CROCIATE

Enciclopedia Italiana (1931)

CROCIATE (fr. croisades; sp. cruzadas; ted. Kreuzzüge; ingl. cruisades)

Francesco Cognasso

S'intendono comunemente con tal nome le guerre combattute dai popoli europei contro i musulmani dal sec. XI al XIV, con l'intento di liberare il Santo Sepolcro, sotto la bandiera della croce e la direzione del papato. Esse si collegano con il moto di espansione degli organismi politici europei del Mediterraneo, che dopo essere stati respinti indietro dalle forze islamiche fra i secoli VII e IX, al principio del sec. XI incominciano a reagire più energicamente, a riguadagnare il terreno perduto, ad affrontare l'Islām nei luoghi medesimi ove era nato o più si era radicato. Varî i movimenti e stimoli di questa rinnovata attività. Ma li domina, o almeno li colorisce di sé la passione religiosa. Memorande fra l'altro, le imprese di Pisa e Genova in Sardegna, Corsica, Africa, Sicilia, e la riconquista di quest'ultima isola da parte dei Normanni italiani. Attraverso tali imprese, si ricostituisce nei popoli europei la coscienza della loro superiorità, si alimenta la speranza e la visione di cose maggiori e ci si avvia alla crociata vera e propria della fine del secolo combattuta in Oriente contro i Turchi.

Alla metà del sec. XI gli stati arabi sorti attorno al Califfato di Baghdād erano stati sopraffatti dai Turchi Selgiuchidi che, sotto abili capi come Toghrul Beg, e poi Alp Arslān, dopo occupata Baghdād nel 1058, riuscirono a impadronirsi delle regioni asiatiche occidentali, arabe e bizantine. La battaglia di Manzicerta, nel 1071, diede ai Turchi il possesso dell'Anatolia; come, nel 1076, l'occupazione di Damasco assicurò loro la signoria della Siria e della Palestina. Di fronte a tale sfasciarsi della potenza araba e bizantina, l'Europa ebbe l'impressione che un terribile periodo di invasioni si avvicinasse. La maggiore conoscenza dei paesi orientali, in seguito all'affluire di pellegrini in Palestina durante l'età precedente, rese più sensibile il dramma della Terra Santa. Gregorio VII, al quale nel 1073 si era rivolto l'imperatore di Costantinopoli Michele VII, forse chiedendo aiuti e certo promettendo il riconoscimento del primato papale, pensò allora a un'azione in Asia Minore ed esortò varî principi ad accorrere in aiuto dell'impero di Costantinopoli; ed egli stesso progettò di capitanare un esercito, per ricacciare i Turchi dalla Palestina e unificare le chiese cristiane sotto la direzione di Roma. Così, sotto l'influenza delle correnti mistiche e del rinnovamento della Chiesa il progetto del papa si trasformava nel piano di sottrarre Gerusalemme e i luoghi santi alla dominazione islamica; e quella che, altrimenti, sarebbe stata impresa politico-militare di una determinata potenza, diventò coordinazione delle forze europee, sotto gli auspici del papato e affermazione delle sue tendenze egemoniche e teocratiche. La lotta con l'Impero distolse Gregorio VII dal progetto; ma esso fu ripreso venti anni dopo da Urbano II.

Prima crociata. - Una leggenda formatasi già nel sec. XII attribuì la prima idea della spedizione a Pietro l'eremita, di Amiens, che fu in realtà soltanto uno dei propagandisti della crociata nel nord della Francia. Già al concilio di Piacenza, nel marzo del 1095, in seguito alla comparsa di ambasciatori di Alessio I imperatore di Bisanzio, fu dal papa Urbano II fatto un vivace invito ai presenti di accorrere in Oriente in soccorso dell'Impero bizantino. Si può quindi considerare il concilio piacentino come l'inizio del movimento per la crociata. Da Piacenza nel luglio dello stesso anno il papa si recò in Francia e indisse per il 18 novembre seguente un concilio a Clermont per la riforma della chiesa francese. Nell'ultima sessione (27 novembre) tenuta su una pubblica-piazza, il papa riprese l'invito ad intervenire in Oriente: i principi, dopo aver accettato la pace di Dio, dovevano rivolgere le armi contro i nemici della fede, riscattare il Santo Sepolcro e liberare la cristianità d'Oriente dagli oppressori. Probabilmente Urbano II, a Clermont come a Piacenza, pensava solo ad appoggiare l'imperatore di Bisanzio, di cui sperava il ritorno all'unità religiosa, nella sua lotta contro i Turchi. La sua perorazione commossa ebbe effetti meravigliosi: grande entusiasmo nei presenti, pronto giuramento di cavalieri e rustici a partire per l'Oriente. Deus lo vult si gridò; e fin da quel giorno fu adottata la croce rossa sulla spalla destra.

Veduto l'entusiasmo destato dalla sua parola, Urbano II venne stabilendo i principî fondamentali della crociata: il giuramento di partire fu considerato come inviolabile, sotto pena di scomunica; la Chiesa assunse l'impegno di proteggere le famiglie e i beni dei crociati; vennero rimesse a questi le penitenze canoniche loro imposte per i peccati commessi; venne stabilito che la Santa Sede avesse come suo rappresentante nella spedizione Adhemar de Monteil, vescovo del Puy, uno dei primi a giurare; fu indetto il ritrovo dei crociati a Costantinopoli; la partenza fu stabilita per il 15 agosto 1096. Dal dicembre del 1095 al luglio del 1096, il papa peregrinò per la Francia meridionale, predicando ora, oltre la riforma ecclesiastica, la crociata. Rientrò poi in Roma nel dicembre del 1096, dopo aver visitato varie città dell'Italia settentrionale: Asti, Pavia, Milano, Cremona. La predicazione della crociata in Italia era già cominciata l'anno prima; e ancora dalla Francia il papa aveva scritto al comune di Genova perché fosse allestita una flotta in appoggio della spedizione. Nel luglio o agosto del 1096, Boemondo d'Altavilla giurò di prender parte alla crociata e lasciò l'assedio di Amalfi.

In Francia e nella Germania sud-occidentale turbe di uomini, degli strati più bassi, si riunirono attorno a Pietro l'eremita e ad un Gualtieri detto Senza avere. In preda a una vera esaltazione religiosa, scesero lungo il Reno e il Danubio avviate a Costantinopoli, di dove, contro i consigli dell'imperatore Alessio, vollero attraversare il Bosforo e avanzare verso Nicea. Ma, vennero facilmente respinti dai Turchi. Pochi superstiti chiusisi in un castello, riuscirono a ritirarsi sotto la protezione bizantina (ottobre 1096). Altre colonne di crociati formatesi in Germania non riuscirono a vincere la resistenza degli Ungheresi, irritati per le devastazioni e i massacri, e vennero disperse. Più lenta e meglio organizzata fu la spedizione dei principi, tedeschi, francesi e italiani, accordatisi con la S. Sede. Nei varî paesi, i crociati si raccolsero infatti attorno ad alcuni principi: nella regione renana, attorno a Goffredo di Buglione, duca della Bassa Lorena (Belgio) e al fratello suo Baldovino che si avviarono lungo il Danubio e la Morava e giunsero a Ugo di Vermandois, Stefano di Blois, Roberto di Normandia, Roberto di Fiandra. I quali, attraversate le Alpi e raggiunta Brindisi, si diressero per Durazzo e Salonicco, a Costantinopoli: alcuni però spaventati per le difficoltà, tornarono indietro. Il legato pontificio Adhemar de Monteil e Raimondo conte di Tolosa attraversarono l'Italia settentrionale e scesero lungo la costa dalmata a Durazzo; mentre da Brindisi passarono a Vallona i crociati italo-normanni, guidati da Boemondo e dal nipote Tancredi, che giunsero a Costantinopoli, nell'aprile del 1097. Difficile è precisare il numero dei crociati, che le fonti portano a cifre favolose (300.000, 600.000, ecc.): probabilmente, non superavano i 20.000.

Il papa e i principi avevano fissato il convegno di Costantinopoli senza darsi pensiero dell'Impero bizantino. Ora, l'affluire di tante schiere che parlavano di guerra agl'infedeli, ma che in realtà saccheggiavano dovunque passassero, determinò in Costantinopoli grande contrarietà. Alessio I Comneno si contentò di chiedere ai crociati l'impegno di non devastare le provincie dell'Impero, e di restituire ad esso tutti i territorî bizantini che si togliessero ai Turchi; i principi dovettero giurare fedeltà all'imperatore e rendergli omaggio. I crociati, dopo un tentativo di resistenza a qu̇este condizioni fatto da Goffredo di Buglione e poi da Raimondo di Tolosa, finirono col cedere. L'imperatore d'altra parte s'impegnò ad assicurare il vettovagliamento dei crociati e il loro trasporto sulla costa asiatica e seguì la spedizione con un corpo di turcopoli. Se non prima, certo ora a Costantinopoli i crociati ebbero chiara visione dello sfacelo dell'impero selgiuchida, avvenuto dopo la morte di Malikshāh (1092), della mancanza di accordo fra i varî principi turchi, del contrasto fra i Turchi di Siria e gli Arabi d'Egitto.

Il 14 maggio 1097, crociati e Bizantini misero il campo sotto le mura di Nicea che, dopo un mese di resistenza, si arrese all'imperatore Alessio. Ripresa la marcia il 28 giugno, l'esercito latino si addentrò nell'Anatolia. Il 1° luglio, la colonna al comando di Boemondo d'Altavilla, Roberto di Normandia e Stefano di Blois, giunta presso EskiŞehir (non lungi dall'antico Dorileo) fu attaccata dalla cavalleria turca del selgiuchide Sulaimān; ma l'intervento della seconda colonna agli ordini di Goffredo di Buglione, Raimondo di Tolosa, Ugo di Vermandois e Roberto di Fiandra consentì di vincere la battaglia, detta appunto di D0rileo. Dopo la presa di Nicea, i Bizantini continuarono con un piccolo corpo agli ordini del primicerio Taticio ad essere presenti alla crociata. Nel frattempo, Alessio Comneno approfittava dell'incertezza dei capi turchi per rioccupare le coste anatoliche sul mar di Marmara e il Mare Egeo.

I crociati, pur in mezzo a gravi difficoltà logistiche e a frequenti dissidî di continuo affioranti fra i capi per le loro brame di conquista, si avanzarono verso sud-est; attraversato l'Antitauro, entrarono nella Siria settentrionale e il 20 ottobre del 1097 erano davanti ad Antiochia. Ma già nel settembre del 1097 una colonna di Normanni, sotto Tancredi, aveva lasciato l'esercito e si era spinta in Cilicia ad occupare Tarso. Identiche aspirazioni aveva manifestato Baldovino di Lorena. Riconciliatisi i due capi, Tancredi era rimasto nella regione, e Baldovino si era recato a Edessa, dove un governatore armeno, Thoros, lo accolse, adottandolo come figlio ed erede.

