COMUNE

Enciclopedia Italiana (1931)

COMUNE (fr. Commune; sp. municipio; ted. Gemeinde; ingl. borough, municipality)

Umberto BORSI
Nicola OTTOKAR
Arrigo SOLMI

È un ente autarchico territoriale costituito da una collettività di persone residenti o aventi certi interessi in una limitata parte del territorio statale. Di solito è sorto spontaneamente ed è sempre stato riconosciuto e dotato dallo stato del potere necessario per organizzare servizî pubblici locali con i mezzi forniti dalla collettività. Lo stesso nome di comune serve altresì a designare la circoscrizione dell'amministrazione statale delimitata dai confini territoriali dell'ente amministrativo suddetto.

La sua base naturale consiste nella spontanea convivenza sociale di più persone, in prevalenza aggruppate in famiglie, in un dato territorio, e su questa base poggia la sua originaria attitudine alla cura degl'interessi collettivi della popolazione che lo costituisce. Ma perché il comune si configuri nell'ordinamento giuridico occorre che lo stato, conscio di tale attitudine, la valorizzi col riconoscere la personalità di esso e con l'attribuirgli un potere d'impero che serva ai suoi fini. Il concetto che il comune abbia per la sua stessa natura un potere esclusivamente suo è infatti, se non teoricamente assurdo, in relazione ai vigenti ordinamenti, erroneo: se questo potere effettivamente esistesse, ne resterebbe menomata la sovranità dello stato. Tuttavia, ogni tanto, qua e là affiorano tendenze dottrinali o politiche che in qualche modo presuppongono quel concetto, come ad esempio la cosiddetta dottrina della intermunicipalità, d'origine americana, che avrebbe dovuto portare alla costituzione di un'associazione internazionale di comuni con finalità politico-amministrative sotto il patronato della Società delle nazioni. Gli elementi proprî di ogni comune sono, secondo il nostro diritto positivo, di due ordini: estrinseci e intrinseci.

I principali elementi di carattere estrinseco sono il nome, lo stemma o emblema, il gonfalone, il sigillo, il titolo. Il nome può mutarsi per ragionevoli motivi (eliminazione di facile confusione, di ridicolo, celebrazione di glorie locali, ecc.); in mancanza di norme speciali si seguono in proposito, per consuetudine, quelle relative al mutamento di cognome dei privati, con i congrui adattamenti, provvedendosi in seguito a deliberazione podestarile, sentita l'amministrazione provinciale, con decreto reale, su proposta del ministro dell'Interno, previo parere del Consiglio di stato. Anche lo stemma, il sigillo, ecc., possono essere mutati, provocando in proposito i provvedimenti della consulta araldica che conserva un apposito Libro araldico degli enti morali. Quanto al titolo, debbono distinguersi i comuni che godono di quello di "città" da quelli che non lo hanno. Tale titolo, in base al vigente diritto italiano, spetta ai comuni insigni per monumenti di storia e d'arte, con non meno di 10.000 abitanti e che hanno provveduto convenientemente ad ogni servizio pubblico, specie all'assistenza, istruzione e beneficenza; però il titolo appartiene anche a molti comuni per antica concessione sovrana o per lunga consuetudine. Il comune ha sul nome, sullo stemma, sul sigillo, ecc., un diritto analogo a quello spettante ai privati e tale diritti esso può far valere contro eventuali usurpatori.

Gli elementi di carattere intrinseco sono il territorio e la popolazione. Si discute se al comune spetti un diritto sul territorio o soltanto nel territorio, considerato come semplice elemento delimitativo della sua potestà d'impero; se, ammesso un diritto sul territorio, si tratti di diritto reale o di diritto di personalità; se di diritto esclusivo del comune o d'un diritto frazionario di quello dello stato, ecc. Attenendosi al nostro diritto positivo, sembra di dover ritenere che il comune abbia soltanto il diritto che lo stato gli concede di valersi del territorio ai fini e nei limiti dell'esercizio delle sue funzioni. Una stessa porzione di suolo è al tempo stesso proprietà di privati e territorio dello stato, di una provincia e di un comune; e se non è difficile riconoscere la compatibilità della proprietà privata col diritto territoriale di enti pubblici, per rendersi conto della compatibilità di più diritti territoriali, bisogna ammettere il loro collegamento unitario. Avendo riguardo a questo, può dirsi che in astratto il diritto territoriale spetta nella sua pienezza allo stato, mentre in concreto spetta anche ad altri enti, i quali ne esercitano la parte che lo stato ad essi attribuisce. La delimitazione di tale diritto in ciascun ente è in relazione al carattere e all'estensione delle sue funzioni e normalmente non può esservi conflitto fra i diritti territoriali dei varî enti perché le attività dei medesimi sono tutte regolate e coordinate dallo stato. Non è inesatto parlare di un territorio del comune perché soltanto al comune è riferibile il diritto territoriale collegato all'esercizio di funzioni municipali, ma questo territorio non è che una delle figure giuridiche che può assumere la stessa entità materiale di suolo, di acqua, ecc., considerata come oggetto di pertinenza di enti diversi.

L'altro elemento intrinseco del comune è la popolazione, anch'essa considerata in uno degli aspetti varî che assume in relazione alla potestà d'impero di più enti. Uno stesso gruppo di persone, infatti, costituisce contemporaneamente parte della popolazione dello stato, della provincia, del comune, ma in certo ordine di rapporti si presenta soltanto come popolazione dello stato, in altro soltanto della provincia e in altro soltanto del comune. La popolazione del comune è costituita, almeno nel suo nucleo principale, da coloro che sono dotati della "cittadinanza comunale" che, secondo la prevalente dottrina, risulta dal requisito costante della cittadinanza statale e inoltre da un altro requisito che può essere o la residenza, o la proprietà di beni, o l'esercizio di una professione o industria o commercio nel comune: la varietà del secondo requisito spiega come sia possibile che una stessa persona abbia la cittadinanza di più comuni. Spesso però la legge si riferisce, nell'attribuire diritti o doveri in relazione all'organizzazione e all'attività del comune, anziché ai cittadini comunali, ai proprietarî di beni e ai contribuenti del comune, ecc., onde si può dire che l'importanza della nozione di cittadino comunale sia più teorica che pratica. La cittadinanza comunale onoraria non ha importanza giuridica.

I modi nei quali può formarsi un comune sono: la costituzione ex novo, lo smembramento totale o parziale di altro comune e la fusione di più comuni. La fusione va distinta dall'incorporazione, la quale, se attiva, o se passiva parziale, è causa di modificazione (ampliamento o diminuzione), se passiva totale, è causa di estinzione, ma mai causa di formazione di nuovo comune. I modi di estinzione del comune sono: la perdita del territorio, la perdita della popolazione, lo smembramento totale, la fusione, l'incorporazione passiva. I primi due si debbono reputare del tutto eccezionali. Le cause di modificazione del comune sono: il naturale aumento o la naturale diminuzione del territorio (emersione di isola in acque comprese nel territorio comunale, alluvione, ritiro delle acque marine, avulsione, erosione del lido marino o permanente invasione di parte di questo dalle acque, inabissamento per cataclisma, ecc.), lo smembramento parziale, l'incorporazione attiva. Il diritto positivo, pur contemplando alcuni casi di creazione, modificazione ed estinzione di comuni e regolandone sia le condizioni sostanziali sia il procedimento, non parla né di smembramento, né di fusione, né d'incorporazione.

L'art. 74 dello statuto del regno stabilisce che la circoscrizione dei comuni è regolata dalla legge; spetta cioè al potere legislativo di provvedere volta a volta alla modificazione dei comuni in casi diversi da quelli nei quali la legge comunale e provinciale ne dà facoltà al potere esecutivo e precisamente al governo del re. I casi che appartengono alla competenza governativa sono tre, e cioè l'unione di più comuni, volontaria o coattiva, l'elevazione d'una frazione di comune a comune autonomo e la segregazione d'una frazione da un comune e la sua aggregazione ad un altro. In tutti e tre i casi si ha una espressione di volontà del comune insieme con una espressione di volontà del governo, la quale ultima soltanto è però decisiva. L'unione coattiva è subordinata alla ricorrenza di date condizioni topografiche, demografiche e finanziarie che normalmente si deve verificare riguardo a tutti i comuni da unire; però sembra logico ammettere che comuni che si trovino nelle prescritte condizioni possano essere incorporati in un comune che sia in condizioni diverse, non costituendo l'incorporazione attiva una causa né di estinzione, né di menomazione, sibbene di ampliamento, e non avendo perciò ragione d'essere a suo riguardo le garanzie dettate a tutela della personalità del comune. Ai comuni che nella ristrettezza del territorio trovino impedimento al loro sviluppo economico possono concedersi ampliamenti unendo ad essi in tutto o in parte il territorio di altri comuni. Anche l'elevazione di una frazione a comune autonomo è sottoposta a condizioni topografiche, demografiche e finanziarie. È peraltro direttiva di governo quella di evitare la creazione di comuni troppo piccoli o troppo miseri per sostenere l'onere dei loro normali servizî. Dalla modificazione e dall'estinzione del comune sorge il problema della trasmissione dei diritti e degli obblighi del comune cessato, o modificato per diminuzione, al comune nuovo, o modificato per accrescimento, che totalmente o parzialmente ad esso subentra, problema di solito indicato col nome di "successione comunale". Le norme applicabili sono quelle stabilite con effetto costitutivo, a giudizio di equità del governo, dal decreto reale che di volta in volta provvede in materia.

Il comune è e opera, normalmente, come ente unitario. Due eccezioni sono il consorzio comunale e la frazione comunale. Questa è costituita da una parte della popolazione e del territorio del comune distinguibile per particolarità di interessi collettivi dalla parte o dalle parti rimanenti. Essa, talora detta borgata, può essere semplice o separata: la separazione riguarda il patrimonio e alcune spese per servizî locali e può essere accordata con decreto reale. La frazione i cui interessi siano in opposizione a quelli del capoluogo o di altre frazioni può provvedere alla tutela di essi mediante una speciale amministrazione ed avere per l'esercizio delle relative azioni una particolare rappresentanza. Si disputa se alla frazione si debba riconoscere personalità giuridica e prevale l'opinione che nella frazione, anche semplice, ammette la personalità di diritto privato, mentre per il riconoscimento della personalità di diritto pubblico - che in ogni caso potrebbe riguardare soltanto la frazione separata - la separazione delle spese per alcuni servizî locali, che restano sempre servizî del comune, non offre base adeguata.

Il regime giuridico dei comuni italiani è stato sino a non molto tempo addietro e, nei suoi elementi fondamentali, può dirsi tuttora d'indole uniforme, pur nella grande varietà del numero degli abitanti, dell'estensione del territorio e della potenzialità economico-finanziaria. Si tratta però ormai più di uniformità di criterî direttivi che di disposizioni specifiche, le quali anzi, nello svolgersi della legislazione, sono venute via via foggiando una serie di distinzioni e classificazioni più o meno importanti. Notevoli fra esse quelle relative alla divisibilità in quartieri, all'amministrazione delle scuole elementari, all'obbligo di certi uffici, laboratorî e dispensarî igienici e curativi, ecc., ma soprattutto quelle attinenti alla costituzione degli organi e ai controlli statali.

Gli organi del comune si distinguono in onorari e professionali; i primi sono il podestà, il vicepodestà e la consulta; i secondi gl'impiegati e salariati. Di grandissima importanza dal punto di vista politico e amministrativo è stata la riforma legislativa che ha portato all'abolizione del consiglio comunale, della giunta municipale e del sindaco e all'istituzione del podestà che riunisce in sé tutti i poteri di amministrazione del comune ed è perciò tanto organo deliberativo quanto organo esecutivo; il vicepodestà o i vicepodestà coadiuvano il podestà che può affidare loro speciali incombenze e lo sostituiscono in caso d'impedimento o d'assenza. La consulta è un organo esclusivamente consultivo istituito per assistere il podestà nell'emanazione dei provvedimenti di maggiore importanza; è obbligatoria nei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti (v. per maggiori particolari: podestà; consulta).

Gli organi professionali del comune, ad esso legati da rapporto di impiego, si distinguevano in passato agli effetti giuridici principalmente in impiegati e salariati, distinzione terminologicamente equivoca, essendo il concetto generico di impiegato comunale riferibile anche a questi ultimi; la legge comunale e provinciale parla anche di "agenti", ma questi dal punto di vista giuridico non sono che salariati, distinti dagli altri per l'indole delle attribuzioni, avendo compiti di polizia con potere di materiale coercizione e in dipendenza di ciò essendo organizzati militarmente o quasi militarmente (guardie municipali, vigili sanitarî, ecc.). Sino a qualche tempo addietro i salariati - prestatori d'opera almeno prevalentemente manuale - si distinguevano, pur essendo, come si è detto, anch'essi legati da rapporto d'impiego, dagl'impiegati, per la diversità dell'autorità competente alla nomina e al licenziamento e per la differenza della forma assicurativa del trattamento di riposo, ma ora gli uni e gli altri sono ugualmente nominati e licenziati dal podestà e sono iscritti a casse di previdenza, diverse, ma similmente organizzate presso la Cassa depositi e prestiti. Gl'impiegati comunali si distinguono in ammimistrativi, fra i quali è compreso il personale di ragioneria e quello d'ordine, e tecnici; questi ultimi a lor volta distinti in varie categorie secondo la qualità e l'importanza dei servizî di cui è dotato il comune. Il servizio di tesoreria è di regola disimpegnato dall'esattore delle imposte, che non è un impiegato, ma un concessionario di pubblico servizio. L'impiegato che, sotto la vigilanza del podestà, presiede all'andamento degli uffici e al coordinamento delle varie attività è il segretario comunale, che nei comuni di media importanza prende il titolo di "segretario capo" e in quelli maggiori il titolo di "segretario generale". Un'importantissima riforma, che rafforza sempre più i vincoli di subordinazione del comune verso lo stato, è stata di recente compiuta, dichiarando i segretarî comunali funzionarî di stato e regolandone la posizione con norme legislative uniformi. Un modesto, parziale precedente si era avuto, già da tempo, rispetto all'ufficiale sanitario comunale, nominato dal prefetto, considerato come "ufficiale governativo" e posto alla diretta dipendenza, oltreché dell'autorità comunale, dell'autorità sanitaria provinciale.

