Cosmo

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2006)

Cosmo

Francesco Bertola

Gli ultimissimi anni del Novecento e i primi del nuovo millennio hanno segnato una tappa fondamentale nella storia della cosmologia. Due scoperte, soprattutto, hanno portato a una vera e propria rivoluzione nella nostra concezione del c.: la sua geometria e la natura della materia che esso contiene. Per quanto concerne la prima, a priori non si è mai ipotizzato che le proprietà metriche dello spazio ridotto ove l'uomo agisce potessero essere estese e considerate valide anche nel cosmo. L'avere individuato, con esperimenti concettualmente semplici, che la tipologia delle proprietà geometriche dello spazio a tutt'oggi osservabile non differisce apprezzabilmente da quella usuale a cui siamo abituati nella vita quotidiana rappresenta, se non una sorpresa, comunque un punto fondamentale di riflessione. Per quanto riguarda il secondo argomento, la natura della materia cosmica, le più recenti osservazioni inducono a ritenere che ciò che cade sotto i nostri sensi, cioè la materia visibile, rappresenti una frazione estremamente piccola del contenuto totale reale. Ciò ha implicazioni sulle nostre conoscenze della fisica delle particelle elementari: la presenza di una materia oscura non barionica apre uno spiraglio su ipotesi circa un'interazione non gravitazionale che permea tutto il cosmo. La sua origine, invece, collocandosi in un periodo iniziale della formazione del c., ne permette di tracciare ipotesi evolutive particolarmente interessanti. La possibile chiusura e il tasso presente e passato di accrescimento rappresentano ancora formidabili problemi cosmologici a cui si cerca di dare una risposta per la quale i tempi si avvicinano a essere maturi. Qui nel seguito si analizzeranno in dettaglio le metodiche e i risultati relativi a tali argomenti.

L'Universo piatto o a curvatura nulla

Uno dei due pilastri osservativi su cui si basa la moderna cosmologia, oltre alla legge di Hubble che mette in evidenza l'espansione dell'Universo, è costituito dalla presenza della radiazione cosmica di fondo. Si tratta di un fenomeno scoperto nel 1965, costituito da un fondo di radiazione distribuito uniformemente sulla volta celeste e caratterizzato da una distribuzione spettrale tipica di un corpo nero alla temperatura di circa 2,7 K. L'epoca in cui questa radiazione venne emessa risale a circa 380.000 anni dopo il Big Bang ed è l'immagine della prima fase dell'Universo che ci è dato di vedere. Il satellite COBE (Cosmic Background Explorer), lanciato nel 1989, aveva messo in evidenza leggerissime fluttuazioni nella temperatura di questa radiazione, fluttuazioni che ci si aspettava di osservare perché l'Universo attuale, cioè quello più vicino a noi, è caratterizzato da alte variazioni di densità come risultato delle fluttuazioni primordiali. È stato proprio lo studio dettagliato di queste fluttuazioni, compiuto con l'esperimento di collaborazione italo-americana BOOMERANG (Balloon Observations of Millimetric Extragalactic Radiation and Geophysics), a far sì che si ponessero limiti molto stringenti sul tipo di geometria che caratterizza l'Universo. Questa può essere di tre tipi, a seconda della densità media di massa-energia, dando luogo a un Universo a curvatura positiva, negativa o nulla. BOOMERANG ha rivelato che la curvatura dello spazio dell'Universo è nulla, pertanto in esso vale la geometria euclidea, quella che sperimentiamo nello spazio tridimensionale nella vita di ogni giorno, in cui il cammino minimo tra due punti è costituito da un segmento di retta; conseguentemente, l'Universo viene detto piatto. Nell'esperimento BOOMERANG un pallone aerostatico ha trasportato un telescopio del diametro di 1,2 m e ha volato nel dicembre del 1998 a un'altezza di 35 km sopra i ghiacci dell'Antartide, registrando le fluttuazioni di temperatura della radiazione cosmica di fondo. I risultati hanno stabilito soprattutto che le dimensioni apparenti delle fluttuazioni più prominenti sono di circa un grado. Poiché le dimensioni intrinseche e la distanza di tali fluttuazioni sono note dalla teoria, se ne è dedotto che la geometria dell'Universo dev'essere euclidea: se l'Universo avesse avuto una curvatura positiva le dimensioni angolari sarebbero state più grandi di un grado e più piccole nel caso di curvatura negativa. L'esperimento BOOMERANG ha fornito in questo modo una risposta a una domanda fondamentale della cosmologia, che ci si poneva già nel 1922 quando A. Friedmann produsse i primi modelli relativistici dell'Universo. Un Universo a curvatura positiva è finito, mentre quello piatto o a curvatura negativa è infinito; poiché la curvatura è dovuta al contenuto di massa-energia dell'Universo, l'esperimento ha stabilito che la densità media dell'Universo dev'essere quella critica, proprio come presupposto dalla teoria dell'Universo inflazionario.