Sebbene Antiochia godesse fama di inespugnabile, fu deciso di attaccarla subito senza attendere l'arrivo di Alessio Comneno, tanto più che una flotta genovese, comparsa nel sottostante porto di San Simone, fornì ai crociati viveri e materiali per costruire una fortezza. Nel maggio del 1098 gli assedianti appresero che un grande esercito turco avanzava guidato dall'emiro di Mosul, Kerboghā. Boemondo d'Altavilla, che sapeva di poter contare sull'appoggio di un armeno rinnegato, Firuz, cui era affidata una torre delle mura, offrì ai capi crociati la conquista della città, se essi gliel'avessero data in signoria. I principi crociati acconsentirono, ma a malincuore e contro i precisi impegni presi con Alessio I Comneno; così il 2 giugno 1098 l'occupazione della città fu compiuta. In mano ai Turchi rimase però la cittadella. Subito dopo l'esercito di Kerboghā comparve sotto Antiochia rinserrandovi i crociati in duro assedio. Stretti dal nemico, estenuati, affamati, i crociati trovarono nel sentimento religioso sostegno e difesa; le visioni dei mistici e la scoperta di una Santa Lancia, così creduta, spronarono quanti si erano scoraggiati. L'esercito di Kerboghā fu allora facilmente sconfitto da Boemondo, incaricato del comando supremo (28 giugno). La ritirata di Kerboghā costrinse i difensori della cittadella ad arrendersi. Boemondo, che si sentiva già sicuro signore di Antiochia, vide levarsi un terribile competitore in Raimondo, conte di Tolosa, il quale per eliminare il rivale, sostenne che si dovesse restituire Antiochia all'imperatore bizantino. Il consiglio dei principi cercò invano di eliminare il dissidio, lasciando che provvisoriamente Antiochia fosse occupata da un presidio misto di Normanni e di Provenzali: la marcia dei crociati verso il sud era stata appena ripresa che, dopo l'assedio e la conquista di al-Ma‛arrah (11 dicembre), Boemondo, irritato anche nel vedere Raimondo atteggiarsi a capo dell'esercito, tornò indietro e s'insediò come signore di Antiochia.

La crociata parve fallita: i principi erano incerti sul da farsi; molti ritornavano in Europa. Fu merito di Raimondo di Tolosa aver salvato la spedizione: infatti, come protesta contro le tendenze conquistatrici degli altri principi, riprese da solo il viaggio verso la Città Santa. Arrestatosi ad assediare Arca presso Tripoli, seppe indurre Goffredo e gli altri a raggiungerlo; finalmente nel maggio del 1099, rinunciando ad occupare Irka, i crociati marciarono verso Gerusalemme. Ora Raimondo era restio all'avanzata, che era invece caldeggiata da Goffredo di Buglione. La marcia da Tripoli a Gerusalemme fu rapida; nessuna resistenza opposero i due sultanati di Aleppo e Damasco, in lotta fra loro. I Turchi si chiudevano nelle varie città intimiditi dal pericolo europeo che veniva dal nord, dal pericolo arabo-egiziano delineatosi a sud. Infatti nell'estate del 1098 Gerusalemme veniva rioccupata da un presidio egiziano e per un momento era parso che tutta la Palestina dovesse ritornare ai califfi del Cairo.

Il 7 giugno 1099, i crociati comparvero davanti a Gerusalemme. L'assalto definitivo, col concorso dei Genovesi di Guglielmo Embriaco, che, sbarcati a Giaffa, avevano provvisto il necessario per costruire le macchine da assedio, fu dato il 14 luglio e continuato il 15: la città fu presa e tutti i musulmani massacrati; l'esercito arabo accorso dall'Egitto alla fine del luglio, venne sconfitto ad Ascalona dai crociati già il 12 agosto. Fu allora, a salvaguardia da eventuali pericoli, delegata ogni autorità a Goffredo di Buglione che si chiamò "avvocato del S. Sepolcro". Venuto a morte poco tempo dopo, fu sostituito dal fratello Baldovino, che assunse il titolo di re. Capo religioso dei crociati fu Arnoul de Rohes, che si disse patriarca di Gerusalemme.

Questi avvenimenti determinarono una viva inquietudine nei varî principi musulmani, turchi ed arabi: ma, per alcuni anni, i dissensi loro e la superiorità della tattica europea permisero ai crociati di assicurare e sistemare le conquiste. In Europa, intanto, era grande l'entusiasmo per la conquista della Città Santa. Si organizzarono spedizioni di rinforzo. Urbano II, nel concilio di Roma dell'aprile 1099, come già in quello di Bari del 1098, esortò i cristiani ad accorrere in Oriente. Una nuova spedizione si ebbe nel 1100, di Italiani, guidati da Anselmo arcivescovo di Milano e da feudatarî lombardi. Giunti, per la Dalmazia e la Bulgaria, a Costantinopoli, ebbero qui gravi contrasti con l'imperatore Alessio I. Attraversarono il Bosforo sotto la guida di Stefano di Blois e di Raimondo di Tolosa, venuto a cercare l'alleanza bizantina contro i Normanni di Antiochia, e, appresa la notizia della prigionia di Boemondo, si proposero di marciare su Sīwās (Sïvas) e Baghdād. Giunsero sino ad Ancira (Angora); ma poi furono rotti dal sultano di Sīwās, Ibn Dānishmend, appoggiato dai sultani di Iconio e di Aleppo; e i superstiti furono costretti a tornare, per Sinope, a Costantinopoli. Qui morì, nel 1101, Anselmo da Milano. Guglielmo conte di Nevers, Guglielmo IX d'Aquitania, Guelfo IV di Baviera, Stefano di Blois, che aveva disertato anni prima dalla spedizione crociata, cercarono di fare anch'essi lo stesso cammino attraverso l'Asia Minore, ma furono sgominati presso Eraclea: solo una piccola parte dei loro uomini riuscì a salvarsi.

Più utili furono i soccorsi recati da Genova, Pisa, Venezia. Già nel settembre del 1099, una flotta pisana di 120 galee, comandata dall'arcivescovo Daimberto, arrivò a Laodicea. Boemondo d'Altavilla propose di assalire la città, ma i Pisani preferirono andare a Gerusalemme e aiutarono Goffredo di Buglione a fortificare Gerusalemme e Giaffa, dove ebbero il possesso di un quartiere. L'arcivescovo Daimberto diventò anche patriarca di Gerusalemme. Nel 1100, una flotta genovese comparve a Laodicea e appoggiò Baldovino nell'occupazione di Arsūf e di Cesarea. Pure nel 1100, arrivò a Giaffa una flotta veneziana di 200 navi che tentò inutilmente l'assedio di Acri, ma poté occupare Haifa. Le squadre italiane incrociano ora nel mare di Siria e si impadroniscono dell'organizzazione economica del Regno di Gerusalemme. I re fanno rischiose concessioni. Baldovino I, per essere aiutato ad Arsūf e a Cesarea, concede ai Genovesi un quartiere e un terzo del bottino nelle città che avrebbero conquistato insieme (tale concessione è ricordata da un'iscrizione a lettere d'oro, messa allora nella chiesa del S. Sepolcro). La squadra genovese, ritornando a Cesarea con ricco bottino (vi era fra l'altro, il cosiddetto Sacro Catino), s'incrociò con altra squadra diretta in Siria ad aiutare Raimondo di Tolosa nell'occupazione di Tortosa e Gibelletto. Poi, i Genovesi aiutarono il figlio di Raimondo di Tolosa, Bertrando, a occupare Tripoli e Gibello (1109) e Baldovino I ad occupare Beirūt. I Veneziani, a loro volta, cooperarono all'occupazione di Sidone (1110) e poi di Tiro (1124), in base a un trattato che non fu mai eseguito. Così, l'elemento italiano cercava di dare assetto stabile all'edificio che i crociati del 1099 avevano con grande leggerezza creato.

Seconda crociata. - L'entusiasmo e il fervore religioso delle masse erano stati sfruttati infatti dall'egoismo dei pochi capi, desiderosi di crearsi uno stato in Siria. Ma la situazione dei quattro stati creati con la prima crociata, Gerusalemme, Antiochia, Edessa, Tripoli, non era facile. Le troppe cupidigie impedivano l'organizzazione di una compatta unità politica. Difficili erano i rapporti con l'Impero bizantino, che protestava per l'usurpazione dei territorî su cui esso vantava autichi diritti. L'elemento latino era in contrasto con quello greco e con quello siriaco. Dall'Europa continuava l'affluenza: ma di pellegrini, non di crociati. Ciò nonostante gli stati latini poterono sorreggersi qualche tempo, perché il mondo musulmano era anche esso discorde. Non solo vi era il contrasto fra Arabi d'Egitto e Turchi di Siria, ma questi poi erano divisi nei varî sultanati di Damasco, Aleppo, Mosul, ecc. Fu tuttavia sufficiente un atto di energia di ‛Imād ad-dīn Zinkī, atābek (governatore) di Mosul, per abbattere uno dei pilastri dell'edificio politico cristiano di Siria. Nel 1144 egli attaccò la contea di Edessa e, dopo un mese di assedio, s'impadronì della importante città. Da Gerusalemme non si poté né parare il colpo, né reagire vigorosamente. S'invocò, invece, l'aiuto dell'Europa. Nel 1145 le prime richieste giunsero al papa, che era a Viterbo; e subito Goffredo, vescovo di Langres, presentò a Luigi VII il progetto di una nuova crociata. Si dichiarò contrario Sugero, abate di Saint-Denis e ministro di re Luigi VII. Ma al re l'avventuroso viaggio sorrideva e ne scrisse al papa Eugenio III il quale, allora, decise la crociata. Della predicazione fu incaricato S. Bernardo di Chiaravalle, che vinse con la robusta eloquenza ogni opposizione e scetticismo. Così nell'assemblea di Vezelay (31 marzo 1146) fu bandita in Francia la crociata regia; nella dieta di Spira (25 dicembre 1146) l'imperatore Corrado III e i suoi baroni presero anch'essi la croce. Grandioso era il sogno di San Bernardo: la cristianità europea doveva attaccare sistematicamente il mondo pagano in Siria, in Spagna, nella Germania del Nord, per allargare i confini del regno di Cristo.