Le funzioni del comune sono molte e importanti, alcune attinenti alla soddisfazione di interessi esclusivamente locali (funzioni proprie), altre attinenti alla soddisfazione di interessi generali, il cui esercizio, di naturale spettanza dello stato, è da questo affidato al comune (funzioni delegate). Fra queste ultime bisogna però distinguere quelle che sono assegnate all'ente autarchico da quelle che sono. assegnate al podestà come preposto alla circoscrizione dell'amministrazione statale coincidente col territorio comunale. Di ben maggiore importanza è poi la distinzione delineata dal nostro diritto positivo tra funzioni obbligaiorie e facoltative, le prime indicate dalla legge comunale e provinciale e da molte altre leggi, le seconde rimesse al criterio dell'amministrazione interessata, ma sempre aventi per oggetto servizî e uffici di utilità pubblica nella circoscrizione del comune che vi provvede e subordinate a certe condizioni finanziarie del medesimo. L'obbligo di una funzione importa non solo la necessità dell'esercizio della medesima, ma anche quella d'un esercizio sufficiente e conveniente; se così non fosse, sarebbe facile frustrare l'intento al quale si è ispirata la legge nell'imporlo. Le funzioni comunali, pur comprendendo anche un'attività di polizia in svariate materie (polizia urbana e rurale, sanitaria, industriale, commerciale, ecc.), riguardano nella massima parte la cosiddetta attività sociale. Distinguendo, in base all'oggetto, funzioni relative alla vita fisica della popolazione, funzioni relative alla vita economica e funzioni relative alla vita morale e intellettuale, possono accennarsi in via d'esempio, fra le più notevoli attività che vi corrispondono, quanto al primo gruppo: il servizio di anagrafe, quello di stato civile, quello di vigilanza igienica sugli alimenti, sulle bevande, sulle abitazioni e sulle industrie, quelli di disinfezione, di vaccinazione, di polizia mortuaria, quello complesso e multiforme di assistenza sanitaria (medico-chirurgica, ostetrica, farmaceutica, veterinaria), quello di estinzione degli incendî, ecc.; quanto al secondo gruppo: il servizio di viabilità e di polizia della circolazione nell'abitato, nei passeggi e giardini pubblici, quello di pubblica illuminazione, quello dei trasporti urbani, quello delle pubbliche affissioni, la polizia dei negozî, spacci e mestieri, la disciplina delle fiere e dei mercati, la beneficenza obbligatoria e facoltativa e gli svariatissimi concorsi nell'azione o nel finanziamento di istituti, stabilimenti, uffici, laboratorî, di altri enti pubblici o privati, rivolti a fini di beneficenza o di previdenza; quanto al terzo gruppo, le attività e prestazioni dirette o indirette, principali o accessorie relative all'istruzione pubblica e in particolare alla istruzione elementare, alla cultura extrascolastica (biblioteche, musei, archivî), all'educazione e al perfezionamento spirituale delle classi più umili, all'ornato pubblico, ecc.

Un campo vastissimo aperto, al principio del secolo, dopo molte esitazioni e non senza gravi contrasti, all'attività comunale, è stato quello dell'esercizio diretto di servizî pubblici anche di carattere industriale, in passato o dati in concessione, o lasciati del tutto all'iniziativa e alla cura di privati. Fra i servizî dalla legge particolarmente indicati come più adatti alla gestione municipale sono, ad es., la costruzione di acquedotti e la distribuzione d'acqua potabile, la costruzione e l'esercizio di linee tranviarie, lo sgombro di immondizie dalle case, i trasporti funebri, la costruzione e l'esercizio di macelli e di mercati, di bagni e di lavatoi pubblici, la fabbrica e la vendita del ghiaccio, le affissioni pubbliche, ecc. Per facilitare e rendere più produttiva la gestione di quattro fra questi servizî, e cioè dei macelli, dei mercati, dei trasporti funebri e delle affissioni, fu dalla legge consentito ai comuni di assumerne il monopolio. La gestione diretta può compiersi in due modi: in economia, cioè valendosi degli uffici e del personale adibiti anche ad altri compiti e senza contabilità particolare, e per azienda speciale, dotata di organi proprî, con bilancio e conto separato, soggetta a norme in parte diverse da quelle dettate in generale per l'amministrazione del comune. Le aziende possono essere semplici, cioè costituite per un solo servizio di un solo comune, cumulative, cioè costituite per più servizî affini, e consorziali, cioè costituite per uno o più servizî di più comuni consorziatisi per crearle ed esercitarle. Le aziende hanno la capacità di compiere tutti i negozî giuridici necessarî al loro fine e di stare in giudizio per le azioni che ne conseguono. I loro utili netti, detratto quanto si reputi di dover destinare al loro miglioramento e sviluppo o alla riduzione delle tariffe dei relativi servizî, sono devoluti al bilancio del rispettivo comune ed è questo che deve far fronte alle eventuali perdite che si verifichino nel loro esercizio.

Il comune è soggetto a vigilanza e a tutela da parte dello stato, la prima diretta principalmente ad evitare che esso esorbiti dalle sue funzioni o manchi all'adempimento dei compiti obbligatorî e ad assicurare il coordinamento della sua azione con l'azione statale, la seconda diretta a procurare la maggior convenienza sociale ed economica dei suoi provvedimenti. L'organo normale di vigilanza è il prefetto, coadiuvato dagli ispettori provinciali dell'amministrazione dell'Interno incaricati di accertare con visite periodiche e saltuarie il buon funzionamento degli uffici e dei servizî; l'organo normale di tutela è la giunta provinciale amministrativa. Alla vigilanza debbono anche riferirsi i poteri spettanti all'amministrazione centrale riguardo ad organi comunali, in ispecie il potere di revoca del podestà da parte del governo del re, il potere di revoca del vicepodestà da parte del ministro dell'Interno e il potere di scioglimento della consulta o di sospensione della sua nomina da parte dello stesso ministro.

Il controllo di merito della giunta provinciale amministrativa viene esercitato ugualmente per tutti i comuni su alcune specie di atti reputati di maggiore importanza o dal punto di vista giuridico o da quello economico. Il controllo prefettizio viene invece esercitato differentemente secondo l'importanza demografica dei comuni, distinti in tre classi, e cioè: 1. con popolazione non superiore a ventimila abitanti: 2. con popolazione compresa fra i ventimila e i centomila abitanti; 3. con popolazione superiore ai centomila abitanti. Per i comuni della prima classe sono soggette al controllo prefettizio di merito (approvazione) tutte le deliberazioni podestarili non sottoposte ad approvazione della giunta provinciale amministrativa; per i comuni della seconda classe sono soggette ad uguale controllo le deliberazioni podestarili non sottoposte ad approvazione della giunta provinciale, che nell'antico ordinamento sarebbero state di esclusiva competenza del consiglio comunale o che siano state emanate in difformità dal parere obbligatorio della consulta, mentre sono soggette al controllo prefettizio di legittimità (visto) le altre deliberazioni non sottoposte ad approvazione della giunta provinciale; per i comuni della terza classe vale quanto si è detto per i comuni della seconda classe, con questa sola differenza che le deliberazioni già di esclusiva competenza del consiglio comunale nel vecchio ordinamento, le quali non siano sottoposte ad approvazione della giunta provinciale, sono soggette al controllo prefettizio non di merito, ma di pura legittimità (v. giunta provinciale amministrativa; prefetto). Questo sistema appare in parte ispirato a principî d'indole transitoria, onde è supponibile che la delicata materia, più volte modificata negli ultimi tempi, abbia ancora da subire un non lontano ritocco. Circa le finanze comunali, v. finanze.

Bibl.: S. Romano, Il comune; U. Borsi, Le funzioni del comune italiano; U. Forti, I controlli della amministrazione comunale (tutt'e tre incluse in Trattato di diritto amministrativo italiano a cura di V. E. Orlando, Milano 1897 segg.); G. Vacchelli, Il comune, Torino 1908; C.F. Ferraris, L'amministrazione locale in Italia, Padova 1920; E. Bonaudi, Comune, Provincia e Istituzioni pubbliche di beneficenza, Torino 1922; inoltre i commenti della legge comunale e provinciale, alcuni molto ampî e pregevoli, e in specie: per il testo della legge del 1859, P.C. Boggio e A. Caucino, Torino 1860; per il testo del 1865, F. Bufalini, Torino 1881; per il testo del 1889, C. Astengo ed altri, Roma 1889; per il testo del 1898, G. Saredo, Torino 1907 (2ª ediz., con appendici di L. Gabbioli e di L. Eusebio); per il testo del 1908; E. Mazzoccolo, Milano 1912 (6ª ed.); G. Fagiolari e E. Presutti, Roma 1914 (commento sistematico); per il testo del 1915, F. D'Alessio e La Torre, Napoli 1924.

Storia del comune medievale.

Il comune cittadino. - I. - L'origine del sistema municipale del Medioevo va considerata in relazione con la profonda trasformazione che la vita europea ha subito durante i secoli X e XI. La città medievale è un'espressione della ripresa delle attività economiche manifestatasi ovunque in Europa intorno al Mille, e nello stesso tempo una nuova forma di organizzazione giuridica e politica della società. A mano a mano che i vecchi organismi economici escono dal loro isolamento (che del resto non è mai stato completo), che si sviluppano gli scambî e si complicano e si differenziano quindi le singole attività produttive, sorgono o risorgono a vita più intensa dappertutto nuovi e vecchi centri di traffico, con raggio d'azione e di attrazione più o meno esteso, nervi principali della rinnovata vita economica, mercati permanenti e sedi di popolazioni più specialmente dedite al commercio e al lavoro industriale. Tali centri si sviluppano generalmente o in luoghi più protetti e sicuri, o in punti di maggior frequenza di uomini, o in posti la cui situazione geografica offre condizioni particolarmente favorevoli. Prima di tutto, naturalmente (in Italia, in Francia e nella Germania romana), entro le mura delle antiche città episcopali e romane, nelle quali la vita cittadina non si era mai spenta del tutto e che generalmente rispondono già a tutte le condizioni suddette. Ma anche altrove: sotto le mura di forti castelli o di grandi monasteri fortificati, accanto a celebri e frequentati santuarî, in prossimità di porti naturali o di punti d'incrocio di vie terrestri e fluviali o in zone di attività produttiva specializzata (saline, miniere, pesca, ecc.).

Sotto questo aspetto, puramente economico, la città medievale è un fenomeno generale che si presenta sostanzialmente identico in tutte le parti dell'Europa nei secoli X e XI: dalle sponde del mare del Nord a quelle del Mediterraneo, dal bacino dell'Elba all'Isola britannica; più tardi il fenomeno si estese ad est e al nord, parte per un processo analogo verificatosi in quelle regioni, parte per opera della colonizzazione o dell'espansione commerciale tedesca. Ma se si guarda all'altro aspetto della città medievale, se cioè la si considera come nuova forma di organizzazione giuridica e politica della società, il fenomeno si presenta assai diverso in varie parti del mondo europeo. Ed è particolarmente notevole sotto questo rispetto la differenza sostanziale per cui il comune italiano si distingue nettamente da quello delle città d'Oltralpe (salvo in parte la Provenza e la Francia meridionale).

Nei paesi d'Oltralpe infatti la città, come organismo giuridico e politico, si limita a quel mondo territoriale e personale che costituisce la città nel senso economico della parola. In altri termini, la nuova organizzazione giuridica e politica si estende soltanto su un determinato centro, popolato da gente dedita a una specifica attività economica che la distingue dal mondo circostante. La città come ambiente economico coincide con la città come organismo giuridico e politico. Il comune francese, belga, tedesco o inglese è un mondo chiuso e distinto, un'eccezione, un isolotto in mezzo a una società che continua a vivere in condizioni giuridiche e politiche affatto diverse. I suoi componenti hanno una figura specifica socialmente ed economicamente distinta (la borghesia). Gli elementi che non partecipano all'attività economica del mondo cittadino si trovano anche fuori dell'organismo giuridico e politico del comune. Il territorio comunale comprende soltanto la città propriamente detta, più qualche volta una zona limitatissima (banleuca, banlieue, Bannmeile), più strettamente connessa al nucleo cittadino per ragioni economiche o militari. Insomma, il comune d'Oltralpe è un fenomeno socialmente e territorialmente isolato, limitato alla specifica natura economica del mondo cittadino.

In Italia, invece, la funzione giuridica e politica del comune è assai vasta ed estesa. Qui il comune diventa centro d'un organismo ampio e complesso che trascende i limiti territoriali e personali della città propriamente detta. Il comune italiano mantiene il legame col mondo circostante, anzi ne diventa il centro di organizzazione e di governo. Perciò la città italiana è inconcepibile senza il suo contado, anzi la formazione del comune e del suo territorio extracittadino è una medesima cosa. Né il comune italiano si contrappone socialmente agli elementi non partecipanti all'attività economica della città. Al contrario esso è composto di elementi economicamente e socialmente assai eterogenei e comprende anche i nobili feudatarî della città e della campagna circonvicina. La figura sociale del cittadino di un comune italiano è assai diversa da quella del borghese (bourgeois, Bürger) di una città oltremontana. Il comune italiano non è dunque una forma di sistemazione giuridica e politica di elementi economici specificamente cittadini, che si isolano e si distinguono dal mondo circostante, ma è invece un organismo ampio e complessivo, uno strumento di unificazione e di fusione di varie forze territoriali e sociali che trovano nella città un centro di organizzazione e di assestamento. L'aspetto politico prevale dunque nel comune italiano su quello economico; esso non costituisce un organismo specificamente cittadino (nel senso economico-sociale e borghese), ma tende alla figura di stato territoriale che ha nella città (ma non però nella borghesia cittadina) il suo centro direttivo e organizzatore.

Errerebbe chi credesse che questa sostanziale differenza, che ha avuto tanta importanza in tutta la successiva storia d'Italia, sia dovuta a un maggiore sviluppo economico delle città italiane di fronte a quello delle città di altre regioni d'Europa. In primo luogo tale concetto presupporrebbe che il carattere territoriale e supersociale del comune italiano non fosse un fatto iniziale, ma fosse invece il risultato di successive espansioni o conquiste da parte delle borghesie cittadine: il che non corrisponde alla verità. In secondo luogo occorre tener presente che il fenomeno è generale nell'Italia comunale e si verifica anche in riguardo di centri che non hanno mai raggiunto un notevole sviluppo economico. I comuni poi della Provenza e della Francia meridionale, che sotto questo rispetto presentano una certa analogia con quelli d'Italia, si costituiscono con tali caratteri assai prima che si manifesti il loro rigoglio commerciale; e si può perfino constatare che il fenomeno si verifica più presto e con maggiore compiutezza appunto nei luoghi che hanno minore importanza economica. D'altra parte anche i maggiori comuni delle altre regioni d'Europa rimangono sempre limitati al mondo cittadino propriamente detto. La differenza non sta in nessuna relazione con il grado di sviluppo economico raggiunto. Perfino i più rigogliosi comuni francesi, belgi e tedeschi, che per la loro importanza commerciale o industriale non sono inferiori alle grandi città d'Italia e che peraltro si affermano come fattori politici assai notevoli, non si sviluppano mai in stati territoriali veri e proprî. Se mai, essi impongono su una certa zona la loro egemonia economica, godono di certi privilegi personali e monopolî commerciali, ma non esercitano mai un vero potere politico-territoriale al di là dei limiti ristretti della loro banleuca. Talvolta la loro attività si estende su una regione assai vasta, ma non investe che certi particolari rapporti e aspetti legati agl'interessi economici della città. Tali sono, per es., i vasti diritti che il Parloir aux bourgeois di Parigi (il quale per altro aveva scarsissimo potere nella città stessa) esercitava su una buona parte del corso della Senna e dei suoi affluenti, sulle acque, sulle rive, sui porti e sui ponti, allo scopo di eliminare tutti gl'ingombri che potessero impedire il commercio, di mantenere queste vie fluviali in stato efficiente e di garantirvi il monopolio dei marchands d'eau di Parigi. Sono diritti di carattere contingente e speciale, parziali irradiazioni o sconfinamenti degl'interessi economici della città, ben diversi (anche se eccezionalmente si estendono su una zona più vasta) da quel potere politico integrale che esercitavano nel proprio territorio extra-cittadino i comuni italiani. Perfino le grandi città imperiali della Germania, che godevano di un'indipendenza politica pressoché completa, erano limitate nella loro estensione territoriale agli angusti confini della banleuca. Se più tardi alcune di esse, come Norimberga, posseggono un territorio più vasto, ciò è dovuto ad acquisti posteriori (soprattutto nei secoli XV e XVI) e a circostanze politiche speciali che non hanno nulla a che vedere con la formazione e con le condizioni di esistenza di queste repubbliche cittadine nel periodo del loro maggiore rigoglio.

