutenzione; essa consiste generalmente in una cassetta di ghisa contenente un forno, una graticola e una piastra calda con una serie di bruciatori. La fiamma può essere accuratamente regolata agendo su un rubinetto e mantenuta costante durante la cottura. Se a partire dagli inizi del 20° secolo nei paesi mediterranei la cucina economica viene progressivamente soppiantata dalla cucina a gas, nei paesi d'Oltralpe la disponibilità di energia elettrica a costi contenuti favorisce la diffusione di cucine dotate di resistenze elettriche come elementi riscaldanti, che costituiscono una fonte 'pulita' e modificano ulteriormente l'attrezzatura domestica. Nel suo progressivo affermarsi come ambiente monofunzionale, la cucina conoscerà all'interno dell'alloggio borghese diverse collocazioni. La metà dell'Ottocento segna in linea di massima uno spartiacque fondamentale, con la graduale introduzione dell'acqua corrente a partire dalle abitazioni signorili. Ragioni funzionali decretano pertanto nuovamente, nella Parigi di G.-E. Haussmann come già nella Roma imperiale, l'associazione stabile dei cosiddetti ambienti di servizio, cucina e gabinetto, amministrati dal personale domestico. La vita in città permette di rinunciare a capienti dispense per le provviste, in quanto il rifornimento può essere giornaliero. Mancano però in genere, negli appartamenti, locali in cui si possano conservare gli alimenti più deperibili. Vengono allora messe in commercio le prime ghiacciaie, armadi a tenuta stagna di varie dimensioni isolati verso l'esterno e foderati di zinco. Contengono due vani contigui, uno per le derrate da conservare e l'altro per il ghiaccio, distribuito quotidianamente in grossi blocchi dai fornitori e introdotto nello scomparto apposito. Il ghiaccio, che inizialmente proviene da depositi sotterranei, in cui è ammassato nel periodo invernale e conservato sotto strati di terra isolante, sarà più tardi prodotto industrialmente.

Anche la dotazione degli strumenti riservati alla preparazione del pasto si modifica lentamente grazie all'introduzione, a partire dalla metà del 19° secolo, di nuovi utensili meccanici azionati a mano - fruste ruotanti con svariate applicazioni sofisticate, tritacarne a manovella, macinini da caffè - e di un congegno di notevole ausilio nell'economia domestica, la pentola a pressione, che vanta un antecedente storico risalente addirittura al prototipo di D. Papin del 1682. L'esposizione di Vienna del 1883 costituisce per il mondo dell'industria l'occasione per presentare al grande pubblico alcune attrezzature di supporto al lavoro domestico da destinare successivamente a una produzione in serie. A questa data risalgono anche i primi brevetti di lavapiatti e lavatrici, immesse sul mercato inizialmente per le esigenze di una cerchia ristretta di utenti: ristoranti e comunità rimangono a lungo gli unici acquirenti. Nei primi decenni del 20° secolo un importante stimolo all'approfondimento del tema della razionalizzazione dell'attività domestica proviene da un'applicazione del principio tayloristico della divisione del lavoro anche all'orizzonte domestico. Sulla scorta di questi principi, nella teorizzazione di alcune donne, e soprattutto dell'olandese C. Frederick (La casalinga riflessiva, 1928), la casalinga assume uno status professionale, è definita manager. Anche in questo caso, come nel processo di produzione in fabbrica, il lavoro può essere frazionato in compiti parziali, per la cui esecuzione è previsto un set di strumenti. Queste argomentazioni hanno una forte presa negli Stati Uniti, dove l'evoluzione operata nella produzione industriale consente la diffusione sul mercato di elettrodomestici a costi accessibili anche ai ceti medi. Il pensiero della Frederick, proiettato verso un futuro tecnologico che riscatta la donna dal giogo del lavoro manuale, agisce tuttavia all'interno di uno schema di compensazione fortemente conservatore, inteso a esaltare nella pratica domestica l'occasione di una motivazione e realizzazione professionale conforme alla 'naturale' tendenza della donna, bilanciando l'aspirazione 'innaturale' di alcune ragazze allo studio e al lavoro remunerato svolto al di fuori dell'ambiente domestico.

La tedesca E. Meyer ritiene invece che sia possibile sollevare la donna dalle incombenze più faticose del lavoro di casa semplicemente in base al coordinamento delle attività che si svolgono in cucina, in virtù di una sapiente disposizione delle attrezzature e degli arredi in ordine al succedersi delle operazioni da eseguire. Il prudente pessimismo del Vecchio continente si contrappone all'entusiasmo d'Oltreoceano: nella Germania di quegli anni, assai provata dalle conseguenze di una guerra catastrofica e dall'inflazione, ben pochi avrebbero potuto affrontare la spesa ingente di un'attrezzatura meccanica; ma anche in altri paesi dell'Europa industrializzata molti nuclei familiari non potevano più disporre dell'aiuto di personale domestico, mentre la presenza in casa della donna tendeva a farsi sempre più sporadica, in conseguenza della necessità di contribuire al bilancio familiare attraverso un impiego fuori le mura domestiche. Si delineava, inoltre, in tutta la sua drammaticità il problema di realizzare alloggi a basso costo per i ceti operai, ricorrendo a una standardizzazione dei modelli abitativi e dei procedimenti costruttivi imperniati sulla nascente ideologia della prefabbricazione. Il primo esemplare di cucina completamente arredata è quello progettato dagli architetti della Bauhaus di Weimar sotto la direzione di W. Gropius e inserito nella casa modello Haus am Horn: piani di lavoro e apparecchiature si trovano allineati alla medesima altezza per semplificare le operazioni di preparazione dei pasti.