Luigi VII e Corrado III si affrettarono a trattare con l'imperatore bizantino, Manuele I Comneno, per fare anche questa volta di Costantinopoli la base delle operazioni. Manuele promise il suo appoggio purché i crociati gli giurassero fedeltà, e riuscì a impedire che venisse accettata l'alleanza del suo nemico Ruggero II di Sicilia. I due re procedettero separatamente. Primo si mosse Corrado III. Lasciata Bamberga nel maggio 1147, scese lungo il Danubio con forse 70.000 uomini. Da Belgrado e Branicevo, i crociati tedeschi raggiunsero il Bosforo, in mezzo a notevoli contrasti con gli elementi slavo e greco, determinati dalla diffidenza bizantina e dalle violenze crociate. Per questa ragione, e anche per la difficoltà di regolare il cerimoniale, Corrado III e Manuele I non si videro neppure; anzi, i loro rapporti si fecero freddi, tanto che Corrado non rese l'atto d'omaggio preteso dall'imperatore. Attraversato il Bosforo, i Tedeschi entrarono in territorio turco; ma rimasti senza vettovaglie e incalzati dai Turchi, furono costretti a ritirarsi con gravi perdite. Ritornato a Nicea, Corrado III vi trovò Luigi VII. Questi aveva concentrato le sue forze - forse 70.000 armati - a Metz nel giugno e aveva battuto la stessa via: Danubio-Belgrado-valle della Morava. Nei Balcani, trovò le popolazioni ancora spaventate dalle rapine dei Tedeschi, ma riuscì ad ottenere viveri ed aiuti. A Costantinopoli, fu accolto solennemente da Manuele Comneno: ma anche i rapporti fra questi due monarchi si fecero difficili per l'insistenza di molti consiglieri del re perché, abbandonato il pensiero della crociata, esso si alleasse con Ruggero II di Sicilia e s'impadronisse di Costantinopoli, abbattendo l'Impero bizantino. Luigi VII seppe respingere il seducente progetto e, troncate le beghe con Manuele Comneno, si decise a passare in Asia senza attendere, come prima aveva progettato, la colonna di crociati dell'Italia superiore, guidata da Amedeo III di Savoia e da Guglielmo V di Monferrato. Questi arrivarono poco dopo e raggiunsero il grosso che era già sulla costa asiatica. A Nicea, Luigi VII visitò Corrado III ammalato dopo il disastro: non si perse d'animo e continuò la marcia. Evitato l'altopiano centrale e Iconio, si avviò, per Smirne, Efeso, Filadelfia, verso Attalia. L'imperatore tedesco lo seguì con i suoi sino ad Efeso; ma qui si arrestò e ritornò a Costantinopoli, dove ebbe ospitalità affettuosa alla corte di Manuele Comneno e, nella primavera del 1148, aiuto di navi per recarsi in Palestina. A metà di aprile egli era in Acri. Frattanto i crociati francesi erano arrivati ad Attalia diminuiti di numero e affranti per le fatiche, le privazioni, le epidemie e gli attacchi turchi. Il re, coi principi e la nobiltà, s'imbarcò per Cipro, dove Amedeo III sbarcò e subito dopo morì, e per Antiochia (marzo 1148), mentre il resto dei crociati raggiungeva la Siria per via di terra. Luigi VII progettava di riconquistare Edessa, ma poi rinunciò alla difficile impresa e mosse verso Gerusalemme dove lo accolsero Baldovino III e Corrado III. Nel giugno, i tre monarchi si accordarono per attaccare Damasco, nel pensiero che il possesso di tale città più che non quello di Edessa potesse allontanare dagli stati latini la pressione turca. Ma giunti i crociati sotto Damasco il 20 luglio, subito capirono l'impossibilità di una rapida conquista. Allora si ritirarono, irritati e discordi, palleggiandosi la responsabilità. Corrado III ripartì quasi subito per Costantinopoli; Luigi VII restò a Gerusalemme sino alla Pasqua del 1149, poi rimpatriò passando per la Sicilia. Pensò ancora nel 1150 di ritentare l'impresa di Oriente, sempre con gli occhi fissi su Costantinopoli, col pretesto di farne un caposaldo sicuro della latinità contro gl'infedeli. Ma l'ostilità dei feudatarî francesi fece fallire ogni progetto.

Terza crociata. - L'ora estrema per il regno di Gerusalemme suonò quando le due potenze confinanti islamiche, Siria ed Egitto, si unirono per opera del sultano di Aleppo, Nūr ed-dīn, e del suo generale e successore Saladino. Gli sforzi di re Amalrico I per dominare l'Egitto erano falliti; le richieste di soccorsi in Occidente, rimaste senza eco. Scarsa prudenza di qualche barone latino diede motivo nel 1187 al Saladino di predicare la guerra santa contro gli Europei. Investita Tiberiade, poté a Ḥiṭṭīn massacrare l'esercito regio venuto in soccorso da Gerusalemme (5 luglio). Questa fu occupata, e occupato quasi tutto il regno, salvo poche città della Siria settentrionale. Si commosse allora l'Europa. Papa Gregorio VIII ordinò pubbliche preghiere, proclamò una tregua di Dio per 7 anni e predicò per mezzo dei suoi legati la crociata. Filippo II Augusto di Francia ed Enrico II d'Inghilterra si riconciliarono e acconsentirono a pigliare la croce. Anche Federico Barbarossa e il figlio Federico fecero, nella dieta di Magonza, il voto crociato. Per facilitare la spedizione, il papa cercò d'accordare Pisa e Genova, Venezia e Ungheria, Sicilia e Bisanzio. Anche nelle regioni scandinave arrivarono i predicatori della crociata. Nel marzo 1188, Guglielmo II di Sicilia inviò una flotta nei mari di Siria, sotto l'ammiraglio Margarit, e questo intervento impedì al Saladino di occupare Tripoli. Nello stesso anno, navi scandinave partirono per la Palestina e, costeggiando l'Europa, ebbero modo di partecipare ad operazioni militari del re di Portogallo contro i Mori. I due re di Francia e d'Inghilterra s'intesero per una spedizione da farsi di comune accordo nella primavera del 1189; ma Enrico II venne a morte e il figlio e successore Riccardo Cuor di Leone, accettando il progetto, lo fece rinviare al 1190. La partenza fu fissata per il 4 luglio.

Il Barbarossa partì da Ratisbona l'11 maggio 1189, con 100.000 uomini bene ordinati. Fece la via ormai abituale del Danubio e dei Balcani. L'imperatore bizantino Isacco II Angelo, sebbene avesse promesso libero passaggio e aiuto, intimidito e anche tenuto da certi accordi col Saladino, adottò una resistenza passiva; ma dové cedere e provvedere al passaggio dei crociati attraverso lo stretto di Gallipoli, in seguito all'occupazione di alcune città. Alla fine del marzo 1190, i Tedeschi erano sulla costa asiatica e iniziavano la marcia attraverso l'Anatolia. Giunti a Iconio, nel maggio, riuscirono a occupare la città e ad ottenere viveri dal sultano. Si inoltrarono poi nei monti della Piccola Armenia; ma a poca distanza da Seleucia, attraversando il Salef a guado, l'imperatore annegò (9 giugno). L'esercito si sciolse; molti crociati s'imbarcarono per il ritorno; Federico di Svevia continuò il viaggio con la salma del padre e raggiunse il campo cristiano sotto le mura di S. Giovanni d'Acri, dove non molto dopo morì anch'esso.

Solo nel luglio del 1190 i crociati francesi e inglesi si raccolsero all'appuntamento di Vezelay in Borgogna. Marciarono insieme sino a Lione; ma qui giudicarono utile dividere l'esercito e Filippo II di Francia andò ad imbarcarsi a Genova; il re d'Inghilterra a Marsiglia. Si ritrovarono a Messina, dove era già arrivata una flotta inglese (settembre 1190). Qui svernarono, in grave contrasto con la popolazione indigena; e solo nella primavera del 1191 si decisero a partire per San Giovanni d'Acri. Ma Riccardo Cuor di Leone raggiunse prima Cipro che conquistò per sé, strappandola all'Impero bizantino. Intanto, San Giovanni d'Acri, caduta nel 1187 in mano dei Turchi-Arabi, era stata assediata da Guido di Lusignano, re titolare di Gerusalemme, già nell'agosto del 1189. Finalmente la città si arrese, il 12 luglio 1191: ma fu un trionfo puramente morale, perché i latini di Siria e d'Europa avevano nell'assedio consumato le loro forze migliori. La discordia fra il re di Francia e Riccardo Cuor di Leone tolse la possibilità di iniziare una vivace offensiva contro il Saladino. Filippo Augusto si affrettò a rimpatriare già il 31 luglio 1191, lasciando a Riccardo l'onore e l'imbarazzo di dirigere la crociata. Ma il re inglese procedette senza idee ben chiare. Anziché a Gerusalemme pensò ad Ascalona e l'assedio: ma con tanta lentezza, che il Saladino ebbe tempo di intervenire e distruggere la città. Riccardo allora trattò la pace col sultano; poi pensò ad attaccare Gerusalemme, che il Saladino venne fortificando. Quindi riprese il progetto di ricostruire Ascalona, e in seguito pensò di nuovo a Gerusalemme, infine a spedizioni su Damasco e sul Cairo. Ma nulla fece se non trattative: il Saladino promise libero accesso a Gerusalemme ai cristiani, ma impose la distruzione di Ascalona, che fu l'ultimo atto di Riccardo in Palestina. Il 9 ottobre 1192, egli abbandonò S. Giovanni d'Acri e ripartì per l'Europa.

Alle operazioni della III crociata si collega ancora l'invio nel 1195 di una flotta siciliana in Palestina, per opera di Enrico VI, come annuncio della prossima spedizione che egli intendeva preparare. Aveva infatti preso la croce il 31 maggio del 1195 a Bari e riconfermato il proposito nella dieta di Worms del dicembre. Nel 1197 i crociati tedeschi incominciarono a riunirsi nelle Puglie, e parte di essi s'imbarcò per la Siria sotto i duchi di Champagne e di Lorena. La morte di Enrico VI fece fallire l'impresa.

Quarta crociata. - Gli scarsi risultati della terza crociata e il fallimento della spedizione progettata da Enrico VI di Svevia spiegano come Innocenzo III, appena salito al trono pontificio, riprendesse il progetto di un intervento armato in Oriente, organizzando un'attiva propaganda nei varî paesi europei; con l'imposizione di tributi cercò di trovare il denaro necessario per la crociata. Anche l'imperatore di Costantinopoli fu sollecitato perché appoggiasse le forze occidentali. Gli avvenimenti politici non erano però favorevoli a un'azione dei monarchi europei, sebbene Innocenzo III cercasse di rappacificare i re di Francia e d'Inghilterra.