Questa fondamentale differenza va messa in relazione con le diverse condizioni iniziali che distinguono l'Italia (e in parte anche la Provenza e la Francia meridionale) dalle altre regioni d'Europa. Certo, anche in Italia l'antica unità giuridica della civitas romana (cioè della città col suo territorio) è stata distrutta dallo smembramento feudale dei secoli IX e X. Ma, secondo il tradizionale modo di vivere della gente, la città continuava ad esercitare una certa forza d'attrazione e a costituire in un certo senso, nonostante tutti gl'isolamenti giuridici ed economici, un centro d'unione per la campagna circonvicina. In Italia non è mai avvenuto quel distacco quasi completo fra città e campagna che in altre parti dell'Europa romana ha fatto perdere alla città i suoi caratteri particolari e l'ha ridotta, fino a un certo punto, alle condizioni di qualsiasi altro abitato rurale. La città italiana continua di fatto ad essere un centro verso cui convergono e in cui si raccolgono le forze più cospicue della campagna circostante. I nobili feudatarî e i grandi proprietarî della campagna frequentano la città, vi tengono case e fortilizî, vi fanno dimora almeno per una parte dell'anno, partecipano alla vita locale del centro urbano. In queste condizioni è naturale che la città, la quale è anche sede stabile dei maggiori dominî che si estendono pure sul contado (soprattutto quelli dei vescovi), diventi centro di tutto un sistema di forze feudali dipendenti, che si raccolgono e si organizzano entro le mura e stabiliscono di fatto legami più ordinati e continui fra la città e il territorio circostante. Queste forze costituiranno più tardi il nerbo del comune cittadino. Così si va ricostruendo, sia pure in forme nuove e su basi assai diverse, l'antica unità della civitas romana. La persistenza di centri preminenti che di fatto mantengono, fino a un certo punto, la coesione del territorio circostante, è un tratto fondamentale della storia cittadina d'Italia che la distingue sostanzialmente da quella dei paesi d'Oltralpe (salvo, s'intende, la Provenza e la Francia meridionale). In questo senso (ma solo in questo) si può parlare di tradizione romana nella formazione dei comuni italiani. Il fenomeno è generale nell'Italia comunale e si riproduce su scala ridotta pure in riguardo di località minori, castelli o borghi che siano, i quali diventano anch'essi centri di attrazione e di organizzazione per un intero territorio e raccolgono entro le loro mura un mondo socialmente eterogeneo; sono quindi anch'essi formazioni territoriali relativamente ampie e complesse, e non organismi d'eccezione, socialmente e territorialmente distinti, come le città anche maggiori d'Oltralpe.

II. - Il distacco fra città e territorio avvenuto nell'Europa romana fuori d'Italia (senza parlare poi delle regioni non romane che non hanno mai avuto alcuna organizzazione municipale) e quindi la comune fisionomia storica di tutti i singoli centri d'abitazione, è il carattere essenziale della storia delle città medievali d'Oltralpe. Quando nei secoli X e XI le nuove correnti economiche fanno sorgere o risorgere in determinati luoghi agglomerati sociali d'una certa ampiezza, distinti dal mondo circostante per la loro attività e forma di vita, essi sono portati a isolarsi e contrapporsi a quel mondo. Di qui il profondo dualismo (città-campagna, borghesia-nobiltà terriera) che si manifesta in tutta la vita dei paesi oltramontani, che persiste anche dopo il comune assoggettamento a forze unificatrici superiori, e che viene superato solo nel corso dei secoli XVIII e XIX. Diversamente dall'Italia, all'inizio della storia delle città d'oltralpe sta il distinguersi e l'isolarsi d'un mondo localmente e socialmente chiuso.

Ora nella storia delle città d'Oltralpe bisogna distinguere due momenti, che sono, per lo più, anche due fasi dello sviluppo dell'ordinamento municipale: il formarsi di un'unità territoriale e sociale, entro la quale vigono certe norme e certe condizioni giuridiche più o meno uniformi e distinte da quelle del mondo estraneo, e il successivo rendersi autonoma di tale unità. Prima di diventare un organismo autonomo vero e proprio, la città si plasma in unità giuridica, in cui si sviluppano peculiari principî di diritto: e ciò specialmente quando il luogo dove nasce o rinasce la nuova vita cittadina costituisce già, almeno sotto certi aspetti, un'unità di dominio pubblico o feudale. Questa circostanza però non vale ancora a spiegare la successiva individualizzazione giuridica della città, che si verifica anche in luoghi che non raggiungono mai l'unità giuridica cittadina; mentre viceversa altri centri di nuova vita economica, che non costituivano inizialmente un'unità di dominio vera e propria, si svilupparono successivamente in organismi giuridici uniformi e distinti. Già i luoghi di maggior affluenza di uomini abbisognano naturalmente di certe norme speciali che garantiscano il mantenimento dell'ordine e della pace pubblica. Così nacque, assai prima della formazione del diritto cittadino, l'istituto della pace rafforzata, che imponeva pene aggravate per i casi di violazione dell'ordine e della pace in certi luoghi determinati (per es., entro gli abitati circondati di mura), o in certe circostanze determinate (per es., durante lo svolgersi dei mercati o delle fiere periodiche). Tali norme importavano naturalmente una certa unificazione giuridica, almeno sotto questo aspetto, dei luoghi in cui erano in vigore. Il rafforzarsi di un potere unitario viene dunque a corrispondere in questo caso alle specifiche necessità dei centri di agglomeramento di gente trafficante, e contribuisce altresì ad individualizzarli e a distinguerli dal mondo circostante. Lo stesso si potrebbe dire anche di altri elementi d'unità giuridica preesistenti alla formazione del diritto cittadino. Le condizioni di vita e le necessità dei nuovi mondi economici li rafforzano dove essi esistono e li creano dove essi fanno difetto. E infatti quando appaiono i primi segni d'un particolare diritto cittadino le città sono già circondarî giurisdizionali autonomi o separati territorî d'una signoria. Così, l'unificarsi e individuarsi del mondo cittadino sotto il potere d'un signore dominante è premessa necessaria, condizione preliminare per il formarsi d'un diritto distinto della città. L'unità puramente formale della città; come circoscrizione giudiziaria o come territorio di dominio, precede lo sviluppo del contenuto specifico del diritto cittadino. Essa è quindi la prima tappa del processo che tende a fare delle città particolari organismi giuridici.

Le nuove norme di diritto che si vanno elaborando nelle città non sono naturalmente del tutto identiche in ognuno dei singoli centri urbani dei paesi d'Oltralpe. Nel complesso però esse possono riassumersi in alcuni principî generali che si ritrovano, con variazioni più o meno trascuiabili, dappertutto. Alcuni di essi concernono lo stato personale degli abitanti e i loro obblighi verso i signori, nonché le condizioni di possesso e la libera disposizione dei beni; altri riguardano le norme del diritto penale e soprattutto quelle della procedura giudiziaria. Quali si siano le forme iniziali di dipendenza dei cittadini verso i loro signori, esse finiscono con l'uniformarsi in uno stato di relativa libertà, che, pur mantenendo i diritti dei signori stessi, derivanti dal dominio del suolo o dall'esercizio di certi poteri pubblici o feudali, elimina tutto ciò che può vincolare e intralciare l'attività economica della popolazione. Cosi spariscono le norme che legavano gli uomini al suolo, quelle che limitavano la loro libertà di circolazione e il loro diritto di disporre dei proprî beni. Certi speciali servizî personali, laddove esistevano, vengono eliminati o tramutati in prestazioni in natura o in danaro. Viene assicurata ai cittadini la libertà di trafficare e di disporre dei beni mobili. Lo stesso possesso fondiario tende a trasformarsi in libera proprietà, gravata solo di un censo fisso, e trasmissibile non solo per successione, ma anche per alienazione e per testamento. Caddero ovunque a poco a poco le esazioni che erano ricordi di antichi vincoli alle persone e ai possessi: il censo capitale, i diritti di mano morta e di formariage. Insomma, uno stato uniforme di libera sudditanza che importa, è vero, innumerevoli obblighi personali reali e pecuniarî, ma rende possibile un certo movimento di uomini e di beni, si sostituisce agli antichi vincoli e intralci. Ma anche riguardo a questi obblighi della popolazione cittadina viene posto un freno all'arbitrio dei signori: l'obbligo militare, le taglie o imposte generali vengono limitate a condizioni e circostanze determinate. Egualmente tutte le altre esazioni e multe, dazî e prestazioni, che derivano da varî diritti finanziarî e amministrativi dei signori, assumono, nell'interesse dei cittadini, forme più regolari e fisse.

A questo complesso di norme che regolano le condizioni delle persone e dei beni vanno aggiunti privilegi giudiziarî che meglio ancora rispecchiano l'individualizzarsi giuridico delle città. La popolazione cittadina che già costituisce, come si è visto, una comunità giudiziaria (essendo la città una circoscrizione giurisdizionale o un distinto territorio di dominio feudale) va affermando il suo diritto di non esser mai chiamata in giudizio fuori della città, vale a dire innanzi a qualsiasi altra corte dello stesso suo signore giudiziario. Il cittadino può essere giudicato soltanto nel tribunale locale, composto di elementi che rappresentano l'individualità giuridica della città, conoscono i suoi diritti e le sue consuetudini. La giustizia cittadina si localizza e si isola, si plasma sulla configurazione particolare del mondo cittadino; ma diventa a sua volta strumento di trasformazione e di individualizzazione delle norme stesse della legge e della procedura, che sempre più vanno adattandosi ai bisogni e alle condizioni di vita della società borghese. Le garanzie contro imputazioni arbitrarie e moleste, la riforma del rigido sistema delle prove giudiziarie, che viene reso ora più semplice e più elastico, le nuove norme di diritto civile, per quanto concerne almeno i beni mobili e le obbligazioni pecuniarie, e il sistema delle pene criminali che mira a rinforzare la tutela dell'ordine e della pace, tutto ciò costituisce un insieme di condizioni giuridiche particolari per cui la città si trova isolata e distinta dagli ambienti circostanti. Bisogna aggiungere che a questo isolarsi del mondo cittadino corrisponde anche una tendenza a uniformare maggiormente le condizioni giuridiche nell'interno della città. Le norme che regolano lo stato delle persone e dei beni si estendono anche agli uomini e alle terre delle varie enclaves immunitarie, che più a lungo resistettero alle tendenze unificatrici del signore dominante (ne rimangono fuori solo i componenti stessi degl'istituti immunitarî e la loro servitù domestica), e diventano generali in tutto l'ambito della città. Inoltre i dipendenti delle signorie immunitarie, pur rimanendo per certi casi minori o speciali soggetti all'autorità giudiziaria dei proprî padroni, si trovano generalmente (salvo rare eccezioni di cui le ragioni andrebbero studiate particolarmente) assorbiti nel potere accentratore del signore dominante. Si forma così, al disopra del frazionamento del territorio cittadino, un unico rapporto di sudditanza e una generale competenza del tribunale ordinario in tutto l'ambito della città. Soltanto gli elementi privilegiati, come i componenti degl'istituti ecclesiastici immunitarî e i nobili feudatarî, i quali in genere non vengono giudicati (almeno in casi criminali) dai tribunali ordinarî locali, rimangono fuori di questa unità. La città costituisce dunque un mondo unificato e distinto in cui vigono speciali condizioni e norme giuridiche, in cui si respira un'aria diversa da quella del territorio circostante. A godere quest'aria liberatrice vengono ammessi anche gli elementi avventizî non liberi che prendono dimora stabile nella città, i quali, se non richiesti dai proprî padroni entro il termine di un anno e un giorno, acquistano la "libertà", vale a dire si trovano emancipati dall'antica dipendenza ed entrano in quel rapporto di sudditanza verso il signore dominante che è la condizione generale di tutti gli abitanti della città. (Cum de antiqua ipsius ville consuetudine sit hactenus observatum ut quicumque advena sine domino per annum et diem ibi moratur, statim efficitur homo regis dice un testo eloquente riferentesi a La Rochelle, di cui il re d'Inghilterra era signore dominante). Per quanto questa norma subisse generalmente numerose eccezioni (e prima di tutto a favore degl'interessi rurali dello stesso signore dominante), pure essa è una manifestazione significativa delle tendenze unificatrici e liberatrici del diritto cittadino.

L'insieme di condizioni e di norme giuridiche sopra descritte costituisce quelle libertates, iura et consuetudines che individualizzano i centri cittadini e li distinguono dal mondo circostante. Prima di formare un comune propriamente detto, cioè un ente che si governa più o meno da sé, le città d'Oltralpe avevano già sviluppato gli elementi essenziali di un diritto cittadino particolare e specifico. Senza dubbio la successiva fase di costituzione autonoma segna un maggior evolversi delle società cittadine come individualità giuridiche e sociali: si rinsalda l'unità dell'organismo cittadino; si aprono maggiori possibilità d'inmiative, tanto per lo sviluppo particolare del diritto quanto per l'amministrazione della cosa pubblica, si moltiplicano le attribuzioni e si arricchiscono le attività degli organi di governo. Ma le basi essenziali dell'organizzazione cittadina d'Oltralpe si trovano già costituite nel periodo precomunale; tanto è vero che non poche città, e specialmente in Francia, si arrestarono addirittura a questa prima fase di sviluppo e non raggiunsero mai un autogoverno vero e proprio, pur costituendo degli organismi giuridici distinti e godendo di quelle condizioni e di quei diritti specifici che formano gli attributi essenziali di vita cittadina.

III. - Diversa è nel periodo precomunale la posizione delle città italiane. In Italia si sono sempre mantenuti alcuni elementi di vita cittadina, e quindi, nei centri urbani, qualche attività locale e condizioni giuridiche più uniformi e più libere. L'isolarsi in un mondo specifico e distinto, che altrove è stato la via necessaria per adeguare le condizioni giuridiche ai bisogni della nuova vita economica, non ha avuto dunque in Italia alcuna ragion d'essere. Essendosi poi nella vita italiana mantenuta anche la posizione della città come centro d'attrazione per gli strati superiori della campagna circostante, è chiaro che l'organizzazione sociale che andava sviluppandosi entro le mura cittadine non potesse imperniarsi su un isolamento di elementi strettamente locali e specifici, ma dovesse invece assumere quel carattere eterogeneo e complessivo che è fondamentale per i comuni italiani. Non basta quindi ai fini della storia comunale d'Italia l'indagare se e fino a che punto la città dell'alto Medioevo rappresentasse un organismo giuridico territorialmente circoscritto e più o meno conformantesi all'urbs romana, la quale, insieme con i suoi suburbia, costituiva sempre una figura a sé entro il mondo più ampio della civitas; non basta, poiché l'organizzazione comunale italiana fin dall'inizio trascende tali limiti e tende a identificarsi piuttosto con la civitas che con la urbs romana. È questo il problema centrale della storia comunale d'Italia. Certo il comune italiano è anch'esso cittadino, ma non nel senso che si restringe alla città; esso è cittadino in quanto la città costituisce il centro di un mondo più vasto. Proprietarî e feudatarî del contado vivono nella città e spesso partecipano alle sue attività economiche; e viceversa gli elementi più strettamente borghesi, almeno quelli più ricchi e cospicui, hanno anch'essi un piede nel contado dove posseggono proprietà o tengono a varî titoli, non escluso quello feudale, terre e diritti.