BOOMERANG ha osservato solo una piccola frazione del cielo coprente un'area di 30°×30°. La successiva missione della NASA, denominata WMAP (Wilkinson Microwave Anisotropy Probe), consistente in un rivelatore di microonde lanciato nel 2001 e posizionato nel punto lagrangiano L2 a 1.500.000 km dalla Terra, ha fornito una mappa della radiazione cosmica di fondo dell'intero cielo, confermando i risultati ottenuti precedentemente da BOOMERANG.

L'Universo accelerato

Mentre BOOMERANG esplorava il cielo dell'Antartide, fu annunciata una scoperta destinata a costituire non soltanto una delle rivoluzioni più profonde nello sviluppo della cosmologia moderna, ma anche della fisica fondamentale. La scoperta si basa sulla determinazione dell'espansione dell'Universo fatta misurando la distanza di oggetti che possono definirsi candele campione, perché caratterizzati dalla medesima luminosità intrinseca. Risulta evidente che per tali oggetti, nota la luminosità apparente e quella intrinseca e sapendo che l'intensità luminosa decresce in modo inversamente proporzionale al quadrato della distanza, quest'ultima risulta perfettamente determinata. Poiché era inoltre necessario osservare a grandi distanze, occorreva scegliere oggetti intrinsecamente molto brillanti. Questi potentissimi indicatori di distanza furono individuati nelle supernovae, stelle che alla fine della loro evoluzione esplodono diventando anche dieci miliardi di volte più brillanti del Sole, con una luminosità di poco inferiore a quella della stessa galassia a cui appartengono. Ci sono supernovae di diversi tipi a seconda che rappresentino lo stato finale di stelle massive oppure di stelle di massa piccola. Particolarmente adatte all'osservazione cosmologica sono le cosiddette supernovae di tipo Ia (SNIa), formate dall'esplosione di nane bianche, che acquisiscono massa in sistemi stellari binari. La luminosità massima delle SNIa non è proprio sempre la stessa, ma si è potuto dimostrare che quelle brillanti diminuiscono di splendore nelle prime due settimane dopo l'esplosione in modo più lento di quelle deboli. Misurando quindi la rapidità di declino della luce si risale alla luminosità della supernova al suo massimo e si dispone pertanto di un preciso e potente indicatore di distanza. Al fine di poter determinare come si espande l'Universo a grandi distanze, si sono formati due gruppi internazionali di ricerca, l'High-Z SN Search e il Supernovae Cosmologicy Project, che, utilizzando i maggiori telescopi, sia terrestri sia spaziali, hanno prodotto i primi risultati nel 1998. Da allora le supernovae, che costituiscono un fenomeno raro in una singola galassia (l'ultima apparve nella nostra galassia nel 1604 e fu osservata da Galileo e Keplero) sono state scoperte al ritmo di più di 100 l'anno e parecchie decine sono sufficientemente lontane per darci l'indicazione su come si espande l'Universo. Le osservazioni a partire dal 1998 avevano messo in evidenza che supernovae lontane apparivano più deboli di quello che ci si aspettava se la distanza fosse stata quella indicata dalla loro velocità di recessione, dovuta all'espansione dell'Universo, nell'ipotesi che questa fosse di tipo decelerato come fino ad allora si pensava. Il fatto che fossero più deboli significava che la loro distanza era più grande e questo era compatibile solo se l'Universo, anziché essere frenato nel suo moto di espansione dall'azione gravitazionale della materia, fosse accelerato. Un fatto di enorme portata che non era mai stato seriamente considerato prima. Un'analisi più accurata, compiuta successivamente, ha permesso di accertare l'andamento di questa accelerazione: supernovae ancora più lontane delle precedenti, esplose 10 miliardi di anni fa quando l'Universo era ancora relativamente giovane, indicano infatti un'espansione decelerata. Se ne conclude che l'Universo, che si ritiene abbia un'età di 13,7 miliardi di anni, abbia trascorso i primi 9 miliardi in una fase di espansione con velocità decrescente, e che solo 5 miliardi di anni fa sia iniziato quel moto per cui la sua velocità di espansione è in continuo aumento nel tempo.