Uno dei più zelanti predicatori della crociata, Folco di Neuilly, riuscì a commuovere alcuni grandi feudatarî della Champagne raccoltisi per un torneo al castello di Ecri-sur-Aisne: il 28 novembre 1199 Teobaldo conte di Champagne, Ludovico conte di Blois e altri fecero voto di andare crociati. Il 23 febbraio 1200 aderirono al giuramento Baldovino conte di Fiandra e i fratelli suoi Eustachio ed Enrico. Durante il 1200 si tennero convegni a Soissons e a Compiègne per organizzare la spedizione: fu designato come capo il conte di Champagne; fu scelta la via di mare; fu deciso di colpire il nemico nell'Egitto, cuore della potenza degli Ayyūbidi; fu inviata una commissione in Italia a concertarsi con le repubbliche marinare.

Nel febbraio del 1201 si strinse l'impegno fra Venezia e i rappresentanti dei crociati; il governo veneziano avrebbe tenuto pronte per il 24 giuano 1202 le navi sufficienti per il trasporto di 4500 cavalieri, 9000 scudieri e 20.000 fanti; il servizio sarebbe durato un anno; i crociati avrebbero in 4 rate versato 85.000 marchi d'argento, corrispondenti a circa 4 marchi per cavaliere e a 2 per fante. I Veneziani s'impegnavano ad assistere la crociata, prendendovi parte diretta.

Nel maggio del 1201 venne a morte Teobaldo di Champagne. I feudatarî crociati pensarono di scegliere un altro capo: la scelta cadde sul marchese di Monferrato, Bonifacio, principe apprezzato in Germania e in Francia, fratello di quel Corrado di Monferrato che, una decina di anni prima, aveva avuto parte importante negli avvenimenti di Grecia e di Siria. Il marchese accettò: nell'agosto-settembre del 1201 si recò a Soissons e a Cîteaux per prendere solennemente la croce e intendersi coi principi fiamminghi.

I crociati si riunirono in Venezia nel luglio-agosto del 1202: pochi rispetto alle speranze di Innocenzo III. Grave imbarazzo fu quindi creato dalla necessità di versare le somme promesse al governo veneziano. Tutti gli sforzi riuscirono appena a radunare circa 50.000 marchi: i Veneziani rifiutarono d'iniziare l'imbarco.

Si determinò una situazione penosa per i crociati ammassati a San Nicolò del Lido: l'impossibilità in cui si trovavano di rinunciare al viaggio li mise alla mercé di un grande intrigo politico che si stava svolgendo silenziosamente. Riguardava la situazione del governo imperiale di Costantinopoli: Alessio III Angelo dopo aver sbalzato dal trono il fratello Isacco II nel 1195, era ora insidiato dal fratello e dal nipote Alessio; questi per mezzo di alcuni latini erano in relazione con Filippo di Svevia, marito di Irene Angelo, figlia appunto di Isacco II. Per cercare aiuti contro lo zio, il giovane Alessio Angelo decise di portarsi in occidente e nel 1201 riuscì su una nave di commercianti pisani a fuggire e a giungere ad Ancona. Si recò a Roma a supplicare il papa Innocenzo III, quindi si affrettò in Germania, presso il cognato Filippo di Svevia. Bonifacio di Monferrato che dopo aver accettato la direzione della crociata stava ritornando in Italia per la via della Germania, ebbe allora le prime sollecitazioni di Alessio Angelo e di Filippo di Svevia affinché conducesse l'esercito crociato a Costantinopoli. Nell'inverno 1201-1202 il marchese di Monferrato si recò a Roma e accennò al papa il progetto. Innocenzo III che nel 1201 (8 maggio) aveva ratificato l'accordo dei crociati con Venezia, con la riserva che nulla fosse fatto contro i principi cristiani, pare rifiutasse di entrare nell'ordine di idee di Bonifacio e di Filippo. Il papa infatti era in relazioni epistolari con Alessio III Angelo con cui discuteva l'unione delle Chiese.

Ma nell'agosto del 1202, quando Bonifacio di Monferrato si portò a Venezia, si dovette discutere delle sollecitazioni del principe bizantino, raccomandato da Filippo di Svevia. Il papa aveva inviato a Venezia, come suo legato, il cardinale Pietro: ma i Veneziani, come avevano respinto le riserve pontificie al patto dei crociati, così ora rifiutarono di riconoscere l'autorità del legato papale. I capi della crociata decisero allora di consultare di nuovo il papa: andarono a Roma il cardinale Pietro e il marchese di Monferrato. Ma intanto si accettò una proposta dei Veneziani: questi acconsentivano che venisse rinviato il pagamento della somma mancante dopo le conquiste che si fossero fatte in Oriente: ma i crociati dovevano nel viaggio arrestarsi a Zara per restaurarvi l'autorità della repubblica. Venezia evidentemente caldeggiava per conto suo di portare i crociati a Costantinopoli: quel governo era da lunghi anni debitore di ingenti somme ai Veneziani, danneggiati dalle persecuzioni di Manuele Comneno; vi era poi malcontento per la concorrenza fatta in Costantinopoli ai mercanti veneziani da quelli genovesi e pisani. Inconsistente però è l'accusa fatta al governo veneziano di voler far fallire la crociata per evitar danni al sultano d'Egitto suo alleato: nel 1202 si pensava a Venezia che un intervento a Costantinopoli potesse essere utile per assicurare il successo futuro della crociata.

La decisione di recarsi a Zara sollevò qualche protesta nei crociati, ma in generale essi furono lieti di poter andar via da Venezia. La partenza avvenne verso la fine dell'ottobre: da Pola dove le navi si concentrarono, si arrivò il 10 novembre dinanzi a Zara. La flotta veneziana era diretta dallo stesso doge Enrico Dandolo. Quando i crociati compresero che si dovevano usare le armi contro la città ribelle ai Veneziani, si ebbero molte proteste; Simone di Montfort cercò d'impedire l'azione violenta; Guido abate di Vaux-de-Cernay comunicò una lettera di Innocenzo III che inibiva ai crociati di combattere contro cristiani sotto pena di scomunica. Prevalsero i Veneziani con l'offerta di saccheggiare la città. Alcuni crociati abbandonarono la spedizione, rifiutando di venir meno al loro voto. Zara fu presa e saccheggiata (15 novembre). L'esercito crociato sì fermò in Dalmazia per svernare. Occorreva del resto attendere il marchese di Monferrato, trattenuto a Roma dal divieto del papa di prender parte alle operazioni contro Zara. Solo nel dicembre 1202 il marchese comparve al campo. Innocenzo III, mentre solennemente protestava per l'operato dei Veneziani e dei crociati, fulminandoli con le scomuniche, era invece imbarazzato per opposti timori: timore di provocare lo scioglimento della spedizione, timore di togliere ai crociati l'indispensabile appoggio della flotta veneziana. Perciò anche protestò contro la ripresa dei progetti su Costantinopoli, ma con Bonifacio dì Monferrato ammise che molto occorreva dissimulare secondo i tempi e i luoghi. I capi crociati compresero che Innocenzo III si sarebbe inchinato davanti ai fatti compiuti. Nel gennaio del 1203 arrivarono a Zara ambasciatori di Filippo di Svevia con le proposte definitive di Alessio Angelo: i crociati lo aiutassero a restaurare il padre suo Isacco II; egli avrebbe come compenso versato loro 200.000 marchi d'argento, avrebbe accettato la sottomissione alla Chiesa, avrebbe collaborato alla crociata con 10.000 armati, avrebbe tenuto un presidio permanente di 500 cavalieri in Palestina.

Molte discussioni si fecero al campo di Zara fra i crociati favorevoli alla spedizione di Costantinopoli e quelli che propugnavano la partenza per l'Egitto. Fra le discussioni, s'iniziarono pratiche con Innocenzo III per ottenere l'assoluzione dalle scomuniche: il papa acconsentì, ma chiese che i crociati si mettessero ai suoi ordini. Le lettere papali non furono però comunicate all'esercito per un atto energico di Bonifacio di Monferrato, che parlò della necessità di interpellare ulteriormente Innocenzo III. Ma intanto i capi decisero di accettare l'offerta di Alessio Angelo: Simone di Montfort e quasi 2000 crociati abbandonarono il campo e ritornarono in Italia, per raggiungere poi la Palestina a proprie spese.

La flotta lasciò Zara con i crociati il 20 aprile e si recò a Corfù ad attendere Alessio Comneno: rimasero a Zara il doge e Bonifacio di Monferrato; il principe greco giunse pochi giorni dopo e ripartì coi capi della Crociata per Durazzo e Corfù. Quivi, soltanto verso il 20 maggio, fu firmato l'accordo e solennemente annunciata la decisione di andare a Costantinopoli. Nuovamente si ebbero proteste nella massa crociata: gli umili volevano a tutti i costi andare in Palestina. Cedettero al miraggio delle offerte di Alessio Angelo, che si presentò come supplice all'esercito a implorare aiuti contro lo zio dimostrando l'utilità di attaccare gl'infedeli da Costantinopoli. I capi promisero che breve sarebbe stato l'indugio a Costantinopoli; ciascuno sarebbe poi stato libero di recarsi in Siria.

Il 25 maggio 1203 la flotta partiva finalmente per il Bosforo: il 24 giugno si giunse davanti a Costantinopoli, ma si andò a sbarcare a Calcedonia sulla riva asiatica. Solo dopo il 1° luglio s'iniziarono le operazioni d'attacco; il 6 luglio si riuscì ad entrare nel Corno d'Oro, il 17 luglio fu tentato l'assalto dal nord, presso il palazzo delle Blacherne. Si riuscì ad occupare un tratto delle mura, ma a sera fu necessaria la ritirata. Costantinopoli così continuava a difendere la sua tradizione d'invulnerabilità. Ma nella notte si ebbe in città un rivolgimento politico: Alessio III Angelo fuggi e la popolazione riconobbe di nuovo come imperatore Isacco II Angelo. Pacificamente avvenne allora l'entrata in città dei Crociati al seguito di Alessio Angelo, che fu dal padre Isacco associato nell'impero e incoronato il 1° agosto. Forse soltanto ora giunsero ai crociati le lettere di Innocenzo III (in data 20 giugno) che li invitava a non occuparsi della questione bizantina e a raggiungere al più presto la Siria per rompere i legami con i Veneziani. I capi della crociata si affrettarono ad annunciare al papa il trionfo, giustificando la nuova disobbedienza con la necessità e con il desiderio di giovare alla fede.