Il mondo eterogeneo e complesso che tende verso la città, come suo centro ideale, e che rendendosi autonomo costituirà il comune, non sempre dipende da un unico sistema di dominio pubblico o feudale. Accanto al sistema vescovile, che solo in casi relativamente rari (e quasi solo nell'Italia settentrionale) si estende su un territorio compatto che abbraccia città e campagna circostante, si trovano spesso avanzi del potere marchionale o comitale, nonché frantumazioni ulteriori del pubblico dominio. Il concentrarsi in un punto di tutte queste forze eterogenee, dipendenti da diversi sistemi di dominio che tutti fanno capo alla città, crea una base comune di solidarietà e di fusione che vince gli elementi storici di divisione e d'isolamento. La città compie l'unione d'un mondo vasto e complesso, assorbe e frammischia elementi eterogenei, cancella i contrasti della loro provenienza da diversi sistemi di dominio, li associa nella coscienza d'una "patria" comune e li contrappone in un senso di solidarietà ad altrettanti mondi vicini. Insomma il sorgere del comune italiano è preceduto non da un isolarsi di elementi localmente e socialmente specifici, ma dal formarsi di un'unione ampia, assorbente e complessiva. I primi atti di queste città (anche precedentemente al costituirsi del comune vero e proprio) rivelano già la vastità delle loro aspirazioni: sono guerre d'espansione, affermazioni di potenza, spesso in luoghi lontani, lotte con altre città o con grandi feudatarî indipendenti. Prima del formarsi dell'organizzazione comunale (e talvolta anche dopo) quest'azione delle città è condotta, formalmente, dal potere dominante (specialmente dai vescovi) e nell'interesse del proprio dominio; ma la parte attiva che vi hanno gli elementi urbani fa sì ch'essa abbia carattere autonomo e si risolva nell'interesse della patria cittadina. I testi del tempo parlano spesso di cittadini come di protagonisti di simili imprese. Il mondo cittadino, vale a dire l'unione degli elementi eterogenei che nella città hanno trovato il loro centro, esiste virtualmente prima che l'istituzione del comune gli conferisca una base formale d'unità e d'autonomia.

Il comune italiano è un'associazione degli elementi più cospicui del mondo cittadino, i cui rappresentanti (i consoli) governano la cosa pubblica, in parte sostituendosi ai poteri preesistenti, in parte regolando nuove questioni e nuovi rapporti generati dall'avvenuto mutamento. Con l'istituirsi del nesso comunale si compie e si consolida formalmente quell'unità del mondo gravitante verso la città che prima non aveva basi giuridiche precise. Varî diritti e attribuzioni nelle città e, più, nella campagna circostante, che appartenevano alle diverse autorità prima imperanti, vengono unificati e accomunati, vale a dire assorbiti da un nuovo potere centrale. Non solo il comune si sostituisce di fatto ai rappresentanti del supremo dominio pubblico, vescovi, marchesi o conti che siano; ma i singoli elementi che lo compongono ad esso portano o subordinano diritti e poteri di varia provenienza, superando così lo smembramento feudale e integrando in un unico sistema di dominio il mondo gravitante verso la città. Dal punto di vista puramente formale il comune è fatto di usurpazioni, di più o meno volontarie rinunzie, di più o meno arbitrarî trasferimenti di diritti di dominio. Ciò spiega anche il fatto che sul principio il comune assume in Italia la forma di un'associazione volontaria e giurata, vale a dire di qualche cosa di straordinario e quasi provvisorio (forma questa che invece non appare necessaria, come si vedrà altrove, là dove si ha solo un acquisto d'autonomia da parte di un'organizzazione giuridicamente già costituita), e si manifesta come un organismo giuridicamente incerto e malsicuro. Nella prima fase della sua esistenza il comune, soprattutto per le sue imprese e conquiste esterne, spesso si nasconde dietro una forza giuridicamente più precisa e dotata d'indiscutibili titoli di dominio: in special modo il vescovo. Si stabilisce così una specie di collaborazione, quasi un condominio, in modo che dove arriva la potenza del vescovo arriva anche quella dei consoli del comune. Lo stesso avviene talvolta anche nei riguardi dei potenti feudatarî, sia facenti parte del comune, sia legati ad esso da rapporti che oscillano fra l'alleanza e la cittadinanza.

Bisogna osservare in genere che del comune facevano parte per solito anche gli elementi che fino a poco prima erano i massimi rappresentanti del potere pubblico o dei maggiori dominî feudali entro il mondo cittadino. Tali, per es., i visconti a Pisa, a Genova e in altri luoghi; i visdomini (maggiori feudataiî della signoria vescovile) a Firenze o altrove; i più cospicui almeno fra i "capitani" nelle città lombarde, ecc. Più chiaramente ancora il fenomeno si manifesta in alcuni centri minori, dove l'antica consorteria signorile del luogo si confonde con gli altri elementi dirigenti del comune o ne costituisce addirittura il nucleo principale. Tali elementi conservano generalmente entro il comune alcune prerogative, figurano in modo stabile nei consolati e qualche volta continuano perfino ad esercitare, ma ormai sotto la dipendenza del comune, alcuni diritti o alcune attribuzioni giuridiche. Il comune non è un capovolgimento rivoluzionario dei poteri esistenti, ma piuttosto una diversa sistemazione di essi. Infatti anche gli altri elementi dirigenti del comune, quelli cioè che formavano il nucleo centrale dell'organizzazione comunale, avevano partecipato già prima, in una forma o in un'altra, al governo della vita cittadina. Sia perché in qualità di giudici e funzionarî pubblici o di feudatarî dei maggiori dominî esercitassero funzioni nella città; sia perché come elementi eminenti per la loro posizione economica e sociale (boni homines) andassero acquistando un peso e un'influenza considerevoli, essi venivano associati a tutte le principali manifestazioni della vita politica e giuridica e partecipavano di fatto alla direzione dell'organismo ancora informe della patria cittadina, anzi ne costituivano la base di unità e di coordinamento. Il comune tramuta questi primordî di autogoverno incerti e precarî in un'autonomia più ordinata e diretta, e tende a render collettivi i singoli diritti e le singole attribuzioni; ma sul principio rimangono ancora vivi molti avanzi di posizioni particolari dei singoli suoi componenti, e solo con l'andar del tempo il comune si trasforma da associazione più o meno volontaria di forze private, in ente pubblico e collettivo vero e proprio e acquista maggiore stabilità e maggiore precisione giuridica.

Il comune italiano è dunque nella prima fase della sua storia un'istituzione nettamente aristocratica. Così, del resto, in tutta Europa, ove si costituiscono organismi cittadini autonomi. Ma mentre nei comuni d'Oltralpe l'aristocrazia dirigente è formata dai più alti strati del mondo specifico borghese, localmente e socialmente distinto, in Italia (come pure in Provenza e nella Francia meridionale) essa comprende in massima parte anche gli elementi signorili e feudali e, come il comune stesso, trascende i limiti dei rapporti cittadini strettamente intesi. Non bisogna credere che l'organo dirigente, il consolato, di cui le più antiche notizie risalgono alla fine del sec. XI e alla prima metà del secolo seguente, sia stato un'emanazione della massa degli abitanti. La posizione di questa massa era piuttosto quella di sudditi, mentre la direzione della vita pubblica rimaneva nelle mani di quell'aristocrazia che aveva promosso l'associazione comunale. In alcune città l'aristocrazia consolare rappresenta un ceto più uniforme e compatto; in altre invece entro di essa si notano fin dall'inizio certe suddivisioni o differenziazioni sociali. Così in alcune città lombarde il potere è diviso fra tre ordini di cittadini: i capitani, i valvassori e i semplici cittadini, cioè i ceti non nobiliari dell'aristocrazia dirigente. Durante il periodo del governo dell'aristocrazia consolare si consolidano le basi dello stato cittadino. L'incertezza giuridica dei primi tempi va scomparendo, e il comune si trasforma sempre più da associazione volontaria di forze particolari in unità collettiva necessaria e stabile, in ente cioè di natura pubblica e territoriale; e allo stesso tempo si compie la cosiddetta conquista del contado che, più esattamente parlando, è un estendersi del dominio comunale sulle parti più periferiche e remote del contado (cioè del territorio del comitatus, che secondo l'ordinamento carolingio faceva capo alla città e corrispondeva generalmente all'antica civitas e alla rispettiva diocesi ecclesiastica), le quali si mantenevano ancora indipendenti o oscillavano fra due mondi cittadini attigui. Alcune città, per es. Milano, riuscirono perfino non solo ad estendersi su certe parti del territorio dei comuni vicini, ma ad assorbirli addirittura interamente.

Tale affermazione ed espansione politica dei comuni che trasformò l'Italia settentrionale e centrale in un sistema di stati cittadini e costituì la base del cosiddetto particolarismo italiano, fu senza dubbio facilitata dalla debolezza del potere centrale, spesso assente o contrastato dalla suprema autorità ecclesiastica. Ma se queste ultime circostanze possono spiegarci il fatto stesso del dissolversi dell'unità politica dell'Italia carolingia, esse non valgono ancora a determinare la forma caratteristica del particolarismo italiano, quella cioè di stato cittadino. La Germania, in circostanze esterne in parte analoghe, si sfasciò in principati territoriali e non in stati cittadini. Il particolarismo italiano favorito nel suo sviluppo dalle condizioni politiche generali, assunse la forma di comune cittadino perché la città non perdette mai in Italia la sua forza d'attrazione. L'Impero ha cercato, è vero, ai tempi di Federico I, di ostacolare i comuni cittadini, come organismi formalmente illegittimi, non dotati cioè di titoli che li abilitassero ad esercitare il potere pubblico; ma tali tentativi di restaurazione rimasero vani. Già per ragioni politiche si era costretti a fare eccezioni alla regola e a riconoscere agli uni quel che si negava agli altri. Alcuni comuni avevano infatti ottenuto privilegi speciali che legittimavano il potere dei loro consoli almeno nell'ambito della città e dentro a un territorio più o meno esteso della campagna circostante. Altri, che tali privilegi non avevano ottenuto, ne facevano facilmente a meno. Il tentativo iniziatosi con la dieta di Roncaglia del 1158, di restaurare l'autorità del potere legittimo e di sottoporre le città e i loro territorî al diretto governo dell'Impero, fu reso vano dalla resistenza delle città lombarde, venete e romagnole, che coordinarono a questo scopo le loro forze e sconfissero l'imperatore a Legnano (1176). Con la pace di Costanza (1183) i comuni, quali organi di dominio pubblico, furono giuridicamente riconosciuti. Rimase naturalmente intatta l'alta sovranità dell'Impero, che fra l'altro doveva manifestarsi nell'investitura dei consoli (tosto caduta, del resto, in disuso) da parte dell'imperatore o dei suoi legittimi rappresentanti, ma che più tardi, sotto Federico II, poté assumere, in circostanze favorevoli, forme assai più tangibili e gravose. Comunque, la figura del comune, come organismo abilitato ad esercitare un dominio pubblico, non verrà più contrastata, anche se in un momento di rafforzamento dell'autorità imperiale questo organismo sarà messo per qualche anno sotto una più stretta e diretta dipendenza dal potere centrale.

Parallelamente al precisarsi del carattere del comune come ente pubblico e collettivo e all'amalgamarsi in esso delle varie forze particolari che lo compongono, comincia a manifestarsi nelle città italiane una profonda crisi interna che porta, tra la fine del sec. XII e il principio del secolo seguente, a un mutamento nel loro assetto costituzionale. L'estensione territoriale del comune, col relativo assorbimento di elementi che fino allora rimanevano estranei ad esso, lo sviluppo della vita economica nella città, col relativo affacciarsi alla vita pubblica di nuovi ceti; insomma il complicarsi e l'allargarsi della base della vita comunale, scossero la posizione della vecchia oligarchia consolare, che nella prima fase della storia del comune si manteneva relativamente compatta e governava senza contrasto il mondo cittadino. La crisi si manifesta anzitutto in lotte e scissioni fra le stesse famiglie dirigenti, in alleanze di alcune di esse con le forze e con gli elementi nuovi, in divergenze riguardo all'indirizzo della politica cittadina, specialmente nei rapporti con gl'imperatori. I dissidî assumono spesso la forma di lotte e guerre private fra singole famiglie o consorterie: che è un tratto caratteristico della vita dei comuni italiani, strettamente connesso con le origini, coi modi d'esistenza e coi costumi dei ceti dirigenti di essi. Bisogna sempre tener presente che la città italiana, a differenza di quella oltramontana, è un mondo semifeudale, un ambiente che perfino nell'aspetto esterno, nelle sue case fortificate e nelle sue torri, nelle abitudini guerresche degli abitanti, ricorda il legame che la unisce alla vita nobiliare e feudale della campagna extra-cittadina. E forse anche nelle divisioni e nelle lotte di famiglie o di consorterie, che tanta parte ebbero nella storia dei comuni italiani, si rispecchiavano o si ravvivavano talvolta, almeno in parte, provenienze feudali diverse o vecchi contrasti e alleanze derivanti da rapporti extra-cittadini; giacché questi rapporti, contrasti e interessi del mondo circostante non rimasero fuori della città, come avvenne nei paesi d'Oltralpe, ma anzi si concentrarono in essa.

Comunque, lo sgretolarsi dell'antico ceto consolare è sintomo d'una crisi profonda che scuote tutto l'organismo del comune. Il vecchio assetto costituzionale comincia a vacillare e si dimostra inadatto alla maggiore complessità della vita comunale. Tra la fine del sec. XII e il principio del XIII i comuni italiani attraversano un periodo d'instabilità costituzionale, di continui mutamenti ed esperimenti politici. Qua e là appaiono anche podesterie o dittature personali, preponderanze o tentativi di dominio di singole schiatte che si elevano sopra le altre per la loro potenza entro e fuori il comune, e qualche volta non fanno neanche parte di questo, ma appartengono a quelle grandi famiglie comitali, non assorbite completamente dai comuni, che per la loro importante posizione militare e politica in mezzo ai comuni rivali acquistano talvolta un grande ascendente nella vita di essi. Tali dittature spesso si appoggiano sulle nuove forze e organizzazioni sociali che ora si affacciano alla vita pubblica del comune. Sono le prime avvisaglie delle future signorie cittadine che pochi decennî dopo diventeranno l'assetto quasi continuo e normale di molti comuni dell'Italia settentrionale e più tardi faranno la loro apparizione anche in alcune città toscane. Naturalmente le cose non andarono dappertutto nel medesimo modo e non in tutte le città la crisi presenta le stesse forme e le stesse fasi di sviluppo. Il risultato fu l'istituzione del sistema podestarile che non ha più i caratteri d'una dittatura di forze locali preponderanti, ma quelli d'un governo retto da un funzionario forestiero, eletto a termine fisso e limitato nelle funzioni da una serie di condizioni restrittive.