L'energia oscura

La scoperta dell'espansione accelerata dell'Universo ha evidenziato come questo non sia semplicemente governato dall'attrazione gravitazionale esercitata dalla materia, ma anche da un'altra entità con proprietà opposte, cioè repulsive, capace di accelerarlo, chiamata energia oscura, la cui natura risulta ancora sconosciuta. Lo studio dettagliato di come si allontanano le supernovae permetterà di approfondire le nostre conoscenze sul comportamento dell'Universo. A questo scopo, il Dipartimento dell'energia degli Stati Uniti e la NASA stanno mettendo a punto il progetto scientifico JDEM (Joint Dark Energy Mission), costituito da un telescopio orbitante dotato di specchio di 2 m di diametro particolarmente adatto per individuare le supernovae lontane. Il telescopio sarà messo in orbita all'inizio del prossimo decennio, quando il telescopio spaziale Hubble avrà terminato la sua missione.

Quanto indicato dall'esperimento BOOMERANG sull'Universo piatto ci permette di concludere che proprio l'energia oscura è la componente che porta l'Universo al limite della chiusura. Risulta infatti che il 73% del contenuto dell'Universo è energia oscura, con le sue proprietà di repulsione, il 23% è costituito da materia oscura non barionica e soltanto il 4% è fatto di materia ordinaria, cioè barionica (solo una frazione di quest'ultima è materia luminosa). Un risultato sconcertante, in cui si assiste a un'applicazione estrema del principio copernicano secondo il quale l'uomo e la materia di cui è costituito giocano un ruolo trascurabile nel bilancio cosmico. La causa dell'energia oscura è stata cercata sia nella teoria della relatività generale sia nella meccanica quantistica. La relatività permette di individuare forme di energia che producono una gravità repulsiva, già introdotta da A. Einstein nel tentativo di mantenere in equilibrio il suo primo modello statico dell'Universo. Si parla anche in termini quantistici di energia del vuoto, che non va pensato come realmente vuoto, ma costituito da particelle virtuali capaci di esercitare forze di repulsione.

Ci si può chiedere quale sarà il destino del C. nel nuovo scenario in cui l'energia oscura è preminente. Ovviamente tutto dipende dalla natura, ancora sconosciuta, di tale forma energetica e da come la sua densità varierà con il tempo. Se la densità dell'energia oscura diminuirà con il tempo, si potrà arrivare a una situazione in cui la materia tornerà dominante, con gli scenari già descritti. Se invece la densità resterà costante o addirittura aumenterà, gli oggetti visibili nell'Universo saranno sempre meno numerosi. Fra 30 miliardi di anni tutti i milioni di galassie che attualmente possiamo osservare con i telescopi non saranno più visibili: le galassie più lontane saranno quelle dell'ammasso della Vergine, attualmente l'agglomerato di galassie più vicino. In 100 miliardi di anni la nostra galassia rimarrà sola e tutte le altre, anche le più vicine, saranno uscite dalla nostra visuale. Si è anche ipotizzato che il ruolo dell'energia oscura diventi così rilevante, a causa della sua azione repulsiva, da lacerare la materia anche nelle sue strutture più intime. Si avrebbe così a che fare con una distruttiva energia fantasma che porterebbe l'Universo alla sua fine, chiamata big rip, cioè grande disgregazione: 60 milioni di anni prima del big rip la nostra galassia sarà distrutta, 3 mesi prima anche il Sistema solare si dissolverà, 30 minuti prima la Terra esploderà e 10−19 s prima del big rip anche i nuclei atomici si disgregheranno completamente. Tutto questo può sembrare fantastico, speculazione spinta all'estremo, e in un certo senso lo è: soltanto quando la natura dell'energia oscura diventerà più comprensibile, grazie all'ausilio di accurate osservazioni astronomiche, si potranno avanzare alcune ipotesi sul destino dell'Universo.