Ma a Costantinopoli presto incominciarono i dissidî fra gli imperatori e i capi della crociata. Questi sollecitavano il pronto pagamento delle somme promesse; ma la crisi economica che da alcuni decennî aveva impoverito e indebolito l'Impero bizantino rendeva impossibile quello che Isacco II e Alessio IV avrebbero voluto per liberarsi dai legami verso i loro alleati. Fu necessario ricorrere alle argenterie delle chiese. Altro punto gravissimo era l'effettuare la promessa unione religiosa; inoltre i rapporti giornalieri fra Occidentali e Bizantini provocarono attriti e contrasti pericolosi, sebbene per prudenza i crociati fossero stati alloggiati fuori della città, nei sobborghi. Quando i Latini scoprirono che in Costantinopoli v'era una moschea per l'uso della colonia locale di Arabi e Turchi, si precipitarono a distruggerla e a massacrarvi i musulmani che vi si trovavano. Dalla moschea l'incendio si propagò ai bazar vicini e durò varî giorni recando gravissimi danni alla capitale.

Si iniziò un periodo di aspri rapporti fra Greci e Latini: in città rinasceva il desiderio di resistere ai protettori pesanti e pericolosi. Nel gennaio del 1204 un'insurrezione popolare abbattè Isacco II ed Alessio IV e portò al trono il capo del movimento nazionalista, Alessio V Ducas. I crociati si trovarono allora chiusi nei sobborghi in una posizione difficile: un'intesa pacifica con il nuovo imperatore non era possibile per la loro pretesa che venissero rispettati gli impegni presi da Alessio IV, pretesa respinta assolutamente dal nuovo imperatore. Da ambo le parti si attese febbrilmente a preparativi, i Greci per la difesa, i Latini per l'offesa. Nel marzo il doge, il marchese di Monferrato e i conti di Fiandra e di Blois s'intesero definitivamente sul da farsi: decisero di impadronirsi di Costantinopoli e dell'Impero bizantino a proprio vantaggio. Un trattato stabilì la divisione del bottino: tre quarti ai Veneziani e un quarto ai crociati; una commissione di sei membri avrebbe scelto l'imperatore; questi avrebbe avuto la quarta parte dell'impero; il resto sarebbe stato diviso fra Veneziani e crociati. I Veneziani avrebbero conservato i privilegi concessi in passato dagl'imperatori; il doge non sarebbe stato obbligato a giurare fedeltà all'imperatore.

I crociati assalirono Costantinopoli l'8 aprile, ma l'attacco fallì; lo ripeterono il 12 e questa volta con buon esito. Nella lotta scoppiò un nuovo terribile incendio che distrusse interi quartieri della città. Massacri furono compiuti dai trionfatori, ma presto l'attività loro si volse a un sistematico saccheggio della grande metropoli. Il bottino fu raccolto in gran parte in una chiesa per procedere poi a una distribuzione ordinata. I capi cercarono di temperare gli orrori compiuti dalla soldatesca: più di tutti si adoperò il marchese di Monferrato, che si procurò in questo modo la simpatia e la gratitudine della popolazione bizantina.

Cominciarono allora le discussioni per tradurre in atto il patto conchiuso nel marzo. I dodici elettori scelti per eleggere l'imperatore si divisero in tre partiti: il veneziano, il francese e il monferrino. I due primi si allearono sì da impedire l'elezione del marchese Bonifacio. Fu eletto il 9 maggio Baldovino di Fiandra, che il 16 maggio fu incoronato in Santa Sofia. Ai Veneziani fu dato secondo i patti il diritto di eleggere il patriarca di Costantinopoli; al marchese di Monferrato fu riconosciuto il regno di Tessalonica.

Così la quarta crociata si chiudeva con un esito ben differente da quello augurato cinque anni prima da Innocenzo III: la latinità, invece di trionfare sull'islamismo di Siria e di Egitto, era prevalsa sull'elemento greco; trionfo superficiale ed effimero che doveva aggravare il conflitto fra le chiese romana e greca e condurre in un avvenire non lontano al trionfo dell'islamismo turco.

Quinta crociata. - Sebbene la quarta crociata avesse preso uno sviluppo inaspettato, Innocenzo III s'illuse di poter considerare i Latini installati a Costantinopoli e nei territorî bizantini come crociati disposti a una spedizione in Siria. Ma verso il 1207 venne lasciando questa ingenua concezione e pensò a una nuova crociata. Permaneva una certa effervescenza religiosa in Europa, come dimostra la cosiddetta crociata dei pastori. Elementi rurali di Francia e Germania si raccolsero, quelli, attorno a un pastore di Vendôme, Stefano; questi, a un ragazzo di Colonia, Nicola, che predicavano d'essere stati da Dio designati a combattere contro gl'infedeli. Turbe di giovani contadini si avviarono, pare, verso Marsiglia e verso Brindisi, ben presto vinti dalle privazioni e dalla fame. Quelli che si imbarcarono a Marsiglia o naufragarono o finirono sui mercati di schiavi della costa africana. Nel 1215, Innocenzo III proclamò la crociata; e il 25 luglio 1215, Federico II prese la croce ad Aquisgrana, alla presenza dei legati pontifici. Nel novembre, il papa, nel solenne consesso del concilio lateranense, esortò ancora i cristiani alla crociata. Fu stabilita la data del 1° giugno 1217: obbligo dei cristiani di prendere la croce o di contribuire alle spese della spedizione; proclamata la pace per quattro anni in tutta Europa; proibiti i rapporti commerciali coi musulmani, sotto pena di scomunica. Ma nel 1216 Innocenzo III morì.

Il nuovo papa Onorio III (18 luglio 1216) riprese la politica del predecessore: incominciò a sollecitare Federico II e i varî principi per la crociata; ottenne l'adesione del re d'Ungheria e di molti principi tedeschi, fiamminghi e scandinavi. Una colonna di Svedesi e di Tedeschi del nord venne a imbarcarsi a Venezia. Da Spalato mosse il re d'Unglheria. Altri crociati norvegesi, tedesco-renani, frisoni, fecero il giro dell'Europa per mare e, prima, sbarcarono in Portogallo, dando aiuto alle operazioni contro i Mori, poi partirono per l'Oriente. I varî contingenti incominciarono ad affluire a San Giovanni d'Acri nel settembre del 1217. Vi erano i re d'Ungheria, di Cipro e di Gerusalemme: ma un vero capo non c'era. Le forze erano all'incirca 3000 cavalieri e 20.000 fanti, poi fanteria leggiera in gran numero: ma programmi, nessuno. Senza criterio si marciò dal mare verso il lago di Genezareth, poi si cercò di espugnare la fortezza araba che dominava la vetta del Tabor: nessun risultato. La stanchezza e l'incapacità spinsero molti crociati a tornarsene. Lo stesso re d'Ungheria se ne partì. Quelli che rimasero e altri nuovamente sopraggiunti, riunitisi attorno a Leopoldo d'Austria e a Giovanni di Brienne, decisero di attaccare l'Egitto. Ben si comprendeva come il mondo musulmano fosse dominato dal sultanato del Cairo e come questo costituisse il vero caposaldo della resistenza musulmana all'Europa cristiana. Vi era la speranza di ottenere, occupando l'Egitto e il Cairo, il crollo di ogni resistenza in Siria, come era avvenuto in Spagna con la battaglia di Las Navas de Tolosa del 1212. Nel maggio del 1218, l'esercito crociato sbarcò nel delta del Nilo, davanti a Damietta. La città oppose una fiera resistenza e solo dopo più di un anno venne presa e saccheggiata (5 novembre 1219). Si discusse allora sul da farsi: chi voleva senza altro marciare sul Cairo; chi chiedeva, come Giovanni di Brienne, che si attendesse l'arrivo dell'imperatore Federico II. E così si fece. Il 1220 fu passato a Damietta, in riposo. Nel maggio del 1221, sbarcarono 500 cavalieri tedeschi con Ludovico di Baviera ed Ermanno di Salza, gran maestro dell'Ordine teutonico. Federico II sarebbe arrivato al più presto. S'iniziò allora la spedizione verso il Cairo, con i 600 cavalli e i 40.000 fanti disponibili. Il 24 luglio 1221, l'esercito giunse presso al-Mansūrah, grande fortezza a comando della via verso la capitale egiziana. Il sultano d'Egitto chiese pace e offrì di rendere Gerusalemme. Il cardinale Pelagio, legato pontificio, rifiutb di trattare. Seguì una violenta battaglia e i crociati, sconfitti, furono costretti a rapida ritirata. Giovanni di Brienne seppe ricondurre l'esercito sino a Damietta; poi trattò di pace e la ebbe a condizione di abbandonare del tutto l'Egitto (30 agosto 1221).

Federico II, occupato negli affari d'Italia e di Germania, continuava a rinviare la partenza. Dopo il disastro di Damietta, s'intese con Onorio III, per riprendere le armi nel 1225. Ma si accontentò, per allora, di inviare una flotta siciliana a San Giovanni d'Acri, per imbarcare la sposa sua Maria di Brienne, e rinviò la partenza al 1227. Anche ora, solo le sollecitazioni del nuovo papa Gregorio IX ottennero che l'imperatore partisse da Brindisi per l'Oriente, l'8 settembre 1227. Ma si era appena imbarcato ad Otranto che subito riprese terra, per l'epidemia scoppiata a bordo. Venne allora scomunicato dal papa, come inadempiente del giuramento. Ripartì il 18 giugno 1228, con una flotta di 50 navi. Si fermò a Cipro che sottopose alla sua sovranità (21 luglio); e, nel settembre, si portò a San Giovanni d'Acri. Da Palermo, egli aveva iniziato trattative col sultano d'Egitto, desideroso di evitare un nuovo attacco europeo sul Nilo, mentre perdurava il suo contrasto col sultano di Damasco: e pare che qualche promessa di ottenere Gerusalemme, in cambio dell'alleanza, Federico avesse ricevuto. Durante il viaggio, la situazione cambiò, essendosi i due sultani rappaciati. Ma Federico II poté riprendere le trattative col sultano d'Egitto e conchiudere un accordo vantaggioso, per cui otteneva il possesso di Gerusalemme, di Bethlem, di Nazareth e delle vie di accesso al mare, rimanendo ai musulmani il libero possesso della moschea d'Omar nella città santa ed impegnandosi egli a impedire che qualsiasi principe europeo attaccasse sul Nilo (11 febbraio 1229). L'imperatore entrò allora liberamente e pacificamente in Gerusalemme e assunse la corona regia nella basilica del Santo Sepolcro (17-18 marzo 1229); poi ripartì da S. Giovanni d'Acri il 1° maggio, lasciando come suo rappresentante Baliano di Ibelin. Le autorità ecclesiastiche protestarono contro il trattato di pace e lanciarono l'interdetto su Gerusalemme, offesa dal principe scomunicato. Ma dopo la pace di San Germano, anche il papa si rassegnò a ratificare il trattato di Giaffa e Federico II inviò nuove genti a Gerusalemme sotto il suo maresciallo Riccardo Filangieri, per far rispettare così dai cristiani come dai musulmani, la tregua decennale conchiusa col sultano.

