COTTABO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1959)

COTTABO (κότταβος, cottăbos)

S. Stucchi*

Gioco molto in voga nell'antico mondo classico; secondo Anacreonte, di origine sicula. Passò nel VI sec. in Grecia ed in Etruria. Molte fonti classiche ne parlano nel V e nel IV sec. a. C. e, sebbene scaduto d'importanza dopo il III sec. a. C., era ancora in uso nel II sec. d. C. (Syn., Dio, 35 A; Dind., ii, 319), ma non sembra che venisse introdotto in Roma (Plaut., Trinum., 1011, traduce l'originale greco). Dalle descrizioni, alcune volte ampie e circostanziate, degli autori classici e dai trovamenti archeologici, possiamo riconoscere tre principali modi di giocare al cottabo. Il primo, che sembra essere quello originario siculo, è detto apò anköles (απ᾿ ἀγκύλης). Il giocatore stava in piedi e teneva orizzontale una coppa (kölix) con il dito indice della mano destra infilato in un'ansa mentre il piede della coppa poggiava sulla parte esterna del polso. Con un movimento di questo (ἀπ᾿ ἀγκύλης) veniva lanciata dalla kölix una piccola quantità di vino (λάταξ, di origine sicula) verso un obiettivo, il kottabèion (κοτταβεῖον). Si crede di vedere una rappresentazione di questo modo di giocare al c. su un ciottolo inciso trovato in Etruria.

Gli altri due modi si riferiscono alla moda attica del giocare al c. nei simposii (κοτταβέζειν ἐν τοῖς συμποσίοις). L'uno è il c. en lekàne (κότταβος ἐν λεκάνη), l'altro il c. kataktòs (κότταβος κατακτός). In entrambi i casi i commensali rimanevano sdraiati sui loro letti, mentre reggevano la kölix con il dito indice della mano destra infilato in un'ansa. Con un movimento adatto del braccio la làtax, cioè il getto di vino, veniva lanciata verso il kottabèion, che nel primo caso era messo a galleggiare in un recipiente pieno d'acqua, la lekàne e, nel secondo caso, era posto su uno speciale sostegno. Questo si chiamava ugualmente c. ed era formato da un'asta verticale (alta tra m 1,30 e m 2; ῤάβδος κοτταβική) fissata ad una base. La parte superiore, spessissimo formata a figurina umana, reggeva in equilibrio un dischetto (plàstinx, πλάστιγξ che, colpito dalla làtax, doveva cadere sopra un piatto posto a metà dell'asta, detto mànes (μάνης). Una variante è costituita da un c. perugino, che reca sopra la figurina terminale un perno per l'innesto del dischetto (plastinx), che, a sua volta, presenta un foro per essere fermata alla sommità dell'asta. Sulla plàstinx in questo caso doveva esser posto qualche altro oggetto che, colpito, cadesse sul sottostante mànes. Da frammenti letterari però, di Eubulo, Cratino (Kock, C. A. F., ii, 171; i, 93, 273) e Bacchilide (Bergh, P. L. G., iii, 578, 24), rileviamo che il c. poteva anche essere sospeso al soffitto ed esser costituito (Schol. Aristoph., Pac., 1242-44) da una lucerna. Così, ugualmente, nel c. en lekàne, la lekàne poteva essere sostituita da qualunque altro recipiente. Possiamo dunque dedurre che il c. fosse un gioco di destrezza che si poteva svolgere secondo regole diverse. Il gioco non era però, il più delle volte, fine a se stesso, ma costituiva una gara, il cui premio era rappresentato, salvo qualche volta in cui si offrivano leccornie od oggetti di lusso, da una fanciulla o da un cinedo o dal diritto di scegliere, tra le etere presenti raccolte dall'anfitrione, quella più gradita (Ateneo: C. A. F., i, 612; Sophokl., Salmoneus, 494; Callippo: Kock, C. A. F., iii, 378, n. 1; Schol. ad Luc., Lexiph., 3, Framm., 195 R). Abbiamo anche notizia da due passi di Ateneo (Kock, C. A. F., i, p. 612, n. 46; Ath., 10, 427 d) del c. come gioco d'azzardo e del c. come brindisi, ma di questo siamo poco informati.

Raffigurazioni del gioco del c. non sono infrequenti nella ceramica greca ed in quella italiota, che riproducono ora l'uno ora l'altro degli aspetti del gioco. C. bronzei son venuti in luce soltanto in Etruria. I principali sono: 1) Firenze, Mus. Arch., dall'acropoli di Vetulonia (Ausonia, ix, 1919, p. 20 ss.); 2) Perugia, Mus. Etr. Rom., da Monteluce (Not. Sc., 1887, p. 169); 3) ibid., da Monteluce (Not. Sc., 1887, p. 168); 4) ibid., da Necropoli del Frontone (Röm. Mitt., i, 1886, tav. xiia); 5) ibid., di ignota provenienza (Röm. Mitt., i, 1886, tav. xii b); 6) Monaco, Antikensammlung, da Corchiano (Archaeologia, 1888, p. 395); 7) Museo Torlonia, dagli scavi di Vulci (Röm. Mitt., i, 1886, p. 235); 8) Perugia, dalla tomba dei Volumni (Röm. Mitt., lvii, 1942, p. 170, tav. 13); 9) Firenze, Museo Arch., da Montepulciano (Not. Sc., 1894, p. 238). È molto dubbio che sia un c. uno strumento trovato a Naukratis (Higgins, Archaeologia, li, 1888, p. 389 ss.).

Bibl.: In generale: G. Lafaye, in Dictionnaire des Antiquités, III, c. 866 ss., s. v. Kottabos; K. Schneider, in Pauly-Wissowa, XI, c. 1528 ss., s. v. Kottabos. Fonti: Athen., X, 427 d; XI, 479 c; XI, 487 d; XI, 782 d; XV, 665 d; ss.; Schol. ad Aristoph., Pax, 343, 1242, 1244, 1444; Schol. ad Luc., Lexiph., 3; Poll., VI, 109 ss. Sul gioco: S. Mazzarino, in Rend. Linc., 1939, fasc. 5-6, p. i ss.; A. Minto, in St. Etr., XVIII, 1944, p. 83 ss.; P. Mingazzini, in Jahrbuch, LXV-LXVI, 19501, Beibl., c. 35 ss. Sulle rappresentazioni: L. Milani, in Rend. Linc., 1894, p. 268 ss.; S. Reinach, Rép. Vases Peints, I, Parigi 1899, pp. 32, 56, 138, 207, 320, 337; II, Parigi 1900, pp. 321-336; G. Körte, in Abhandlungen d. Königl. Gesellsch. d. Wissensch. zu Göttingen, Phil. Hist. Kl., N. F., XII, n. i, 1909, p. 251 ss.; L. Pernier, in Ausonia, IX, 1909, p. 20 ss.; A. von Gerkan-F. Messerschmidt, in Röm. Mitt., LVII, 1942, p. 163 ss.; R. Zandrino, in Röm. Mitt., LVII, 1942, p. 236 ss.; U. Calzoni, in St. Étr., XVII, 1943, p. 451 ss.