L'epoca del buio cosmico

All'epoca dell'emissione della radiazione di fondo, la temperatura del plasma crollò bruscamente a circa 3000 K, cosicché gli elettroni e i protoni muovendosi più lentamente furono in grado di formare un gas neutro costituito principalmente da idrogeno e, in misura minore, da elio. In queste condizioni l'Universo, che prima era opaco, divenne improvvisamente trasparente e la luce lo poté percorrere liberamente: fu l'epoca della ricombinazione. Con l'espandersi dell'Universo, la radiazione di fondo divenne sempre più spostata verso lunghezze d'onda maggiori (nel visibile, verso il rosso), la sua temperatura diminuì e nell'Universo, in cui non si erano ancora formati oggetti in grado di emettere luce, iniziò, circa 2 milioni di anni dopo il Big Bang, l'epoca del buio cosmico, caratterizzato dalla sola presenza di atomi neutri e dalla radiazione di fondo che gradatamente si raffreddava. C'era tuttavia un lento lavorio della forza di gravità che lentamente agiva sull'Universo trasformandolo completamente nel giro di un centinaio di milioni di anni. Lo studio della radiazione di fondo ci indica che all'epoca della ricombinazione la materia era distribuita uniformemente nell'Universo, tuttavia erano presenti delle fluttuazioni di densità estremamente piccole, come rivelato dalle missioni COBE, BOOMERANG e WMAP. L'azione della forza di gravità nei primi 100 milioni di anni è stata quella di far aumentare le differenze di densità tra una regione e l'altra dello spazio, dapprima molto lentamente poi sempre più rapidamente fino a far cessare l'epoca del buio cosmico e a provocare l'accensione delle prime stelle. Dal punto di vista dell'osservazione diretta si può dire poco di questa fase buia perché manca la possibilità di osservarla, ma poiché si è in grado di osservare con i telescopi galassie e quasar a un'epoca corrispondente a un miliardo di anni dopo il Big Bang, si stima che tra la fine del periodo buio e quest'epoca sia avvenuta una profonda trasformazione nella struttura dell'Universo, che, pur se impossibile da osservare, si può simulare con le tecniche di calcolo più avanzate, come la Millennium simulation, la più grande operazione di calcolo che sia stata mai fatta.

Portata a compimento nei primissimi anni del 21° sec. da un'équipe di scienziati tedeschi, inglesi, canadesi e americani, con il suo nome si è inteso celebrare l'inizio del nuovo millennio con l'auspicio che sia ricco di grandi scoperte scientifiche. Il supercomputer dell'Istituto Max Planck di Garching (Germania) è stato impiegato per più di un mese per studiare l'evoluzione di un cubo, avente ogni lato lungo due miliardi di anni luce, entro al quale erano contenuti dieci miliardi di particelle di materia, soggette ciascuna alla forza di gravità esercitata dalle rimanenti. All'interno di questo grandissimo volume nel corso del tempo si sono formati venti milioni di galassie, ciascuna dotata al centro di un buco nero supermassivo. L'enorme quantità di dati prodotta dal calcolo occupa una memoria di 25 milioni di megabyte. La simulazione ha avuto come scopo quello di seguire l'azione della gravità a cominciare dall'epoca del buio cosmico e in questo senso è l'unico modo che abbiamo di farci un'idea di quello che successe in quell'epoca remota. Successivamente la simulazione ha mostrato tutta una serie di eventi nell'evoluzione dell'Universo che sarà possibile verificare in un prossimo futuro con l'osservazione astronomica diretta. L'ingrediente principale di queste simulazioni è la materia oscura fredda, la cui massa si ritiene sia dovuta a ipotetiche particelle elementari che interagiscono tra loro solo gravitazionalmente, senza che avvengano collisioni. Uno dei campi di frontiera attuali dell'astrofisica delle particelle si propone di individuare questa componente, che al momento è solo teorica. È proprio all'interno degli immensi aloni di materia oscura che la materia ordinaria barionica si condensa per formare quelle entità in grado di emettere luce che sono le stelle. Le simulazioni ci mostrano che la materia tende a distribuirsi in una struttura a filamento dove grandi condensazioni di gas si formano nei punti di incrocio. Sarebbero queste le prime, piccole protogalassie entro cui si formerebbero le prime stelle. Questi minuscoli sistemi, se confrontati con le caratteristiche di una galassia come la nostra, prenderebbero origine circa 200 milioni di anni dopo il Big Bang e avrebbero una massa che raggiunge un milione di volte quella del Sole, con diametri fino a cento anni luce.