Nel 1239, alcuni principi francesi, Teobaldo IV di Champagne, Ugo di Borgogna, Pietro di Bretagna e altri, riunirono le loro genti a Lione per una nuova crociata. S'imbarcarono a Marsiglia e ad Aigues Mortes e sbarcarono a San Giovanni d'Acri. Avevano poche migliaia di armati e rimasero indecisi se attaccare Damasco o il Cairo, approfittando delle lotte civili che agitavano i due paesi. Non fecero nulla; non riuscirono neppure a ricostruire i castelli di Ṣafād e di Ascalona. A Gaza, anzi, toccarono una solenne sconfitta; e Gerusalemme fu occupata da Arabi di Damasco. Una nuova tregua coi musulmani fu fatta nel 1240 dal re di Navarra. Sbarcato anche Riccardo di Cornovaglia, fratello di Enrico III d'Inghilterra, invece di far guerra, come consigliavano i Latini di Siria, trattò un nuovo patto con il sultano d'Egitto. Ma nel 1244, una colonna di Turchi Khuwārizmī, provenienti dal Turkestān, a servizio dell'Egitto, s'impadronì di Gerusalemme, fra saccheggi e massacri. Il tentativo di alleanza fra i Latini e gli Arabi di Damasco a nulla servì.

Sesta crociata. - Allora Innocenzo IV, nel concilio di Lione del 1245, proclamò l'urgenza di una nuova crociata. Il concilio stabilì le modalità della predicazione, assegnò un ventesimo delle rendite ecclesiastiche, dichiarò i crociati esenti da ogni tributo per tre anni, proibì i tornei sanguinosi. Ma l'Europa rimase fredda, indifferente. Solo si commosse il pio re di Francia, Luigi IX, che già aveva, in uno slancio mistico, dichiarato di voler prendere la croce. Ora, nel 1245, egli rinnovò il voto. Partì da Parigi il 12 giugno 1248, e si imbarcò a Marsiglia. Nel settembre, era a Limisso, a Cipro, dove voleva organizzare una spedizione contro l'Egitto. Nella primavera del 1249, arrivarono a Cipro con nuove forze il duca di Borgogna, il principe d'Acaia, il conte di Salisburgo. Nel giugno, l'esercito crociato sbarcava a Damietta. Gli Egiziani, presi da panico, si diedero alla fuga, e resero possibile l'occupazione della città. Anziché rivolgere l'attacco su Alessandria, come alcuni proponevano, il re decise di muovere sul Cairo. Nel dicembre giunse ad al-Mansūrah: ma qui, nuovamente, la crociata fu paralizzata. L'8 febbraio 1250 s'impegnò attraverso ai canali una battaglia vivacissima che, perduta, costrinse i crociati a trincerarsi nell'accampamento. Un tentativo per liberarsi dal blocco e ritirarsi portò a una nuova e più grave sconfitta. Anche il re venne fatto prigioniero coi fratelli suoi (6 aprile). Il sultano fece massacrare i prigionieri di poco conto, trattò invece i principi con signorilità. Lunghe trattative avvennero per il riscatto: una rivoluzione di palazzo al Cairo facilitò la liberazione del re. Sgombrato l'Egitto, i resti dell'esercito furono condotti a San Giovanni d'Acri (maggio 1250). Il re vagheggiava una ripresa d'armi, sebbene i suoi baroni fossero ostili e la madre Bianca di Castiglia lo sollecitasse a tornare. Le richieste di aiuto, che il santo re fece in Europa, non ebbero eco: il papa lottava contro l'imperatore; il re d'Inghilterra proibì ogni predicazione di crociata; nella Francia vi fu un movimento anarcoide, detto dei pastorelli, presto svanito. Quando Luigi IX ebbe notizia della morte della madre, si rassegnò a ritornare in Francia (1254).

Settima crociata. - I Latini di Siria rimasero, dopo la partenza di Luigi IX, con le sole loro poche forze e con le loro rivalità. L'avanzata delle masse mongoliche di Hūlāgū indebolì per qualche anno la pressione musulmana in Siria; ma fu cosa passeggera. Il nuovo sultano d'Egitto Baibars, verso il 1265, riprese l'avanzata, occupando successivamente Cesarea, Arsūf, Ṣafād, Giaffa, Antiochia; ai cristiani rimasero Tripoli, San Giovanni d'Acri e Sidone. Ancora una volta, allora, cercò il papato, con Clemente IV, di risvegliare l'entusiasmo religioso. E Luigi IX nuovamente acconsentì a pigliare la croce (24 marzo 1267). V'era però molta freddezza in Francia. Il fratello del re, Carlo I d'Angiò re di Sicilia, pensava piuttosto a una spedizione a Costantinopoli, per risuscitare l'Impero latino. Luigi IX lo costrinse a seguirlo nella crociata. La quale, partita da Aigues Mortes nel luglio 1270 si volse questa volta su Tunisi e sbarcò a Cartagine, nella speranza che la conversione di quel principe al cristianesimo potesse procurare alleati e aiuti contro l'Egitto. Ma la speranza si dimostrò illusoria. I nemici rimasero nemici. Divampò, fra i crociati, la peste della quale il 25 agosto moriva lo stesso Luigi IX. Si fece allora capo della spedizione Carlo d'Angiò, solo allora sbarcato. Egli trattò col sultano di Tunisi, che s'impegnò a pagargli tributo, come a re di Sicilia. Dopo di che, nel novembre, l'esercito francese lasciava Tunisi per la Sicilia dove si scioglieva. La crociata fu rinviata a tre anni; ma nessuno più se ne occupò. Gregorio X la predicò nel nuovo concilio di Lione del 1274. Tutti si crociarono, Rodolfo d'Asburgo, Carlo d'Angiò, il re d'Aragona, il re di Francia: ma nulla si fece. E senza aiuti, cadevano gli ultimi centri latini di Siria: nel 1291, anche San Giovanni d'Acri.

Progetti e tentativi di crociata nei secoli XIV e XV. - Molto commosse l'opinione pubblica dell'Occidente la caduta di Acri: e da più parti si meditarono progetti di nuove spedizioni. Ma questa volta, ammaestrati dalla dolorosa esperienza del passato, si sarebbe voluto colpire l'Islām nei suoi centri vitali, senza troppo sperpero di energie e precarietà di risultati. Raimondo Lullo di Maiorca, filosofo, nella sua Ars Magna, pensa di risolvere il grave problema con una propaganda intensiva, destinata a mostrare ai musulmani la superiorità del cristianesimo e indurli a una conversione in massa. Marin Sanudo, veneziano, nei suoi Secreta fidelium Crucis, studia il problema da politico ed economista, proponendo un sistema di misure commerciali per costringere il sultanato d'Egitto a cedere. Pietro Dubois, autore di un De recuperatione Terrae Sanctae, prospetta la questione dal punto di vista della monarchia francese, come fanno anche G. Nogaret e Burcardo del Monte Sion. Chi propone soluzioni pacifiche, chi guerresche; chi preferisce la via del mare, chi la via tradizionale dei Balcani e del Bosforo. Ma, a poco a poco, la questione della Terra Santa s'allontana e l'attenzione si concentra sul nuovo Impero turco-osmanico che si forma dall'Anatolia alla Tracia: minaccia più vicina e più grave per l'Europa.

Così, nel '300, numerosi principi si propongono di partire per la crociata; ma pochi mantengono la promessa. I più, ne fanno un pretesto per trarre quattrini dai sudditi. Ci pensava anche Filippo IV di Valois, re di Francia, quando scoppiò la guerra dei Cent'anni. Non meno, naturalmente, i papi. Nel 1308, Clemente V affida ai Cavalieri gerosolimitani il compito di dare la caccia alle navi musulmane nei mari di Levante e ripetutamente - ma sempre invano - proibisce, pena la scomunica, il commercio dei cristiani coi paesi islamici. Nel 1334, Giovanni XXII conchiude una lega navale mediterranea per reprimere la pirateria turca. Nel 1344, Clemente VI la rinnova, trovando adesione, per gli stati italiani, in Venezia e Genova. E il 28 ottobre 1344, la flotta alleata occupa Smirne, principale porto turco. Ma tutto finisce lì, e il porto è abbandonato. Nel 1361, Pietro I di Lusignano, re di Cipro, sbarca a Satalia e l'anno dopo viene in Europa a cercare aiuti. Molti principi, fra i quali il re di Francia, giurano di partire: ma nessuno parte, e il 27 giugno 1365 Pietro di Lusignano deve ritornarsene solo. Tuttavia, arditamente sbarca ad Alessandria e la occupa, salvo a ritirarsi otto giorni dopo, per la minaccia egiziana. Sbarca nuovamente, nel 1367, a Tripoli, a Tortosa, a Laodicea, minacciando le relazioni marittime fra Siria ed Egitto. Intanto, Amedeo VI di Savoia, che aveva giurato nel 1364 la crociata, s'imbarca a Venezia nel giugno del 1366, col proposito di portare aiuto all'Impero bizantino, d'accordo con l'Ungheria. Prende terra a Gallipoli e ne ricupera il castello, occupato anni addietro dai Turchi. Ma la spedizione fallisce, essendo l'imperatore bizantino prigioniero dei Bulgari.