La differenza fra il regime podestarile e quello consolare non sta nel fatto che si era sostituito un potere unico a un governo collegiale, ma piuttosto nelle diverse basi e nelle mutate condizioni del potere stesso. Il governo consolare si sviluppa su una base semplice e relativamente compatta, costituita dalla vecchia aristocrazia dirigente o magari dai varî ordini di questa. Il regime podestarile è invece preceduto da un complicarsi della vita comunale che consiste nel maturarsi, differenziarsi e in parte anche isolarsi di varie forze e organizzazioni sociali entro e fuori il vecchio ceto dirigente. Si differenziano in gruppi separati i militi (cioè i cittadini che prestano servizio militare a cavallo), i grandi mercanti; ed entro o accanto a questi gruppi si sviluppano altri raggruppamenti minori o speciali, gli abitanti delle singole circoscrizioni territoriali della città e perfino varî gruppi di famiglie o di consorterie dell'aristocrazia comunale, i quali poi si distinguono anche secondo i diversi indirizzi di politica generale (guelfi e ghibellini). Alcuni di questi gruppi s'intrecciano e si elidono, si trovano in parte composti delle stesse persone, ma rappresentano comunque nel complicarsi e differenziarsi della vita pubblica del comune varî principi di organizzazione, varie linee di raggruppamenti sociali. Ognuno di essi tende a costituire un'individualità pubblica, a conseguire una certa autonomia interna entro o secondo i fini della propria organizzazione, a ottenere una parte nel governo dell'insieme comunale. Il regime podestarile rappresenta appunto l'adattarsi della costituzione al più complesso e vario intreccio di forze nel seno del monda cittadino. Il posto dei consoli nella direzione effettiva della politica comunale non viene preso dal podestà forestiero, ma piuttosto dagli organi locali che lo circondano e nei quali si manifestano le condizioni mutate della società cittadina: nei suoi consigli, che hanno una base assai più complicata di quelli del periodo consolare; nelle varie commissioni che partecipano ai suoi atti o vengono incaricati di certi compiti particolari, e che rappresentano generalmente i varî organismi in cui va differenziandosi il mondo comunale. Insomma, entro il sistema podestarile trovano modo di manifestarsi le forze organizzate e attive della popolazione.

È un sistema assai elastico che continua dall'inizio del sec. XIII fino alla decadenza delle repubbliche cittadine, come cornice generale della costituzione del comune. Entro di esso, si sviluppano e diversamente si atteggiano durante il sec. XIII le varie forze o tendenze politiche prevalenti, che si costituiscono in organismi dominanti e dànno un'impronta decisiva al comune podestarile, fino a identificarsi di fatto con esso. Così abbiamo, per esempio, il comune retto dalla parte guelfa (oppure da quella ghibellina) in cui il partito erige i proprî organi in organi costituzionali del comune, dirige il governo dello stato, infonde il suo spirito a tutte le manifestazioni della vita pubblica, ma lascia intatti i precedenti quadri generali del sistema podestarile. E non diverso formalmente è il movimento popolare, il quale raccoglie in una forza complessiva le organizzazioni territoriali o economico-professionali della popolazione cittadina (oppure tanto le une quanto le altre), ne fa la base effettiva di governo, eleva i propri organi direttivi e consultivi (anziani, priori, capitani e consigli del popolo, ecc.) a organi normali della costituzione comunale, ma non assorbe formalmente il potere del podestà né si contrappone al comune come organismo a sé, bensì rimane, anche dominandolo, entro il sistema generale del comune podestarile. È infatti un tratto caratteristico del comune italiano quello di presentarsi quasi sempre come regime accentuato, che, determinato da certe tendenze dominanti o da certi sistemi politici in cui si rispecchiano le necessità o le aspirazioni prevalenti del momento, informa tutto l'ordinamento interno del comune, ma si mantiene sempre entro le linee generali della costituzione tradizionale.

Il regime che prevalse fin circa dalla metà del Dugento, talvolta combinandosi con quello di parte, talvolta rilevando il suo carattere di scolorimento partigiano, a seconda delle situazioni politiche del momento, fu il regime popolare, basato sulla prevalenza, entro i quadri del comune podestarile, delle organizzazioni territoriali ed economico-professionali della popolazione cittadina. In ciò si manifesta senza dubbio un certo democratizzarsi del comune italiano nel corso del sec. XIII, nel senso che la vita pubblica tende a imperniarsi sui ceti commerciali e industriali della città e a limitare la prevalenza della vecchia aristocrazia, che solo in parte rappresentava il mondo degli affari. Errerebbe però chi credesse che l'ambiente del comune popolare d'Italia s'identificasse con quello delle città borghesi d'Oltralpe, e che la democratizzazione del comune portasse a un contrasto fra la città e la campagna circostante: giacché i popolani italiani erano di solito proprietarî di terre del contado e rappresentavano anch'essi quella certa fusione fra città e campagna, che sta a base di tutta la storia comunale d'Italia. Se mai si potrebbe parlare piuttosto d'uno sfruttamento dei piccoli contadini o dei lavoratori, specie nei secoli successivi, da parte dei proprietarî cittadini che mantennero o accentrarono sempre più nelle loro mani buona parte delle terre del contado.

Questo regime popolare assume in certi momenti caratteri di democratismo più spinto, tanto da accentuare la base di masse del potere popolare e da eliminare dagli organi direttivi le famiglie di maggior peso sociale, le quali nonostante le loro prepotenze e la loro "tirannia" costituivano pur sempre nella vita pubblica del comune, per varie ragioni e sotto molteplici aspetti, un elemento indispensabile e importante. Ma nonostante questa guerra contro la "potenza" e la "grandezza" di elementi particolari e contro l'inquinamento oligarchico del comune popolare, le masse anonime degli iscritti nelle corporazioni delle arti e delle organizzazioni a base territoriale non riuscirono, almeno nelle città economicamente più prospere, ad ottenere una diretta partecipazione al governo comunale. Lungi dall'essere un'emanazione libera e diretta delle organizzazioni di masse che costituivano la base del regime, il governo, anche nel comune popolare, rimaneva nelle mani di un'aristocrazia o d'un ceto dirigente, composto soprattutto di grandi uomini d'affari.

Parallelamente alla generale decadenza del gran commercio e delle grandi industrie che dall'inizio del sec. XIV comincia a manifestarsi in quasi tutte le città d'Europa, si acuisce però nei comuni italiani il contrasto fra le oligarchie dirigenti e le masse del popolo medio. In alcune città, come a Firenze, entra in scena perfiro il proletariato operaio delle grandi industrie capitalistiche. Una volta indebolito e scosso nelle sue posizioni il ceto dirigente, che era la spina dorsale del comune, le repubbliche cittadine non trovano più un equilibrio stabile, e si assestano soltanto sotto il dominio di una signoria personale. Quest'ultimo fenomeno, di cui non è qui il luogo di parlare (v. signorie e principati), si manifesta in alcune città lombarde, venete e romagnole assai prima che in Toscana, e qualche volta si allaccia pure alle lotte fra guelfi e ghibellini o ai primi movimenti popolari. Esso è certamente dovuto a varie e complicate ragioni che andrebbero studiate caso per caso, ma è comunque un sintomo delle difficoltà che si oppongono al formarsi di ceti dirigenti stabili e continui. Il fenomeno va anche collegato con le tendenze espansive degli stati cittadini per cui certi comuni assorbono i comuni vicini e si allargano quasi a stati regionali. Il comune assoggettamento a un unico potere facilita il formarsi o il mantenersi della coesione delle singole parti, fino a che questo potere, d'origine comunale, non si erige al disopra di tutti ugualmente e non trasforma lo stato cittadino in principato territoriale.

IV. - Di là dalle Alpi soltanto i comuni della Provenza e della Francia meridionale presentano notevole analogia con quelli italiani. Sebbene il feudalismo avesse avuto in queste regioni uno sviluppo maggiore che in Italia, esso non ha potuto sradicare nei costumi della società la posizione preminente delle città, o comunque dei centri urbani, di fronte al territorio circostante. Abbiamo dunque anche qui, tra i feudatarî dipendenti e i maggiori proprietarî della campagna, l'abitudine di accentrarsi nelle città o comunque nei centri principali dei varî dominî: donde le continue interferenze fra i centri e il territorio, il frammischiarsi tanto nelle città quanto nella campagna di elementi eterogenei, che semplificando si potrebbero chiamare nobili e borghesi, a patto però di non attribuire a questi ultimi la figura specifica e distinta dei borghesi delle altre regioni oltramontane. Infatti gli alti ceti della popolazione non nobile delle città, proprietarî di buona parte del suolo cittadino, specie intorno alla piazza maggiore (burgenses, platearii) posseggono per lo più anch'essi terre, fortilizî e diritti, talvolta perfino feudali, nella campagna. Insomma, il comune cittadino sorge in condizioni fino a un certo punto analoghe a quelle d'Italia.

L'affinità con l'Italia è ancora maggiore nelle città della Provenza, dove i consolati vengono formati da un'associazione giurata, promossa da elementi legati a varî sistemi di dominio in modo da sovrapporre, almeno sotto certi aspetti, un'unità più complessa al frazionamento preesistente. Il comune provenzale però a differenza di quello italiano, non riesce mai a unificare completamente o ad amalgamare in un organismo giuridico uniforme le forze particolari di cui inizialmente era composto. Persiste infatti il frazionamento signorile, e persistono anche, almeno fino a un certo punto, i diritti feudali o comunque particolari di singoli membri del comune non solo sulle terre della campagna, ma talvolta anche nella città stessa. I comuni dei milites et burgenses di Provenza non riuscirono dunque a costituirsi in organismi territoriali veri e proprî. Del resto il rafforzarsi del potere centrale (quello cioè dei conti di Provenza) nel corso del sec. XIII impedì ogni evoluzione in questo senso, giacché i conti si sforzarono naturalmente di dissociare l'unità, già prima incompleta e imperfetta, fra la città e il territorio circostante. E se nel secolo XIII, insieme con un modico allargamento del ceto dirigente verso gli elementi più cospicui della borghesia propriamente detta, il comune raggiunse una maggiore unità e assunse un carattere più pubblico e collettivo, questo progresso, promosso in alcune città, come, per es., Marsiglia e Avignone, da movimenti associativi che presentano una certa analogia con quelli che metton capo al "popolo" dei comuni italiani, andò a profitto di organismi già più ridotti, i quali si avvicinano piuttosto al tipo dei comuni settentrionali che non agli stati cittadini d'Italia.

Un analogo dissolversi dell'unità comunale, inizialmente più larga e complessiva, e un analogo staccarsi degli elementi nobiliari e terrieri dalla città si sono verificati nello stesso tempo, sotto l'influsso dell'azione dei re di Francia, nella Linguadoca. La storia dei comuni della Provenza e della Francia meridionale può darci un'idea di quello che sarebbe potuto succedere in Italia se le condizioni politiche generali avessero permesso a un Federico Barbarossa di rafforzarvi effettivamente il potere diretto dell'Impero. I comuni della Francia meridionale si distinguono peraltro sotto alcuni aspetti da quelli dell'Italia e della Provenza. Nella Linguadoca le signorie feudali avevano raggiunto una maggiore organicità e continuità territoriale, in modo che le singole città vi si presentano più spesso come centri d'un unico sistema di dominio. Anche se vi è più di un signore, il dominio viene esercitato generalmente in modo collettivo e indiviso, sicché la pluralità dei signori non esclude l'unità del vasto organismo signorile che fa capo alla città; la quale quindi si presenta quasi sempre come centro d'un unico sistema di forze, di rapporti e d'interessi. Quelli che vi si raccolgono, si trovano dunque accomunati dall'unità di organizzazione. Il raggio d'attrazione dei centri è forse più limitato che in Italia (e fors'anche più che in Provenza), ma in compenso il legame fra centro e territorio è giuridicamente più saldo e organico.

Il consolato, che sorge anche qui fin dai primi decennî del sec. XII, ha quindi un altro carattere che in Italia e in Provenza. I consoli non sono capi di un'associazione giurata. Essi derivano dall'organizzazione precedente e la loro autonomia si sviluppa progressivamente e quasi insensibilmente dalla partecipazione dei milites e dei burgenses, cioè dagli elementi più cospicui del mondo signorile (probi homines), al governo dell'insieme della signoria, sia come consiglieri o assessori del signore, sia come membri di commissioni preposte a singoli negozî speciali o a varî rami dell'amministrazione. Nel primo periodo i consoli non sono se non la più autorevole delle commissioni di probi homines (prud'hommes du conseil), che assistono il potere signorile ed esercitano insieme con esso o in nome di esso alcune funzioni giudiziarie e amministrative. Tale partecipazione dell'aristocrazia dei milites e dei burgenses al potere, diventa col tempo più piena, stabile e ordinata. Con lo stabilizzarsi del consolato l'azione di questi elementi, che più tardi accolgono naturalmente nel loro seno anche i ceti più cospicui della popolazione più specialmente borghese, si rende autonoma, e la signoria si trasforma in comune. Però il consolato non si rende mai del tutto indipendente dal potere signorile, né si sostituisce completamente ad esso nel governo della signoria cittadina. Esso continua sempre ad essere considerato, fino a un certo punto, come organo del potere signorile, condivide in una forma o in un'altra il governo con gli agenti più diretti di esso (i bayles) e anche nelle sue manifestazioni più autonome agisce sempre in nome del signore. Il potere signorile interveniva anche, almeno formalmente, nella formazione del collegio consolare e nell'investitura dei nuovi eletti. Inoltre in molte città della Francia meridionale, come del resto anche in Provenza, la competenza autonoma del consolato rimase assai limitata e non escludeva affatto l'azione diretta dei poteri signorili.

Insomma, i comuni della Linguadoca (come anche quelli della Provenza) non raggiungono mai quella pienezza di poteri e quell'indipendenza di cui godevano di fatto i comuni italiani, e continuano a far parte d'un sistema politico che si mantiene al disopra di essi e non cessa mai di dar segni di vita. Sotto questo rispetto, essi si avvicinano alla posizione giuridica degli altri organismi comunali d'Oltralpe. E quando, verso la metà del sec. XIII, quel sistema politico di cui essi fanno parte cade sotto la dipendenza effettiva dei re di Francia, ogni possibilità di ulteriore evoluzione autonoma viene definitivamente troncata. I comuni non solo perdono il loro carattere di organismi ampî e complessi, ma cadono, anche con poco riguardo ai diritti dei loro signori, sotto il rigido controllo dell'autoria regia, fino a trasformarsi nei secoli successivi in organi direttamente dipendenti da questa.