Accanto alle ricerche delle avanguardie architettoniche rimane centrale l'attività della Meyer, impegnata nei dibattiti e nelle sperimentazioni presentate al grande pubblico attraverso le riviste specializzate o in occasione delle grandi esposizioni degli anni Venti; nella sola Stoccarda l'architetto J.J.P. Oud realizza, per la mostra internazionale Die Wohnung (1927), cinque alloggi a schiera per famiglie operaie con cucine ricavate in ambienti separati, ideati e arredati in stretta collaborazione con la teorica tedesca, mentre nella parallela Gewerbehalle, che ha per tema centrale l'arredamento domestico, fa la sua comparsa la cosiddetta Stuttgarter Kleinküche, a firma della stessa Meyer con H. Zimmermann: si tratta di un ambiente aperto sul soggiorno in modo da favorire la socialità nei rari momenti in cui il nucleo familiare si trova riunito. In quegli stessi anni F. Schuster realizza a Vienna 25.000 alloggi minimi per operai con cucine montate all'interno di una nicchia: questa soluzione, così come la Münchener Küche della Meyer, separata dal soggiorno attraverso una parete vetrata che garantisce l'isolamento di fumi e odori, si colloca tra il modello tradizionale ormai improponibile su vasta scala e lo spazio di lavoro chiuso, monofunzionale, che incontra crescenti consensi tra medici, igienisti e architetti. Ormai le sperimentazioni di alloggi di taglio minimo, come quelle effettuate nelle Siedlungen tedesche, impongono di rinunciare a ipotesi di cucine 'passanti' o 'aperte': la Frankfurter Küche, realizzata nelle abitazioni popolari di Fran-coforte da G. Schütte-Lihotzky sotto la direzione di E. May (figg.11-12), è un microcosmo autosufficiente i cui arredi sono costituiti da una cucina a gas e da un lavello a due vasche. Appositi contenitori sono previsti per pentole e stoviglie, per le spezie e le derrate secche, e armadi particolari per gli alimenti deperibili con la possibilità di una ventilazione diretta dall'esterno attraverso una presa d'aria dotata di serranda. Una lampada elettrica scorre lungo una guida orizzontale appesa al soffitto, illuminando il locale secondo le esigenze, mentre la tavola da stiro appesa al muro può venire all'occorrenza ribaltata e appoggiata al battente aperto di un armadio. La colorazione in azzurro del mobilio per allontanare gli insetti concorre al generale aspetto di congegno, di macchina avveniristica.

Se la Frankfurter Küche, sia pure accessoriata, rimane a conti fatti una gradevole utilitaria, i geniali prototipi-ordigni del Razionalismo, come l'armadio-cucina standardizzato di El Lissitskij o il compatto blocco cottura di F. Schüster, continuano ad alimentare le proposte più radicali ed elitarie del design contemporaneo. La sintesi estrema è rappresentata dal celeberrimo Carrellone progettato da J. Colombo nel 1963: questa minicucina su rotelle contiene, in uno spazio inferiore al metro cubo, frigorifero, fornelli, accessori vari, l'occorrente per una tavola da pranzo per sei persone e il vasellame per cucinare. Non è difficile argomentare il declino del convivio e dei suoi valori fondativi presso le società moderne: non più ancorate al tema della sopravvivenza, esse possono instaurare con il cibo un rapporto meno letterale, più smaliziato. Un nuovo codice convenzionale tende a destabilizzare il tradizionale quadro delle proprietà nutritive e degli effetti di cibi e bevande sull'uomo attraverso deliberate riscritture: il tè e il caffè, nonostante le loro proprietà eccitanti, vengono correntemente assunti in occasione della sospensione della quotidiana routine, quasi a propiziare la distensione. Questa semantica ambigua alimenta una pluralità di immagini della cucina; si va dall'ambiente arioso che ripropone l'antico senso del focolare al locale attrezzato di minimo ingombro, spesso occultato da divisori mobili, al lunare laboratorio culinario, in cui sotto la luce spietata di una sorgente fredda si allineano accanto al consueto tostapane i nuovi elettrodomestici di piccola taglia: macchine per il caffè, frullatori, impastatrici, spremiagrumi, bistecchiere, friggitrici e forni a microonde, immancabili gadgets della nuova generazione, sottolineano la gelida sofisticazione della tecnologia al servizio di nuclei familiari piccoli e piccolissimi. Se il rito del pasto si consuma sempre più frequentemente in solitudine, l'immagine tradizionale della cucina che appare sulle riviste specializzate mantiene, tuttavia, intatte le sue attrattive: gli interni borghesi tendono a riprodurre in piccolo modelli più lussuosi, cedendo alle offerte di un mercato fiorente e diversificato, il quale consacra di fatto il permanere del mito della cucina.

Bibliografia

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