Più grave preoccupazione desta in Europa l'avanzata turca nei Balcani. Anche ora, vi è chi accorre. E nel 1396, un piccolo esercito francese, comandato da Giovanni senza Paura, figlio del duca di Borgogna, va in Ungheria per aiutare re Sigismondo. Ma a Nicopoli, sul Danubio, i crociati sono massacrati o fatti prigionieri dal più forte avversario. Nel 1399, il maresciallo Boucicaut, governatore francese di Genova, entra nei Dardanelli e combatte sulla costa del Mar di Marmara. Ritorna nel 1405, con la flotta genovese, sulla costa della Panfilia e sbarca a Tripoli e a Beirūt, ma senza successo alcuno, come senza successo è il tentativo dei Genovesi e del duca di Borbone, sulla costa tunisina a Capo d'Africa. I Turchi avanzano sempre. Nel 1443, una nuova crociata, diretta dal card. legato Cesarini: Murād è battuto e Sofia occupata. Ma a Varna, grave sconfitta. Negli anni seguenti, gli Ungheresi, con Giovanni Hunyadi e Giovanni da Capistrano, combattono a lungo e con incerta fortuna sul Danubio, specie per conservare il caposaldo di Belgrado. Intanto, cade Costantinopoli (1453) e l'Europa è invasa da una commozione profonda. Progetti su progetti. Filippo il Buono, duca di Borgogna, fa nel 1454 il famoso giuramento detto del fagiano. Callisto III papa, protesta di voler tutto sacrificare, pur di cacciare l'Islām da Costantinopoli, e il 15 maggio pubblica una bolla per la crociata e ordina la costruzione di una flotta; ma gli stati europei se ne disinteressano. Pio II nel 1459 convoca un congresso di principi a Mantova e pensa all'imperatore, come naturale capo dell'esercito crociato. Ma nel 1462, decide di guidare personalmente la spedizione; fa poi lega con Venezia e con Borgogna, convoca i crociati ad Ancona per la partenza. Tutto invano: nessuno si presenta, e Pio II muore angustiato (15 agosto 1464). Paolo II pensò, poi, di riprendere il progetto; Alessandro VI bandì la crociata il 1° giugno 1500 e diede sussidî all'Ungheria, inviò una flotta di 13 navi sulla costa della Grecia. Alla crociata tornò a pensare Leone X, di fronte all'ingigantire della potenza turca: e si rivolse nel 1516 a Francesco I, da cui ebbe il consenso. Se ne discusse nel 1518; si passò alla predicazione solenne della crociata. Ma la questione dell'elezione imperiale, nel 1519, fece passare in seconda linea la crociata: ormai non era più tempo. Non solo le grandi monarchie d'Europa erano volte ai loro problemi interni e alle loro lotte di predominio europeo, ma anche la Turchia stava per diventare una grande potenza, temuta e, qualche volta, ammirata come un modello di assolutismo.

L'importanza storica delle crociate. - Nella storia dell'Europa medievale le crociate significano un momento di decisiva importanza: il momento cioè del risveglio dell'Europa cristiana che, arretrata nei secoli VIII e IX di fronte all'invasione araba, reagisce ora con una violenta offensiva contro l'Oriente musulmano.

Fattore decisivo, per tale ripresa, fu senza dubbio alcuno l'elemento religioso; e se è vero che a spingere i crociati verso l'Oriente intervennero anche altri motivi, d'altro genere, non è men certo che il potente soffio della parola di Dio costitui la molla decisiva, la sola, anzi, che potesse accendere veramente nel cuore delle moltitudini l'entusiasmo necessario per realizzare l'impresa. E se nelle crociate successive, particolarmente nella quarta, il sentimento religioso pare offuscato o addirittura conculcato dall'amor del guadagno, dalla sete di avventura, dall'avidità di dominio di cui i crociati danno prova, nella prima crociata la fede e l'amore in Cristo costituiscono realmente il nocciolo vivo dell'epopea.

In ciò Urbano II e i promotori della crociata trovavano fortunatamente il terreno ben predisposto. La riforma cluniacense, soprattutto, aveva, un po' in tutta l'Europa occidentale, irrobustite le coscienze, riacceso l'ardore religioso, temprata la volontà dei fedeli ad un nuovo insegnamento di austerità e di vigoria; e le stesse vicende della lotta per le investiture, esacerbando le passioni, avevano creato un clima morale di sì accesa passionalità, che l'appello ad armarsi per la liberazione del sepolcro di Cristo fu come lo sbocco finale in cui confluì il sentimento religioso, approfondito, rafforzato negli ultimi decennî del secolo: epilogo grandioso di un grandioso movimento di riforma religiosa.

Ma il movimento non rappresentava soltanto il trionfo della fede cristiana. Qualche altro fattore, più terreno e, se si vuole, men puro, interveniva anch'esso a render possibile quel vasto esodo di uomini verso le terre di Oriente, che non avrebbe potuto realizzarsi, nemmeno in tempi di appassionata fede, se non si fosse determinato in un'Europa già in netta ripresa economica e politica. L'appello, nel sec. IX o nel X, sarebbe caduto nel vuoto; alla fine del sec. XI trascina le moltitudini. Gli è che di mezzo, c'era stato il risorgere, lento ma continuo, della vita europea. Risorgere del commercio, attraverso le città marinare d'Italia soprattutto, che fa d'altra parte avvertire molto più acutamente il bisogno di assicurarsi le grandi vie di comunicazione mediterranee e di riavvicinarsi all'Oriente, ch'è ancora il massimo centro di civiltà e di ricchezza; rapido accrescimento demografico, per cui l'Europa occidentale è piena di cadetti di famiglie feudali in cerca di avventure, di gloria e di dominio; sistemazione politica, infine, più precisa, più chiara: dal 1077 l'Inghilterra è unita sotto il forte potere dei re normanni; dal sesto decennio del secolo i Normanni allargano le loro conquiste nell'Italia meridionale, tentano addirittura l'insediamento nella penisola balcanica; e in Francia il potere regio si afferma.

È tutto un grandioso processo di riassestamento dell'Europa - morale, politico, economico. L'espressione più tipica di esso diviene la lotta contro l'Islām, che per tre secoli aveva invece assunto esso l'offensiva e chiusa l'Europa cristiana. Il contrattacco deve ridare respiro e libertà d'azione ai popoli europei, in cui circola come una vita nuova. Genova e Pisa, nel 1015-16, hanno attaccato i Saraceni di Sardegna; nel 1034, i Genovesi s'impadroniscono di Bona, sulla costa africana; nel 1062 i Pisani entrano nel porto di Palermo; nel 1087 o 1088, le due grandi città marittime s'impadroniscono di al-Mahdiyyah. Nella penisola iberica, l'offensiva cristiana si fa più continua e decisa: proprio nell'età della prima crociata, si costituisce il regno di Portogallo. Le crociate s'inseriscono così nel movimento generale di avanzamento dell'Europa cristiana verso sud e verso est, costituendone la fase decisiva e clamorosa. Espressione di un mondo ch'è in pieno fermento, che ha sete di vita, di potenza, di ricchezza, esse non possono dunque non recare in sé elementi e fattori a volte apparentemente contradditorî: sincerità religiosa, slancio mistico da un lato, e dall'altro ambizioni personali, sete di guadagno. Non ci si deve quindi stupire, se nel corso del sec. XII i Franchi del regno di Gerusalemme dessero troppe volte pravi esempî di dissolutezza e di avidità; o se la quarta crociata, ben più che atto dì fede, riuscisse un'avventura politico-economica, acremente condotta.

Tale la genesi e il carattere delle crociate. Quanto al loro effetto, chi si limitasse allo scopo dichiarato e voluto - la riconquista della terra di Cristo - dovrebbe parlare di fallimento: la contea di Edessa non dura nemmeno cinquant'anni, il regno di Gerusalemme nemmeno un secolo; Antiochia finisce per cadere anch'essa in mano dei Turchi; e vani riescono i disperati appelli che i pontefici periodicamente rivolgono all'Europa cristiana, nel corso di tre secoli. Ma proprio perché le crociate rappresentavano ben più che non un movimento per la conquista della sola Terra Santa - e fosse pure questo il miraggio presente all'immaginazione dei guerrieri crociati - proprio per questo un tale giudizio sarebbe del tutto errato.

In realtà, le crociate ridiedero agli stati dell'Occidente europeo la supremazia nel Mediterraneo, per quattro secoli, e cioè fino al nuovo contrattacco musulmano ad opera dei Turchi, nei secoli XV-XVI; fecero con ciò del Mediterraneo nuovamente quel grande centro di scambî - il massimo centro economico del mondo allora conosciuto - ch'esso era stato nell'antichità greco-romana e che non era più stato dopo l'invasione araba; e permisero alle più audaci e attive comunità cittadine mediterranee (Venezia, Genova) di sviluppare ampiamente il loro traffico con l'Oriente e di farsi così intermediarie fra Oriente e Occidente, con un inestimabile accrescimento di potenza e di ricchezza. La quarta crociata è, sotto questo rispetto, la più significativa fra tutte; quella che più d'ogni altra mette allo scoperto, non puramente gli egoismi e gl'interessi personali dei crociati, ma ben più il carattere espansionistico - con parola moderna si potrebbe dire imperialistico - delle spedizioni.

Furono anzi tali gli effetti delle crociate sulla vita, e in primo luogo sulla vita economica europea, da indurre più di uno studioso a vedere in esse la causa, l'origine del Rinascimento europeo. Tale rapporto da causa ad effetto è inammissibile: basti ricordare quel che s'è detto più sopra, che cioè le crociate sono esse stesse un frutto, il primo grande frutto, della rinascita del mondo occidentale a nuova vita. Ma è invece indubbio che, a lor volta, le crociate contribuirono potentemente, con le loro conseguenze, a rinvigorire, ad accelerare quella stessa rinascita, di cui erano pur sintomo.

Specialmente nel campo economico. La prosperità e la potenza di Genova e di Venezia e di Pisa ricevettero un incremento fortissimo: le tre città avevano ottenuto dai capi crociati, sin dal 1100-1101, notevoli privilegi che assicuravano loro l'assoluto predominio commerciale nel Levante; più tardi la quarta crociata creò ai Veneziani un impero coloniale grandioso. E Genova invia i suoi mercanti nel Mar Nero; fonda stabilimenti commerciali sulle coste di esso; s'insedia in Costantinopoli, dopo il crollo dell'impero latino d'Oriente (v. genova; venezia). Così dal Levante ritornano a giungere in copia all'Europa - come ai tempi di Roma - i prodotti dell'Asia: cresce il lusso, cresce la circolazione monetaria, crescono l'industria, l'attività commerciale delle città dell'interno, a lor volta trascinate nel nuovo ampio giro d'affari. Città della valle padana, della Francia meridionale, della valle renana riceveranno così un nuovo potente impulso a maggiore attività, per effetto dell'allargarsi del campo d'azione del commercio europeo. Di più, i rinnovati contatti con l'Oriente inciteranno i più arditi tra i mercanti italiani a marciare ancor più verso l'interno del continente asiatico, a scoprir nuovi paesi, nuovi mercati. Marco Polo nella Cina è, in certo senso, il prosecutore dei crociati di Siria e di Palestina.