V. - Negli altri paesi d'Oltralpe, i centri di vita cittadina, prima di svilupparsi in organismi autonomi, si erano già costituiti, come si è visto, in unità giuridiche distinte. Alcuni rudimenti di autogoverno si possono scorgere fin da questa prima fase. Gli abitanti della città formano in un certo senso una universitas, unita da comuni privilegi e da comuni doveri; senza possedere un organo stabile di autogoverno (corps de ville, come si diceva in Francia) essi possono in alcune circostanze o sotto alcuni rispetti manifestarsi come un tutto, il che può generare certe funzioni disciplinari e amministrative, magari intermittenti. Vediamo, per esempio, assemblee degli abitanti o commissioni di prud'hommes che si costituiscono per regolare certe faccende, più o meno continue, derivanti dalla condizione del mondo cittadino come università accomunata da alcuni diritti e da alcuni obblighi comuni: come sarebbe la distribuzione di certe imposte signorili, oppure il mantenimento delle fortificazioni, la guardia militare, ecc. A ciò si potrebbe aggiungere, almeno in alcuni casi, l'uso comune di certi terreni, pascoli, acque, nonché diverse altre circostanze derivanti dalla convivenza d'un conglomerato d'uomini in un luogo relativamente ristretto. Notiamo inoltre che anche le cariche dell'amministrazione signorile nella città tendevano naturalmente a municipalizzarsi, a venir ricoperte cioè da elementi locali, in modo da rispecchiare fino a un certo punto lo spirito e le tendenze dell'ambiente. Moltissime città del centro della Francia, fra cui alcune non prive di importanza (come, per es., Tours, Bourges, Angers) si limitarono a tale forma primitiva d'organizzazione. Ma questi rudimenti d'autonomia, che sono già impliciti nel fatto di essersi la città costituita in un organismo giuridico unificato e distinto, potevano anche svilupparsi in un autogoverno più stabile e più vasto. Il comune presuppone infatti l'esistenza di organi permanenti di autogoverno, che esercitino certe attribuzioni stabili d'amministrazione e di giustizia. È molto probabile che in moltissimi comuni della Francia e della Germania (in quelli almeno che non erano retti a scabinato) il collegio dei giurati (jurés) o il consiglio (Rat) si siano sviluppati più o meno gradualmente e pacificamente da quei rudimenti di autogoverno di cui si è parlato sopra. Non di rado, specialmente in Francia, il processo potrà essere stato favorito o affrettato dal formarsi di uno stretto vincolo associativo fra i cittadini (comune giurato). Il grado d'autonomia e la materia stessa delle attribuzioni degli organi d'autogoverno variano infinitamente, a seconda della particolarità delle situazioni locali. Quello che è generale è solo l'esistenza di attribuzioni autonome esercitate da un organo permanente della cittadinanza. Invece lo stretto vincolo associativo (comune nel senso più limitato e speciale) non è condizione essenziale dell'autogoverno comunale non solo in Germania e nel Belgio (dove manca quasi del tutto), ma perfino in Francia. L'autogoverno comunale è già stabile in molte città della Francia, del Belgio e della Germania fin dai primissimi decennî del secolo XII, cioè allo stesso tempo circa dei consolati nei paesi mediterranei.

I varî tipi e i varî caratteri dell'autonomia cittadina dipendono in parte dal modo in cui si esercitava inizialmente nella città il potere giurisdizionale. Là dove fin dal periodo precomunale la giurisdizione ordinaria si trova unificata e quindi municipalizzata più fortemente, essa viene spesso esercitata, secondo i principî dell'organizzazione carolingia, con l'assistenza di elementi locali, tratti dai ceti più rappresentativi e cospicui del mondo cittadino. Questi elementi (scabini, échevins, Schöffen) diventano naturalmente il principale tratto d'unione fra il potere signorile e la città intesa come collettività locale, vale a dire il principale strumento dell'autonomizzazione della società cittadina. Nominati a vita dal signore e presieduti da un suo rappresentante (castellano, preposto, sculdascio, ecc.) essi sono un organo del potere signorile, ma anche un suo consiglio per gli affari cittadini, una rappresentanza naturale dell'ambiente locale. Nel seguito quest'ultimo aspetto va accentuandosi sempre più, e lo scabinato, pur mantenendo sempre un legame formale col potere signorile, si trasforma in organo direttivo della comunità cittadina, rendendo autonome allo stesso tempo le funzioni che prima esercitava come organo della signoria. Il processo è formalmente analogo (nonostante la diversa natura territoriale e sociale dell'organismo comunale) a quello del sorgere dei consolati nella regione di Linguadoca. Col tempo (nel corso del sec. XII) diminuisce generalmente l'ingerenza del signore nella formazione dello scabinato, il quale finisce col diventare carica temporanea ed elettiva; e si riduce al minimo o sparisce addirittura anche la partecipazione degli organi del potere signorile agli atti giurisdizionali e amministrativi dello scabinato. Insomma l'autogoverno comunale si sviluppa piuttosto pacificamente e gradualmente sulla base dell'organizzazione precedente. Il tipo di comune retto a scabinato è generale in tutto il Belgio (comprese le regioni dell'attuale Francia che in quel tempo facevano parte della contea di Fiandra), ma si ritrova spesso anche nelle città della Francia settentrionale e della Germania (p. es. a Colonia e a Francoforte). Tale tipo è caratterizzato non solo dall'evoluzione più graduale e pacifica dell'autogoverno comunale (almeno nella prima fase di esso), ma forse anche da una maggiore pienezza della sua competenza, appunto perché lo scabinato, essendo un organo del potere signorile, rende autonomo o porta nel comune un insieme più vasto e organico di attribuzioni, mentre la competenza dei comuni non scabinali avrà spesso un carattere più frammentario e speciale. Questi ultimi comuni si sono sviluppati sulla base di quei rudimenti di attività collettiva, che fino a un certo punto si devono considerare come condizione inerente all'esistenza d'un organismo accomunato e distinto almeno sotto certi aspetti giuridici. Bisogna però riconoscere che fra tali rudimenti e la competenza dei giurati dei comuni francesi o dei consigli di quelli tedeschi corre una distanza cosi notevole, da rendere probabile l'intervento di qualche fatto decisivo o di qualche circostanza che abbia prodotto o magari accelerato il mutamento. E infatti molti comuni di questo tipo, almeno in Francia, si presentano sotto la forma di associazione giurata, il che potrebbe far supporre che un'azione o una pressione collettiva abbia preceduto e determinato la loro autonomia. E anche altrove (specialmente in alcune città episcopali dell'Impero), si sente parlare talvolta di sommosse o congiure (coniurationes, communiones) degli abitanti della città. Ma l'autonomia comunale generalmente già preesiste a quelle sommosse e congiure, le quali avvengono di solito per ragioni che non hanno nulla a che vedere con la costituzione interna della città, e manifestano piuttosto le divergenze di atteggiamento del signore e dei cittadini nei grandi conflitti politici del tempo. Sarebbe meglio in genere guardarsi dall'esagerare l'importanza delle insurrezioni e pressioni rivoluzionarie nella formazione dell'autonomia comunale. Perfino il comune giurato della Francia non sempre è dovuto a un'associazione insurrezionale stretta a scopo di strappare al signore un governo autonomo. In molti casi l'associazione giurata, con relative competenze dei suoi capi, poteva rappresentare agli occhi del signore un rafforzamento organizzativo, assai utile per i suoi interessi politici e militari (a parte i vantaggi che gli si presentavano nei casi in cui egli si faceva pagare le concessioni) della disordinata e informe universitas dei cittadini: sì che egli, nonché ostacolare, poteva invece favorire lo sviluppo d'un governo più ordinato e stabile. Così avvenne infatti in non poche città di Francia, specialmente nella Champagne e in alcune regioni sottoposte in quei tempi al dominio dei re d'Inghilterra, per i quali l'organizzazione comunale era, fra l'altro, un mezzo di più valida difesa militare del paese contro i re di Francia (a parte la preoccupazione di assicurarsi la fedeltà dei sudditi con un trattamento più libero). Non bisogna dimenticare altresì che la solidarietà associativa dei comunisti si appunta generalmente contro i potenti nemici estranei, irraggiungibili con mezzi di azione legale e ordinaria, i quali spesso sono al medesimo tempo anche nemici del signore. In altri casi lo sviluppo dell'autogoverno stabile e ordinato (non importa se a base di associazione giurata o no) poteva essere favorito dall'intervento del potere supremo, interessato per qualche ragione ad attirarsi la popolazione d'una data città e a crearsi un punto d'appoggio nel seno del dominio del suo vassallo. Così avveniva spesso nelle città episcopali della Germania (e nulla cambia in questo quadro la reazione tardiva di Federico II), e in alcuni casi speciali anche in Francia. Insomma, senza negare l'importanza del moto spontaneo delle borghesie cittadine verso un ordinamento più autonomo e gli eventuali attriti che potessero sorgere a questo proposito fra essi e i loro signori, occorre guardarsi dal vedere nelle insurrezioni e nelle pressioni rivoluzionarie la condizione precipua dell'autogoverno comunale. Non solo nei comuni retti a scabinato, ma anche in quelli in cui manca tale tratto d'unione fra il potere signorile e il potere autonomo, l'ordinamento comunale s'innesta su certi rudimenti d'organizzazione collettiva che sono per sé stessi suscettibili di sviluppi e di allargamenti e che sono determinati dal fatto che si era formato precedentemente un organismo di diritto specifico e distinto. Solo in quei pochi casi in cui questa organizzazione precedente è molto scarsa, l'insurrezione o per lo meno l'associazione giurata dei cittadini assume un'importanza più essenziale e decisiva, sostituendosi in un certo senso all'opera unificatrice e organizzatrice del signore e creando nuove condizioni di vita e nuove competenze di governo nella città. Bisogna segnalare anche un altro caso, soprattutto frequente nella Francia settentrionale: quello cioè di comuni scabinali in cui alla primitiva autonomizzazione per mezzo dello scabinato si sovrappone l'associazione giurata dei cittadini. Tali sono, per esempio, Cambrai, Laon, S. Quentin, Noyon che a torto vengono spesso citati dagli storici come tipi di comuni insurrezionali (in parte, analoga è la posizione di Liegi e di alcune altre città episcopali dell'Impero). Il fatto è dovuto evidentemente ad arresti o impedimenti interpostisi allo sviluppo normale dell'autonomia dello scabinato. L'associazione giurata crea in questi casi nuovi organi e nuove competenze e tende o a sostituirsi allo scabinato o ad accentuare l'aspetto comunale di esso. È una forma di ulteriore sviluppo di autonomia più o meno rivoluzionaria, che si sovrappone a quella primitiva, in modo che si ha in questi casi un duplice ordine d'istituzioni cittadine. Comunque questa forma di sviluppo dell'autogoverno comunale si basa già su una certa organizzazione autonoma, precedentemente raggiunta per mezzo dello scabinato.

I comuni oltramontani, qualunque sia la base giuridica del loro autogoverno o il grado della loro autonomia, non si rendono mai del tutto indipendenti dai loro signori. Perfino le più libere città delle Fiandre rimangono incastrate nel sistema politico di cui fanno parte e non si sviluppano in repubbliche indipendenti, sia pure di fatto. E ciò si spiega facilmente se si tien conto dell'indole fondamentale dei comuni oltramontani che fin dall'inizio li distingue da quelli italiani. Questi ambienti specificamente economici, questi isolotti socialmente e territorialmente distinti e contrapposti al mondo circostante non potevano naturalmente, qualunque fosse il loro rigoglio economico, diventar centri di un'unificazione o d'un particolarismo territoriale. Tale compito rimase Oltralpe riservato alle forze politiche superiori, che si mantennero al disopra di essi e che costituiscono il vero elemento di organizzazione unitaria, vasta o ridotta che essa fosse. Ma rimasti legati a un sistema di dominio che persiste accanto e al disopra di essi, i comuni oltramontani non poterono rendersi del tutto indipendenti e autonomi neanche nella sfera delle loro faccende interne. Qualunque sia la forma dell'ordinamento costituzionale, il comune è sempre sottoposto al signore, anzi è considerato in un certo senso come organo del potere signorile.

Ciò si manifesta anzitutto nell'intervento del signore nella formazione degli organi dirigenti del comune. Non solo la conferma e l'investitura degli eletti spetta generalmente al signore o ai suoi rappresentanti, ma perfino l'elezione stessa, o meglio la nomina, si trova spesso in suo potere. In alcuni grandi comuni delle Fiandre, ancora nel sec. XIII, gli scabini venivano formalmente nominati dal conte. Nelle maggiori città della Champagne, a Troyes, a Provins, a Bar-sur-Aube, spetta ugualmente al signore la nomina di tredici giurati, i quali poi eleggono uno di loro alla carica di maieur. A Rouen il maire veniva scelto dal signore da una terna presentatagli dai cento pari del comune; e in alcune altre città, nelle quali si sarebbe adottata la costituzione di Rouen, si faceva a meno anche della terna. E si potrebbero citare molti altri esempî del genere, tratti da tutte le parti dell'Europa oltremontana. Si trovano anche numerosi casi di partecipazione degli agenti del potere signorile agli atti stessi degli organi comunali. Occorre rilevare inoltre che il potere del comune non ha mai o quasi mai carattere integrale, ma si limita solo a certi aspetti della vita pubblica. Spesso la giurisdizione comunale, specialmente nelle città non scabinali, ha un carattere speciale, o non comprende alcuni casi di alta giustizia, o non ha pieno valore territoriale, ma vale, in genere, solo per i sudditi del comune, ecc. Per il resto rimane in vigore la competenza del signore dominante, che rappresenta il pieno potere pubblico nella città.

Per quanto i comuni abbiano fatto molto per allargare la propria competenza e per conferirle un valore generale entro la città, trascendendo non di rado, specie nei rispetti degli enti immunitarî, i limiti della precedente unificazione signorile, pure tali allargamenti e generalizzazioni si limitavano di solito solo a certi interessi accanto al comune, nella città vigeva sempre, sia pure per circostanze e casi determinati, un potere pubblico superiore che rendeva frammentaria e incompleta la competenza degli organi comunali.

Nella prima fase della loro storia i comuni oltremontani, non meno di quelli italiani (per quanto su una base sociale assai diversa), presentano un carattere nettamente aristocratico, nel senso cioè che sono guidati e diretti da un ristretto ceto di elementi più ricchi e cospicui. Solo nei centri di scarsa importanza economica, dove non si era formata un'aristocrazia di grandi commercianti e di grandi imprenditori, e la popolazione aveva maggiore omogeneità, la costituzione dell'autogoverno comunale poteva qualche volta assumere fin dall'inizio una forma relativamente democratica. In genere i ceti dirigenti dei comuni, che costituiscono i loro scabinati, consigli, collegi di pari o di giurati, ecc., non sono altro che gli eredi di quegli elementi più rappresentativi e ragguardevoli (probi homines, meliores, maiores, scabini, testimonî privilegiati, ecc.) che fino dal periodo precomunale avevano già una certa parte nella vita della città. Sotto un certo punto di vista, e tenuto conto delle sostanziali differenze, si potrebbe dunque affermare che il comune presenta ovunque in Europa gli stessi caratteri formali: dappertutto, elementi che già nei quadri della precedente organizzazione signorile venivano considerati come naturali esponenti della vita locale ancora imprecisa e informe, si ordinano e operano in forma collettiva e autonoma. In alcuni centri oltremontani questi elementi più cospicui del mondo cittadino si trovano accomunati in certe organizzazioni, che costituiscono le grandi attività economiche e il principale centro propulsore della sua autonomia: così le gilde dei mercanti nelle città belghe, la Richerzeche a Colonia, la hanse des marchands d'eau a Parigi, ecc.