All'inizio vi è una grande condensazione in cui la materia oscura ha la stessa distribuzione della materia ordinaria, con il massimo della densità al centro. Successivamente avviene la fase in cui la materia oscura si disaccoppia dalla materia ordinaria, nel senso che quest'ultima perde energia emettendo radiazione e collassa per formare un disco. La materia oscura, invece, che non è caratterizzata da collisioni e che non emette energia, mantiene la sua configurazione iniziale. Entro questi dischi la materia barionica, per effetto della gravità, tende a collassare in grumi e a formare le prime stelle dell'Universo. Le proprietà fisiche e, soprattutto, la temperatura in queste condizioni sono molto diverse da quelle presenti nelle nubi che hanno dato origine a stelle come il Sole, per cui la massa delle prime stelle risulta grandissima e viene stimata essere nell'intervallo compreso tra qualche centinaio e mille volte più grande di quella del Sole. Stelle così massicce hanno una vita molto breve: bruciano il loro combustibile solo in qualche milione di anni e finiscono con l'esplodere come supernovae, espellendo gas arricchito in metalli, se la loro massa è inferiore a 250 volte quella del Sole; se invece sono molto più massicce, collassano per formare un consistente buco nero. Caratteristica delle prime stelle è quella di avere una temperatura superficiale molto alta, fino a 100.000 K. Si tratta pertanto di stelle che emettono una forte quantità di radiazione ultravioletta, che va a ionizzare il gas entro cui sono immerse. Con l'accendersi di tali stelle, nell'Universo termina l'epoca del buio cosmico e inizia l'epoca della reionizzazione. Le bolle di gas ionizzato sviluppatesi attorno alle stelle si gonfiano fino a toccarsi tra loro e alla fine del processo tutto il gas intergalattico sarà ionizzato e rimarrà in questo stato fino ai nostri giorni. L'Universo diventerà così di nuovo trasparente, permettendoci di osservare passo passo la sua evoluzione. Si stima che l'epoca occupata dal processo di ionizzazione si estenda fino al momento in cui l'Universo compie il primo miliardo di anni. L'epoca della reionizzazione costituisce uno dei capitoli più all'avanguardia dell'astrofisica moderna e viene affrontato sia teoricamente, mediante le simulazioni numeriche di cui si è parlato, sia dal punto di vista osservativo.

La formazione delle galassie

Uno dei progetti più ambiziosi che mai siano stati intrapresi sul rilevamento di ciò che è presente nel cielo è la SDSS (Sloan Digital Sky Survey). Un grande telescopio con specchio di 2,5 m di diametro, situato ad Apache Point nel Nuovo Messico, raccoglie ininterrottamente immagini del cielo, che alla fine del progetto verrà scandagliato per ben un quarto dell'intera sfera celeste. Saranno misurate le posizioni e la brillanza intrinseca di cento milioni di oggetti celesti, comprendenti stelle della nostra galassia, galassie esterne e quasar. Per un milione di galassie saranno ottenuti anche gli spettri e dallo spostamento delle righe verso il rosso (legge di Hubble) verranno dedotte le loro distanze. Il rilevamento porterà anche a misurare la distanza di centomila quasar, i brillantissimi nuclei delle galassie attive, visibili fino ai confini dell'Universo, permettendo così di ottenere una mappa tridimensionale dell'Universo. La SDSS ha già dato i primi frutti, consentendo, per es., di penetrare nell'epoca della reionizzazione e, attraverso lo studio dello spettro di quasar molto lontani, quasi fino alla fine dell'epoca del buio cosmico. Già sono stati indicati oggetti che si pensa corrispondano alle prime stelle supermassive.