Un simile allargarsi d'orizzonte per gli Europei non poteva naturalmente rimaner senza effetti sulla vita culturale morale. È vero che il forte influsso della civiltà araba sul pensiero europeo dei secoli XII-XIII non può esser fatto risalire esclusivamente alle crociate: basti pensare che la corte di Federico II di Svevia - tipica per le sue tendenze favorevoli alla cultura orientale - è corte di un regno di cui buona parte - la Sicilia - aveva subito direttamente e per lungo tempo il dominio arabo; che l'influsso arabo sull'Europa occidentale aveva, già prima, potuto effondersi dalla Spagna musulmana. Pur tuttavia, è indubbio che il diretto contatto con l'Oriente contribui a render più efficace e più profonda l'impronta della civiltà musulmana su quella dell'Occidente europeo. Le tracce di simile influsso sono evidenti: si ricordi, ad es., qual posto occupa nella letteratura italiana delle origini il Saladino.

Fonti: La principale raccolta di fonti è costituita dal Recueil des historiens des croisades, Parigi 1841 segg., suōdiviso in: Documents arméniens, voll. 2 (1869, 1906); Historiens grecs, voll. 2 (1875, 1881); Historiens occidentaux, voll. 5 (1844-1895); Historiens orientaux, voll. 5 (1872-1906); Lois, voll. 2 (1841-1843). Parecchie cronache ivi pubblicate sono pure state edite a parte: così, ad es., i Gesta Francorum et aliorum Hierosolymitanorum di un anonimo dell'Italia meridionale, del seguito di Boemondo, da H. Hagenmeyer, Heidelberg 1890, e nuovamente da L. Bréhier (Histoire anonyme de la première Croisade), Parigi 1924; l'Historia Hierosolymitana di Foucher de Chartres, da H. Hagenmeyer, Heidelherg 1913.

Da ricordare inoltre la Liberatio Orientis di Caffaro, importante per la storia delle spedizioni marittime italiane, pubbl. da C. De Simoni, in Fonti per la storia d'Italia, n. 11, Roma. Per le fonti delle singole crociate, cfr. la bibl. della Cambridge Medieval History, IV e VI, Cambridge 1926, 1927 e 1929. Il merito di aver sollevato la questione del valore critico delle fonti, e di aver con ciò dato nuove basi e nuovo orientamento agli studî sulle crociate, spetta a E. v. Sybel, con la sua Geschichte des ersten Kreuzzuges, 1ª ed., Düsseldorf 1841.

V. anche canzoni di gesta.

Bibl.: Sulle crociate in generale: Opere anteriori alla disamina critica delle fonti: Michaud, Histoire des Croisades, Parigi 1812-17 (1ª ed.), 1824-29 (2ª ed.); F. Wilken, Geschichte der Kreuzzüge, Lipsia 1807-32. - Opere già dominate dagli studî critici: L. Bréhier, L'Église et l'Orient au M. Â. Les Croisades, Parigi 1907; B. Kugler, Geschichte der Kreuzzüge, Lipsia 1880; E. Prutz, Kulturgeschichte der Kreuzzüge, Berlino 1883; R. Röhricht, Geschichte der Kreuzzüge in Umriss, Innsbruck 1898; A. Ruville, Die Kreuzzüge, Bonn 1920; W. B. Stevenson, The Crusaders in the East, Cambridge 1907; F. Cognasso, Le Crociate, Torino 1930.

Opere riguardanti problemi speciali: É. Bridney, La condition juridique des croisés et le privilège de croix, Parigi 1901; E. Heyck, Die Kreuzzüge u. das heilige Land, Lipsia 1900; W. Norden, Das Papsttum und Byzanz, Berlino 1903; R. Röhricht, Gschichte des Königsreichs Jerusalem, Innsbruck 1898; H. Sybel, Sagen und Gedichte über die Kreuzzüge, in Kleine Schriften, III, pp. 117-155; O. Volk, Die abendländisch-hierarchische Kreuzzugsidee, Halle 1911.

Sulla prima crociata: F. Chalandon, Histoire de la première croisade, Parigi 1925; H. Hagenmeyer, Chronologie de la première croisade, in Revue de l'Orient latin, 1898-1901; B. Kugler, Albert v. Aachen, Stoccarda 1885; id., Kaiser Alexius und Albert v. Aachen, in Forschungen z. deutschen Geschichte, XXIII (1882); id., Peter der Erem. u. Albert v. Aachen, in Historische Zeitschrift, XLIV (1880); H. Sybel, Geschichte des ersten Kreuzzuges, Düsseldorf 1891; R. Röhricht, Geschichte des ersten Kreuzzuges, Innsbruck 1901. - Sull'intervento italiano: C. Errera, I Crociati veneziani in Terra Santa, ecc., in Archivio veneto, XXXVIII, 1890; A. Main, I Pisani alle prime crociate, Livorno 1894.

Sulla seconda crociata: B. Kugler, Studien zur Gesch. des zweiten Kreuzzuges, Stoccarda 1866; id., Anal. zur Gesch. des zweiten Kreuzzugs, Tubinga 1878; C. Neumann, B. v. Clairvaux u. die Anfänge des zweiten Kreuzzuges, Heidelberg 1882; E. Vacandard, Saint Bernard et la seconde croisade, in Rev. des quest. hist., XXXVII.

Sulla terza crociata: A. Cartellieri, Philipp II. August König von Frankreich. II. Der Kreuzzug (1187-1191), Lipsia 1906; id., Richard Löwenherz im hlg. Lande, in Historische Zeitschrift, 1908; K. Fischer, Geschichte des Kreuzzugs Kaiser Friedrichs, I., Lipsia 1870; U. Niezler, Der Kreuzzug Kaiser Friedrichs I., in Forschungen zur deutschen Geschichte, X; R. Röhricht, Die Rüstungen des Abendlandes zum dritten Kreuzzuges, in Historische Zeitschrift, 1875; E Traub, Der Kreuzzugsplan Kaiser Heinrichs VI., Jena 1910; C. Zimmert, Der deutsch-byzantinische Konflikt vom Juli 1189 bis Februar 1190, in Byzantinische Zeitschrift, 1903.

Sulla quarta crociata la letteratura moderna è dominata da varie opposte concezioni. Alcuni critici accettarono e accettano la concezione tradizionale: la diversione su Zara e su Costantinopoli sarebbe dovuta puramente all'accidente: mancanza di denaro, comparsa a Zara di Alessio Angelo. Altri attribuiscono ogni responsabilità ai Veneziani; altri tendono a mettere in rilievo l'importanza di Bonifacio di Monferrato e di Filippo di Svevia. La crociata sarebbe stata un giochetto nelle mani dei furbi che avrebbero preordinato ogni cosa. Qualcuno si discosta dall'una e dall'altra teoria: la quarta crociata sarebbe lo sviluppo naturale e logico di tutte le aspirazioni occidentali dell'età precedente: cosa giustissima, ma che lascia la possibilità di scelta fra le due prime opposte concezioni, se pure non è da credere che tutte due abbiano del vero. La teoria dell'accidente, è rappresentata dai due cronisti che hanno partecipato alla quarta crociata, Geoffroy de Villehardouin, La conquête de Constantinople, Parigi 1872, e Robert de Clary, La prise de Constantinople, in K. Hopf, Chroniques gréco-romanes, Berlino 1873. Antiveneziani sono: K. Hopf, Geschichte Griechenlands im Mittelalter, Lipsia 1867-68; L. de Mas-Latrie, Histoire de l'île de Chypre, Parigi 1852-61; P. Riant, Innocent III, Philippe de Souabe et Boniface de Montferrat, in Revue des questions historiques, 1875, sostiene invece la responsabilità di Filippo di Svevia; W. Norden in Der vierte Kreuzzug, Berlino 1898 e in Das Papsstum und Byzanz, Berlino 1903, sostiene il punto di vista della tendenza politica dell'Occidente a conquistare Costantinopoli. Discussioni relative ai varî problemi vedi in G. Hanotaux, Les Vénitiens ont-ils trahi la chrétienté en 1202?, in Revue historique, IV, 1877; Klimke, Die Quellen zur Geschichte des vierten Kreuzzugs, Breslavia 1875; L. Streit, Venedig und die Wendung des vierten Kreuzzuges gegen Konstantinopel, Zagabria 1877; P. Riant, Le changement de direction de la IVe Croisade, in Revue des questions historiques, XXIII (1878); F Cerone, Il papa e i Veneziani nella quarta crociata, in Archivio veneto, XXXVIII-XXXIX (1888-89); e la discussione critica di E. Gerland, Der vierte Kreuzzug und seine Probleme, in Neue Jahrbücher f. d. klass. Altertum, XIII (1904). Esposizione degli avvenimenti trovasi in A. Luchaire, Innocent III. La question d'Orient, Parigi 1907; W. Miller, The latins in the levant: a hist. of Frankish Greece (1204-1566), Londra 1908; E. Pears, The fall of Const., the story of the Fourth Crusade, Londra 1885; I. Tessier, La quatrième Croisade, Parigi 1884.

Sulle altre crociate: A. Gottlob, Die päpstlichen Kreuzzugs-Steuern des 13. Jahrh., Heiligenstadt 1892; I. Greven, Frankreich und der fünfte Kreuzzug, in Hist. Jahrbuch, 1923; Lecoy de la Marche, La prédication de la croisade au XIIIe siécle, in Revue des questions historiques, 1870; R. Röhricht, Der Kreuzzug Louis IX. gegen Damiette, Berlino 1870; id., Der Kinder Kreuzzug, in Historische Zeitschrift, 1876; id., Studien zur Geschichte des fünftes Kreuzzuges, Innsbruck 1891; id., Die Kreuzfahrt des Kaisers Friedrich II., in Beiträge zur Geschichte der Kreuzzügen, Innsbruck 1874; M. Sepet, Saint Louis, Parigi 1898; H. Sternfeld, Ludwigs des Heiligen Kreuzzug nach Tunis, Berlino 1896.

Sui tentativi e sui progetti del secolo XIV e XV: I. Delaville, Le Roulx, La France en Orient au XVIe siècle, Parigi 1885; I. Gay, Le pape Clément VI et les affaires d'Orient, in Revue d'hist. relig., 1925; N. Jorga, Philippe de Mézières et la croisade au XIVe siècle, Parigi 1896; id., Notices et extraits pour servir à l'hist. des Croisades au XVe siècle, Parigi 1902; A. Magnocavallo, Marin Sanudo il vecchio e il suo prog. di crociata, Bergamo 1901; L. Pastor, St. dei papi, I-III.

TAG

Patriarca di costantinopoli

Baldovino conte di fiandra

Guglielmo ix d'aquitania

Enrico iii d'inghilterra

Lotta per le investiture