Gli organi direttivi dei comuni conservarono a lungo il loro carattere oligarchico. In alcune città francesi (e nel primo periodo anche in quelle delle Fiandre) le cariche del corps de ville erano vitalizie, e spesso di fatto ereditarie. Dove erano elettive, il sistema era congegnato in modo da dar prevalenza nella formazione dei collegi direttivi ai governanti uscenti, la qual cosa portava spesso a una regolare rotazione dei medesimi personaggi o per lo meno dei membri delle medesime famiglie. Famoso, fra molti altri, è l'esempio di Gand, dove 39 individui si alternavano regolarmente, in periodi di tre anni, nelle tre cariche di scabini e di componenti i due consigli che dividevano con questi il potere. Solo verso la metà del sec. XIII cominciano ad agitarsi nelle città i ceti democratici, rappresentanti dei mestieri e del piccolo commercio locale. Il movimento del commun si dimostra particolarmente intenso nei grandi centri industriali del Belgio, della Francia settentrionale e della Germania, dove i mestieri della lana o dei metalli, economicamente sottoposti all'organo centrale del comune, si sollevano contro la duplice tirannia dell'oligarchia dominante. Le accuse di malversazioni e abusi nella gestione finanziaria e d'iniqua ripartizione dei tributi sono ovunque il motivo generale delle agitazioni popolari contro le oligarchie del comune. Il movimento porta anzitutto a una qualche autonomia interna delle corporazioni di mestieri, che fino allora rimanevano per lo più soggette al controllo del governo comunale (in alcune città, peraltro, si conservava ancora, almeno sotto certi aspetti, il controllo del potere signorile sui corpi di mestieri). In secondo luogo nelle maggiori città, soprattutto nel Belgio e in Germania, ma qua e là anche in Francia, avviene una democratizzazione del potere comunale, sia nel senso che accanto ai vecchi collegi oligarchici si pongono degli organi rappresentanti la democrazia cittadina (così, per es., a Saint-Omer i jurés du commun, o a Colonia un consiglio democratico, accanto allo scabinato), sia nel senso che si trasformano i vecchi collegi dirigenti del comune. In alcune città si arriva perfino, nel corso del sec. XIV, a un governo di rappresentanti diretti di singoli mestieri, forma questa che nei maggiori centri economici d'Italia (basti citare Firenze) non si è mai vista. Il democratizzarsi delle grandi città industriali che coincise con l'inizio della generale decadenza dell'economia cittadina, e in parte ne è forse sintomo, oppure effetto e causa allo stesso tempo, porta nella vita cittadina quello spirito gretto, quell'esclusivismo corporativo e locale, che diventa un tratto caratteristico delle città alla fine del Medioevo e che invano si cercherebbe nel periodo di prevalenza del capitalismo cittadino (secoli XI-XIII) largo, intraprendente e audace. Ora soltanto appare quell'irrigidimento verso gli estranei, quel sistema di limitazioni e di monopolî di ogni genere che a torto viene attribuito al periodo aureo delle città medievali. L'anno 1300 circa segna il punto culminante dello sviluppo demografico e della floridezza economica dei comuni nel Medioevo. Soltanto alcune città della Germania, che nella penetrazione tedesca nell'est e nel nord dell'Europa trovano nuove sorgenti di attività economica, continuano a prosperare nell'ultimo periodo del Medioevo.

La crisi dell'economia cittadina sarà accelerata anche dal mutamento delle condizioni generali d'Europa, dal formarsi cioè di complessi politici più ampî che tendono ad assorbire gl'interessi particolari delle città e a ordinare l'attività economica in quadri più comprensivi, ma in un certo senso anche più limitati. Le città medievali erano isolotti particolari, la cui influenza si esercitava politicamente in piccoli organismi d'importanza e di sfera d'azione puramente locali, ma economicamente si estendeva a tutto il mondo. Essi risentirono soprattutto i limiti delle nuove e più vaste formazioni statali, le quali tendevano a sottoporre i rapporti economici internazionali agl'interessi politici o militari delle nuove unità. D'altra parte le nuove correnti economiche, che cominciano a manifestarsi soprattutto intorno al 1500, si sviluppano già su base più ampia, fuori o al disopra dei quadri dell'economia prettamente municipale. Così le più attive energie economiche si smunicipalizzano, come del resto anche gli elementi più colti e più attivi delle borghesie cittadine, che all'attività municipale, sempre più gretta e sempre più menomata dagl'interventi dell'autorità centrale, preferiscono il servizio negli ordini e nei quadri delle nuove unità politiche.

VI. - L'importanza dei comuni medievali appare assai diversa, a seconda che si consideri la loro funzione storica nelle varie parti d'Europa. In Italia il comune significa il formarsi di un'unità complessiva che consolida il legame fra centro e territorio, fra città e campagna, ed esclude quel dualismo che è invece caratteristico per gli altri paesi d'Europa. Ciò produsse una certa uniformità di condizioni giuridiche, per cui in Italia (almeno in quella comunale) fin dai secoli XII e XIII si trovarono già superati certi fenomeni sociali, che in altre parti d'Europa sparirono definitivamente solo nel corso dei secoli XVIII e XIX. Lo stesso fatto determinò anche la forma dell'organizzazione statale o del particolarismo statale dell'Italia medievale, che è lo stato territoriale principesco. Il comune italiano fu dunque un elemento di unificazione e di organizzazione politica del paese, sia pure su scala particolare e non nazionale. Negli altri paesi invece, come già si è detto, il comune fu un isolotto, socialmente e territorialmente distinto, e non possedeva quindi nessuna capacità di unificazione o di concentrazione politica. O meglio, era anch'esso un elemento di unificazione e di organizzazione collettiva (cioè un tratto comune a tutti gli organismi cittadini d'Europa), ma solo nei limiti di un ambiente isolato e differenziato, nettamente opposto al mondo circostante. Ma d'altra parte appunto per questo suo isolamento esso non poté costituire un ostacolo all'opera accentratrice compiuta da forze superiori: dai principi e dai re. Anzi in Francia, per es., i comuni costituirono piuttosto strumento di unificazione statale, in quanto furono uno dei principali punti di penetrazione del potere regio nei dominî dei loro vassalli. Come centri di ricchezze e come luoghi fortificati, le città rappresentavano naturalmente per il potere regio un valore considerevole, mentre la loro scarsa coesione al complesso politico di cui facevano parte indeboliva la loro solidarietà con esso nella resistenza ai tentativi dei re: senza parlare poi del vantaggio che in queste condizioni offriva ai comuni nei rapporti coi loro signori il contrappeso dell'intervento regio. Cosi i re si arrogarono ben presto, sotto varî pretesti, una specie di diritto d'intervento nelle condizioni di tutti i comuni del regno, che poi si trasformò naturalmente in un controllo continuo, e, quel che più conta, in un legame politico diretto fra i comuni e il potere regio. I movimenti democratici dei secoli seguenti offrirono ai re un'occasione d'intervenire energicamente nelle faccende interne dei comuni. Essi in genere mantennero al governo le vecchie oligarchie dirigenti, sottoponendole però a un controllo rigidissimo e trasformandole a poco a poco in organi diretti del potere regio. Così i comuni francesi, per il loro fondamentale isolamento, finirono col diventare un mezzo di accentramento statale e d'unificazione nazionale nelle mani dei re di Francia.

Minori uniformità di condizioni che l'Italia e la Francia, in sensi diversi, presenta la Germania. Il comune è anche qui un organismo isolato e specifico, privo, come in Francia, di capacità non solo di costituire la base d'un particolarismo politico più ampio e complesso, ma anche, e per le stesse ragioni, di conseguire una piena autonomia nei limiti del suo isolamento. In un primo momento il potere centrale tentò anche in Germania di servirsi delle città per affermare la propria influenza nei dominî di vassalli potenti. Ma per il successivo indebolimento dell'azione imperiale l'opera rimase troncata a mezza strada. Le forze particolaristiche trionfarono, e le città in genere furono assorbite o più saldamente legate ai nuovi principati territoriali. Ma l'estremo frazionamento e l'infinita complessità delle condizioni politiche della Germania impedirono l'assorbimento di tutti i comuni cittadini nelle nuove unità. Alcuni dei comuni, in verità relativamente pochi, che avevano già stabilito rapporti diretti con l'Impero, rimasero in dipendenza immediata di esso, il che significava press'a poco nessuna dipendenza. Così si ebbe un nuovo tipo di organismo cittadino, che pur essendo un mondo isolato e specifico, godeva di una indipendenza politica quasi completa. Sebbene questi curiosi prodotti delle contraddizioni della storia politica tedesca abbiano avuto un'esistenza tutt'altro che tranquilla e abbiano avuto molto a soffrire dai vicini più potenti, pure molti di essi si mantennero fino alla riorganizzazione napoleonica della Gernnania. E tre grandi città, Amburgo, Brema e Lubecca, conservano fino ad oggi la posizione di membri autonomi nella nuova unità tedesca.

Bibl.: Una rapida e per molti aspetti discutibile, ma suggestiva trattazione d'insieme sulle città medievali è quella di H. Pirenne, Les villes du moyen âge, Bruxelles 1927, nella quale tuttavia proprio i comuni più importanti, cioè quelli italiani, hanno rilievo troppo scarso e assolutamente inadeguato. Il lavoro quindi vale essenzialmente per la vita cittadina e comunale d'Oltralpe.

Italia. - La storia dei comuni italiani è stata tracciata nelle linee fondamentali da G. Volpe, di cui si vedano specialmente: Questioni fondamentali sull'origine e svolgimento dei comuni italiani, Pisa 1904; Il sistema della costituzione economica e sociale italiana nell'età dei comuni, in La critica, IV (1906; ora, con altri saggi, in Medioevo italiano, Firenze 1923); Studî sulle istituzioni comunali a Pisa, Pisa 1902; Volterra, Firenze 1923; Il Medioevo, Firenze 1928. Una chiara, seppur schematica, trattazione è quella di A. Solmi, Il comune nella storia del diritto, Milano 1922; tipicamente sociologica quella di G. Arias, Il sistema della costituzione economica e sociale italiana nell'età dei comuni, Torino e Roma 1905.

La teoria sulle origini signorili del comune, è stata sostenuta da F. Gabotto, in Bollettino stor. bibl. subalpino, VII-VIII (1902-03); in Arch. stor. ital., s. 5ª, XXXV (1905). Ma cfr., in senso contrario, G. Volpe, in Arch. stor. ital., s. 5ª, XXXIII, ii (1904).

Di carattere generale sono pure gli studî di: K. Hegel, Geschichte der städteverfassung von Italien, voll. 2, Lipsia 1847 (trad. ital., Torino 1861); G. Mengozzi, La città italiana nell'alto Medioevo, Roma 1917; L. Chiappelli, La formazione storica del comune cittadino in Italia, in Archivio storico italiano, s. 7ª, VI, VIII, X, XIII, XIV (1926-1930); F. Ercole, Dal comune al principato, Firenze 1929. Fiacchi i lavori di J. Luchaire, Les démocraties italiennes, Parigi 1915 e di F. Gianani, I comuni, 1000-1300, Milano s. a.; migliore invece quello, precedente, di F. Lanzani, I comuni, Milano s. a. Per i comuni lombardi, vedi W. F. Butler, The lombard communes, Londra 1906.

Sulle vedute d'insieme della storiografia italiana hanno però molto influito alcuni lavori dedicati a un solo comune; specie quello di G. Salvemini, Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295, Firenze 1899. Ma contro le conclusioni del Salvemini, e quelle del Davidsohn (Geschichte von Florenz, voll. 4), v. N. Ottokar, Il comune di Firenze alla fine del Dugento, Firenze 1928. Confrontare inoltre: L. Simeoni, Le origini del comune di Verona, Venezia 1913; id., Il comune veronese sino ad Ezzelino e il suo primo statuto, in Miscell. di storia veneta, s. 3ª, XV (1920) (cfr. F. Chabod, in Rivista storica ital., 1925, fasc. 2°). E v. anche la bibl. annessa alle voci di città, bologna, milano, ecc.

Per i comuni stranieri cfr. H. Pirenne, Les anciennes démocraties des Pays-Bas, Parigi 1910; A. Luchaire, Les communes franç. à l'époque des Capétiens directs, Parigi 1911; P. Viollet, Les communes franç. au moyen âge, Parigi 1900; A. Giry, Les Établissements de Rouen, voll. 2, Parigi 1883-85; id., Étude sur les origines de la commune de Saint-Quentin, Parigi 1887; id., Hist. de la ville de Saint-Omer, Parigi 1877; N. ottokar, Le città francesi nel Medioevo, Firenze 1927; F. Kiener, Verfassungsgeschichte der Provence, Lipsia 1900; P. Dognon, Les institutions politiques et administratives du pays de Languedoc, Tolosa 1895; G. von Below, Das ältere deutsche Städtwesen und Bürgertum, Bielefeld e Lipsia 1898; id., Der Ursprung des deutschen Stadtverfassung, Düsseldorf 1892; R. Sohm, Die Entstehung des deutschen Städewesens, Lipsia 1890; S. Rietschel, Markt und Stadt in ihrem rechtlichen Verhältniss, Lipsia 1897; id., Das Burggrafenamt und die hohe Gerichtsbarkeit, Lipsia 1905; F. Keutgen, Untersuchungen über den deutschen Stadtverfassung, Lipsia 1895; K. Hegel, Die Entstehung des deutschen Städtwesens, Lipsia 1898; id., Stäte und Gilden, d. germ. Völker im Mittelalter, voll. 2, Lipsia 1891; C. Gross, The Gild merchant, voll. 2, Oxford 1890; W.J. Ashley, The beginnings of Town life in the middle ages, Boston 1896; A. Ballard, The English Borough in the twelfth century, Cambridge 1914; F.W. Maitland, Township and Borough, Cambridge 1898.

Il comune rurale. - Si dice comune rurale o rustico l'organizzazione giuridica ed economica dei minori centri abitati delle campagne, formata dalle classi rurali. Esso si distingue pertanto dal comune cittadino (v. sopra), che si svolge normalmente in un centro murato popoloso, sulla base di più classi, e anche dal comune di borgo o di castello (v. borgo), che si forma invece nei luoghi íortificati, anch'essi spesso popolosi, e con intervento d'una classe di militi, accanto alle classi coloniche. Perciò il comune rurale abbraccia i piccoli centri abitati, cioè i villaggi, le ville, i vici, le pievi, le valli e così via; ed è formato da una classe abbastanza uniforme, la classe dei lavoratori della terra, piccoli proprietarî rurali o coloni.

Le basi di questa organizzazione si possono cercare nei più remoti stabilimenti umani, dove sia un nucleo di popolazione legato a un determinato territorio, e allorché questo nucleo di popolazione, sciogliendosi dal consorzio gentilizio, trapassa alle forme della comunità di villaggio. Ed anche, fin dalle età primitive, si scorgono consorzî territoriali minori e consorzî più vasti, collocati al disopra dei primi, allorché parecchi villaggi stanno riuniti in un aggregato territoriale più comprensivo, come, nell'età dell'Impero romano, i vici circa villam. Nella comunità di villaggio, si trova già il germe del comune rurale, e l'organizzazíone delle ville, dipendenti da un aggregato più vasto, un centro territoriale, una corte signorile, una città, si trova quasi costantemente nello sviluppo storico delle antiche civiltà, in India, nell'Egitto, in Grecia (v. come).