Nell'epoca della reionizzazione la gravità ha continuato ad agire tra i piccoli dischi primordiali, le protogalassie, portandoli a fondersi tra di loro e a formare oggetti di dimensioni sempre più grandi corrispondenti alle galassie a spirale. Secondo questo modello di formazione, detto gerarchico, anche le galassie ellittiche si sarebbero formate dalla fusione di due dischi di dimensioni simili. Viene proposto anche un modello di formazione, chiamato monolitico, secondo il quale le galassie attuali sarebbero il risultato del collasso di una grande nube protogalattica. Molto probabilmente ambedue i processi hanno un loro ruolo nelle complesse vicende che portano alla formazione delle galassie. Sono in corso di realizzazione due grandi imprese astronomiche per studiare le primissime fasi della formazione stellare e delle galassie che daranno i primi risultati nel prossimo decennio. Per quanto riguarda la prima, si tratta dell'insieme di 64 antenne paraboliche, ciascuna con un diametro di 11 m, installate nel deserto Atacama, nel Cile settentrionale, denominato ALMA (Atacama Large Millimeter Array), frutto di una collaborazione tra l'Europa e i Paesi del Nord America. Questi telescopi analizzeranno la radiazione nella regione millimetrica e submillimetrica dello spettro elettromagnetico. Sarà così possibile osservare l'epoca della reionizzazione. Molte galassie saranno immerse nelle polveri che, riscaldate dalle stelle, emetteranno uno spettro continuo che avrà il suo massimo proprio nella regione spettrale submillimetrica cui è sensibile ALMA, a causa del forte spostamento verso il rosso causato dall'espansione dell'Universo. ALMA sarà lo strumento ideale per osservare la nascita delle galassie, alla fine dell'epoca del buio cosmico. Molto ci si aspetta anche dall'osservazione dell'emissione prodotta dalle molecole di ossido di carbonio, che già sono state rivelate in galassie molto lontane.

L'altra rimarchevole strumentazione per penetrare più a fondo nell'era del buio cosmico sarà posta nello spazio su di un'orbita a 1,5 milioni di km dalla Terra. Il telescopio, denominato JWST (James Webb Space Telescope), sarà dotato di uno specchio di circa 6,5 m di diametro e sarà sensibile alle radiazioni con lunghezze d'onda che vanno dal rosso all'estremo infrarosso; sarà il continuatore dell'opera svolta con grande successo dall'HST (Hubble Space Telescope). Con il JWST si cercherà di capire come sia avvenuto il processo di formazione delle galassie, come si sia arrivati alle attuali forme così diverse tra loro, come mai una parte delle galassie hanno i bracci a spirale mentre altre ne sono prive, come si innescano i processi di formazione stellare. Il telescopio è progettato per fornirci tutti i dettagli di questa fenomenologia riguardante le prime fasi della vita dell'Universo, le cui conseguenze determinano l'aspetto dell'Universo locale. Un campo di ricerca da cui ci si aspetta molto è anche quello concernente la nascita dei sistemi planetari, la possibile esistenza di sistemi come il nostro e conseguentemente le condizioni fisico-chimiche che rendono possibile la vita.

Per preparare il terreno ad ALMA e a JWST è stato varato un programma internazionale, chiamato GOODS (Great Observatories Origins Deep Survey), con lo scopo di ottenere profonde osservazioni in varie lunghezze d'onda di tutti gli oggetti presenti in due piccole aree di cielo estese complessivamente 320 minuti d'arco quadrati. Gli strumenti impegnati sono i tre grandi telescopi spaziali della NASA: l'HST con uno specchio di 2,40 m, sensibile dall'ultravioletto all'infrarosso; lo Spitzer Space Telescope, lanciato nel 2003, dedicato allo studio della radiazione infrarossa proveniente da oggetti immersi nelle polveri cosmiche, impossibile da rivelare usando altri tipi di radiazione; infine, il Chandra X-ray Observatory, messo in orbita nel 1999, che fornisce immagini del C. nel dominio dei raggi X, permettendo di conoscere fenomeni che avvengono in prossimità dei buchi neri e di studiare le nubi di gas con temperature di milioni di gradi entro cui sono contenuti gli ammassi di galassie. Oltre ai telescopi spaziali, il progetto GOODS utilizza i maggiori telescopi situati a terra. Uno degli argomenti scientifici di grande rilevanza che GOODS sta affrontando riguarda i processi di formazione e di evoluzione delle galassie e lo studio della radiazione prodotta sia dalle stelle sia dai buchi neri supermassicci (con masse comprese tra un milione e un miliardo di volte quella del Sole), che risiedono nel centro delle galassie. Si ritiene che in una galassia la componente di materia oscura, quella della materia luminosa e il buco nero centrale giochino un ruolo combinato nell'evoluzione delle galassie vicine. Il modello gerarchico di formazione prevede che le galassie a grandissime distanze siano formate principalmente di stelle giovani e che le loro dimensioni siano piccole, e che siano destinate con l'andare del tempo a fondersi tra loro, creando sistemi di massa e dimensioni maggiori. Si hanno evidenze osservative a favore di questo fenomeno, tuttavia molto recentemente i telescopi spaziali HST e Spitzer e quello terrestre VLT (Very Large Telescope) hanno mostrato la presenza nell'Universo giovane, con un'età di appena 800 milioni di anni, di una galassia molto cospicua, con una massa pari a quasi dieci volte quella della nostra e con stelle non più giovani. Altre galassie di massa inferiore ma con una popolazione stellare evoluta sono state individuate da GOODS all'incirca alla stessa distanza. Tutto questo fa supporre che la formazione delle stelle in questi sistemi sia stata precocissima, in modo tale da far sembrare 'mature' galassie che si trovano in una fase dell'Universo molto giovane, di età inferiore al miliardo di anni, e che il modello monolitico di formazione delle galassie possa essere in questi casi il più indicato. Lo studio sistematico delle galassie entro le due aree esaminate da GOODS permetterà la determinazione delle loro masse in funzione della distanza, come pure quello dei processi di formazione stellare.

Sarà interessante stabilire come le galassie assumano nel corso del tempo quelle svariate forme che E. Hubble, ancora negli anni Trenta del 20° sec., cercò di descrivere inquadrandole nel suo famoso schema di classificazione morfologica (galassie ellittiche, a spirale, a spirale con barra, irregolari).

Le conquiste della cosmologia dell'ultimo decennio del 20° sec. e dell'inizio del 21° hanno portato a un quadro di conoscenze estremamente convincente sulle proprietà dell'Universo e tale da contribuire in modo concorde alla moderna visione cosmica. All'attuale modello cosmologico, che gode del consenso della maggioranza degli astronomi e dei cosmologi, è stato dato il nome di concordance cosmology, vale a dire di cosmologia in cui la gran parte delle osservazioni concorrono tutte a un'unica, consistente interpretazione senza che ce ne siano altre contraddittorie.

I principali fatti su cui si basa la concordance cosmology e che portano tutti nella medesima direzione sono i seguenti: l'età dell'Universo è di 13,7 miliardi di anni; la costante di Hubble, determinata misurando la distanza delle galassie con il metodo delle variabili Cefeidi, è di 70 km/sec/Mpc; la geometria dell'Universo è euclidea; l'espansione attuale dell'Universo è accelerata; la densità di materia barionica dell'Universo è di appena il 4%, quella della materia oscura è del 23%, mentre quella dell'energia oscura è del 73%; il Big Bang iniziale è seguito dalla brevissima fase dell'inflazione; le simulazioni con il computer riescono a riprodurre bene le osservazioni della struttura su grande scala dell'Universo e costituiscono l'esempio di proficua integrazione fra teoria e osservazione.

Tutti questi punti contribuiscono a far sì che la cosmologia stia diventando una vera e propria scienza di precisione.

bibliografia

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