Ma l'affermazione dell'autonomia, che è veramente il momento creativo del comune rurale, allorché l'organizzazione giuridica ed economica, fino allora direttamente dipendente dai poteri politici sovrapposti, o nell'ambito di vasti nessi latifondiarî, coartata entro le forme della servitù della gleba o del colonato, guadagna una sfera d'azione libera, più o meno limitata, si ha soltanto nel sec. XI o XII, e si accompagna con quel vasto movimento d'autonomia delle classi, dei ceti, dei corpi territoriali, che seguì alla rovina degli stati barbarici e alla dissoluzione feudale. Tale movimento si produsse, prima che altrove, in Italia, e specialmente nell'Italia superiore e media, per riflesso del sorgere delle autonomie urbane, che caratterizzarono il primo rinascimento delle forme civili, dopo l'invasione barbarica; ma esso si manifestò, poco dopo, nel corso del sec. XII, nella Francia, dominata dal feudo, oltreché nella Catalogna, e nei regni di Aragona e di Castiglia; pure nel secolo XII, in Inghilterra, dopo la conquista normanna, dove si affermarono le autonomie urbane e rurali, entro un regime feudale nettamente dominante; e quindi, nei secoli XII e XIII, anche in Germania, a mano a mano che, accanto al feudo, si manifestarono le tendenze autonomistiche della città, dei castelli e delle ville rurali. Dappertutto, nella vasta organizzazione civile, dominata dal feudo, che caratterizza l'Europa uscita dalle invasioni barbariche, in tempi e in forme diverse, tra il sec. XI e il sec. XIII, o poco più tardi, accanto all'affermazione dei comuni cittadini, più o meno liberi, si produce l'affermazione d'autonomia dei centri rurali da cui muove il grande movimento dei comuni rurali.

Quale la genesi di questa organizzazione libera! Molte opinioni sono state esposte su questo problema; ma, poiché tutto il vasto spazio territoriale mediterraneo, salvo pochi territorî, fu già nei tempi antichi sottoposto all'organizzazione romana, e tutto più tardi fu travolto, più o meno profondamente, dall'invasione germanica, le opinioni suaccennate tendono a ridursi a due. La prima prende in considerazione principalmente l'organizzazione romana, e spiega la genesi del comune rurale del Medioevo come una continuazione delle forme giuridiche ed economiche dei vici e delle ville dell'età antica, allorché, caduta l'organizzazione municipale e venuto meno il dominio barbarico, quelle forme, rimaste in vita, si sarebbero sviluppate, sotto la spinta dell'autonomia medievale, guadagnando un regime di relativa indipendenza, nel tessuto della società feudale e comunale. La seconda, invece, spiega tale organizzazione come un prodotto interamente nuovo del Medioevo, il quale sarebbe una conseguenza delle nuove forme insinuate dal diritto germanico, con le sue spiccate tendenze militari e individualiste, in quanto avrebbe provocato la genesi delle libertà comunali, anche 1ielle campagne, o in quanto, annullando da prima, entro gli organismi delle curtes, l'antica struttura amministrativa, avrebbe poi postulato, nel dissolversi dell'economia curtense, un nuovo sistema di rapporti tra le classi rurali. Senza pretendere di decidere, in un cenno sintetico, la controversia, sia lecito di rilevare qui che, dopo i grandi lavori del Maurer, del Fustel de Coulanges, del Gierke, le ricerche più recenti, promosse in Italia dal Besta, dal Mengozzi, dal Bognetti e da altri studiosi, hanno dimostrato che, per spiegare l'origine del comune rurale, almeno per l'Italia, è necessario far ricorso all'organizzazione dei vici e dei pagi dell'età romana, organizzazione rimasta integra nell'alto Medioevo, nelle forme delle ville e delle pievi; poiché quell'organizzazione presta le basi all'istituzione del comune rurale, allorché, sotto la spinta del vasto movimento autonomistico del Medioevo, su di essa s'innesta l'affermazione dell'autonomia.

I testi numerosi dell'età romana, che ci descrivono l'organizzazione delle campagne, e non soltanto i testi italiani, ma quelli gallici, elvetici, britannici, belgici, ispani, illirici, dacici, orientali e africani, rivelano un sistema abbastanza uniforme, per cui i territorî rurali, dipendenti dalla pertica di una città o di un oppido, sono divisi in vaste circoscrizioni territoriali, chiamate pagi, che normalmente hanno un centro più o meno importante; e, nell'interno dei pagi, esistono minori centri abitati, che si dicono vici e talvolta anche villae. I pagi sono retti da funzionarî pubblici, detti variamente curatores pagi, locopositi, vicarii, legati all'organizzazione municipale della città o alla provincia; ma anche i vici hanno una propria organizzazione, per quanto inferiore, e senza giurisdizione vera e propria, poiché hanno proprî capi, i maiores, maiorici, decani, priores, ecc.

Ora, a dare completa l'immagine di questa organizzazione rurale, si deve aggiungere che tanto i pagi quanto i vici hanno terre comuni, che sono lasciate all'uso libero degli abitanti secondo norme fissate dalla consuetudine; e queste terre comuni, anche quando si configurano come terre comprese nelle pertinenze dei distretti fondiarî, costituiscono un vincolo, che ha già un'importanza notevole per lo sviluppo del comune rurale. Le terre comuni del vico si dicono generalmente compascua, ma anche communia e, fin da quella remota età, commune, mentre poi mantengono nel Medioevo il nome schiettamente romano di vicanalia o vicanum. Le terre comuni dei pagi, che sono lasciate all'uso libero del pascolo e del bosco per tutti gli abitanti del pago stesso, e quindi di un maggiore o minor numero di vici, sono dette conceliva o concilia, perché spettanti a un concilium di vici, o anche interconcilia o interconciliaricia.

Ora, per sempre meglio chiarire il carattere generale di questa organizzazione, va notato che essa non è affatto d'origine romana; è già nell'ordinamento prevalentemente rurale dei popoli precedenti a Roma, assoggettati poi alla conquista romana. La tavola di bronzo di Velleia e quella che conserva la decisione nelle controversie tra i Genuati e i Langenses, come altri monumenti, rivelano che la divisione dei pagi e dei vici era anteriore a Roma, poiché le popolazioni liguri e celtiche, a cui quei monumenti si riferiscono, la mostrano in pieno vigore; e di più attestano che i pagi, i vici, già prima della conquista romana, avevano proprie terre comuni, con funzione identica e tenute con norme non diverse da quelle descritte nell'età romana. Le descrizioni degli agrimensori romani e i frammenti delle antiche iscrizioni attestano la vasta diffusione di queste forme nella maggior parte dei paesi assoggettati alla conquista romana; e quindi rivelano che questa organizzazione, che noi crediamo abbia dato fondamento al più tardo comune rurale, ha carattere generale e si riscontra già presso tutti i popoli e paesi in cui, nei secoli XI-XIII, fiorisce il comune rurale. Anzi gli antichi monumenti sembrano attestare che le comunità dei pagi e dei vici abbiano avuto anche poteri e funzioni politiche. La conquista romana tolse a queste organizzazioni ogni contenuto politico e spostò nelle città, generalmente da essa fondate, la sede principale degl'interessi amministrativi, legati alla vasta organizzazione dello stato romano. Ma non toccò, nella struttura e nelle funzioni amministrative e fondiarie, quei minori enti territoriali: pagi e vici, assunti dallo stato a base delle registrazioni catastali, per i fondi giacenti nei territorî delle sue civitates, e da esso destinati a speciali funzioni per il mantenimento delle strade, per l'annona militare, ecc., restarono integri, per ciò che riguarda la comunione dei pascoli e dei boschi, per i culti locali comuni, per la nomina degli ufficiali minori, per l'assemblea vicinale, limitatamente a questi interessi religiosi e fondiarî, per la riscossione delle ammende, per le regole di politica rurale, ecc. Quando più tardi gli ordinamenti fiscali del basso Impero e bizantini cercarono una base territoriale, per imporre alle popolazioni rurali una responsabilità solidale nel pagamento delle imposte, sembra che, con nuovi nessi fittizî, tra i diversi fondi, si adottassero pure i raggruppamenti delle vecchie organizzazioni territoriali delle campagne.

L'organizzazione ecclesiastica, che ebbe poi tanta importanza nel Medioevo, si sovrappose, come è noto, all'organizzazione romana, e contribuì a salvarla e a consolidarla, anche dopo l'invasione germanica. Mentre nelle città viene posto un vescovo, nei pagi si colloca il centro dell'organizzazione religiosa rurale, col nome di plebs, perché abbraccia un populus, ossia un complesso di persone attinenti a una determinata località (Pieve); e a capo è posto il plebanus o parroco. Nei minori centri abitati, legati nelle pievi, furono poi collocate minori chiese, dette cappellae, i cui ministri furono detti cappellani o, allorché ebbero cura d'anime, curati.

L'invasione germanica non travolse queste istituzioni. Ai funzionarî delle provincie o dei municipî romani, si sostituirono i duchi o i conti barbarici; e, sotto costoro, si ebbero i centenarî o gli sculdasci, che continuarono i locopositi o i curatores del pagus, detto gau o cantone; come si ebbero i maiores o decani nelle minori circoscrizioni territoriali. Senza dubbio, con l'avvento degl'invasori, nuovi elementi vennero introdotti nel cerchio dei pagi e delle ville, e forse, in origine, con violente appropriazioni di beni e con privilegi. Abbiamo anche notizia, fin dalle prime invasioni germaniche, di vaste assegnazioni di beni, con vincoli di collettivismo, a coloro che assumevano gli obblighi della difesa armata, e cioè la creazione delle arimannie, a somiglianza di regole già in vita nei fundi limitanei dell'età romana. Come anche è possibile che, con l'invasione germanica, si siano creati nuovi consorzî territoriali, nelle forme della marca germanica, la quale ebbe in origine carattere prevalentemente gentilizio, ma si disciolse presto, nello sviluppo del diritto, diventando un consorzio di più vasta comprensione territoriale, a somiglianza dei consorzî di villaggio o di pago, già descritti per l'età preromana e romana.

Sta di fatto che, nell'alto Medioevo, nelle pievi, nei cantoni, nelle valli, in cui si ripartiscono le campagne, noi troviamo, in varie forme, questi consorzî territoriali, sotto i diversi nomi di vicinie, di patriziati, di comunità, di vicinati (sp. vesinados), di concilia, di marigantia o di supramarigantia (ven.), per cui si delinea, nelle ville rurali e nelle pievi, la persistenza di consorzî patrimoniali, costituiti da beni comuni, continuazione del compascuo romano e della marca germanica, lasciati al libero uso di proprietarî o lavoratori del suolo, secondo regole fissate nella consuetudine.

Il sistema feudale, generalmente adottato in Occidente dopo la fine del sec. IX, ha portato qualche modificazione alla struttura di queste dipendenze rurali. Mentre, nell'età romana e nell'età barbarica, queste comunità erano soggette allo stato o ai suoi funzionarî, ora, nelle funzioni politiche, sono sotto il potere di signori, detti domini loci, vicecomites, gastaldi, vicarii, ecc., i quali le hanno avute in concessione dal principe, nelle varie forme feudali, e che esercitano i loro poteri attraverso i decani o maiores, da essi designati, nelle varie località, a soprintendere agli ordinamenti delle vicinie o allo sfruttamento dei beni comuni. Trasformazioni e rapporti, questi, ben visibili nella marigantia veneta, dove il maioricus o maricus dirige, a nome del signore, tutte le attività pertinenti alla struttura delle vicinie e al regolamento dei beni comuni.

Si giunge così ai secoli XI e XII, allorché, specialmente in Italia, gli abitanti delle campagne, che già in quei consorzî di beni comuni avevano un principio di autonomia, cominciano ad affermare più risolutamente la loro indipendenza e costituiscono il comune rurale. Il contenuto di questa autonomia è vario, e può essere più o meno limitato, onde si hanno diverse categorie di comuni rurali. Ma esso si risolve nel diritto dei vicini di deliberare sugl'interessi collettivi, indipendentemente dal rappresentante del dominus loci, nel diritto di nominare i capi, che presiedono l'assemblea vicinale, percepiscono le ammende, regolano la polizia locale. Vi sono pertanto comuni rurali liberi, in cui l'autonomia si afferma più larga, e il rapporto di dipendenza verso la città dominante o verso il signore è più lento; e altri invece, che sono più propriamente comunità feudali o baronali, dove il dominio del signore è più diretto e interviene sempre nella vita interna del gruppo, per mezzo di un delegato.

Nel primo caso, il comune rurale, che ha un'embrione di membratura di classi (proprietarî, artigiani, coloni), ha una costituzione che arieggia quella del comune urbano: il parlamento (concio, arengum), i consoli, il massaro, più tardi il podestà. Nel secondo caso, la costituzione è più semplice, senza membratura di classi, col parlamento che continua l'antica vicinia, unione di vicini per il disbrigo degl'interessi della villa e principalmente per il regolamento dei beni comuni, coi capi liberamente eletti, consoli o marici, e per l'esercizio del diritto di patronato sulla cappella locale. Tali rapporti fra l'organizzazione parrocchiale e comunale, fecero anzi supporre la derivazione della vicinia da un consorzio religioso tra vicini; ipotesi oggi quasi generalmente abbandonata.

La coesistenza, su uno stesso territorio, di un ceto nobiliare o militare (arimanni, lambardi, gentiles, nobili) determina spesso il costituirsi di una comunia locale nobiliare, che, per le persistenti immunità di quelle classi feudali, si tiene distinta dal comune dei rustici o dalla vicinia.

Nei paesi di montagna, si delinea la comunità di una valle come unione di tutte le ville circostanti sotto la guida di un capoluogo; continuazione dell'organizzazione dell'antico pago o cantone. In questo caso, vi è la comunità della valle, con poteri giurisdizionali, la quale ha un parlamento comune, composto di tutti i delegati dei vici compresi nella giurisdizione, oltreché i proprî ufficiali; mentre tutti i vici, costituiti nel gruppo, mantengono la propria organizzazione, come semplice vicinia, per gl'interessi strettamente fondiarî ad essi spettanti. È facile spiegare, in questi casi, la costituzione dei cantoni elvetici primitivi non meno che la costituzione dei distretti francesi e britannici.

I comuni rurali dipendono direttamente o indirettamente da una città o da un signore feudale. Più tardi, nello sviluppo delle istituzioni comunali, si tende ad assoggettare più direttamente anche i comuni rurali liberi a questa dipendenza, mentre qualche distretto guadagna anche più larga autonomia. Vi è la maggiore varietà di forme e di risultati. Nel corso del sec. XVI, sia nelle monarchie, sia nei comuni urbani e nelle repubbliche, le autonomie rurali vengono ristrette, e allora le comunità non sono che un modo d'organizzazione amministrativa del contado.

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